venerdì 28 dicembre 2012
Titoli di coda
Quante di voi si sono mai trattenute a veder scorrere i titoli di coda alla fine di un film, al cinema? Se stavate pomiciando non vale, ovviamente. Io, onestamente, poche volte. Ma ogni volta che lo faccio, avverto una sensazione molto particolare, perché nei titoli di coda c'è l'intero film… e molto di più. I titoli di coda sono la celebrazione di tutto il lavoro che sta dietro alla realizzazione di un capolavoro, o semplicemente di un lungometraggio che non sarà da oscar ma che almeno ha dato lavoro ed esperienze a decine di persone. In ogni realizzazione, io credo, non conta tanto il momento dell'esplosione del risultato, quello che veramente fa la differenza e cambia per sempre le persone sono le esperienze che si fanno mentre si sta lavorando duramente fianco a fianco con altri esseri umani per raggiungere insieme un obiettivo, grande o piccolo che sia. E i titoli di coda mi affascinano, perché celebrano esattamente questo: anche il più sfigato assistente dell'assistente dell'assistente dell'aiuto-regista vi compare. Perché ci ha lavorato e ha partecipato alla costruzione dell'opera.
In fondo, credo che ognuna di noi viva la propria vita come una sorta di film di cui è protagonista, e il risultato è che il consorzio umano è un'intersezione di film, un palcoscenico di coprotagonisti che incrociano i propri destini con quelli altrui, in un'interminabile serie di scene, spin-off, prequel, sequel…
E dunque, dato che – come ormai avrete ben capito anche solo dall’impostazione del mio blog – mi piace molto la visione dei gruppi umani come team che collaborano per costruire qualcosa (o, nel caso di questo blog, per combattere contro qualcosa), quest'anno ho deciso di concludere i post del 2012 con i miei personalissimi titoli di coda. La cosa che più mi entusiasma è notare come il mio film di quest'anno sia molto intenso, movimentato, popolato da un gran numero di persone, amici vecchi e, soprattutto, nuovi. E' bello anche pensare che, in fondo, questo blog ha giocato un ruolo non indifferente nella costruzione di una trama che, se la guardo nel suo insieme, mi pare promettere bene.
Magari ci scappa un oscar.
E quindi, un GRAZIE DI CUORE a:
Alex. Il migliore amico che chiunque vorrebbe avere. Più che un amico: un fratello. Senz’altro una delle persone più importanti della mia vita. A lui va il primo pensiero perché effettivamente è il primo che sento ogni mattina e, spesso, l'ultimo che sento quando vado a letto. Non mi dilungo oltre perché gli ho già dedicato un intero post che riassume più che bene il suo ruolo. Grazie di esistere, di esserci sempre, di starmi vicino nonostante tutto. Sei meraviglioso. M’illumini la vita. Momenti più belli? Vale se dico “tutti quelli che trascorriamo insieme!”?! Vabbè, dai, diciamo il tirocinio all’ambulatorio proctologico, i mega-ripassoni pre-esame, e le serate che passiamo insieme. O, più semplicemente, le chiacchiere e le risate che facciamo insieme. Insomma, basta, sennò davvero con lui non finirei più... perché le parole non sono sufficienti ad esprimere il bene che gli voglio.
Duccia. La mia amica “storica” (ci conosciamo dalla 1^ media!), l’unica che mi è stata vicino anche nei miei momenti peggiori, quando l’anoressia la faceva da padrona. Quest’anno, causa i reciproci impegni universitari (e anche lavorativi, nel mio caso), ci siamo potute vedere meno, ma quando Duccia c’è lascia sempre il segno. Ma anche se riusciamo ad incontrarci solo poche ore per volta, quelle ore sono come tesori preziosi, come visioni panoramiche, vedute crepuscolari. Lei è un pezzo importantissimo della mia vita, e lo sarà sempre.
I miei compagni di squadra di karate. Grazie, ragazzi. Quest’anno era partito in sordina con Aldo che aveva cambiato palestra e lo scazzo ultrapeso tra me e Alby, ma sta finendo sotto i migliori auspici. Grande Luca che si sta facendo il culo per imparare i kata, grande Cosi che ce la mette sempre tutta e che nonostante quel che c’è stato in mezzo è tornato ad essere il mio amico di due anni fa. Grazie a Giovanni perché è davvero il nostro collant(e) e devo ancora vedergli fare una cazzata. Grazie a Lory che continua ad essere il nostro Lory, pur essendo diventato nel frattempo un patetico ragioniere (^__^”) Infine, un grazie a Robi per essere sempre disposto a tappare qualsiasi buco ci sia da tappare – e non è un’allusione sconcia.
Il team della Medicina d’Urgenza, in toto, perché siete gente coi controcazzi.
Tutte voi, ragazze, che state leggendo il mio blog in questo momento. Non mi metto ad elencarvi una per una, perché sennò le prossime millemila righe di questo post conterranno solo i vostri nomi e non si finisce più, ma sappiate che sono estremamente grata a tutte e a ciascuna di voi in particolare. Grazie a voi che mi leggete abitualmente ormai da tanto e lasciate i vostri commenti che sono per me sempre importante spunto di riflessione, grazie a voi che commentate in maniera anonima ma pure riuscite a trovare il coraggio per rompere il silenzio che il DCA impone, e questo vi fa veramente onore, grazie a voi che mi scrivete tramite e-mail (e scusate se sono sempre così lenta nel rispondervi!...), e grazie a voi che mi leggete in silenzio, perché la vostra presenza è comunque palpabile. Insomma, grazie a tutte voi per stare combattendo questa battaglia contro l’anoressia insieme a me… fisicamente lontane, ma virtualmente tutte una a fianco dell’altra. Perché siamo più forti se combattiamo insieme. Perciò, continuiamo a farlo. Grazie di cuore, davvero. Questo blog è ciò che è solo perché ci siete voi. GRAZIE.
La mia dietista, che mi segue ormai da tempo immemore e mi sopporta sempre. Tranquilla, ancora un paio d’anni e ce la fai ad entrare nel guinness dei primati!
Il mio tutor, il dottor Mirco D., per avermi detto: "Ma vuoi davvero diventare una che va in giro a pensare di salvare le vite? Nè per colpa mia, nè per merito mio.". Mirco, ti voglio bene. Sei il miglior tutor che avrei mai potuto sperare di avere. Grazie per aver fatto le due di notte con me per discutere di un caso clinico. Grazie per la fiducia che mi dai, grazie per le potenzialità che vedi in me, anche se continuo a pensare che ti sia preso un abbaglio.
Ogni ora di affiancamento che facciamo, con tutti gli insegnamenti che mi dà, è preziosa, e in quello che mi spiega c'è sempre una tensione artistica, piena di passione e di autentico ardore per la professione che fa e per quello che mi insegna. Anche Mirco è un regalo che è entrato inaspettatamente nella mia vita.
Il mio sensei di karate, Carlo, per tutte le volte che mi ha fatto il culo. Perché solo così ho potuto conquistare quel podio. E per avermi detto che sono io il vero maschio alfa della palestra ^__^”
La cassiera della mensa, perché dopo aver insinuato che la sottoscritta utilizzi le banane (sono parte integrante del mio “equilibrio alimentare”, anche quando vado a mangiare a mensa mi porto sempre il mio pranzo da casa) per fini diversi da quelli della nutrizione, mi saluta ogni giorno e ha sempre una parolina dolce per me. Grazie! Anche io ti voglio bene cassiera della mensa!
Il professor R. L., perché per la prima volta ho imparato a fare i grafici per registrare l'andamento dei suoi "in questo senso" e "in questo modo qui". Facendo un breve calcolo, stimo che durante il semestre il simpatico omino ne abbia pronunciati circa 600 - 700. Lo ringrazio anche per avermi insegnato un nuovo e più disinvolto uso dell'aggettivo dimostrativo "quel". Quell'ammonio. Poesia.
Il professor P. U., principalmente perché da quando ha fatto un disegno alla lavagna e l'ha firmato “P. U. – 2012” ho finalmente avuto la certezza di trovarmi di fronte ad un pazzo megalomane.
Il professor G. C., perché oltre ad essere un "rigoverna cappelle" (cit.), è riuscito ad infamarmi all'esame più della professoressa A. M. Lurido montevarchino.
Tutti i miei colleghi dello CSEN, ovvero gli altri arbitri di karate. Perché siamo una forza quando siamo tutti insieme. Il nostro prossimo obiettivo dev’essere il far diventare il karate un sport olimpico, okay??!
Il dottor Alberto C., primario della Medicina d’Urgenza. E qui non ci sono cazzi. E' un GRANDE uomo, uno che si fa il culo dalla mattina alla sera, che lavora con una passione che io ammiro profondamente. E poi è simpatico, come del resto lo sono generalmente le persone che nella vita hanno raggiunto obiettivi di rilievo grazie ai propri sforzi. Un giorno sarò come lui, con qualcosa in meno tra le gambe, ovviamente.
Il relatore della mia tesi, il professor Andreas R. F.. Lui è un pazzo, uno che parla al telefono a velocità supersonica, e può essere un problema quando devo riuscire ad estrapolare metodiche, nomi, orari, numeri di telefono. Ma è un ganzo e un grande. Lo ringrazio perché sta credendo moltissimo in me e mi ha permesso di scrivere una tesi strafiga. Rivoluzioniamo il sistema delle tesi tradizionali, mi raccomando! (E anche quello della Medicina, magari… ^^”) Grazie per avermi permesso di fare la presentazione della tesi con Windows Movie Maker anziché con quella tristezza di Power Point… cercherò di fare un buon lavoro, promesso.
E adesso, un attimo di attenzione. Ora voglio ringraziare le new entries.
Sara. Come ti ringrazio? E soprattutto, forse, non ho nemmeno niente per cui esserti grata. Però ormai nella mia vita ci sei entrata, e volentieri ti ci lascio. Non so se sei davvero riuscita a capirmi, in realtà ne dubito, anche perché io per prima non mi sono veramente mai aperta con te e non ti ho mai detto dei miei problemi di anoressia e di tutto il resto. Però mi tieni a chiacchierare, a ridere, a dire cazzate, a consultarmi per i tuoi casi clinici (ma se ci metto le mani meno di te!?!), mi dai continuamente input per osservarmi dall'esterno e tentare di migliorarmi. E so che hai tanta paura, tanta quanta ne ho io. Sei molto intelligente, sarai un ottimo medico, te lo assicuro. E per quanto mi riguarda, non ti abbandono.
I ragazzi del “team tirocinio” (tra cui soprattutto Cosi, che oltre a fare karate con me da un sacco di tempo, quest’anno ha pure iniziato Medicina). Ragazzi, voi siete un qualcosa d’incredibile. Siete un po’ come 5 fratellini minori, ma come medici sento già che sarete dei grandi. Per me rappresentate la potenza delle cose nuove che iniziano in tutto il loro splendore e con quella forza misteriosa che spinge le cose che nascono dall'ispirazione. Sono orgogliosa di essere la vostra tutor. Voi del 1° anno, io del 6°… eppure sono certa che ne faremo di strada insieme.
Lexy. Lexy è il caos. Siamo stati dei mesi a guardarci in cagnesco, più per scherzo che sul serio però, perché in fondo c’ispiravamo simpatia a pelle. E alla fine abbiamo rotto il ghiaccio. Gli voglio bene perché lui, giustamente, mi venera come Dea Onnipotente della Medicina e del Karate. Scherzi a parte, lui è un elemento completamente libero e sciolto da ogni catena, è impossibile non volergli bene quando ti arriva davanti a casa con un carrello rubato. Peccato che te l'abbiano fottuto, Lexy, un giro ce lo facevo volentieri. Tra l'altro sembra che sia anche diventato un bravo studente... Mah... La faccenda mi puzza, ma per adesso si starà a vedere. Grandissimo!
Wolfie. Che avevo fugacemente conosciuto già nel 2011, ma che ho rivisto più volte quest’anno con estremo piacere. Sei una ragazza stupendissima. Ti ringrazio per ogni singolo commento che lasci su questo blog (a proposito, ma tu ne terrai mai uno?), e che ispira sempre tanta positività e voglia di combattere contro i DCA. Fai venire voglia di combattere e non mollare, fai venire voglia di vivere. Sono felice di aver avuto modo di conoscere più a fondo una persona deliziosa come lei, e spero che continueremo a combattere insieme, fianco a fianco, e, magari, spero che riusciremo a vederci più spesso, nonostante la distanza fisica che ci separa, perché Wolfie è veramente una forza della natura.
Phagosome. Che ha un blog e un account di twitter che sono positività allo stato puro, che convincerebbero a combattere contro l’anoressia anche una pro ana sfegatata. Torna presto a scrivere, perché senza i tuoi post mi manca un pezzo! E continua sempre a combattere, anche se sono certa che con la tua forza interiore potrai fare tutti i passi avanti che vorrai, senza mai perderti d’animo. Ti stimo, ragazza!
Michela, Stefano, e tutto MNV. Il vostro impegno nella lotta contro i DCA è un qualcosa di eccezionale. Continuate sempre così. Al mondo c’è tanto bisogno di gente come voi.
Vicky. Perché credo in lei, la ammiro profondamente per il coraggio che ha. So che dovrà probabilmente soffrire ancora molto (bisogna essere realiste), ma è mia profonda convinzione che riuscirà a sconfiggere i suoi demoni perché è forte, cocciuta, determinata, dolce, e profondamente intelligente. Poi è capace di fare delle fotografie fichissime, quindi non può non essere ganza. Sei grandissima, e ce la farai, come tu ispiri me col tuo sorriso, adesso che stai attraversando un momento difficile vorrei essere io a darti un po' di carica in più!
Il dottor Tommaso B.. Tommaso è il mio naturale amplificatore. Io e lui siamo un ripetitore di cazzate ad azione altamente teratogena. Mi mancava qualcuno con cui fare assurde e deprimenti battute a sfondo neurologico, o con cui esaltare la bellezza del viscerum inversus o del "distinto inginocchiamento" dell'uretere sui vasi iliaci. Da dieci.
Lorenzo. Qui non basterebbe un post intero, forse neppure un blog. E' possibile conoscere una persona e dopo solo pochi giorni ritenere che sia il proprio fratello separato alla nascita? Evidentemente sì. Lori mi emoziona perché mi mette costantemente alla prova, e perché per me è un esempio di umiltà - cosa che a me manca assai - e di forza d'animo. Crede di non valere niente, ma lo adorano tutti. E io non credo nelle coincidenze pure e semplici. Poi se Giovedì si taglia davvero i capelli diventerà un figo della madonna e con tutte le donne che gli gireranno intorno non avrà più tempo per chiacchierare con sua sorella, ma intanto mi godo la nostra amicizia.
Jonny. Conoscenza molto recente, ma di sicuro impatto! Già che fa un certo effetto sentirla parlare in perfetto aretino, ma poi viene fuori che pure lei c'ha davvero i controcazzi. Finalmente ho avuto l’onore di conoscerti di persona. E, hai ragione, le foto non rendono, neanche quelle photoshoppate… ma in positivo, però. E non mi rompere, che sei decisamente più gnocca della media delle ragazze che posso aver mai visto in vita mia. Anche se ci siamo viste solo un paio di volte, ci siamo sviscerate a vicenda ed abbiamo commentato fino alla nausea la nostra lotta sempre più convinta contro l’anoressia. Ha un’intelligenza e un’acuità fuori dal comune. Le voglio bene soprattutto perché è un po’ come Fonzie, fa la dura, ma ha un cuore d’oro. (E ora infamami pure, a questo punto non ho più scusanti, me la sono cercata… ^^”) Se la smette di fare battutacce circa la mia fratta di capelli perennemente spettinati, forse le vorrò ancora più bene (e tanto ha poco da stare tranquilla, perché prima o poi qualsiasi strafica diventa storpia e/o demente e/o pazza).
Ringrazio anche tutte le persone false ed ipocrite che sono uscite dalla mia vita. Chi è andato è andato, e spero a fanculo. Il passato lo rimpiange chi non ha futuro.
