Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.
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venerdì 26 aprile 2013

Ansia, cibo e necessità di controllo

Recentemente ho letto un articolo inerente la relazione che intercorre tra fobie e la necessità di controllo. Una delle componenti-chiave della fobia è l’ansia, la paura di perdere il controllo. Cosa potrebbe succedere se fossi chiusa dentro uno spazio molto ristretto e non potessi uscire? – si chiede la persona claustrofobica. O, nel caso dell’anoressia: cosa potrebbe succedere se io non restringessi sistematicamente l’alimentazione? Cosa potrebbe succedere se non facessi sempre la stessa attività fisica tutti i giorni?, e così via…

Il controllo è in realtà un sentimento qualitativo, sì, ma attraverso il DCA lo trasformiamo in un qualcosa di quantitativo: dose di cibo assunto, entità di attività fisica svolta, B.M.I., taglia dei vestiti… Il punto è che, in realtà, la nostra spasmodica ricerca di controllo è strettamente connessa alla ricerca di un sollievo dall’ansia. Il pensiero di base è: se riesco a controllare alla perfezione tutto ciò che riguarda il cibo e l’attività fisica, allora mi sentirò come se tutto nella vita potesse andare bene. 

Salvo poi ovviamente il rendersi conto che questo “andare tutto bene” è un’utopia, e che le cose non vanno dritte a prescindere dal nostro comportamento alimentare. Ma la sensazione di controllo che l’anoressia comunque c’infonde è tale che continuiamo ad ancorarci ad essa anche quando sappiamo quanto possa essere deleteria per noi.

Io penso – per quella che è stata la mia esperienza personale, si capisce, lungi da me il voler fare di tutta l’erba un fascio – che l’aspetto fondamentale di un DCA sia proprio la mania di avere il controllo. La necessità di avere la sensazione di avere il controllo, vero o illusorio che sia, è la base di tutto. Ma non è tutto, ovviamente. Perché spesso l’anoressia non nasce soltanto come un qualcosa che si sente il bisogno di controllare, ma anche come un modo per provare a sentirci più a nostro agio con noi stesse. Il tutto diventa poi un serpente che si morde la coda: più andiamo avanti nella malattia, più sentiamo che il controllo ci sfugge, più strettamente cerchiamo di controllare l’alimentazione per evitare di essere soverchiate dall’ansia.

L’ansia è un altro elemento molto importante nel contesto di un DCA. Non è tanto correlata al cibo in sé, quanto a tutto il resto: alla vita stessa, così ansiogena che bisogna per forza ricorrere ad una strategia di coping. Occorre inoltre sempre tener presente il fatto che i DCA hanno un effetto sia psicologico, sia neurochimico: il ridurre l’introito alimentare limita la produzione di quei neurotrasmettitori che fomentano l’ansia, e i comportamenti rituali di checkup danno l’illusione di avere il pieno controllo su ogni singolo aspetto della propria vita.

Paradossalmente, più ci s’inoltra nell’anoressia, più la vita diventa difficile. Questo ci spinge a impegnarci ancora di più in questa via distruttiva per mantenere il senso di controllo che il DCA ci dà. L’avere un senso di controllo riduce lo stress.

Una delle cose che più stressa le persone è sentire di non avere il controllo. Quando perdiamo il controllo, attuiamo elaborate ginnastiche mentali per auto-convincerci che abbiamo il controllo, o per evitare di compiere azioni che potrebbero portarci a perdere il controllo. Molte di queste sono ascrivibili al “pensiero magico”: se vado sulla cyclette per mezz’ora, andrà tutto bene. Manterrò il controllo, il mio peso rimarrà stabile, e sarà tutto okay. Oppure: se riesco a restringere l'alimentazione in questo modo, posso controllare tutto e quindi niente mi coglierà impreparata. Cose del genere diventano mantra inconsci che ci ripetiamo più e più volte, arrivando ad organizzare sempre di più la nostra vita in funzione delle stesse.

