lunedì 13 ottobre 2008
Più sottile del mal sottile
Ecco qua un qualcosa che ho scritto circa tre anni fa... Una specie di racconto breve, non saprei come definirlo... Un qualcosa che forse parla di me, ma forse anche di voi...
PIU' SOTTILE DEL MAL SOTTILE
Più sottile del mal sottile, più esotico del mal celtico, più oscuro del male oscuro.
Segna i nostri tempi androidi col rosso e blu della costanza d’errore, prende le forme tenere di adolescenti e si diverte, con passione e precisione, a cancellarle tratto a tratto, deformando e corrompendo fino a distruggere.
Anoressia è la definizione scientifica: un nome per un tempo, onomastica fuori dal tempo al male di vivere.
Un male di cui non sempre si muore, più spesso il destino individuale ce lo mette a fianco, moderno “fiore in bocca” indicandocelo nel tempo futuro come costante, fedele compagno. Già, di anoressia si vive, divorando se stessi a bocconi avidi e imparando, poi, a mantenere quel poco che serve a continuare la missione prometeica di ricostruire il corpo “infame” per poter tornare a divorarlo.
Una promessa d’amore per chi d’amore ha fame costante, un puzzle inventato con la follia di mescolare sempre i pezzi, ogni volta che la soluzione sembra vicina, castelli di sabbia sulla riva di un mare in tempesta.
Stella ha, oggi, vent’anni: magre braccia d’aquila, gambe sottili di stambecco, i lisci capelli biondi a caschetto nascondono uno sguardo triste d’acqua stagnante.
Stella abita in Toscana e vive di anoressia da quasi quattro: ha una famiglia, un fratello, frequenta la scuola, ha amici, né bella, né brutta, intelligente, ambiziosa, una vocazione alla scrittura, affida a fogli di carta le sue emozioni.
Ma non è psicoterapia: quella, Stella, scettica di natura, fiduciosa per convenienza, la lascia ai medici, alle ore scandite dall’orologio, agli ambienti odorosi di malattia.
Ha conosciuto tutte le fasi dell’anoressia: dal cibo limitato per entrare nella taglia trentasei, al cibo rifiutato per lasciare la sua taglia, all’esasperante autocontrollo per corrodere la voglia di cibo, alla forbice sulla carne per portare via quei brandelli di vita che, no, proprio no, non la volevano lasciare.
E da magro uccellino, caduto da un nido affettuoso ma, forse, improprio, Stella si è trasformata nella streghetta rinsecchita delle favole per bambini e solo allora quando lo specchio le ha restituito un’immagine di sé pari ai suoi incubi (o sogni?) più segreti, ha deciso di dar sfogo alla memoria e di provare a risalire col peso dei suoi trentacinque chili di fatica di vivere la china della sua esistenza.
“Continuo a pensare a ciò che è stato e ciò che è, continuo ad accendere una sigaretta dopo l’altra, forse la mia bocca ha bisogno di poter fare qualcosa. Di distruttivo? Sono così brutti quei ricordi, il cibo poi lo studio, che altro manca nella mia vita, l’amore forse? Non credo proprio, ne ho dato abbastanza anche a me stessa; potevano distruggermi gli altri rendendomi invisibile, invece il mio di amore mi ha permesso di essere qui ora. Non mi sento vecchia, solo tanto stanca”.
Non mi sento vecchia… Stella ha vent’anni: non era l’età della gioia? Interrogativo su cui fermare l’attenzione, in questo mondo – non “L’America”, non la carta stagnola delle povere hollywood da telenovelas, ma qui, oggi, accanto a noi, nell’Italia che ci ostiniamo a raccontare a misura d’uomo - che corre dietro al correre dietro, che dimentica il senso di una vita fatta di lenti gradini che salgono in gioiosa progressione e di lenti gradini che scendono in naturale conclusione.
Il tempo delle madri non schiave e dei padri non padroni diventa, per curiosa miseria, il tempo dei figli in fame.
“Ricordo mio padre quando diceva: ‘Non fare tutto subito, assapora ciò che fai’. Ho sbagliato tutto, ho talmente assaporato tutto che ora il mio odorato non sa più cosa sentire. Vedo il sole rosso al tramonto, sento il vento abbattersi contro gli alberi, sento che sto male, a volte sento anche la gioia, ma ancora non sono riuscita a sentire il profumo del mio corpo, del mio piccolo inutile corpo. Mi sono accorta che da tempo non indosso più l’orologio, e va bene così, non voglio vedere il tempo che passa, le lancette sono come frecce, mi basta vedere il buio e la luce”.