Infine, un grazie più speciale degli altri. Ringrazio l’anoressia. Sì, proprio così. Grazie, anoressia. Mi hai fatto parecchio dannare e tuttora non molli la presa, ma grazie a te mi conosco meglio e costruisco la mia forza. Ma non ti preoccupare, perché l’idillio simbiotico che credevi di poter costruire cibandoti di me ormai l’ho sgamato da un pezzo. Continuerò a combattere contro di te, cercherò di stare ogni giorno un po’ meglio, e prima o poi dovrai andare incontro ad una remissione completa.
Cazzo che anno.
E dunque, dato che – come ormai avrete ben capito anche solo dall’impostazione del mio blog – mi piace molto la visione dei gruppi umani come team che collaborano per costruire qualcosa (o, nel caso di questo blog, per combattere contro qualcosa), quest'anno ho deciso di concludere i post del 2012 con i miei personalissimi titoli di coda. La cosa che più mi entusiasma è notare come il mio film di quest'anno sia molto intenso, movimentato, popolato da un gran numero di persone, amici vecchi e, soprattutto, nuovi. E' bello anche pensare che, in fondo, questo blog ha giocato un ruolo non indifferente nella costruzione di una trama che, se la guardo nel suo insieme, mi pare promettere bene.
Magari ci scappa un oscar.
E quindi, un GRAZIE DI CUORE a:
Alex. Il migliore amico che chiunque vorrebbe avere. Più che un amico: un fratello. Senz’altro una delle persone più importanti della mia vita. A lui va il primo pensiero perché effettivamente è il primo che sento ogni mattina e, spesso, l'ultimo che sento quando vado a letto. Non mi dilungo oltre perché gli ho già dedicato un intero post che riassume più che bene il suo ruolo. Grazie di esistere, di esserci sempre, di starmi vicino nonostante tutto. Sei meraviglioso. M’illumini la vita. Momenti più belli? Vale se dico “tutti quelli che trascorriamo insieme!”?! Vabbè, dai, diciamo il tirocinio all’ambulatorio proctologico, i mega-ripassoni pre-esame, e le serate che passiamo insieme. O, più semplicemente, le chiacchiere e le risate che facciamo insieme. Insomma, basta, sennò davvero con lui non finirei più... perché le parole non sono sufficienti ad esprimere il bene che gli voglio.
Duccia. La mia amica “storica” (ci conosciamo dalla 1^ media!), l’unica che mi è stata vicino anche nei miei momenti peggiori, quando l’anoressia la faceva da padrona. Quest’anno, causa i reciproci impegni universitari (e anche lavorativi, nel mio caso), ci siamo potute vedere meno, ma quando Duccia c’è lascia sempre il segno. Ma anche se riusciamo ad incontrarci solo poche ore per volta, quelle ore sono come tesori preziosi, come visioni panoramiche, vedute crepuscolari. Lei è un pezzo importantissimo della mia vita, e lo sarà sempre.
I miei compagni di squadra di karate. Grazie, ragazzi. Quest’anno era partito in sordina con Aldo che aveva cambiato palestra e lo scazzo ultrapeso tra me e Alby, ma sta finendo sotto i migliori auspici. Grande Luca che si sta facendo il culo per imparare i kata, grande Cosi che ce la mette sempre tutta e che nonostante quel che c’è stato in mezzo è tornato ad essere il mio amico di due anni fa. Grazie a Giovanni perché è davvero il nostro collant(e) e devo ancora vedergli fare una cazzata. Grazie a Lory che continua ad essere il nostro Lory, pur essendo diventato nel frattempo un patetico ragioniere (^__^”) Infine, un grazie a Robi per essere sempre disposto a tappare qualsiasi buco ci sia da tappare – e non è un’allusione sconcia.
Il team della Medicina d’Urgenza, in toto, perché siete gente coi controcazzi.
Tutte voi, ragazze, che state leggendo il mio blog in questo momento. Non mi metto ad elencarvi una per una, perché sennò le prossime millemila righe di questo post conterranno solo i vostri nomi e non si finisce più, ma sappiate che sono estremamente grata a tutte e a ciascuna di voi in particolare. Grazie a voi che mi leggete abitualmente ormai da tanto e lasciate i vostri commenti che sono per me sempre importante spunto di riflessione, grazie a voi che commentate in maniera anonima ma pure riuscite a trovare il coraggio per rompere il silenzio che il DCA impone, e questo vi fa veramente onore, grazie a voi che mi scrivete tramite e-mail (e scusate se sono sempre così lenta nel rispondervi!...), e grazie a voi che mi leggete in silenzio, perché la vostra presenza è comunque palpabile. Insomma, grazie a tutte voi per stare combattendo questa battaglia contro l’anoressia insieme a me… fisicamente lontane, ma virtualmente tutte una a fianco dell’altra. Perché siamo più forti se combattiamo insieme. Perciò, continuiamo a farlo. Grazie di cuore, davvero. Questo blog è ciò che è solo perché ci siete voi. GRAZIE.
La mia dietista, che mi segue ormai da tempo immemore e mi sopporta sempre. Tranquilla, ancora un paio d’anni e ce la fai ad entrare nel guinness dei primati!
Il mio tutor, il dottor Mirco D., per avermi detto: "Ma vuoi davvero diventare una che va in giro a pensare di salvare le vite? Nè per colpa mia, nè per merito mio.". Mirco, ti voglio bene. Sei il miglior tutor che avrei mai potuto sperare di avere. Grazie per aver fatto le due di notte con me per discutere di un caso clinico. Grazie per la fiducia che mi dai, grazie per le potenzialità che vedi in me, anche se continuo a pensare che ti sia preso un abbaglio.
Ogni ora di affiancamento che facciamo, con tutti gli insegnamenti che mi dà, è preziosa, e in quello che mi spiega c'è sempre una tensione artistica, piena di passione e di autentico ardore per la professione che fa e per quello che mi insegna. Anche Mirco è un regalo che è entrato inaspettatamente nella mia vita.
Il mio sensei di karate, Carlo, per tutte le volte che mi ha fatto il culo. Perché solo così ho potuto conquistare quel podio. E per avermi detto che sono io il vero maschio alfa della palestra ^__^”
La cassiera della mensa, perché dopo aver insinuato che la sottoscritta utilizzi le banane (sono parte integrante del mio “equilibrio alimentare”, anche quando vado a mangiare a mensa mi porto sempre il mio pranzo da casa) per fini diversi da quelli della nutrizione, mi saluta ogni giorno e ha sempre una parolina dolce per me. Grazie! Anche io ti voglio bene cassiera della mensa!
Il professor R. L., perché per la prima volta ho imparato a fare i grafici per registrare l'andamento dei suoi "in questo senso" e "in questo modo qui". Facendo un breve calcolo, stimo che durante il semestre il simpatico omino ne abbia pronunciati circa 600 - 700. Lo ringrazio anche per avermi insegnato un nuovo e più disinvolto uso dell'aggettivo dimostrativo "quel". Quell'ammonio. Poesia.
Il professor P. U., principalmente perché da quando ha fatto un disegno alla lavagna e l'ha firmato “P. U. – 2012” ho finalmente avuto la certezza di trovarmi di fronte ad un pazzo megalomane.
Il professor G. C., perché oltre ad essere un "rigoverna cappelle" (cit.), è riuscito ad infamarmi all'esame più della professoressa A. M. Lurido montevarchino.
Tutti i miei colleghi dello CSEN, ovvero gli altri arbitri di karate. Perché siamo una forza quando siamo tutti insieme. Il nostro prossimo obiettivo dev’essere il far diventare il karate un sport olimpico, okay??!
Il dottor Alberto C., primario della Medicina d’Urgenza. E qui non ci sono cazzi. E' un GRANDE uomo, uno che si fa il culo dalla mattina alla sera, che lavora con una passione che io ammiro profondamente. E poi è simpatico, come del resto lo sono generalmente le persone che nella vita hanno raggiunto obiettivi di rilievo grazie ai propri sforzi. Un giorno sarò come lui, con qualcosa in meno tra le gambe, ovviamente.
Il relatore della mia tesi, il professor Andreas R. F.. Lui è un pazzo, uno che parla al telefono a velocità supersonica, e può essere un problema quando devo riuscire ad estrapolare metodiche, nomi, orari, numeri di telefono. Ma è un ganzo e un grande. Lo ringrazio perché sta credendo moltissimo in me e mi ha permesso di scrivere una tesi strafiga. Rivoluzioniamo il sistema delle tesi tradizionali, mi raccomando! (E anche quello della Medicina, magari… ^^”) Grazie per avermi permesso di fare la presentazione della tesi con Windows Movie Maker anziché con quella tristezza di Power Point… cercherò di fare un buon lavoro, promesso.
E adesso, un attimo di attenzione. Ora voglio ringraziare le new entries.
Sara. Come ti ringrazio? E soprattutto, forse, non ho nemmeno niente per cui esserti grata. Però ormai nella mia vita ci sei entrata, e volentieri ti ci lascio. Non so se sei davvero riuscita a capirmi, in realtà ne dubito, anche perché io per prima non mi sono veramente mai aperta con te e non ti ho mai detto dei miei problemi di anoressia e di tutto il resto. Però mi tieni a chiacchierare, a ridere, a dire cazzate, a consultarmi per i tuoi casi clinici (ma se ci metto le mani meno di te!?!), mi dai continuamente input per osservarmi dall'esterno e tentare di migliorarmi. E so che hai tanta paura, tanta quanta ne ho io. Sei molto intelligente, sarai un ottimo medico, te lo assicuro. E per quanto mi riguarda, non ti abbandono.
I ragazzi del “team tirocinio” (tra cui soprattutto Cosi, che oltre a fare karate con me da un sacco di tempo, quest’anno ha pure iniziato Medicina). Ragazzi, voi siete un qualcosa d’incredibile. Siete un po’ come 5 fratellini minori, ma come medici sento già che sarete dei grandi. Per me rappresentate la potenza delle cose nuove che iniziano in tutto il loro splendore e con quella forza misteriosa che spinge le cose che nascono dall'ispirazione. Sono orgogliosa di essere la vostra tutor. Voi del 1° anno, io del 6°… eppure sono certa che ne faremo di strada insieme.
Lexy. Lexy è il caos. Siamo stati dei mesi a guardarci in cagnesco, più per scherzo che sul serio però, perché in fondo c’ispiravamo simpatia a pelle. E alla fine abbiamo rotto il ghiaccio. Gli voglio bene perché lui, giustamente, mi venera come Dea Onnipotente della Medicina e del Karate. Scherzi a parte, lui è un elemento completamente libero e sciolto da ogni catena, è impossibile non volergli bene quando ti arriva davanti a casa con un carrello rubato. Peccato che te l'abbiano fottuto, Lexy, un giro ce lo facevo volentieri. Tra l'altro sembra che sia anche diventato un bravo studente... Mah... La faccenda mi puzza, ma per adesso si starà a vedere. Grandissimo!
Wolfie. Che avevo fugacemente conosciuto già nel 2011, ma che ho rivisto più volte quest’anno con estremo piacere. Sei una ragazza stupendissima. Ti ringrazio per ogni singolo commento che lasci su questo blog (a proposito, ma tu ne terrai mai uno?), e che ispira sempre tanta positività e voglia di combattere contro i DCA. Fai venire voglia di combattere e non mollare, fai venire voglia di vivere. Sono felice di aver avuto modo di conoscere più a fondo una persona deliziosa come lei, e spero che continueremo a combattere insieme, fianco a fianco, e, magari, spero che riusciremo a vederci più spesso, nonostante la distanza fisica che ci separa, perché Wolfie è veramente una forza della natura.
Phagosome. Che ha un blog e un account di twitter che sono positività allo stato puro, che convincerebbero a combattere contro l’anoressia anche una pro ana sfegatata. Torna presto a scrivere, perché senza i tuoi post mi manca un pezzo! E continua sempre a combattere, anche se sono certa che con la tua forza interiore potrai fare tutti i passi avanti che vorrai, senza mai perderti d’animo. Ti stimo, ragazza!
Michela, Stefano, e tutto MNV. Il vostro impegno nella lotta contro i DCA è un qualcosa di eccezionale. Continuate sempre così. Al mondo c’è tanto bisogno di gente come voi.
Vicky. Perché credo in lei, la ammiro profondamente per il coraggio che ha. So che dovrà probabilmente soffrire ancora molto (bisogna essere realiste), ma è mia profonda convinzione che riuscirà a sconfiggere i suoi demoni perché è forte, cocciuta, determinata, dolce, e profondamente intelligente. Poi è capace di fare delle fotografie fichissime, quindi non può non essere ganza. Sei grandissima, e ce la farai, come tu ispiri me col tuo sorriso, adesso che stai attraversando un momento difficile vorrei essere io a darti un po' di carica in più!
Il dottor Tommaso B.. Tommaso è il mio naturale amplificatore. Io e lui siamo un ripetitore di cazzate ad azione altamente teratogena. Mi mancava qualcuno con cui fare assurde e deprimenti battute a sfondo neurologico, o con cui esaltare la bellezza del viscerum inversus o del "distinto inginocchiamento" dell'uretere sui vasi iliaci. Da dieci.
Lorenzo. Qui non basterebbe un post intero, forse neppure un blog. E' possibile conoscere una persona e dopo solo pochi giorni ritenere che sia il proprio fratello separato alla nascita? Evidentemente sì. Lori mi emoziona perché mi mette costantemente alla prova, e perché per me è un esempio di umiltà - cosa che a me manca assai - e di forza d'animo. Crede di non valere niente, ma lo adorano tutti. E io non credo nelle coincidenze pure e semplici. Poi se Giovedì si taglia davvero i capelli diventerà un figo della madonna e con tutte le donne che gli gireranno intorno non avrà più tempo per chiacchierare con sua sorella, ma intanto mi godo la nostra amicizia.
Jonny. Conoscenza molto recente, ma di sicuro impatto! Già che fa un certo effetto sentirla parlare in perfetto aretino, ma poi viene fuori che pure lei c'ha davvero i controcazzi. Finalmente ho avuto l’onore di conoscerti di persona. E, hai ragione, le foto non rendono, neanche quelle photoshoppate… ma in positivo, però. E non mi rompere, che sei decisamente più gnocca della media delle ragazze che posso aver mai visto in vita mia. Anche se ci siamo viste solo un paio di volte, ci siamo sviscerate a vicenda ed abbiamo commentato fino alla nausea la nostra lotta sempre più convinta contro l’anoressia. Ha un’intelligenza e un’acuità fuori dal comune. Le voglio bene soprattutto perché è un po’ come Fonzie, fa la dura, ma ha un cuore d’oro. (E ora infamami pure, a questo punto non ho più scusanti, me la sono cercata… ^^”) Se la smette di fare battutacce circa la mia fratta di capelli perennemente spettinati, forse le vorrò ancora più bene (e tanto ha poco da stare tranquilla, perché prima o poi qualsiasi strafica diventa storpia e/o demente e/o pazza).
Ringrazio anche tutte le persone false ed ipocrite che sono uscite dalla mia vita. Chi è andato è andato, e spero a fanculo. Il passato lo rimpiange chi non ha futuro.
Infine, un grazie più speciale degli altri. Ringrazio l’anoressia. Sì, proprio così. Grazie, anoressia. Mi hai fatto parecchio dannare e tuttora non molli la presa, ma grazie a te mi conosco meglio e costruisco la mia forza. Ma non ti preoccupare, perché l’idillio simbiotico che credevi di poter costruire cibandoti di me ormai l’ho sgamato da un pezzo. Continuerò a combattere contro di te, cercherò di stare ogni giorno un po’ meglio, e prima o poi dovrai andare incontro ad una remissione completa.
Cazzo che anno.
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venerdì 21 dicembre 2012
15 idee per superare il Natale
Dato che, a dispetto delle profezie Maya, il mondo non è finito, ecco che si avvicina anche per quest'anno il Natale, una giornata non troppo facile da attraversare per chi ha un DCA. Poiché il Natale rappresenta indubbiamente un momento ansiogeno, come si può cercare di venire a patti con lo stress e con l’ansia che si prova nel dover vivere una situazione simile?