Quel che dovremo fare, perciò, è imparare ad affrontare face-to-face i nostri veri problemi. Soltanto confrontandoci con quello che ci mette ansia e ci spaventa, possiamo renderci conto che il controllo è sopravvalutato. Inoltre, ironicamente, dato tutto il controllo che abbiamo dato prova di possedere con l’anoressia, possiamo utilizzare lo stesso per mantenerci dritte sulla strada del ricovero: non abbiamo forse dimostrato di avere un controllo così forte da permetterci di fare tutto ciò che vogliamo??!...

Dunque, in conclusione, l’anoressia non è una malattia del cibo, è una malattia del controllo. È anche una malattia dell’ansia, della paura, dello stress, di tutti i problemi assolutamente individuali e personali che ognuna di noi ha e che momentaneamente non riesce ad affrontare se non con quest’erronea strategia di coping. Un DCA è un insieme di tante cose, in fondo, per cui penso che l’unico semplice modo per spiegare cos’è un DCA sia il dire che è… complicato.

venerdì 18 novembre 2011

Paura del fallimento

L’altro giorno stavo parlando al telefono con una ragazza che ho conosciuto durante uno dei miei ricoveri in clinica specializzata per DCA, e si discuteva di alcuni aspetti del percorso di ricovero che entrambe ci siamo ritrovate a dover fronteggiare. Uno degli argomenti che abbiamo messo in campo è stata la possibilità di fallire nel momento in cui si sceglie d’intraprendere la strada del ricovero.

Una delle cose che c’intrappola nell’anoressia, infatti, è la sensazione che questa sia un qualcosa in cui riusciamo molto bene, che la restrizione alimentare sia un qualcosa che ci viene davvero bene. Certo, magari gli altri ci dicono che siamo brave anche in molte altre cose, ma la differenza sta nel fatto che, con l’anoressia, siamo noi le prime a dirci che siamo brave, e non temiamo, come succede per tutte le altre cose, che gli altri stiano solo facendo complimenti senza pensare davvero quello che dicono. Non abbiamo bisogno di nessuno che ci dica quanto siamo brave nel restringere l’alimentazione: è una certezza che abbiamo. Sappiamo che possiamo continuare a restringere l’alimentazione anche qualora ogni altro aspetto della nostra vita dovesse andare a puttane.

La strada del ricovero, d’altro canto, è un qualcosa di totalmente diverso. Sappiamo perfettamente come perdere peso, è molto semplice: basta mangiare di meno e fare più attività fisica. Così facendo, non si può certamente fallire. Il ricovero non è così semplice. Restringere l’alimentazione è molto più facile che mangiare seguendo l’ “equilibrio alimentare” che ci dà la dietista. Parafrasando: percorrere la strada dell’anoressia è come buttarsi giù da un dirupo. E’ facile, perché ci aiuta la forza di gravità. Percorrere la strada del ricovero, invece, è come risalire da quel dirupo. È difficile, perché bisogna contrastare la forza di gravità.

Questo è il punto: tutte abbiamo paura del fallimento. Molta, molta paura. E intraprendere la strada del ricovero mette in campo la possibilità di poter fallire. E il fare qualcosa sulle cui possibilità di successo non siamo del tutto sicure, mette addosso sempre certo una grande ansia. È lo stesso motivo per cui a volte rifiutiamo delle sfide – in ambito scolastico, lavorativo, o sportivo. Perché si ha paura del fallimento.

È anche per questo che è più facile rimanere nell’anoressia: è una cosa nella quale, indubbiamente, abbiamo dimostrato di essere estremamente abili nell’avere successo. E a causa di ciò, non siamo abituate al fallimento. Per questo è così difficile relazionarsi con un qualcosa che apre la possibilità al fallimento stesso. E poiché il fallimento non ci piace, preferiamo evitare le situazioni che potrebbero determinarlo. Ecco un altro motivo per cui è così dura intraprendere la strada del ricovero.

Ecco perchè si è così caute, ecco perchè si esita così tanto prima d’intraprendere la strada del ricovero. Perché non si sa come la cosa potrà evolvere. Perchè non siamo sicure che potremo farcela. Perchè, in fin dei conti, spesso all’inizio non siamo neanche sicure che vorremo farcela.