Ogni parola è una sferzata all’indifferenza, ogni parola è un atto di accusa contro un mondo ostile che ammassa e cataloga. Generazione X, l’hanno chiamata, ma chi l’ha spinta sull’alfabetiere della vita per precipitare fino all’anonimo di una lettera scomoda? Generazione sparita: Stella cerca di sparire eppure s’aggrappa alla balaustra incerta del suo Titanic, sperando in mani solide che la sostengano.
“Pochi giorni fa un coltello tagliente mi ha sfiorato… ho imparato a definire la gente che mi circonda come un coltello tagliente. Che dolore, che ansia, che voglia di leggere la scritta the end. Ho sete, ma non posso bere, il mio cervello lavorerebbe troppo per farmi arrivare in cucina. E per fare cosa, poi? Bere? Riempire di nuovo lo stomaco, anzi continuare a riempirlo? Mi sento già tanto piena, delle volte anche quando non tocco cibo da giorni… questo è uno dei momenti in cui sento di avere il mondo nelle mani, farei qualsiasi cosa, riparerei qualsiasi errore. Non mi sento più di scrivere, ho voglia di guardarmi intorno, osservare ciò che mi circonda”.
Stella ha bisogno di capire, non dai camici bianchi, né in asettici laboratori d’analisi, cos’è questo male che ha dentro, ha bisogno di confrontarsi con la vita, per capire il suo essere donna. Donna: elemento vitalistico, colla forte delle maglie della catena della natura, sfida gioiosa e aggressiva, bella del proprio coraggio, lontano dal senso incombente di distruzione e catastrofe.
“Che grande vita, che vita piena di sorprese è la mia… qualcosa può cambiare in questo immenso groviglio di odio, amore, sofferenza e gioia. Bere, berrei all’infinito per osservare il mondo in un’ottica diversa. La battaglia è in atto, ma non so contro chi combattere. Non esistono nemici, gli unici nemici siamo noi, il nemico, se lo conoscessi, me lo farei amico. E, invece, combatto, spudoratamente. E non c’è sangue, non c’è ferita, solo dolore”.
“Girotondo” così Stella definisce la sua vita, un girotondo che a tratti accelera, a tratti rallenta il suo vortice invitandola a fermarsi, a riflettere, ad accettare la vita così come è, “senz’altri patti”, come scriveva il poeta: “Un giorno riprenderò la strada giusta, se giusto è ragionare come tutti gli altri che mi guardano con ostilità e pregiudizio, se giusto è ragionare come qualsiasi altra persona fecondata, vissuta in nove mesi di buio e poi nata alla luce. La luce? Sento solo la pioggia, acqua, H2O, mi bagna, mi perseguita, brucia…”.
Stella è soltanto il nome che la rapporta alla gente, che legittima la sua esistenza in questo mondo ma, dentro di sé, Stella esiste e appartiene al mondo, ingombrante come un regalo non richiesto e di cui, pure, non è facile disfarsi: domani sarà ancora nella sua personale trincea a cercare dagli altri, adulti, vaccinati alla vita, indifferenti alla morte, l’abracadabra che la porti di qua del suo specchio di spaventata Alice.
(Gennaio 2005)
PIU' SOTTILE DEL MAL SOTTILE
Più sottile del mal sottile, più esotico del mal celtico, più oscuro del male oscuro.
Segna i nostri tempi androidi col rosso e blu della costanza d’errore, prende le forme tenere di adolescenti e si diverte, con passione e precisione, a cancellarle tratto a tratto, deformando e corrompendo fino a distruggere.
Anoressia è la definizione scientifica: un nome per un tempo, onomastica fuori dal tempo al male di vivere.
Un male di cui non sempre si muore, più spesso il destino individuale ce lo mette a fianco, moderno “fiore in bocca” indicandocelo nel tempo futuro come costante, fedele compagno. Già, di anoressia si vive, divorando se stessi a bocconi avidi e imparando, poi, a mantenere quel poco che serve a continuare la missione prometeica di ricostruire il corpo “infame” per poter tornare a divorarlo.
Una promessa d’amore per chi d’amore ha fame costante, un puzzle inventato con la follia di mescolare sempre i pezzi, ogni volta che la soluzione sembra vicina, castelli di sabbia sulla riva di un mare in tempesta.
Stella ha, oggi, vent’anni: magre braccia d’aquila, gambe sottili di stambecco, i lisci capelli biondi a caschetto nascondono uno sguardo triste d’acqua stagnante.