Come tutti gli anni, voglio provare a darvi qualche piccolo suggerimento al riguardo, nella speranza che possa esservi anche solo un po’ utile…
1. Programmate. Se avete in programma di andare a trovare vostri amici o vostri parenti, pianificate in anticipo quella che potrebbe essere la situazione in cui andrete a trovarvi, in maniera tale da cercare di evitare stress e ansia extra. Se dovete pranzare con i vostri famigliari, potete pure far presente loro in anticipo che vi darebbe fastidio ricevere commenti sul vostro DCA o sulla vostra alimentazione durante il pranzo di Natale, e che dunque sono pregati di non farne.
2. Mangiate regolarmente. A prescindere da quello che possono fare le persone che vi stanno intorno, cercate comunque di mangiare semplicemente seguendo il vostro “equilibrio alimentare”.
3. Fate una lista. Scrivete ciò che vi va/non vi va di fare durante la giornata di Natale. Mettere le cose per iscritto aiuta a chiarire le idee, e ad evitare così di fare cose che si potrebbero rivelare controproducenti perché rinforzanti il DCA stesso.
4. Parlate con il vostro psicoterapeuta. Discutete con lo psicologo/psichiatra che vi segue di quali sono le vostre difficoltà in merito alla giornata natalizia. Lui sarà certamente la persona più adatta per suggerirvi strategie di coping per far fronte alle vostre preoccupazioni e alle vostre ansie.
5. Trovate un supporto. State vicino ad una persona che sa del vostro DCA, di cui vi fidate e con cui potete liberamente parlare di quello che vi mette in difficoltà, al fine di evitare che il DCA riempia per intero la vostra testa con i suoi pensieri distorti, mettendovi ancora più in agitazione.
6. Preparatevi le risposte. Se sapete che avrete a che fare con qualcuno che farà commenti sgradevoli su cosa/quanto mangiate, o sul vostro aspetto fisico, preparatevi in anticipo un repertorio di risposte con cui ribattere a detti commenti.
7. Offritevi di cucinare qualcosa. Se vi dà fastidio l’idea che il pasto sia cucinato da qualcuno che non è a conoscenza del vostro DCA, cucinate voi qualcosa e portatelo da casa, così sarete più tranquille rispetto a ciò che dovrete mangiare.
8. Siate flessibili. È tremendamente difficile, lo so. Ma, per quanto possa essere complicato, occorre considerare che le cose non sono necessariamente bianche o nere, ma che esistono infinite sfumature in mezzo. Se anche durante il pranzo di Natale mangiate più di quanto vi eravate prefissate, non è certo il pranzo abbondante di un giorno che modificherà significativamente il vostro peso. E lo stesso vale se mangiate meno (ma questa non è una buona scusa per farlo!).
9. Fate qualcosa di divertente. Organizzate qualche gioco, qualche attività che possa coinvolgere tutti quanti in maniera divertente: anche solo il fare questo aiuta a distrarsi dai pensieri che l’anoressia mette in testa.
10. Confidate in qualcuno. Spiegate a qualcuno di cui vi fidate e che sarà insieme a voi durante il pranzo di Natale quali sono i vostri problemi, e permettetegli di darvi consigli su ciò che è appropriato o meno mangiare, dato che l’anoressia falsa queste percezioni.
11. Fate solo quello che vi sentite. Declinate con educazione gli inviti, se vi rendete conto che certe situazioni potrebbero fomentare comportamenti in linea con l’anoressia. Questo non significa trovarsi una scusa per evitare ogni interazione sociale con gli altri, ma semplicemente essere consapevoli se si è forti abbastanza per tollerare una certa situazione ansiogena, o se questa porterà ad una ricaduta.
12. Lasciate perdere i cibi ansiogeni. Anche se per Natale è tradizione mangiare il pandoro o il panettone, evitate di farlo se questo vi fa stare male, e continuate a mangiare in maniera regolare seguendo il vostro “equilibrio alimentare”.
13. Parlate con il vostro dietista. Chiedetegli se è possibile adattare il vostro “equilibrio alimentare” appositamente per la giornata di Natale, così da non dover mangiare in maniera differente da tutti gli altri commensali, ma inquadrando l’alimentazione di quel giorno con l’aiuto del dietista potrete comunque trovarlo meno ansiogeno.
14. Non vi focalizzate sugli errori. Situazioni particolarmente ansiogene fomentano le ricadute. E il Natale indubbiamente lo è. Perciò, non consideratevi un fallimento se non doveste riuscire a seguire il vostro “equilibrio alimentare”: è un momento difficile, nessuno vi richiede la perfezione… non chiedetevela da sole.
15. Fissate degli obiettivi. In primo luogo, in termini di positività: non concentratevi sulle ricadute, bensì su quello che siete riuscite a fare correttamente, sui progressi. In secondo luogo, in termini di progetti: anziché focalizzarvi sul cibo o sul corpo, pensate a quello che vi piacerebbe fare… e datevi la possibilità di farlo.
P.S.= Sul blog di Marta (www.spazioaiuto.it) potete trovare un post che tratta parimenti della tematica di Natale e DCA… passate a darci un’occhiata, se vi va!! ^__^
P.P.S.= Vi abbraccio strette, una ad una, e dato che credo di non aver modo di tornare su blogger prima di Natale, gli auguri ve li faccio adesso…
1. Programmate. Se avete in programma di andare a trovare vostri amici o vostri parenti, pianificate in anticipo quella che potrebbe essere la situazione in cui andrete a trovarvi, in maniera tale da cercare di evitare stress e ansia extra. Se dovete pranzare con i vostri famigliari, potete pure far presente loro in anticipo che vi darebbe fastidio ricevere commenti sul vostro DCA o sulla vostra alimentazione durante il pranzo di Natale, e che dunque sono pregati di non farne.
2. Mangiate regolarmente. A prescindere da quello che possono fare le persone che vi stanno intorno, cercate comunque di mangiare semplicemente seguendo il vostro “equilibrio alimentare”.
3. Fate una lista. Scrivete ciò che vi va/non vi va di fare durante la giornata di Natale. Mettere le cose per iscritto aiuta a chiarire le idee, e ad evitare così di fare cose che si potrebbero rivelare controproducenti perché rinforzanti il DCA stesso.
4. Parlate con il vostro psicoterapeuta. Discutete con lo psicologo/psichiatra che vi segue di quali sono le vostre difficoltà in merito alla giornata natalizia. Lui sarà certamente la persona più adatta per suggerirvi strategie di coping per far fronte alle vostre preoccupazioni e alle vostre ansie.
5. Trovate un supporto. State vicino ad una persona che sa del vostro DCA, di cui vi fidate e con cui potete liberamente parlare di quello che vi mette in difficoltà, al fine di evitare che il DCA riempia per intero la vostra testa con i suoi pensieri distorti, mettendovi ancora più in agitazione.
6. Preparatevi le risposte. Se sapete che avrete a che fare con qualcuno che farà commenti sgradevoli su cosa/quanto mangiate, o sul vostro aspetto fisico, preparatevi in anticipo un repertorio di risposte con cui ribattere a detti commenti.
7. Offritevi di cucinare qualcosa. Se vi dà fastidio l’idea che il pasto sia cucinato da qualcuno che non è a conoscenza del vostro DCA, cucinate voi qualcosa e portatelo da casa, così sarete più tranquille rispetto a ciò che dovrete mangiare.
8. Siate flessibili. È tremendamente difficile, lo so. Ma, per quanto possa essere complicato, occorre considerare che le cose non sono necessariamente bianche o nere, ma che esistono infinite sfumature in mezzo. Se anche durante il pranzo di Natale mangiate più di quanto vi eravate prefissate, non è certo il pranzo abbondante di un giorno che modificherà significativamente il vostro peso. E lo stesso vale se mangiate meno (ma questa non è una buona scusa per farlo!).
9. Fate qualcosa di divertente. Organizzate qualche gioco, qualche attività che possa coinvolgere tutti quanti in maniera divertente: anche solo il fare questo aiuta a distrarsi dai pensieri che l’anoressia mette in testa.
10. Confidate in qualcuno. Spiegate a qualcuno di cui vi fidate e che sarà insieme a voi durante il pranzo di Natale quali sono i vostri problemi, e permettetegli di darvi consigli su ciò che è appropriato o meno mangiare, dato che l’anoressia falsa queste percezioni.
11. Fate solo quello che vi sentite. Declinate con educazione gli inviti, se vi rendete conto che certe situazioni potrebbero fomentare comportamenti in linea con l’anoressia. Questo non significa trovarsi una scusa per evitare ogni interazione sociale con gli altri, ma semplicemente essere consapevoli se si è forti abbastanza per tollerare una certa situazione ansiogena, o se questa porterà ad una ricaduta.
12. Lasciate perdere i cibi ansiogeni. Anche se per Natale è tradizione mangiare il pandoro o il panettone, evitate di farlo se questo vi fa stare male, e continuate a mangiare in maniera regolare seguendo il vostro “equilibrio alimentare”.
13. Parlate con il vostro dietista. Chiedetegli se è possibile adattare il vostro “equilibrio alimentare” appositamente per la giornata di Natale, così da non dover mangiare in maniera differente da tutti gli altri commensali, ma inquadrando l’alimentazione di quel giorno con l’aiuto del dietista potrete comunque trovarlo meno ansiogeno.
14. Non vi focalizzate sugli errori. Situazioni particolarmente ansiogene fomentano le ricadute. E il Natale indubbiamente lo è. Perciò, non consideratevi un fallimento se non doveste riuscire a seguire il vostro “equilibrio alimentare”: è un momento difficile, nessuno vi richiede la perfezione… non chiedetevela da sole.
15. Fissate degli obiettivi. In primo luogo, in termini di positività: non concentratevi sulle ricadute, bensì su quello che siete riuscite a fare correttamente, sui progressi. In secondo luogo, in termini di progetti: anziché focalizzarvi sul cibo o sul corpo, pensate a quello che vi piacerebbe fare… e datevi la possibilità di farlo.
P.S.= Sul blog di Marta (www.spazioaiuto.it) potete trovare un post che tratta parimenti della tematica di Natale e DCA… passate a darci un’occhiata, se vi va!! ^__^
P.P.S.= Vi abbraccio strette, una ad una, e dato che credo di non aver modo di tornare su blogger prima di Natale, gli auguri ve li faccio adesso…
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venerdì 14 dicembre 2012
A te, che vuoi assolutamente diventare anoressica
Nel post precedente ho utilizzato un tono ironico, per cui forse alcune delle cose che ho scritto sono passate sotto la luce di iperboli tirate all’estremo per mettere in ridicolo certi comportamenti e per lanciare provocazioni.
Perciò, stavolta in tono più realistico, ecco quello che vorrei dire non semplicemente alle ragazze pro ana/pro mia, ma anche e soprattutto a tutte quelle ragazze che si sentono sull’orlo dell’abisso, e che intravedono nella restrizione alimentare una possibile soluzione ai loro problemi, o comunque un qualcosa che potrà aiutarle a stare meglio.
Se stai pensando che se inizi a restringere l’alimentazione sia comunque possibile smettere in ogni qualsiasi momento, e tornare a com’era prima che tutto ciò iniziasse, alla tua consueta (e forse un po’ anche sottovalutata) “normalità”, sappi che non è così che stanno le cose.
Se stai pensando che tu sei veramente in grado di controllare la situazione, e che perciò non succederà mai e poi mai che tu possa perdere il controllo, se stai pensando che ogni tua scelta, alimentare e non, sarà sempre e solo una tua libera scelta, se pensi che puoi smettere quando vuoi e che il tuo corpo a quel punto tornerà a mandarti normali segnali di fame/sazietà, se pensi che certe cose non possono certamente accaderti… sappi che ciò è quello che tutte abbiamo pensato, prima. Tutte. Nessuna esclusa.
Se credi che dimagrire sia l’unica cosa che possa farti sentire meglio con te stessa, sappi che non è così che stanno le cose. Sappi che non sarai mai abbastanza magra da trovare te stessa, ma solo abbastanza magra da perderti.
Se ti sembra che controllare quello che mangi ti faccia sentire in grado di controllare ogni singolo aspetto, ogni singola piega della tua vita, ci sei già dentro.
Perciò, se sei sul punto di scegliere il sintomo anoressico, pensaci bene. Perché a prescindere da ciò che ti ha guidato in questa direzione, ci sarai dentro fino al collo ancor prima che tu te ne renda conto.
Inizialmente sarà la cosa più strafiga del mondo: ti sentirai forte, soddisfatta, più sicura di te stessa, ti sembrerà di poter controllare tutto, e questo ti farà sentire una gran ganza, ti farà stare di un bene senza precedenti, e desidererai non staccarti mai da tutto questo… ma è proprio nelle prime fasi che, se ti rendi conto che queste sono tutte solo illusioni ed intervieni rapidamente per stroncarle sul nascere, avrai le maggiori possibilità di arrivare ad una remissione stabile e completa. Ma quando avrai le maggiori possibilità di arrivare ad una remissione stabile e completa, non ti renderai neanche conto di essere incappata nella malattia.
L’anoressia non è semplicemente restringere l’alimentazione e sentirsi in controllo per questo, e la bulimia non è solo mettersi un dito in gola e sospirare di sollievo per aver eliminato il contenuto di un’abbuffata.
Avere un DCA non è solo il compendio delle sensazioni positive che si provano nella “fase luna di miele”, nella fase iniziale del disturbo.
Avere un DCA significa non voler uscire più di casa perché sei così magra che la gente non la smette di guardarti lanciandoti occhiate di biasimo, pena o preoccupazione, perché pensa che sei un’idiota esibizionista o una malata terminale. Non voler più uscire di casa perché sei ossessionata all’idea che tutti possano guardarti. Non poter uscire più di casa perché non hai neanche le energie fisiche per farlo.
Avere un DCA significa uscire di casa e fare camminate chilometriche a ritmo serrato, senza neanche vedere quello che ti sta intorno perché la tua testa è fogata a pensare al fatto che questo ti aiuterà a perdere peso più rapidamente e, soprattutto, la ritualità della cosa ti trasmetterà quel controllo che tanto vuoi sentire. Uscire di casa e sentirti peggiore di ogni singola persona che incrocerai, sentirti inferiore, sentirti non abbastanza, e trovarti la sera a tagliarti perché l’anoressia prevaricherà del tutto il raziocinio.
Avere un DCA significa che non ti potrai vivere più un’Estate decente, perché girerai comunque in felpa e pantaloni lunghi per cercare di nascondere la perdita di peso e proteggerti dal freddo che sentirai anche sotto il sole a picco, e non indosserai mai più un costume da bagno, perché ti sentirai assolutamente inadatta e magari ti vergognerai pure delle cicatrici che ti sei inferta dappertutto. Quelle cicatrici che ti porterai fuori e dentro. Per sempre.
Avere un DCA significa perdere anni di scuola e/o di lavoro perché non riesci ad essere più produttiva, perché la carenza alimentare comporta una carenza nella sintesi di neurotrasmettitori che non ti renderanno in grado di concentrarti adeguatamente su quello che dovresti fare, e tutto il tempo che avresti dovuto dedicare allo studio/al lavoro, sarà riempito da ansie e paranoie. Perdere anni di scuola e/o lavoro significa precludersi tantissime possibilità per il futuro.
Avere un DCA significa non poter più fare sport perché avrai un rendimento così basso che non sarai più in grado di conseguire risultati che ti permettano di rimanere nel mondo dell’agonismo. E significa che col tempo addirittura odierai lo sport, perché lo inquadrerai solo come un dovere che è necessario espletare per raggiungere un peso inferiore quanto più rapidamente possibile, e perderai tutto il piacere degli allenamenti o del condividere quel tempo con i tuoi compagni di squadra.
Avere un DCA significa non andare più in vacanza con gli amici, non andare più a mangiare una pizza con gli amici, non avere più amici.
Avere un DCA significa perdere la salute, perché sebbene ci siano modificazioni fisiche che rientrano nella norma se riprenderai un regime alimentare adeguato al tuo fabbisogno giornaliero, ci sono alcuni danni irreversibili: osteoporosi, danni dentali, danni renali, infertilità e così via.