Questo è uno scoglio che bisogna superare per fare progressi. La paura del fallimento, in realtà, ci frena soltanto dal tentare di fare nuove esperienze, dal lasciare la strada vecchia per la nuova. Ci intrappola. Ovviamente, ci vuole la consapevolezza che se si decide d’intraprendere la strada del ricovero non ci saranno solo rose e fiori, anzi, sarà estremamente probabile andare incontro a delle ricadute. Non tutti i tentativi che faremo avranno successo. Ma se ci rifiutiamo di fare tentativi fino a che non siamo sicure al 100% che questi andranno a segno, allora non faremo mai niente. Del resto, non c’è modo di capire veramente se un tentativo possa avere successo o meno, fino a che non ci decidiamo a metterlo in pratica.

Paradossalmente, è proprio sbagliando che s’impara. E questo vale anche per la strada del ricovero. E per l’anoressia.

mercoledì 4 febbraio 2009

I'll stand by you

Questo post è per tutte le ragazze che hanno camminato a fianco a me durante i miei ricoveri, e che in un modo o nell’altro mi hanno accompagnata tenendomi per mano quando nessuna di noi era abbastanza forte per potersi sostenere da sola.
Per tutte coloro con cui sono rimasta in contatto, e anche per quelle che non sento più da tanto tempo.

Ragazze, non ha importanza se anche non ci vedremo mai più… quello che importa è che nel momento in cui siamo state vicine siamo riuscite a toccarci a vicenda.

Tesori miei, ci siamo conosciute in un momento che per tutte noi era sicuramente estremamente difficile e distorto. Ci stavamo facendo del male. Ci stavamo insultando. Ci stavamo distruggendo. Ci stavamo annientando. Eravamo piene di rabbia e di dolore.

Adesso stiamo combattendo tutte quante. Qualcuno – forse noi stesse, tutte insieme – ci ha fermate e ci ha mostrato i nostri errori e tutto quello che ancora ci attendeva se non fossimo riuscite a lottare contro questa spirale discendente ed autodistruttiva che è l’anoressia. Adesso possiamo andare avanti.

Se ripenso al momento in cui eravamo tutte insieme in clinica, se ripenso alla persona che ero in quel momento, alla mia scarsa volontà di uscirne veramente, provo tanta rabbia, furia, ira verso me stessa. Ma soprattutto, ripensare a quella ragazza – e ripensare a tutte voi – mi spezza il cuore.

Le persone reagiscono alle più dure circostanze che la vita gli può porre davanti sostanzialmente in 2 modi: con l’amore o con la paura. Come dico spesso “in love or in fear”. C’è stato un periodo in cui la nostra reazione è stata “in fear”, un periodo in cui la paura ha avuto la meglio su di noi. Ma adesso dobbiamo tenere bene a mente quello che tale parola significa:

False
Evidence
Appealing
Real

O, nella mia personale versione:

Fuck
Everything
And
Run

C’è stato un momento in cui dentro di noi stavamo piangendo. Un momento in cui stavamo morendo alla ricerca di un benessere così rasente la perfezione da essere pertanto inesistente.
Però… quando ero insieme a voi, io mi sentivo a casa. Perché voi eravate la mia famiglia. Io potevo capire il vostro dolore perché voi capivate il mio. Perciò potevamo comprenderci a vicenda e sentirci accolte.

C’è stato un momento in cui gridavamo ma nessuno pareva sentirci. Perciò avevamo provato a parlare con il nostro corpo, pensando che così forse qualcuno si sarebbe accorto di qualcosa. Le nostre lacrime silenziose, lacrime invisibili che solo gli angeli potevano portare via, echeggiavano dentro di noi anche se fuori non usciva niente. Avevamo perso di vista i nostri veri bisogni: questi erano diventati insignificanti, troppo sottili per poterli trovare. E noi eravamo diventate prigioniere della nostra volontà di ferro. Richiuse in una prigione senza sbarre, né mura, né odore: una prigione per la nostra mente.

Ma poi le cose sono cambiate. Poi abbiamo iniziato a percorrere la strada della luce. Non tutte insieme, ciascuna con i propri tempi… ma tutte con la stessa determinazione. Se adesso mi capita di piangere, è solo per nostalgia di quella che ero. Ma adesso quel momento è passato. Adesso è il momento di combattere. Spero che tutte voi stiate ancora combattendo insieme a me.