Stella abita in Toscana e vive di anoressia da quasi quattro: ha una famiglia, un fratello, frequenta la scuola, ha amici, né bella, né brutta, intelligente, ambiziosa, una vocazione alla scrittura, affida a fogli di carta le sue emozioni.
Ma non è psicoterapia: quella, Stella, scettica di natura, fiduciosa per convenienza, la lascia ai medici, alle ore scandite dall’orologio, agli ambienti odorosi di malattia.
Ha conosciuto tutte le fasi dell’anoressia: dal cibo limitato per entrare nella taglia trentasei, al cibo rifiutato per lasciare la sua taglia, all’esasperante autocontrollo per corrodere la voglia di cibo, alla forbice sulla carne per portare via quei brandelli di vita che, no, proprio no, non la volevano lasciare.
E da magro uccellino, caduto da un nido affettuoso ma, forse, improprio, Stella si è trasformata nella streghetta rinsecchita delle favole per bambini e solo allora quando lo specchio le ha restituito un’immagine di sé pari ai suoi incubi (o sogni?) più segreti, ha deciso di dar sfogo alla memoria e di provare a risalire col peso dei suoi trentacinque chili di fatica di vivere la china della sua esistenza.
“Continuo a pensare a ciò che è stato e ciò che è, continuo ad accendere una sigaretta dopo l’altra, forse la mia bocca ha bisogno di poter fare qualcosa. Di distruttivo? Sono così brutti quei ricordi, il cibo poi lo studio, che altro manca nella mia vita, l’amore forse? Non credo proprio, ne ho dato abbastanza anche a me stessa; potevano distruggermi gli altri rendendomi invisibile, invece il mio di amore mi ha permesso di essere qui ora. Non mi sento vecchia, solo tanto stanca”.
Non mi sento vecchia… Stella ha vent’anni: non era l’età della gioia? Interrogativo su cui fermare l’attenzione, in questo mondo – non “L’America”, non la carta stagnola delle povere hollywood da telenovelas, ma qui, oggi, accanto a noi, nell’Italia che ci ostiniamo a raccontare a misura d’uomo - che corre dietro al correre dietro, che dimentica il senso di una vita fatta di lenti gradini che salgono in gioiosa progressione e di lenti gradini che scendono in naturale conclusione.
Il tempo delle madri non schiave e dei padri non padroni diventa, per curiosa miseria, il tempo dei figli in fame.
“Ricordo mio padre quando diceva: ‘Non fare tutto subito, assapora ciò che fai’. Ho sbagliato tutto, ho talmente assaporato tutto che ora il mio odorato non sa più cosa sentire. Vedo il sole rosso al tramonto, sento il vento abbattersi contro gli alberi, sento che sto male, a volte sento anche la gioia, ma ancora non sono riuscita a sentire il profumo del mio corpo, del mio piccolo inutile corpo. Mi sono accorta che da tempo non indosso più l’orologio, e va bene così, non voglio vedere il tempo che passa, le lancette sono come frecce, mi basta vedere il buio e la luce”.
Ogni parola è una sferzata all’indifferenza, ogni parola è un atto di accusa contro un mondo ostile che ammassa e cataloga. Generazione X, l’hanno chiamata, ma chi l’ha spinta sull’alfabetiere della vita per precipitare fino all’anonimo di una lettera scomoda? Generazione sparita: Stella cerca di sparire eppure s’aggrappa alla balaustra incerta del suo Titanic, sperando in mani solide che la sostengano.
“Pochi giorni fa un coltello tagliente mi ha sfiorato… ho imparato a definire la gente che mi circonda come un coltello tagliente. Che dolore, che ansia, che voglia di leggere la scritta the end. Ho sete, ma non posso bere, il mio cervello lavorerebbe troppo per farmi arrivare in cucina. E per fare cosa, poi? Bere? Riempire di nuovo lo stomaco, anzi continuare a riempirlo? Mi sento già tanto piena, delle volte anche quando non tocco cibo da giorni… questo è uno dei momenti in cui sento di avere il mondo nelle mani, farei qualsiasi cosa, riparerei qualsiasi errore. Non mi sento più di scrivere, ho voglia di guardarmi intorno, osservare ciò che mi circonda”.
Stella ha bisogno di capire, non dai camici bianchi, né in asettici laboratori d’analisi, cos’è questo male che ha dentro, ha bisogno di confrontarsi con la vita, per capire il suo essere donna. Donna: elemento vitalistico, colla forte delle maglie della catena della natura, sfida gioiosa e aggressiva, bella del proprio coraggio, lontano dal senso incombente di distruzione e catastrofe.