Avere un DCA significa estraniarsi da qualsiasi cosa e persona al mondo, perché poco a poco cominceranno ad esistere solo te stessa e i tuoi pensieri ossessivi. E i pensieri ossessivi prevarranno su tutto: lavoro, scuola, sport, hobby, amici… su tutto il tuo mondo. E allora trascorrerai giornate su giornate chiusa in casa, ad ammazzarti sulla cyclette o sul tapis-roulant se sei entrata nella spirale anoressica, oppure ad abbuffarti e vomitare se sei entrata nella spirale bulimica, e più passerà il tempo, più rompere il circolo vizioso diventerà difficile. E poiché a questo punto quello che ti sembrava di poter controllare è in realtà ciò che ti controlla spietatamente, e poiché da sola sarai incapace di toglierti da quest’impasse, ti sentirai talmente rassegnata che penserai di non meritarti neanche di ricevere aiuto.
Non riuscirai più a dormire bene, vuoi perché il sottopeso altera il regolare ritmo sonno-veglia, vuoi perché arriverai addirittura a pensare che durante le ore di sonno il metabolismo si abbassa, e questo è un rallentamento al tuo processo di dimagrimento che non puoi assolutamente permettere.
Ti specchierai e non t’identificherai neanche più in quel riflesso, perché sarai sempre più spaesata, sempre più persa dentro i meandri dell’anoressia.
Quieterai la tua perenne ansia solo carezzando le creste iliache sporgenti prima di addormentarti, ma non durerà che per pochi minuti, perché poi verrai presa dal panico per non essere ancora magra abbastanza, ovvero essenzialmente per non essere ancora in controllo abbastanza, e seppure consapevole della tua magrezza inestetica e non salutare, seppure tu stessa più o meno inconsciamente preoccupata per le tue condizioni di salute, continuerai a restringere l’alimentazione perché la sensazione di controllo che sul momento ne deriva sarà diventata la droga di cui non riuscirai a fare a meno.
Non avrai più amici, progetti, sogni, aspettative, perderai la speranza nel futuro; tutto si ridurrà a un perenne senso di vuoto e a paranoie che ossessionano la tua mente ma che non riesci ad allontanare, e alla spasmodica brama di percepire quell’illusorio controllo che è l’unica cosa che riesce a farti sentire patologicamente bene.
Tutto diventerà insopportabile, e desidererai solo quella “normalità” che all’inizio rifuggivi tanto in nome dell’illusoria e transitoria sensazione di “specialità” che pareva trasmettere l’anoressia, e desidererai non aver mai cominciato.
Ma, inizialmente, nessuna credeva di entrarci. Perché, figuriamoci, un disturbo alimentare è un qualcosa che succede agli altri. Si pensa sempre che succeda tutto agli altri.
Perciò, non è importante se inizi a restringere l’alimentazione perché hai dei problemi in famiglia, perché hai una bassa autostima, perché non vuoi più sentirti mediocre, perché senti il bisogno di avere la sensazione di controllare almeno una cosa nella tua vita, o perché hai un malessere interiore che non riesci a sfogare altrimenti.
Sappi che, mentre stai già pensando che per te è impossibile cadere nell’anoressia, che restringerai l’alimentazione solo per poco tempo, e che potrai smettere quando ti pare, ti sta già succedendo. Ti stai già dannando.
Salvati.
Sei meravigliosa.
Perciò, stavolta in tono più realistico, ecco quello che vorrei dire non semplicemente alle ragazze pro ana/pro mia, ma anche e soprattutto a tutte quelle ragazze che si sentono sull’orlo dell’abisso, e che intravedono nella restrizione alimentare una possibile soluzione ai loro problemi, o comunque un qualcosa che potrà aiutarle a stare meglio.
Se stai pensando che se inizi a restringere l’alimentazione sia comunque possibile smettere in ogni qualsiasi momento, e tornare a com’era prima che tutto ciò iniziasse, alla tua consueta (e forse un po’ anche sottovalutata) “normalità”, sappi che non è così che stanno le cose.
Se stai pensando che tu sei veramente in grado di controllare la situazione, e che perciò non succederà mai e poi mai che tu possa perdere il controllo, se stai pensando che ogni tua scelta, alimentare e non, sarà sempre e solo una tua libera scelta, se pensi che puoi smettere quando vuoi e che il tuo corpo a quel punto tornerà a mandarti normali segnali di fame/sazietà, se pensi che certe cose non possono certamente accaderti… sappi che ciò è quello che tutte abbiamo pensato, prima. Tutte. Nessuna esclusa.
Se credi che dimagrire sia l’unica cosa che possa farti sentire meglio con te stessa, sappi che non è così che stanno le cose. Sappi che non sarai mai abbastanza magra da trovare te stessa, ma solo abbastanza magra da perderti.
Se ti sembra che controllare quello che mangi ti faccia sentire in grado di controllare ogni singolo aspetto, ogni singola piega della tua vita, ci sei già dentro.
Perciò, se sei sul punto di scegliere il sintomo anoressico, pensaci bene. Perché a prescindere da ciò che ti ha guidato in questa direzione, ci sarai dentro fino al collo ancor prima che tu te ne renda conto.
Inizialmente sarà la cosa più strafiga del mondo: ti sentirai forte, soddisfatta, più sicura di te stessa, ti sembrerà di poter controllare tutto, e questo ti farà sentire una gran ganza, ti farà stare di un bene senza precedenti, e desidererai non staccarti mai da tutto questo… ma è proprio nelle prime fasi che, se ti rendi conto che queste sono tutte solo illusioni ed intervieni rapidamente per stroncarle sul nascere, avrai le maggiori possibilità di arrivare ad una remissione stabile e completa. Ma quando avrai le maggiori possibilità di arrivare ad una remissione stabile e completa, non ti renderai neanche conto di essere incappata nella malattia.
L’anoressia non è semplicemente restringere l’alimentazione e sentirsi in controllo per questo, e la bulimia non è solo mettersi un dito in gola e sospirare di sollievo per aver eliminato il contenuto di un’abbuffata.
Avere un DCA non è solo il compendio delle sensazioni positive che si provano nella “fase luna di miele”, nella fase iniziale del disturbo.
Avere un DCA significa non voler uscire più di casa perché sei così magra che la gente non la smette di guardarti lanciandoti occhiate di biasimo, pena o preoccupazione, perché pensa che sei un’idiota esibizionista o una malata terminale. Non voler più uscire di casa perché sei ossessionata all’idea che tutti possano guardarti. Non poter uscire più di casa perché non hai neanche le energie fisiche per farlo.
Avere un DCA significa uscire di casa e fare camminate chilometriche a ritmo serrato, senza neanche vedere quello che ti sta intorno perché la tua testa è fogata a pensare al fatto che questo ti aiuterà a perdere peso più rapidamente e, soprattutto, la ritualità della cosa ti trasmetterà quel controllo che tanto vuoi sentire. Uscire di casa e sentirti peggiore di ogni singola persona che incrocerai, sentirti inferiore, sentirti non abbastanza, e trovarti la sera a tagliarti perché l’anoressia prevaricherà del tutto il raziocinio.
Avere un DCA significa che non ti potrai vivere più un’Estate decente, perché girerai comunque in felpa e pantaloni lunghi per cercare di nascondere la perdita di peso e proteggerti dal freddo che sentirai anche sotto il sole a picco, e non indosserai mai più un costume da bagno, perché ti sentirai assolutamente inadatta e magari ti vergognerai pure delle cicatrici che ti sei inferta dappertutto. Quelle cicatrici che ti porterai fuori e dentro. Per sempre.
Avere un DCA significa perdere anni di scuola e/o di lavoro perché non riesci ad essere più produttiva, perché la carenza alimentare comporta una carenza nella sintesi di neurotrasmettitori che non ti renderanno in grado di concentrarti adeguatamente su quello che dovresti fare, e tutto il tempo che avresti dovuto dedicare allo studio/al lavoro, sarà riempito da ansie e paranoie. Perdere anni di scuola e/o lavoro significa precludersi tantissime possibilità per il futuro.
Avere un DCA significa non poter più fare sport perché avrai un rendimento così basso che non sarai più in grado di conseguire risultati che ti permettano di rimanere nel mondo dell’agonismo. E significa che col tempo addirittura odierai lo sport, perché lo inquadrerai solo come un dovere che è necessario espletare per raggiungere un peso inferiore quanto più rapidamente possibile, e perderai tutto il piacere degli allenamenti o del condividere quel tempo con i tuoi compagni di squadra.
Avere un DCA significa non andare più in vacanza con gli amici, non andare più a mangiare una pizza con gli amici, non avere più amici.
Avere un DCA significa perdere la salute, perché sebbene ci siano modificazioni fisiche che rientrano nella norma se riprenderai un regime alimentare adeguato al tuo fabbisogno giornaliero, ci sono alcuni danni irreversibili: osteoporosi, danni dentali, danni renali, infertilità e così via.
Avere un DCA significa estraniarsi da qualsiasi cosa e persona al mondo, perché poco a poco cominceranno ad esistere solo te stessa e i tuoi pensieri ossessivi. E i pensieri ossessivi prevarranno su tutto: lavoro, scuola, sport, hobby, amici… su tutto il tuo mondo. E allora trascorrerai giornate su giornate chiusa in casa, ad ammazzarti sulla cyclette o sul tapis-roulant se sei entrata nella spirale anoressica, oppure ad abbuffarti e vomitare se sei entrata nella spirale bulimica, e più passerà il tempo, più rompere il circolo vizioso diventerà difficile. E poiché a questo punto quello che ti sembrava di poter controllare è in realtà ciò che ti controlla spietatamente, e poiché da sola sarai incapace di toglierti da quest’impasse, ti sentirai talmente rassegnata che penserai di non meritarti neanche di ricevere aiuto.
Non riuscirai più a dormire bene, vuoi perché il sottopeso altera il regolare ritmo sonno-veglia, vuoi perché arriverai addirittura a pensare che durante le ore di sonno il metabolismo si abbassa, e questo è un rallentamento al tuo processo di dimagrimento che non puoi assolutamente permettere.
Ti specchierai e non t’identificherai neanche più in quel riflesso, perché sarai sempre più spaesata, sempre più persa dentro i meandri dell’anoressia.
Quieterai la tua perenne ansia solo carezzando le creste iliache sporgenti prima di addormentarti, ma non durerà che per pochi minuti, perché poi verrai presa dal panico per non essere ancora magra abbastanza, ovvero essenzialmente per non essere ancora in controllo abbastanza, e seppure consapevole della tua magrezza inestetica e non salutare, seppure tu stessa più o meno inconsciamente preoccupata per le tue condizioni di salute, continuerai a restringere l’alimentazione perché la sensazione di controllo che sul momento ne deriva sarà diventata la droga di cui non riuscirai a fare a meno.
Non avrai più amici, progetti, sogni, aspettative, perderai la speranza nel futuro; tutto si ridurrà a un perenne senso di vuoto e a paranoie che ossessionano la tua mente ma che non riesci ad allontanare, e alla spasmodica brama di percepire quell’illusorio controllo che è l’unica cosa che riesce a farti sentire patologicamente bene.
Tutto diventerà insopportabile, e desidererai solo quella “normalità” che all’inizio rifuggivi tanto in nome dell’illusoria e transitoria sensazione di “specialità” che pareva trasmettere l’anoressia, e desidererai non aver mai cominciato.
Ma, inizialmente, nessuna credeva di entrarci. Perché, figuriamoci, un disturbo alimentare è un qualcosa che succede agli altri. Si pensa sempre che succeda tutto agli altri.
Perciò, non è importante se inizi a restringere l’alimentazione perché hai dei problemi in famiglia, perché hai una bassa autostima, perché non vuoi più sentirti mediocre, perché senti il bisogno di avere la sensazione di controllare almeno una cosa nella tua vita, o perché hai un malessere interiore che non riesci a sfogare altrimenti.
Sappi che, mentre stai già pensando che per te è impossibile cadere nell’anoressia, che restringerai l’alimentazione solo per poco tempo, e che potrai smettere quando ti pare, ti sta già succedendo. Ti stai già dannando.
Salvati.
Sei meravigliosa.
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venerdì 7 dicembre 2012
Perchè l'anoressia è meravigliosa
Questo è un post dichiaratamente ad elevato tasso d’ironia... se non condividete questo modo di scrivere siete gentilmente pregate di abbandonare immediatamente il blog.
Questo post spiega perché l’anoressia è estremamente strafiga e dunque perché dovete assolutamente provare ad averla.
Se siete pro ana/pro mia dovete leggere questo post ad ogni costo!!
Le malattie mentali sono una ganzata totale. Se non ne avete una, non siete alla moda! Questo spiega perché su blogspot ci siano un sacco di blog pro depressione e pro disturbo bipolare, giusto??!
Okay, allora immaginate questo.
Sei una stereotipata ragazzetta adolescente o poco più che vuole perdere qualche chilo per non sfigurare d’Estate quando andrai al mare e ti metterai in costume. OVVIAMENTE c’è una e una sola cosa da poter fare: affamarsi, digiunare il più possibile, e cercare di avere una malattia che per pura sfiga non avevi già. Così cerchi di mangiare meno di 500 Kcal al giorno, apri un blog pro ana/pro mia, posti thinspiration, diari alimentari, e incoraggi tutti quanti a non mangiare.
Ora, immaginate questo.
Hai un blog pro ana, e ci capita per caso una quattordicenne. E’ una ragazzina insicura, che non si piace molto, con poca autostima, con problemi familiari e scolastici, magari vittima di bullismo o qualcosa del genere, con poche e punte amicizie, e si mette a leggere il tuo blog. Dato che tu presenti l’anoressia come un qualcosa di totalmente accattivante, un qualcosa che fa diventare belle e magre, insomma, praticamente prive di ogni qualsiasi altro problema e quindi perfette, la quattordicenne decide che non avere problemi è proprio quello che vorrebbe. Così inizia a restringere l’alimentazione. CONGRATULAZIONI! Sei una delle tante concause che ha portato una quattordicenne a sviluppare l’anoressia, una malattia psicofisica che è estremamente difficile da combattere, e della quale si porterà dietro gli strascichi vita natural durante. Una malattia che comprometterà ulteriormente i suoi rapporti coi familiari, con quei pochi amici, la sua carriera, la sua mente, il suo fisico, il suo futuro, la sua vita. Ma chi se ne importa, no?! In fin dei conti, non è come se l’avessi aiutata ad ammalarsi di cancro!
Quindi, torniamo a te, la ragazzetta stereotipata. Fai la fame, magari girando per blog impari anche qualche trucco su come fare a vomitare se si presenta un’abbuffata e cerchi di sfinirti di attività fisica. Hai perso qualche chilo, WOW!
Vai avanti così per un po’, poi una mattina ti alzi da letto e, oh, che cos’è questa? Ah, una bella gumea di capelli che son caduti. Ti tocchi la testa e, ehi, i capelli sono più radi e sottili. Meglio: consumerai meno shampoo quando dovrai lavarteli.
Ancora avanti con la restrizione alimentare e quant’altro, e un giorno stai facendo un compito in classe, tutto attorno a te è silenzio, tranne il tuo stomaco che brontola così forte da far girare tutti nella tua direzione. Tu fai finta di niente, tutt’al più accusi la motosega che stanno sicuramente utilizzando nell’aula a fianco, e continui a fare il tuo compito sul quale non riesci a concentrarti perché hai una fame dannata ma poco glucosio al cervello per produrre idee senzienti. Però, ehi, hai perso almeno 10 chili da quando hai iniziato a digiunare, quindi che cos’è un’insufficienza di fronte a 10 chili?! Alla fine della giornata, la professoressa ti chiama da parte e ti dice che è preoccupata per te. Sei pallida, hai le occhiaie, la tua pelle è secca (ma che splendore che sei, ragazza mia!), hai i capelli sfibrati e ridotti numericamente ai minimi termini (ma tanto tu mica volevi i capelli lunghi, vero?!), e le dita delle mani sono gelide e livide. Ma tu rassicurerai la tua insegnante dicendole che stai bene, fino a che avrai la possibilità di appiccicarti al tuo computer, di scrivere sul tuo blog, e di incoraggiare tutte le tue followers a stay strongare e continuare a digiunare e dimagrire.