Vi voglio bene.

(Questo post è anche per tutte voi che adesso state combattendo e affrontando un percorso di ricovero, proprio come sto facendo io... Che la forza sia con voi... Sempre...)

domenica 30 novembre 2008

Paura di fallire

Penso sia semplicemente naturale, dopo aver passato l'anoressia, temere di ricaderci… ma la cosa importante è che, se ciò dovesse accedere, adesso sappiamo di avere le armi per combatterla. Quel che è stato parte di noi non cesserà mai completamente di esistere, ma si può essere più forti e riuscire a sopravvivere. Riuscire a conviverci senza che l'anoressia abbia la meglio.

Lo so, a volte pensare di intraprendere un processo di ricovero fa paura. Ma la paura è solo una scusa per non affrontare le cose. Ci vuole molto tempo per liberarsi dei fantasmi del proprio passato, specie se questi ci hanno infestato a lungo. Ma le ricadute sono normali, e bisogna cercare di non scoraggiarsi. È una lotta difficile, lo so, ma possiamo farcela, tutte quante. Ci saranno giorni buoni e giorni cattivi. Bisogna solo non perdere mai di vista il traguardo, ciò che ci vuole veramente dalla vita. Se si riesce a tenere la testa alta, a rialzarsi dopo ogni caduta, siamo già ad un buon punto della strada.

I giorni cattivi sono inevitabili, giorni in cui tutto si tinge di nero e viene voglia di mollare perché sembra che la vita si chiuda e allora si teme di non essere più capaci di affrontare ciò che ci aspetta. La paura che arriva, allora, può far venire voglia di riadottare quei comportamenti sbagliati del passato. Rituffarsi in quelle dinamiche che, per quanto negative e distruttive, davano comunque sicurezza. Bè, anche se è doppiamente difficile, è proprio in momenti come questi che bisogna continuare a combattere.

La paura lega al passato. Al non lasciar la strada vecchia per la nuova. Talvolta andare incontro ad un futuro sconosciuto fa così paura che sembra essere preferibile quello che è stato in passato, per quanto distruttivo potesse essere. Per questo lasciare il passato è così difficile. Perciò bisogna cercare semplicemente di muovere un passo dopo l’altro, piccoli passi, giorno dopo giorno. Ma siamo tutte umane, perciò, si sa, le ricadute ci sono. Il fatto che ci siano non significa che tutto il duro lavoro che si è fatto per arrivare fino a quel punto è stato inutile o è andato distrutto. Non significa che bisogna ricominciare tutto di nuovo da capo, perché quello che è stato fatto, in qualche modo, resta. Può essere usato come “rampa di lancio” per ripartire. Partendo da un’esperienza come l'anoressia è maledettamente difficile raggiungere un traguardo positivo, perciò è naturale avere delle ricadute. Dunque bisogna semplicemente riconoscerle come tali e non demoralizzasi ma cercare di superarle. Se si capisce quel che si è fatto di sbagliato, si potrà evitare di rifarlo in futuro. Ci si potrà rialzare e dire “ricomincio da qui”.

Pensatela un po’ così: se volete andare da Milano a Napoli e, dopo aver percorso 300 Km, la vostra auto ha un guasto e si ferma, non è che dovete ritornare a Milano e ripartire di nuovo da capo per Napoli! Siete e rimanete a 300 Km dal punto di partenza. Ed è da lì che ripartirete non appena la vostra auto sarà stata riparata. Poi, può darsi che durante il viaggio si guasti nuovamente e dobbiate fermarvi ancora, oppure è probabile che abbiate sete o dobbiate andare in bagno e decidiate di fermarvi ad un Autogrill, e più volte vi dovrete fermare, più lungo sarà il viaggio, ma non dovrete mai ricominciarlo da capo! Si tratta solo di risalire in macchina e ripartire. Prima o poi arriverete sicuramente. E lasciate che vi dica una cosa: non c’è niente di male nel fermarsi quante volte lo vogliate.

Credete più in voi stesse che nei fantasmi del vostro passato. E non abbiate paura di fallire ancora. Rialzarsi è sempre possibile, qualora lo vogliate.
 
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