“Che grande vita, che vita piena di sorprese è la mia… qualcosa può cambiare in questo immenso groviglio di odio, amore, sofferenza e gioia. Bere, berrei all’infinito per osservare il mondo in un’ottica diversa. La battaglia è in atto, ma non so contro chi combattere. Non esistono nemici, gli unici nemici siamo noi, il nemico, se lo conoscessi, me lo farei amico. E, invece, combatto, spudoratamente. E non c’è sangue, non c’è ferita, solo dolore”.
“Girotondo” così Stella definisce la sua vita, un girotondo che a tratti accelera, a tratti rallenta il suo vortice invitandola a fermarsi, a riflettere, ad accettare la vita così come è, “senz’altri patti”, come scriveva il poeta: “Un giorno riprenderò la strada giusta, se giusto è ragionare come tutti gli altri che mi guardano con ostilità e pregiudizio, se giusto è ragionare come qualsiasi altra persona fecondata, vissuta in nove mesi di buio e poi nata alla luce. La luce? Sento solo la pioggia, acqua, H2O, mi bagna, mi perseguita, brucia…”.
Stella è soltanto il nome che la rapporta alla gente, che legittima la sua esistenza in questo mondo ma, dentro di sé, Stella esiste e appartiene al mondo, ingombrante come un regalo non richiesto e di cui, pure, non è facile disfarsi: domani sarà ancora nella sua personale trincea a cercare dagli altri, adulti, vaccinati alla vita, indifferenti alla morte, l’abracadabra che la porti di qua del suo specchio di spaventata Alice.
(Gennaio 2005)
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9 commenti:
Che dire? Il racconto è struggente e tu scrivi benissimo.
Vorrei tanto avere una bacchetta magica per liberare d'incanto i tanti magri uccellini caduti dal nido ad una gabbia spaventosa...
credo che già che hai voluto mettere nero su bianco la tua esperianza ,sia più che apprezzabile.
buona serata!
Buongiorno carissima... davvero struggente il tuo racconto piccola Stella... sei toscana, come me, e da toscano a toscana ti dico che sei stata, sei e sarai sempre una persona stupenda:-)
Hai saputo lottare, sai lottare, aiuti gli altri a fare lo stesso, ti racconti senza timori, dai forza a chi non ne ha:-) sei davvero grande, mia dolcissima amica:-)
Ti abbraccio con immenso affetto, stima e amicizia:-) e ti auguro tutto il bene del mondo:-)
Marco
Grazie per essere venuta a trovarmi, spero lo farai ancora... Beh oggi la dottoressa mi ha chiesto come si manifesta l'affetto nella mia famiglia... rivolgo la domanda a tutti quelli che leggeranno questo commento, te per prima.. la risposta ci farà capire molte cose, un bacio
osare... è l'unica cosa che ci può far sentire ancora vive...
da fare e non dimenticare di fare:)
Sempre meglio veggie, questo blog a quanto pare fa solo del bene.
Un abbraccio..
Non avendo ancora avuto la possibilità di leggere interamente il tuo blog (ma promettendo di farlo al più presto), passo solo per un saluto e per un ringraziamento per il commento che mi hai lasciato. Una buona serata!
Ludovica
....un capitolo di un' opera inconclusa, e qualcuno direbbe che è inconclusa per troppo amore. siamo tutti soli in fondo, le cose vanno così.
@ Alfa - Grazie per i complimenti sul testo... e quella bacchetta magica, vorrei avercela anch'io... per tutte voi, ragazze...
@ Irene - Penso che sia l'unico modo per aiutarmi ed aiutare le altre: combattere insieme.
@ Marco - Grazie di tutto... Io faccio del mio meglio... e spero solo di poter essere veramente d'aiuto a qualcuna... è l'unica cosa veramente importante, per me...
@ Nellnoire - Certo che lo farò! Perciò aspetto qua anche te: dobbiamo lottare insieme... e non mollare mai!
@ Nienteevasta - Lo spero... grazie di tutto...
@ Ludovica - Bene, ti aspetto! Grazie a te...
@ Johhny says - Inconcluso perchè la vita è avanti... e i capitoli si pssono scrivere solo giorno dopo giorno... affrontando le sfide quotidiane... continuando a combattere senza arrenderci... sentendo ogni respiro... assaporando ogni attimo.
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