Ad un certo punto, ovviamente, ti sparisce il ciclo. Ma tu sei ben lungi dal preoccuparti, anzi, è un altro segno del fatto che sei effettivamente dimagrita, quindi non stai certo a pensare al fatto che la scomparsa del ciclo sia un meccanismo di difesa che il corpo attua per cercare di risparmiare quante più calorie possibile, visto che non gli vengono adeguatamente fornite. Dunque esulti perché adesso non c’è più quel fastidio mensile di doversi cambiare un assorbente ogni 3 ore, ma soprattutto puoi trombare come un riccio senza neanche più doverti preoccupare di prendere la pillola del giorno dopo. (*)(vedi nota a fondo post)
Vai avanti a non mangiare e a perdere peso, ed ecco che vieni esclusa dalla squadra dello sport che pratichi. “E’ ridicolo! Nessuno può permettersi di buttar fuori qualcuna dalla squadra solo perché pensa che sia anoressica!”, dirai tu. Ma, indovina un po’? Con quel peso irrisorio le tue prestazioni fisico-sportive sono così scadenti che l’intera squadra ne risente negativamente. Ma tanto tu non avevi certo intenzione di andare alle Olimpiadi, quindi che importa?
Dunque, adesso non hai neanche più lo sport a cui dover badare. Ma, ehi, c’è sempre la scuola. È l’ora di Chimica, e tu stai seduta al tuo banco e cerchi di concentrarti sulla lezione, su quello che la professoressa sta dicendo, ma tutto ciò cui riesci a pensare riguarda il tuo corpo e l’alimentazione. Calorie. Peso. Attività fisica compulsiva. Insomma, perché pensare alla Chimica, che è pure una materia un po’ pallosa? Prima che tu te ne renda conto, arriva il giorno del compito di Chimica, i tuoi compagni di classe sono ben preparati, ma tu non riesci a concentrarti adeguatamente. E lo stesso vale per ogni qualsiasi altro compito. Così i tuoi voti prima magari anche brillanti, cominciano a poco a poco inevitabilmente a calare.
E calano anche le tue relazioni sociali, perché accidenti, tu tutto il pomeriggio lo devi passare sulla cyclette, per essere sicura di bruciare quelle 300 Kcal scarse che hai assunto, e questo è ben più importante che andare in giro con gli amici, mi pare ovvio! Magari succede che i tuoi amici si preoccupano per te, cercando di capire cosa c’è che non va, al che tu passi sulla difensiva e gli svendi un mare di balle, perché è risaputo che raccontare bugie stimola la fantasia, dopodiché li chiudi fuori dalla tua vita perché cominciano a fare troppe domande e, insomma, ma la gente un po’ di affari suoi mai, eh?! Alla fine, insomma, i tuoi amici si sdanno e si allontanano perché non ce la fanno più a rimanere a guardare il modo in cui hai scelto di suicidarti lentamente.
I tuoi genitori cercano di fare qualcosa per te, ma non sanno esattamente come comportarsi, perché tu anziché parlare con loro ti chiudi in camera tua e ti piazzi davanti al computer per scrivere un post sul tuo blog nel quale frigni su quanto siano cagacazzo i tuoi familiari che non ti lasciano essere anoressica in pace, e già che ci sei esasperi e drammatizzi pure la narrazione al fine di ricevere una serie di commenti-fotocopia a base di “ti capisco”, “i genitori non capiscono niente, ma tu continua a seguire Ana” e “stay strong”. Le lotte intestine con i tuoi genitori continuano per un bel po’, ma è colpa loro perché sono dei gran rompicoglioni. I rapporti tra tutti i membri della famiglia peggiorano nettamente, ma è colpa loro perché non ti lasciano in pace.
E, ovviamente, non avrai mai un fidanzato. Non perché sei “grassa”, ma perché sei piena di fisse e paranoie, ossessioni, problemi, priva di emozioni, un guscio vuoto, l’ombra di una ragazza. E nessuno che può avere una ragazza “normale” sceglierebbe di stare vicino ad un coacervo di problemi psichiatrici. Ma a te che importa, oggi il dire che sei “single” va così di moda!
E infine, parliamo del suicidio. No, è ovvio che tu non vuoi ammazzarti, ci mancherebbe!! Vuoi soltanto raggiungere la perfezione perdendo qualche chiletto.
Notizia divertente: dati estrapolati da studi scientifici alla mano, l’anoressia riduce di circa 30 anni la spettanza media di vita di chi ne è affetta.
Per tirare le fila: perdi tutti i tuoi amici, ti allontani dai tuoi genitori, la scuola/il lavoro va da schifo, e molto probabilmente perderai anni di scuola o verrai licenziata perché non più adeguatamente produttiva, e presumibilmente non riuscirai a concludere niente. Non avrai un fidanzato, non potrai avere figli per quella che è la compromissione fisica conseguente una restrizione alimentare che si protrae molto a lungo, compromissione fisica che farà malfunzionare anche molti altri organi e ti darà un sacco di problemi. Restringerai l’alimentazione come forma di coping contro qualsiasi cosa, perché non avendoli mai affrontati non saprai come gestire altrimenti nessuno dei tuoi problemi, avrai la mente devastata dalle solite fisse e ossessioni, ed infine, chiusa nel tuo appartamento, distante dal resto del mondo, morirai.
Ma, meravigliose ragazze pro ana/mia, continuate a desiderare l’anoressia e a scambiarvi consigli sui vostri blog su come fare a non mangiare, d’accordo??!...
(*) Giusto per mettere i puntini sulle “i”… (e, al di là del post ironico, in questa nota sono seria) Il fatto che ci sia l’amenorrea che comunemente accompagna il sottopeso marcato, non significa che non si possa rimanere comunque incinta dopo un rapporto sessuale. L’amenorrea, infatti, è l’assenza di mestruazioni… non l’assenza di ovulazione! Ergo, se anche non avete il ciclo, potreste comunque essere ancora in grado di ovulare, e dunque un rapporto sessuale compiuto senza prendere le dovute precauzioni può comunque determinare una gravidanza. E, naturalmente, al di là del discorso della gravidanza, non occorre certo che vi dica io quant’è importante, per ovvi motivi di malattie sessualmente trasmissibili, prendere le dovute precauzioni ogni qualvolta si ha un rapporto sessuale, vero??!...
Questo post spiega perché l’anoressia è estremamente strafiga e dunque perché dovete assolutamente provare ad averla.
Se siete pro ana/pro mia dovete leggere questo post ad ogni costo!!
Le malattie mentali sono una ganzata totale. Se non ne avete una, non siete alla moda! Questo spiega perché su blogspot ci siano un sacco di blog pro depressione e pro disturbo bipolare, giusto??!
Okay, allora immaginate questo.
Sei una stereotipata ragazzetta adolescente o poco più che vuole perdere qualche chilo per non sfigurare d’Estate quando andrai al mare e ti metterai in costume. OVVIAMENTE c’è una e una sola cosa da poter fare: affamarsi, digiunare il più possibile, e cercare di avere una malattia che per pura sfiga non avevi già. Così cerchi di mangiare meno di 500 Kcal al giorno, apri un blog pro ana/pro mia, posti thinspiration, diari alimentari, e incoraggi tutti quanti a non mangiare.
Ora, immaginate questo.
Hai un blog pro ana, e ci capita per caso una quattordicenne. E’ una ragazzina insicura, che non si piace molto, con poca autostima, con problemi familiari e scolastici, magari vittima di bullismo o qualcosa del genere, con poche e punte amicizie, e si mette a leggere il tuo blog. Dato che tu presenti l’anoressia come un qualcosa di totalmente accattivante, un qualcosa che fa diventare belle e magre, insomma, praticamente prive di ogni qualsiasi altro problema e quindi perfette, la quattordicenne decide che non avere problemi è proprio quello che vorrebbe. Così inizia a restringere l’alimentazione. CONGRATULAZIONI! Sei una delle tante concause che ha portato una quattordicenne a sviluppare l’anoressia, una malattia psicofisica che è estremamente difficile da combattere, e della quale si porterà dietro gli strascichi vita natural durante. Una malattia che comprometterà ulteriormente i suoi rapporti coi familiari, con quei pochi amici, la sua carriera, la sua mente, il suo fisico, il suo futuro, la sua vita. Ma chi se ne importa, no?! In fin dei conti, non è come se l’avessi aiutata ad ammalarsi di cancro!
Quindi, torniamo a te, la ragazzetta stereotipata. Fai la fame, magari girando per blog impari anche qualche trucco su come fare a vomitare se si presenta un’abbuffata e cerchi di sfinirti di attività fisica. Hai perso qualche chilo, WOW!
Vai avanti così per un po’, poi una mattina ti alzi da letto e, oh, che cos’è questa? Ah, una bella gumea di capelli che son caduti. Ti tocchi la testa e, ehi, i capelli sono più radi e sottili. Meglio: consumerai meno shampoo quando dovrai lavarteli.
Ancora avanti con la restrizione alimentare e quant’altro, e un giorno stai facendo un compito in classe, tutto attorno a te è silenzio, tranne il tuo stomaco che brontola così forte da far girare tutti nella tua direzione. Tu fai finta di niente, tutt’al più accusi la motosega che stanno sicuramente utilizzando nell’aula a fianco, e continui a fare il tuo compito sul quale non riesci a concentrarti perché hai una fame dannata ma poco glucosio al cervello per produrre idee senzienti. Però, ehi, hai perso almeno 10 chili da quando hai iniziato a digiunare, quindi che cos’è un’insufficienza di fronte a 10 chili?! Alla fine della giornata, la professoressa ti chiama da parte e ti dice che è preoccupata per te. Sei pallida, hai le occhiaie, la tua pelle è secca (ma che splendore che sei, ragazza mia!), hai i capelli sfibrati e ridotti numericamente ai minimi termini (ma tanto tu mica volevi i capelli lunghi, vero?!), e le dita delle mani sono gelide e livide. Ma tu rassicurerai la tua insegnante dicendole che stai bene, fino a che avrai la possibilità di appiccicarti al tuo computer, di scrivere sul tuo blog, e di incoraggiare tutte le tue followers a stay strongare e continuare a digiunare e dimagrire.
Ad un certo punto, ovviamente, ti sparisce il ciclo. Ma tu sei ben lungi dal preoccuparti, anzi, è un altro segno del fatto che sei effettivamente dimagrita, quindi non stai certo a pensare al fatto che la scomparsa del ciclo sia un meccanismo di difesa che il corpo attua per cercare di risparmiare quante più calorie possibile, visto che non gli vengono adeguatamente fornite. Dunque esulti perché adesso non c’è più quel fastidio mensile di doversi cambiare un assorbente ogni 3 ore, ma soprattutto puoi trombare come un riccio senza neanche più doverti preoccupare di prendere la pillola del giorno dopo. (*)(vedi nota a fondo post)
Vai avanti a non mangiare e a perdere peso, ed ecco che vieni esclusa dalla squadra dello sport che pratichi. “E’ ridicolo! Nessuno può permettersi di buttar fuori qualcuna dalla squadra solo perché pensa che sia anoressica!”, dirai tu. Ma, indovina un po’? Con quel peso irrisorio le tue prestazioni fisico-sportive sono così scadenti che l’intera squadra ne risente negativamente. Ma tanto tu non avevi certo intenzione di andare alle Olimpiadi, quindi che importa?
Dunque, adesso non hai neanche più lo sport a cui dover badare. Ma, ehi, c’è sempre la scuola. È l’ora di Chimica, e tu stai seduta al tuo banco e cerchi di concentrarti sulla lezione, su quello che la professoressa sta dicendo, ma tutto ciò cui riesci a pensare riguarda il tuo corpo e l’alimentazione. Calorie. Peso. Attività fisica compulsiva. Insomma, perché pensare alla Chimica, che è pure una materia un po’ pallosa? Prima che tu te ne renda conto, arriva il giorno del compito di Chimica, i tuoi compagni di classe sono ben preparati, ma tu non riesci a concentrarti adeguatamente. E lo stesso vale per ogni qualsiasi altro compito. Così i tuoi voti prima magari anche brillanti, cominciano a poco a poco inevitabilmente a calare.
E calano anche le tue relazioni sociali, perché accidenti, tu tutto il pomeriggio lo devi passare sulla cyclette, per essere sicura di bruciare quelle 300 Kcal scarse che hai assunto, e questo è ben più importante che andare in giro con gli amici, mi pare ovvio! Magari succede che i tuoi amici si preoccupano per te, cercando di capire cosa c’è che non va, al che tu passi sulla difensiva e gli svendi un mare di balle, perché è risaputo che raccontare bugie stimola la fantasia, dopodiché li chiudi fuori dalla tua vita perché cominciano a fare troppe domande e, insomma, ma la gente un po’ di affari suoi mai, eh?! Alla fine, insomma, i tuoi amici si sdanno e si allontanano perché non ce la fanno più a rimanere a guardare il modo in cui hai scelto di suicidarti lentamente.
I tuoi genitori cercano di fare qualcosa per te, ma non sanno esattamente come comportarsi, perché tu anziché parlare con loro ti chiudi in camera tua e ti piazzi davanti al computer per scrivere un post sul tuo blog nel quale frigni su quanto siano cagacazzo i tuoi familiari che non ti lasciano essere anoressica in pace, e già che ci sei esasperi e drammatizzi pure la narrazione al fine di ricevere una serie di commenti-fotocopia a base di “ti capisco”, “i genitori non capiscono niente, ma tu continua a seguire Ana” e “stay strong”. Le lotte intestine con i tuoi genitori continuano per un bel po’, ma è colpa loro perché sono dei gran rompicoglioni. I rapporti tra tutti i membri della famiglia peggiorano nettamente, ma è colpa loro perché non ti lasciano in pace.
E, ovviamente, non avrai mai un fidanzato. Non perché sei “grassa”, ma perché sei piena di fisse e paranoie, ossessioni, problemi, priva di emozioni, un guscio vuoto, l’ombra di una ragazza. E nessuno che può avere una ragazza “normale” sceglierebbe di stare vicino ad un coacervo di problemi psichiatrici. Ma a te che importa, oggi il dire che sei “single” va così di moda!
E infine, parliamo del suicidio. No, è ovvio che tu non vuoi ammazzarti, ci mancherebbe!! Vuoi soltanto raggiungere la perfezione perdendo qualche chiletto.
Notizia divertente: dati estrapolati da studi scientifici alla mano, l’anoressia riduce di circa 30 anni la spettanza media di vita di chi ne è affetta.
Per tirare le fila: perdi tutti i tuoi amici, ti allontani dai tuoi genitori, la scuola/il lavoro va da schifo, e molto probabilmente perderai anni di scuola o verrai licenziata perché non più adeguatamente produttiva, e presumibilmente non riuscirai a concludere niente. Non avrai un fidanzato, non potrai avere figli per quella che è la compromissione fisica conseguente una restrizione alimentare che si protrae molto a lungo, compromissione fisica che farà malfunzionare anche molti altri organi e ti darà un sacco di problemi. Restringerai l’alimentazione come forma di coping contro qualsiasi cosa, perché non avendoli mai affrontati non saprai come gestire altrimenti nessuno dei tuoi problemi, avrai la mente devastata dalle solite fisse e ossessioni, ed infine, chiusa nel tuo appartamento, distante dal resto del mondo, morirai.
Ma, meravigliose ragazze pro ana/mia, continuate a desiderare l’anoressia e a scambiarvi consigli sui vostri blog su come fare a non mangiare, d’accordo??!...
(*) Giusto per mettere i puntini sulle “i”… (e, al di là del post ironico, in questa nota sono seria) Il fatto che ci sia l’amenorrea che comunemente accompagna il sottopeso marcato, non significa che non si possa rimanere comunque incinta dopo un rapporto sessuale. L’amenorrea, infatti, è l’assenza di mestruazioni… non l’assenza di ovulazione! Ergo, se anche non avete il ciclo, potreste comunque essere ancora in grado di ovulare, e dunque un rapporto sessuale compiuto senza prendere le dovute precauzioni può comunque determinare una gravidanza. E, naturalmente, al di là del discorso della gravidanza, non occorre certo che vi dica io quant’è importante, per ovvi motivi di malattie sessualmente trasmissibili, prendere le dovute precauzioni ogni qualvolta si ha un rapporto sessuale, vero??!...
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venerdì 30 novembre 2012
L' "okay plateau"
In questi giorni ho finito di leggere un libro intitolato “Moonwalking with Einstein”. È un libro che parla della scienza della memoria e di come un giornalista è riuscito a diventare il campione statunitense di memorizzazione. L’autore, Joshua Foer, menziona una cosa che chiama l’ “okay plateau”. Riferisce questo plateau alle proprie capacità di memorizzazione. Dice che l’allentamento continuo nella memorizzazione ha migliorato enormemente le sue capacità in tal senso, ma non abbastanza da competere a livello nazionale.
(Ebbene sì, negli U.S.A. esistono delle gare di memorizzazione…per quanto a noi possa sembrare assurdo, per loro fare queste gare è una cosa assolutamente usuale.)
Dunque, l’ “okay plateau” è una sorta di punto di stallo tra il punto in cui siamo e quello in cui si vorrebbe arrivare. Vai bene, ma non sei eccezionale. Puoi farlo a livello amatoriale, ma non a livello agonistico. Una via di mezzo.
Ecco, secondo me in questo c’è una forte analogia col percorso di ricovero da un DCA. Si possono migliorare molto i nostri comportamenti più esteriori nei confronti del cibo e del corpo, e così molte persone possono pensare che siamo “guarite”. Ma noi in realtà sappiamo di non esserlo… siamo ancora nella via di mezzo. Abbiamo ancora certi pensieri distorti e certe fisse, sebbene la nostra salute fisica non sia più nell’immediato pericolo. Si può funzionare, anche se non in maniera ottimale. Se le persone vi stanno intorno solo per un lasso di tempo non molto lungo, in genere non si rendono conto del vostro DCA. Abbiamo raggiunto l’ “okay plateau”.
Per quelli che sanno la verità, invece, è più facile cogliere i segnali del DCA stesso. La lentezza nel finire i pasti, il non indossare determinati capi d’abbigliamento, la necessità di avere comunque altri tipi di “rituali di controllo”. Forse per qualcuno tutte queste sono cose insignificanti, e se si comporta così una persona che non ha mai avuto un disordine alimentare, il suo comportamento può essere a tutti gli effetti normale, semplice conseguenza della sua caratterialità. Ma questi non sono comportamenti “normali”… non per chi ha e sta combattendo un DCA.
Disconnettere noi stesse dall’ “okay plateau” è difficile. Foer dice: perché esso dà sicurezza. Perché sappiamo come starci, quale precario equilibrio tenere. Chi si sposta da una posizione per raggiungerne un’altra, si espone ad un rischio. Questo fa paura. Quindi si rimane bloccate nell’ “okay plateau” molto a lungo.
È proprio così che va il percorso di ricovero dall’anoressia. Riprendere peso è decisamente difficile, ma non è la cosa peggiore. Nutrendosi in maniera corretta, l’aumento di peso è fisiologico e molto graduale, dunque un qualcosa con cui possiamo tutto sommato relazionarci. I progressi che facciamo in tal senso possono essere facilmente misurati, quantificati. Ma uscire dall’ “okay plateau” a livello mentale, è incredibilmente molto, molto più difficile. Non si tratta semplicemente di seguire l’ “equilibrio alimentare” prescritto dalla dottoressa di turno, ma di lavorare su noi stesse, sulla nostra mentalità, sulla nostra personalità. Occorre sviluppare maggiore flessibilità mentale. Occorre imparare a gestire l’ansia. E, soprattutto, occorre scavare dentro noi stesse per capire quali sono i nostri veri problemi, quelli per i quali abbiamo avuto bisogno di un tampone come l’anoressia. Cose che non hanno niente a che vedere con il cibo, ma che rappresentano i nostri più veri e profondi problemi, ciò che ci ha fatto usare l’anoressia come strategia di coping.
Averne abbastanza – ovvero segnale di pericolo “sto-per-gettare-la-spugna-e-smettere-di-combattere-contro-il-DCA” – è molto facile non solo perchè spostarsi dall’ “okay plateau” richiede una fatica pazzesca, ma anche perchè può subentrare il pensiero scoraggiante che siamo lì bloccate senza possibilità di miglioramento. Ma non è così. Arrivare all’ “okay plateau” è un passo cruciale, ma ciò non significa che siamo arrivate. Ci vuole tanto, ma è possibile renderci pienamente conto di questo, e comprendere la differenza tra dove siamo adesso, e dove potremo essere. Se solo continuiamo a combattere.
(Ebbene sì, negli U.S.A. esistono delle gare di memorizzazione…per quanto a noi possa sembrare assurdo, per loro fare queste gare è una cosa assolutamente usuale.)
Dunque, l’ “okay plateau” è una sorta di punto di stallo tra il punto in cui siamo e quello in cui si vorrebbe arrivare. Vai bene, ma non sei eccezionale. Puoi farlo a livello amatoriale, ma non a livello agonistico. Una via di mezzo.
Ecco, secondo me in questo c’è una forte analogia col percorso di ricovero da un DCA. Si possono migliorare molto i nostri comportamenti più esteriori nei confronti del cibo e del corpo, e così molte persone possono pensare che siamo “guarite”. Ma noi in realtà sappiamo di non esserlo… siamo ancora nella via di mezzo. Abbiamo ancora certi pensieri distorti e certe fisse, sebbene la nostra salute fisica non sia più nell’immediato pericolo. Si può funzionare, anche se non in maniera ottimale. Se le persone vi stanno intorno solo per un lasso di tempo non molto lungo, in genere non si rendono conto del vostro DCA. Abbiamo raggiunto l’ “okay plateau”.
Per quelli che sanno la verità, invece, è più facile cogliere i segnali del DCA stesso. La lentezza nel finire i pasti, il non indossare determinati capi d’abbigliamento, la necessità di avere comunque altri tipi di “rituali di controllo”. Forse per qualcuno tutte queste sono cose insignificanti, e se si comporta così una persona che non ha mai avuto un disordine alimentare, il suo comportamento può essere a tutti gli effetti normale, semplice conseguenza della sua caratterialità. Ma questi non sono comportamenti “normali”… non per chi ha e sta combattendo un DCA.
Disconnettere noi stesse dall’ “okay plateau” è difficile. Foer dice: perché esso dà sicurezza. Perché sappiamo come starci, quale precario equilibrio tenere. Chi si sposta da una posizione per raggiungerne un’altra, si espone ad un rischio. Questo fa paura. Quindi si rimane bloccate nell’ “okay plateau” molto a lungo.
È proprio così che va il percorso di ricovero dall’anoressia. Riprendere peso è decisamente difficile, ma non è la cosa peggiore. Nutrendosi in maniera corretta, l’aumento di peso è fisiologico e molto graduale, dunque un qualcosa con cui possiamo tutto sommato relazionarci. I progressi che facciamo in tal senso possono essere facilmente misurati, quantificati. Ma uscire dall’ “okay plateau” a livello mentale, è incredibilmente molto, molto più difficile. Non si tratta semplicemente di seguire l’ “equilibrio alimentare” prescritto dalla dottoressa di turno, ma di lavorare su noi stesse, sulla nostra mentalità, sulla nostra personalità. Occorre sviluppare maggiore flessibilità mentale. Occorre imparare a gestire l’ansia. E, soprattutto, occorre scavare dentro noi stesse per capire quali sono i nostri veri problemi, quelli per i quali abbiamo avuto bisogno di un tampone come l’anoressia. Cose che non hanno niente a che vedere con il cibo, ma che rappresentano i nostri più veri e profondi problemi, ciò che ci ha fatto usare l’anoressia come strategia di coping.
Averne abbastanza – ovvero segnale di pericolo “sto-per-gettare-la-spugna-e-smettere-di-combattere-contro-il-DCA” – è molto facile non solo perchè spostarsi dall’ “okay plateau” richiede una fatica pazzesca, ma anche perchè può subentrare il pensiero scoraggiante che siamo lì bloccate senza possibilità di miglioramento. Ma non è così. Arrivare all’ “okay plateau” è un passo cruciale, ma ciò non significa che siamo arrivate. Ci vuole tanto, ma è possibile renderci pienamente conto di questo, e comprendere la differenza tra dove siamo adesso, e dove potremo essere. Se solo continuiamo a combattere.
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venerdì 23 novembre 2012
Consiglio per le evitanti
Girovagando su Internet ho trovato una frase che ha attirato la mia attenzione:
"Emotivamente, tutto quello che vuoi è scappare. Ma per quella che è la mia esperienza, se fissi il pitbull che sta nel giardino di qualcuno, è meglio che rimani immobile dove sei. Affronta il problema. In questo modo, non può darti un morso nel didietro”.
Generalmente, chi ha un DCA tende a scappare via dai veri problemi ad esso sottesi. Lo stesso concentrare l’attenzione sulla restrizione alimentare è un modo per non fissarla su qualcos’altro. Il fatto è che i problemi non se ne vanno solo perchè ci si concentra su pensieri e si hanno una serie di comportamenti tipici del DCA. Restano lì. E, se non li affrontiamo ma continuiamo a nasconderci dietro l’anoressia, aumentano sempre di più.
La frase che ho citato all’inizio del post centra bene il concetto di che cos’è il “ricovero” dall’anoressia: imparare ad affrontare i pitbull faccia-a-faccia. L’anoressia ci permette di evitare i problemi della vita quotidiana che ci spaventano e che pensiamo di non essere capaci di affrontare. Si corre via, il che sul momento può apparire come una “liberazione”, ma poi si finisce inevitabilmente con un bel po’ di morsi nel sedere. Sebbene l’impulso sia quello di voltarsi e correre via quanto più velocemente possibile, quel che bisogna imparare a fare è rimanere ferme ed affrontare i veri problemi.
L’evitamento è, secondo me, uno dei motivi per cui è così difficile separarsi da un DCA. Nel momento in cui canalizziamo tutte le nostre energie nell’anoressia, ogni qualsiasi altro aspetto della nostra vita (problemi compresi, quindi) sfuma. Tutti i pensieri si centrano, a seconda del tipo di DCA, sulla restrizione alimentare, sulle abbuffate, sulle condotte di compensazione, e tutti gli altri problemi sembrano ben meno… problematici. Perché diventano secondari al DCA stesso. Tutti i veri problemi che abbiamo possono essere paragonati ai pitbull: ne fuggiamo via. E loro ci mordono nel didietro. E più corriamo via, più i loro denti affondano.
E non dimentichiamo che la stessa anoressia, inizialmente vista come una “soluzione”, finisce per creare essa stessa dei problemi, dei nuovi pitbull. Si cade tanto più nella spirale discendente di un DCA quanto più si cercando di evitare i problemi che il DCA stesso crea. Perché sembra più semplice evitarli ponendo il DCA stesso in qualità di schermo, che affrontare tutti i casini della nostra vita cercando di fare ordine.
Tuttavia, l’evitamento dei veri problemi dà sollievo a breve termine: sul momento si ha certamente una riduzione dell’ansia, ma quella stessa ansia continua ad accumularsi a monte, e questo innesca una sorta di circolo vizioso che rinforza il DCA per fornire uno schermo ancora maggiore all’ansia, e così via. Affrontare i problemi, quali che siano (relazionarsi con gli altri, accettare il proprio ruolo in una situazione negativa, mangiare quei particolari cibi…) è certamente molto più duro e difficile, però non è un palliativo, a differenza dell’anoressia. Sul momento si sta peggio, ma affrontare quei problemi arrecherà benessere a lungo termine.
Una delle cose più difficili da fare in un percorso di ricovero è smetterla di scappare dai problemi da cui vorremmo solo scappare. L’anoressia non è un modo per cancellare i problemi, è solo un modo per evitarli… e per evitare la vita. Eppure bisogna imparare ad affondare tutto quello che ci ha fatte ammalare. Ed è difficile. Molto difficile. Perché siamo così abituate all’evitamento, che affrontare i problemi e la vita fa un’immensa paura. Eppure, anche questo è un passo avanti sulla strada del ricovero, anche questa e una sfida. E non c’è nient’altro da dire tranne: afffrontiamola a testa alta.
"Emotivamente, tutto quello che vuoi è scappare. Ma per quella che è la mia esperienza, se fissi il pitbull che sta nel giardino di qualcuno, è meglio che rimani immobile dove sei. Affronta il problema. In questo modo, non può darti un morso nel didietro”.
Generalmente, chi ha un DCA tende a scappare via dai veri problemi ad esso sottesi. Lo stesso concentrare l’attenzione sulla restrizione alimentare è un modo per non fissarla su qualcos’altro. Il fatto è che i problemi non se ne vanno solo perchè ci si concentra su pensieri e si hanno una serie di comportamenti tipici del DCA. Restano lì. E, se non li affrontiamo ma continuiamo a nasconderci dietro l’anoressia, aumentano sempre di più.
La frase che ho citato all’inizio del post centra bene il concetto di che cos’è il “ricovero” dall’anoressia: imparare ad affrontare i pitbull faccia-a-faccia. L’anoressia ci permette di evitare i problemi della vita quotidiana che ci spaventano e che pensiamo di non essere capaci di affrontare. Si corre via, il che sul momento può apparire come una “liberazione”, ma poi si finisce inevitabilmente con un bel po’ di morsi nel sedere. Sebbene l’impulso sia quello di voltarsi e correre via quanto più velocemente possibile, quel che bisogna imparare a fare è rimanere ferme ed affrontare i veri problemi.
L’evitamento è, secondo me, uno dei motivi per cui è così difficile separarsi da un DCA. Nel momento in cui canalizziamo tutte le nostre energie nell’anoressia, ogni qualsiasi altro aspetto della nostra vita (problemi compresi, quindi) sfuma. Tutti i pensieri si centrano, a seconda del tipo di DCA, sulla restrizione alimentare, sulle abbuffate, sulle condotte di compensazione, e tutti gli altri problemi sembrano ben meno… problematici. Perché diventano secondari al DCA stesso. Tutti i veri problemi che abbiamo possono essere paragonati ai pitbull: ne fuggiamo via. E loro ci mordono nel didietro. E più corriamo via, più i loro denti affondano.
E non dimentichiamo che la stessa anoressia, inizialmente vista come una “soluzione”, finisce per creare essa stessa dei problemi, dei nuovi pitbull. Si cade tanto più nella spirale discendente di un DCA quanto più si cercando di evitare i problemi che il DCA stesso crea. Perché sembra più semplice evitarli ponendo il DCA stesso in qualità di schermo, che affrontare tutti i casini della nostra vita cercando di fare ordine.
Tuttavia, l’evitamento dei veri problemi dà sollievo a breve termine: sul momento si ha certamente una riduzione dell’ansia, ma quella stessa ansia continua ad accumularsi a monte, e questo innesca una sorta di circolo vizioso che rinforza il DCA per fornire uno schermo ancora maggiore all’ansia, e così via. Affrontare i problemi, quali che siano (relazionarsi con gli altri, accettare il proprio ruolo in una situazione negativa, mangiare quei particolari cibi…) è certamente molto più duro e difficile, però non è un palliativo, a differenza dell’anoressia. Sul momento si sta peggio, ma affrontare quei problemi arrecherà benessere a lungo termine.
Una delle cose più difficili da fare in un percorso di ricovero è smetterla di scappare dai problemi da cui vorremmo solo scappare. L’anoressia non è un modo per cancellare i problemi, è solo un modo per evitarli… e per evitare la vita. Eppure bisogna imparare ad affondare tutto quello che ci ha fatte ammalare. Ed è difficile. Molto difficile. Perché siamo così abituate all’evitamento, che affrontare i problemi e la vita fa un’immensa paura. Eppure, anche questo è un passo avanti sulla strada del ricovero, anche questa e una sfida. E non c’è nient’altro da dire tranne: afffrontiamola a testa alta.
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venerdì 16 novembre 2012
Voler vivere con l'anoressia??
Okay. Sono pronta a scommettere che chiunque legge questo mio blog, ne segue almeno un altro paio che trattano sempre di disturbi alimentari. E che, pertanto, tutte avranno notato che ci sono blog tenuti da ragazze che, pur avendo un DCA, non figurano l’idea di poterlo combattere, in quanto sostengono che il DCA sia parte integrante di se stesse e della loro vita, e/o lo considerano comunque una scelta vantaggiosa. Non sto parlando delle ragazze che si autodefiniscono “pro-ana”, "pro-mia" e cazzatelle affini, mi riferisco piuttosto a quelle persone che utilizzano i propri blog come una sorta di “valvola di sfogo” nel tentativo di buttare fuori un po’ della merda che il DCA quotidianamente riversa nelle loro vite, ma che nonostante la consapevolezza di quanto il DCA sia distruttivo, sono restie ad iniziare un percorso di ricovero. Avrete anche notato che si tratta per lo più di ragazze che hanno l’anoressia, e che invece chi soffre di bulimia o di binge non percepisce positivamente il suo DCA – cosa che trovo piuttosto interessante, ma ci tornerò più avanti.
Dunque, ricapitolando: si tratta di ragazze che hanno un DCA conclamato, diagnosticato, che in taluni casi in passato hanno anche intrapreso percorsi di ricovero che poi però hanno abbandonato, e che nonostante razionalmente si rendano conto della pericolosità dei DCA per la propria salute, per una ragione o per un’altra non si sentono pronte a staccarsi dal loro disturbo alimentare – il che, ad una lettura superficiale, può far pensare che queste ragazze vogliano rimanere malate, ma secondo me le cose non stanno proprio così… comunque, ci tornerò su tra qualche minuto.
Allo stesso tempo, ci sono il mio blog e tutta una serie di blog con contenuti affini, che potrebbero essere indicati come spiccatamente “pro-ricovero”. Insomma, tutti quei blog tenuti da ragazze che parimenti hanno un DCA, ma che sono già fermamente decise a combatterlo. E che, talvolta, rimangono (rimaniamo, mi ci metto anch’io) un po’ stizzite di fronte a quelle che dicono di voler perseverare nel loro DCA.
Osservando questa dicotomia tra blog che trovo molto interessante, mi è venuto inevitabilmente da chiedermi: cosa rende diverse le ragazze che dicono di voler vivere col DCA, da quelle che dicono di volerlo combattere? La mia risposta è stata: NIENTE. Perché sono dell’idea che chiunque scriva che non vuole combattere contro l’anoressia non significa necessariamente che quella persona voglia avere l’anoressia. Se state leggendo questo post e appartenete a coloro che sono dell’idea di voler vivere con il proprio DCA, dopo aver letto questo probabilmente starete pensando: “No no no no no. Hai torto, hai torto. Non ne sai niente di tutto questo, evidentemente non sai cosa significhi avere l’anoressia.” (E invece, purtroppo, lo so fin troppo bene.) Ma lasciate un attimo che vi spieghi. Io credo che il dire di non voler combattere contro l’anoressia non significa desiderare di avere l’anoressia in sé.
Io sono fermamente convinta che l’anoressia sia utilizzata come simbolo di tutte le cose che nella vita di una persona vanno storte. Una strategia di coping, insomma: non è importante in sé, è importante per quello che rappresenta, per quello che va a tappare.
E, ovviamente, a questo punto le persone che stanno leggendo e che non contemplano l’idea di combattere contro l’anoressia, dissentiranno con quanto ho appena scritto, e diranno: “No, ma io voglio davvero essere anoressica. Ce l’ho da così tanto tempo, che ormai fa parte di me, non mi ricordo nemmeno di com’era la mia vita prima dell’anoressia, ma ora l’anoressia è nella mia vita e mi va bene così. Voglio davvero restringere l’alimentazione, perdere peso, bruciare calorie, insomma, voglio davvero continuare a tenere questo comportamento.” Bè, poco ma sicuro, voi davvero DESIDERATE continuare a tenere questo comportamento. Lo desiderate. Lo so. Ma perchè?
Si pone dunque la questione: “Perchè qualcuna vuole davvero questo?”. E le ragioni possono essere estremamente complesse e numerose, variabili da persona a persona, ma una di queste, comune a tutte, credo che sia il fatto che c’è il bisogno di controllo. Nessuna in realtà vuole l’anoressia in sé – ma tutte si vuole la sensazione di controllo che deriva dal riuscire a restringere l’alimentazione. Ha un senso, no? Voglio dire, non penso che chiunque abbia un DCA possa essere completamente in disaccordo con questo. Chi di voi potrebbe dirmi, in onestà, che non vuole sentirsi in controllo? Che non vuole sentirsi come se, controllando l’alimentazione, potesse tenere a bada l’ansia e quindi avere la (illusoria) sensazione di poter controllare ogni ambito della propria vita e piegarlo a proprio piacimento? Chi non vuole sentirsi forte e sicura di se stessa almeno in qualcosa come la restrizione alimentare?
Chiunque, nella vita, ha piacere a sentirsi sicuro di sé in qualcosa, ha piacere a sentire che sta controllando qualcosa. È solo che le persone che hanno un DCA intraprendono una via patologica per ottenere queste sensazioni. Non è il desiderio di controllo in sé ad essere patologico – è il modo in cui esso si manifesta.
Inoltre, ho avuto modo di notare, nessuna delle persone che ha avuto un DCA lo considera come un qualcosa di assolutamente negativo perché, se non altro, è stato “grazie” al DCA che hanno ricevuto l’aiuto di cui avevano bisogno, ma che non avrebbero ottenuto altrimenti – ed è questa, secondo me, un’altra delle ragioni per cui certe ragazze si dichiarano non convinte di voler combattere contro l’anoressia. In fin dei conti, se una ragazza ha un DCA, e tutte le persone intorno sono così preoccupate per la sua perdita di peso, sono così preoccupate per la sua magrezza eccessiva, sono così preoccupate per la sua mancanza del ciclo, sono così terrorizzate all’idea che quella ragazza possa morire, e così via – ecco che vengono ottenute cose che altrimenti non si sarebbero potute avere. Questa è la triste realtà di un disturbo alimentare. Di ogni qualsiasi disturbo alimentare, anche se l’anoressia è il caso più eclatante.
Con un DCA si ottiene la possibilità di poter parlare con uno psicoterapeuta, si ottiene l’attenzione, l’ascolto e l’affetto delle persone che stanno intorno, molto più di quanto quelle persone dedicavano attenzione, ascolto ed affetto prima che il disturbo alimentare esordisse. E, allo stesso tempo, per la maggior parte del tempo, chi ha un DCA dentro di sé non vorrebbe tenere tutti i comportamenti tipici del disturbo stesso… vorrebbe solo ottenere dagli altri le cose che ottiene quando tiene quei comportamenti. E questa, per alcune, può sembrare una valida ragione per non combattere seriamente contro l’anoressia.
Voglio dire, se c’è una ragazza che non si sente presa in considerazione, che ha la sensazione che a chi le sta vicino non interessi niente di lei, che si sente messa in disparte, e poi scopre che se tiene dei comportamenti alimentari erronei allora tutti si preoccupano per lei e le stanno vicini – e lei si sente considerata, sente l’affetto altrui, la loro preoccupazione per ciò che sta facendo – perché non dovrebbe portare avanti quel comportamento alimentare erroneo? È qui che la mente s’auto-inganna.
“Qual è una buona ragione per combattere contro l’anoressia?” è dunque l’altra cosa che si chiedono queste ragazze. E questa domanda è la ragione per cui certe ragazze abbandonano la psicoterapia e si trincerano dietro il proprio disturbo alimentare. È la ragione per cui dicono di non voler intraprendere la strada del ricovero. È perché temono che, migliorando il loro stato di salute, potrebbero venir meno l’affetto e l’attenzione che l’anoressia ha calamitato su di loro. (Al solito, parlo di “anoressia” semplicemente perché si tratta del mio DCA e perciò mi viene più spontaneo, ma ovviamente quanto scritto ritengo valga per ogni qualsiasi disturbo alimentare.)
E la ragione – e qui mi riallaccio con quanto avevo scritto all’inizio del post – per cui l’atteggiamento “non voglio mollare il DCA” è più frequente in chi ha l’anoressia che non in chi ha la bulimia o il binge, è perché spesso chi ha questi ultimi due DCA è normopeso o sovrappeso. E così riceve comunque poche attenzioni da chi gli sta intorno. Inoltre, da quel che ho capito parlando con ragazze che hanno questi due DCA, l’abbuffata e il vomito auto-indotto vengono vissuti come una perdita di controllo, e questo riporta all’altro aspetto di chi ho già parlato. Comportamenti di questo tipo, peraltro, inducono da parte degli altri commenti quali: “Perché non la smetti di mangiare così tanto? Perché non provi a perdere qualche chilo?”. Il che è estremamente sciocco, perché è come dire a una persona che ha l’anoressia: “Perché mangi così poco? Perché non provi a prendere qualche chilo?”. Non è così semplice ed immediato. Non è mai così semplice ed immediato. Se lo fosse, non credete che chiunque abbia un DCA impiegherebbe straordinariamente poco per guarire?!...
Dunque, tirando le somme. Io penso che chiunque affermi di voler convivere con un DCA conclamato, in realtà vuole combatterlo, o potrebbe facilmente essere sul punto di pensare di volerlo combattere. Ha solo timore che, una volta migliorate le condizioni fisiche, tutti gli altri pensino che sta finalmente bene, e che non ha più alcun tipo di problema; visto che la maggior parte della gente che non ha vissuto un DCA tende ad associare la guarigione dall’anoressia al recupero di un peso e di un aspetto decente, e che quindi nessuno possa poi più curarsi di loro, e che quindi tornino esattamente nella situazione di partenza. Ma chi ha vissuto un disturbo alimentare, chi lo vive, sa che la fisicità è solo la cosa più superficiale. E che combattere contro l’anoressia significa molto, molto, MOLTO di più del mero recuperare qualche chilo. Perché i veri problemi che vengono esternalizzati con una strategia di coping quale l’anoressia, sono molto più profondi ed intricati della banale restrizione alimentare.
Se combattere contro l’anoressia significasse essere prese in considerazione, ascoltate, aiutate nei momenti di difficoltà anche senza avere un DCA conclamato e senza tenere i comportamenti alimentari erronei tipici del DCA stesso – avere le stesse attenzioni che si hanno quando si ha un DCA conclamato ma senza bisogno di restringere l’alimentazione/abbuffarsi/vomitare, o qualsiasi cosa ciascuna di noi faccia col cibo – nonché riuscire comunque a sentirsi forti, sicure di sé, in controllo, e speciali, io credo che chiunque vorrebbe combattere contro l’anoressia senza pensarci due volte. Io penso che le ragazze che dicono di non volersi opporre all’anoressia, temano di perdere quelle sensazioni e quelle attenzioni che l’anoressia per la prima volta nella loro vita gli permette di percepire e di ricevere, ed è per questo che dicono di non voler abbandonare la restrizione alimentare. Ma il punto è che abbiamo una voce proprio per esprimere quello che non ci va, anziché proiettarlo sul corpo e lasciare che sia lui a parlare per noi. E che possiamo essere speciali anche senza l’anoressia, perché non è una malattia che può renderci tali, ma solo la nostra personalità e il modo in cui ci rapportiamo alla vita.
Ovvio, questo è solo il mio punto di vista… In ogni caso, se siete o non siete d’accordo con quello che ho scritto, fatemelo sapere nei commenti. Questo è quel che io penso delle ragazze che tengono dei blog o che mi scrivono via e-mail dicendomi che non sono affatto convinte di voler combattere contro l’anoressia. E voi, che ne pensate? Lasciatemi il vostro feedback nei commenti, se vi va!
Dunque, ricapitolando: si tratta di ragazze che hanno un DCA conclamato, diagnosticato, che in taluni casi in passato hanno anche intrapreso percorsi di ricovero che poi però hanno abbandonato, e che nonostante razionalmente si rendano conto della pericolosità dei DCA per la propria salute, per una ragione o per un’altra non si sentono pronte a staccarsi dal loro disturbo alimentare – il che, ad una lettura superficiale, può far pensare che queste ragazze vogliano rimanere malate, ma secondo me le cose non stanno proprio così… comunque, ci tornerò su tra qualche minuto.
Allo stesso tempo, ci sono il mio blog e tutta una serie di blog con contenuti affini, che potrebbero essere indicati come spiccatamente “pro-ricovero”. Insomma, tutti quei blog tenuti da ragazze che parimenti hanno un DCA, ma che sono già fermamente decise a combatterlo. E che, talvolta, rimangono (rimaniamo, mi ci metto anch’io) un po’ stizzite di fronte a quelle che dicono di voler perseverare nel loro DCA.
Osservando questa dicotomia tra blog che trovo molto interessante, mi è venuto inevitabilmente da chiedermi: cosa rende diverse le ragazze che dicono di voler vivere col DCA, da quelle che dicono di volerlo combattere? La mia risposta è stata: NIENTE. Perché sono dell’idea che chiunque scriva che non vuole combattere contro l’anoressia non significa necessariamente che quella persona voglia avere l’anoressia. Se state leggendo questo post e appartenete a coloro che sono dell’idea di voler vivere con il proprio DCA, dopo aver letto questo probabilmente starete pensando: “No no no no no. Hai torto, hai torto. Non ne sai niente di tutto questo, evidentemente non sai cosa significhi avere l’anoressia.” (E invece, purtroppo, lo so fin troppo bene.) Ma lasciate un attimo che vi spieghi. Io credo che il dire di non voler combattere contro l’anoressia non significa desiderare di avere l’anoressia in sé.
Io sono fermamente convinta che l’anoressia sia utilizzata come simbolo di tutte le cose che nella vita di una persona vanno storte. Una strategia di coping, insomma: non è importante in sé, è importante per quello che rappresenta, per quello che va a tappare.
E, ovviamente, a questo punto le persone che stanno leggendo e che non contemplano l’idea di combattere contro l’anoressia, dissentiranno con quanto ho appena scritto, e diranno: “No, ma io voglio davvero essere anoressica. Ce l’ho da così tanto tempo, che ormai fa parte di me, non mi ricordo nemmeno di com’era la mia vita prima dell’anoressia, ma ora l’anoressia è nella mia vita e mi va bene così. Voglio davvero restringere l’alimentazione, perdere peso, bruciare calorie, insomma, voglio davvero continuare a tenere questo comportamento.” Bè, poco ma sicuro, voi davvero DESIDERATE continuare a tenere questo comportamento. Lo desiderate. Lo so. Ma perchè?
Si pone dunque la questione: “Perchè qualcuna vuole davvero questo?”. E le ragioni possono essere estremamente complesse e numerose, variabili da persona a persona, ma una di queste, comune a tutte, credo che sia il fatto che c’è il bisogno di controllo. Nessuna in realtà vuole l’anoressia in sé – ma tutte si vuole la sensazione di controllo che deriva dal riuscire a restringere l’alimentazione. Ha un senso, no? Voglio dire, non penso che chiunque abbia un DCA possa essere completamente in disaccordo con questo. Chi di voi potrebbe dirmi, in onestà, che non vuole sentirsi in controllo? Che non vuole sentirsi come se, controllando l’alimentazione, potesse tenere a bada l’ansia e quindi avere la (illusoria) sensazione di poter controllare ogni ambito della propria vita e piegarlo a proprio piacimento? Chi non vuole sentirsi forte e sicura di se stessa almeno in qualcosa come la restrizione alimentare?
Chiunque, nella vita, ha piacere a sentirsi sicuro di sé in qualcosa, ha piacere a sentire che sta controllando qualcosa. È solo che le persone che hanno un DCA intraprendono una via patologica per ottenere queste sensazioni. Non è il desiderio di controllo in sé ad essere patologico – è il modo in cui esso si manifesta.
Inoltre, ho avuto modo di notare, nessuna delle persone che ha avuto un DCA lo considera come un qualcosa di assolutamente negativo perché, se non altro, è stato “grazie” al DCA che hanno ricevuto l’aiuto di cui avevano bisogno, ma che non avrebbero ottenuto altrimenti – ed è questa, secondo me, un’altra delle ragioni per cui certe ragazze si dichiarano non convinte di voler combattere contro l’anoressia. In fin dei conti, se una ragazza ha un DCA, e tutte le persone intorno sono così preoccupate per la sua perdita di peso, sono così preoccupate per la sua magrezza eccessiva, sono così preoccupate per la sua mancanza del ciclo, sono così terrorizzate all’idea che quella ragazza possa morire, e così via – ecco che vengono ottenute cose che altrimenti non si sarebbero potute avere. Questa è la triste realtà di un disturbo alimentare. Di ogni qualsiasi disturbo alimentare, anche se l’anoressia è il caso più eclatante.
Con un DCA si ottiene la possibilità di poter parlare con uno psicoterapeuta, si ottiene l’attenzione, l’ascolto e l’affetto delle persone che stanno intorno, molto più di quanto quelle persone dedicavano attenzione, ascolto ed affetto prima che il disturbo alimentare esordisse. E, allo stesso tempo, per la maggior parte del tempo, chi ha un DCA dentro di sé non vorrebbe tenere tutti i comportamenti tipici del disturbo stesso… vorrebbe solo ottenere dagli altri le cose che ottiene quando tiene quei comportamenti. E questa, per alcune, può sembrare una valida ragione per non combattere seriamente contro l’anoressia.
Voglio dire, se c’è una ragazza che non si sente presa in considerazione, che ha la sensazione che a chi le sta vicino non interessi niente di lei, che si sente messa in disparte, e poi scopre che se tiene dei comportamenti alimentari erronei allora tutti si preoccupano per lei e le stanno vicini – e lei si sente considerata, sente l’affetto altrui, la loro preoccupazione per ciò che sta facendo – perché non dovrebbe portare avanti quel comportamento alimentare erroneo? È qui che la mente s’auto-inganna.
“Qual è una buona ragione per combattere contro l’anoressia?” è dunque l’altra cosa che si chiedono queste ragazze. E questa domanda è la ragione per cui certe ragazze abbandonano la psicoterapia e si trincerano dietro il proprio disturbo alimentare. È la ragione per cui dicono di non voler intraprendere la strada del ricovero. È perché temono che, migliorando il loro stato di salute, potrebbero venir meno l’affetto e l’attenzione che l’anoressia ha calamitato su di loro. (Al solito, parlo di “anoressia” semplicemente perché si tratta del mio DCA e perciò mi viene più spontaneo, ma ovviamente quanto scritto ritengo valga per ogni qualsiasi disturbo alimentare.)
E la ragione – e qui mi riallaccio con quanto avevo scritto all’inizio del post – per cui l’atteggiamento “non voglio mollare il DCA” è più frequente in chi ha l’anoressia che non in chi ha la bulimia o il binge, è perché spesso chi ha questi ultimi due DCA è normopeso o sovrappeso. E così riceve comunque poche attenzioni da chi gli sta intorno. Inoltre, da quel che ho capito parlando con ragazze che hanno questi due DCA, l’abbuffata e il vomito auto-indotto vengono vissuti come una perdita di controllo, e questo riporta all’altro aspetto di chi ho già parlato. Comportamenti di questo tipo, peraltro, inducono da parte degli altri commenti quali: “Perché non la smetti di mangiare così tanto? Perché non provi a perdere qualche chilo?”. Il che è estremamente sciocco, perché è come dire a una persona che ha l’anoressia: “Perché mangi così poco? Perché non provi a prendere qualche chilo?”. Non è così semplice ed immediato. Non è mai così semplice ed immediato. Se lo fosse, non credete che chiunque abbia un DCA impiegherebbe straordinariamente poco per guarire?!...
Dunque, tirando le somme. Io penso che chiunque affermi di voler convivere con un DCA conclamato, in realtà vuole combatterlo, o potrebbe facilmente essere sul punto di pensare di volerlo combattere. Ha solo timore che, una volta migliorate le condizioni fisiche, tutti gli altri pensino che sta finalmente bene, e che non ha più alcun tipo di problema; visto che la maggior parte della gente che non ha vissuto un DCA tende ad associare la guarigione dall’anoressia al recupero di un peso e di un aspetto decente, e che quindi nessuno possa poi più curarsi di loro, e che quindi tornino esattamente nella situazione di partenza. Ma chi ha vissuto un disturbo alimentare, chi lo vive, sa che la fisicità è solo la cosa più superficiale. E che combattere contro l’anoressia significa molto, molto, MOLTO di più del mero recuperare qualche chilo. Perché i veri problemi che vengono esternalizzati con una strategia di coping quale l’anoressia, sono molto più profondi ed intricati della banale restrizione alimentare.
Se combattere contro l’anoressia significasse essere prese in considerazione, ascoltate, aiutate nei momenti di difficoltà anche senza avere un DCA conclamato e senza tenere i comportamenti alimentari erronei tipici del DCA stesso – avere le stesse attenzioni che si hanno quando si ha un DCA conclamato ma senza bisogno di restringere l’alimentazione/abbuffarsi/vomitare, o qualsiasi cosa ciascuna di noi faccia col cibo – nonché riuscire comunque a sentirsi forti, sicure di sé, in controllo, e speciali, io credo che chiunque vorrebbe combattere contro l’anoressia senza pensarci due volte. Io penso che le ragazze che dicono di non volersi opporre all’anoressia, temano di perdere quelle sensazioni e quelle attenzioni che l’anoressia per la prima volta nella loro vita gli permette di percepire e di ricevere, ed è per questo che dicono di non voler abbandonare la restrizione alimentare. Ma il punto è che abbiamo una voce proprio per esprimere quello che non ci va, anziché proiettarlo sul corpo e lasciare che sia lui a parlare per noi. E che possiamo essere speciali anche senza l’anoressia, perché non è una malattia che può renderci tali, ma solo la nostra personalità e il modo in cui ci rapportiamo alla vita.
Ovvio, questo è solo il mio punto di vista… In ogni caso, se siete o non siete d’accordo con quello che ho scritto, fatemelo sapere nei commenti. Questo è quel che io penso delle ragazze che tengono dei blog o che mi scrivono via e-mail dicendomi che non sono affatto convinte di voler combattere contro l’anoressia. E voi, che ne pensate? Lasciatemi il vostro feedback nei commenti, se vi va!
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venerdì 9 novembre 2012
Perchè chiedersi perchè?
Se c’è una domanda che mi è stata fatta millemila volte, questa è: Perchè ti sei ammalata di anoressia?
È una domanda cui volevo conoscere la risposta sia per soddisfare la mia naturale curiosità, sia perché per molto tempo sono stata convinta che, se avessi capito questo, avrei compiuto la svolta fondamentale nel mio percorso di ricovero.
L’idea sottostante questo pensiero era il semplice assunto: Se riesco a capire perché ho iniziato a restringere l’alimentazione, allora troverei la chiave per smettere di farlo.
Il problema sta nel fatto che quest’assunto è di per sè sbagliato. In fin dei conti, ad oggi sappiamo perché il pancreas smette di produrre insulina negli individui affetti da Diabete Mellito di Tipo I, ma tale conoscenza non permette al pancreas di ricominciare magicamente a produrre quest’ormone. Allo stesso modo, comprendere quelle che sono state le nostre personali motivazioni all’anoressia, non significa che possiamo cambiare tutto di punto in bianco.
Il punto è che se si comincia ad arrovellarsi eccessivamente sulle motivazioni tali per cui, si finisce per perdersi in una marea di “perchè” inconcludenti. Anche se si riuscisse a trovare una parziale risposta, ciò non significa che questa farà d’incanto cessare il nostro comportamento alimentare scorretto. Inoltre, più si scava e più si troverà da scavare, per cui sarebbe impossibile trovare una risposta a tutti i “perché”, inutile scervellarsi all’eccesso.
Con questo non voglio assolutamente dire che non bisogna chiedersi perchè si sia sviluppato un DCA, ma voglio semplicemente dire che la domanda “perchè?” non è la più utile da farsi. Penso che sarebbe meglio impiegare il proprio tempo chiedendosi cose come:
• Quali sono i momenti/le situazioni che più facilmente possono indurmi ad avere una ricaduta?
• Come posso stare meglio? Come posso mantenermi sulla strada del ricovero?
• Quali sono I “campanelli d’allarme” che mi possono far capire che sto per avere una ricaduta?
• Quali sono i reali benefici che un DCA può darmi? E quail quelli che può darmi il percorrere la strada del ricovero?
• Quali sono le persone che possono darmi una mano mentre percorro questa strada difficile?
Non penso che comprendere i perchè nascosti dietro un DCA possa essere particolarmente doloroso. In fin dei conti, capire che il vero problema non è il cibo ma tutta una serie di problemi personali, quotidiani e relazionali che sfociano sul cibo, certamente aiuta a delocalizzare l’attenzione e concentrare le forse su ciò che bisogna davvero combattere. Il mio problema relativo al chiedersi perché stava nel fatto che credevo che conoscere la risposta significasse automaticamente avere una svolta nel mio percorso di ricovero. È una bella teoria, ma ora come ora ritengo sia anche una visione largamente ottimistica del modo in cui il nostro cervello lavora.
Inoltre una teoria di questo tipo, volendola generalizzare, presuppone l’assunto che ragazze malate di anoressia/bulimia/DCAnas siano fin dal primo momento razionalmente consapevoli della loro malattia – e questo non è sostanzialmente mai il caso. Così come inizialmente non si riescono a razionalizzare i comportamenti sbagliati che il DCA induce: sono più che altro compulsioni. Se una persona ha un OCD (DOC), se ne frega altamente del perché stia facendo una determinata cosa. Può anche comprenderlo, ma in quel momento tutto ciò che desidera è sentirsi meglio. Dover ricominciare a mangiare regolarmente seguendo un "equilibrio alimentare" prescritto da un dietista può spaventare una persona affetta da anoressia, e questa sensazione di spavento c’è e basta, sta lì, non si chiede la sua ragion d’essere. Il cervello non ragiona razionalmente di fronte ai sentimenti.
Non dobbiamo per forza conoscere ogni minimo dettaglio del perchè stiamo facendo una determinate cosa, al fine di smettere di farla. Certo, capire perché la facciamo può darci una mano, ma non è assolutamente necessario. L’importante è farla. L’importante è combattere contro il DCA. Pertanto, la domanda che vorrei fare a chi mi chiede perché io mi sia ammalata di anoressia, è: Perché un sacco di gente continua ad insistere a chiedermi il perché io mi sia ammalata di anoressia?
È una domanda cui volevo conoscere la risposta sia per soddisfare la mia naturale curiosità, sia perché per molto tempo sono stata convinta che, se avessi capito questo, avrei compiuto la svolta fondamentale nel mio percorso di ricovero.
L’idea sottostante questo pensiero era il semplice assunto: Se riesco a capire perché ho iniziato a restringere l’alimentazione, allora troverei la chiave per smettere di farlo.
Il problema sta nel fatto che quest’assunto è di per sè sbagliato. In fin dei conti, ad oggi sappiamo perché il pancreas smette di produrre insulina negli individui affetti da Diabete Mellito di Tipo I, ma tale conoscenza non permette al pancreas di ricominciare magicamente a produrre quest’ormone. Allo stesso modo, comprendere quelle che sono state le nostre personali motivazioni all’anoressia, non significa che possiamo cambiare tutto di punto in bianco.
Il punto è che se si comincia ad arrovellarsi eccessivamente sulle motivazioni tali per cui, si finisce per perdersi in una marea di “perchè” inconcludenti. Anche se si riuscisse a trovare una parziale risposta, ciò non significa che questa farà d’incanto cessare il nostro comportamento alimentare scorretto. Inoltre, più si scava e più si troverà da scavare, per cui sarebbe impossibile trovare una risposta a tutti i “perché”, inutile scervellarsi all’eccesso.
Con questo non voglio assolutamente dire che non bisogna chiedersi perchè si sia sviluppato un DCA, ma voglio semplicemente dire che la domanda “perchè?” non è la più utile da farsi. Penso che sarebbe meglio impiegare il proprio tempo chiedendosi cose come:
• Quali sono i momenti/le situazioni che più facilmente possono indurmi ad avere una ricaduta?
• Come posso stare meglio? Come posso mantenermi sulla strada del ricovero?
• Quali sono I “campanelli d’allarme” che mi possono far capire che sto per avere una ricaduta?
• Quali sono i reali benefici che un DCA può darmi? E quail quelli che può darmi il percorrere la strada del ricovero?
• Quali sono le persone che possono darmi una mano mentre percorro questa strada difficile?
Non penso che comprendere i perchè nascosti dietro un DCA possa essere particolarmente doloroso. In fin dei conti, capire che il vero problema non è il cibo ma tutta una serie di problemi personali, quotidiani e relazionali che sfociano sul cibo, certamente aiuta a delocalizzare l’attenzione e concentrare le forse su ciò che bisogna davvero combattere. Il mio problema relativo al chiedersi perché stava nel fatto che credevo che conoscere la risposta significasse automaticamente avere una svolta nel mio percorso di ricovero. È una bella teoria, ma ora come ora ritengo sia anche una visione largamente ottimistica del modo in cui il nostro cervello lavora.
Inoltre una teoria di questo tipo, volendola generalizzare, presuppone l’assunto che ragazze malate di anoressia/bulimia/DCAnas siano fin dal primo momento razionalmente consapevoli della loro malattia – e questo non è sostanzialmente mai il caso. Così come inizialmente non si riescono a razionalizzare i comportamenti sbagliati che il DCA induce: sono più che altro compulsioni. Se una persona ha un OCD (DOC), se ne frega altamente del perché stia facendo una determinata cosa. Può anche comprenderlo, ma in quel momento tutto ciò che desidera è sentirsi meglio. Dover ricominciare a mangiare regolarmente seguendo un "equilibrio alimentare" prescritto da un dietista può spaventare una persona affetta da anoressia, e questa sensazione di spavento c’è e basta, sta lì, non si chiede la sua ragion d’essere. Il cervello non ragiona razionalmente di fronte ai sentimenti.
Non dobbiamo per forza conoscere ogni minimo dettaglio del perchè stiamo facendo una determinate cosa, al fine di smettere di farla. Certo, capire perché la facciamo può darci una mano, ma non è assolutamente necessario. L’importante è farla. L’importante è combattere contro il DCA. Pertanto, la domanda che vorrei fare a chi mi chiede perché io mi sia ammalata di anoressia, è: Perché un sacco di gente continua ad insistere a chiedermi il perché io mi sia ammalata di anoressia?
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venerdì 2 novembre 2012
Evitare la verità
Sebbene si senta frequentemente parlare del potere della conoscenza, molto spesso l’ignoranza pare comunque preferibile. Soprattutto se si ha un DCA, e si arriva al punto in cui bisogna guardarci in faccia e dirci la verità.
Mi sono chiesta perchè sia così difficile ammettere di avere un DCA e soprattutto raccontarci la verità a proposito di quelli che sono i veri problemi sottostanti che si sono concretizzati clinicamente sotto forma di disturbo alimentare. Sono arrivata alla conclusione che ci siano 3 motivi principali:
1. Ammettere che si ha un DCA richiede un cambiamento di ciò in cui si crede. A ben pensarci, infatti, si ricercano sempre input che confermino quelle che sono le nostre credenze, e si escludono automaticamente quelli che le contrastano.
2. Ammettere che si ha un DCA richiede il successivo compimento di azioni indesiderate. Poiché razionalmente si è consapevoli che il DCA è un qualcosa di pericoloso per la salute, ammetterlo significa, in coscienza, iniziare a combatterlo: andare dai medici, mettere al corrente i familiari, talora andare in clinica… tutte cose estremamente ansiogene. Allora si preferisce continuare a tenere gli occhi chiusi.
3. Ammettere che si ha un DCA ci fa provare emozioni negative. In netto contrasto con tutte le sensazioni emotivamente piacevoli che invece l’anoressia stessa ci aveva fatto provare.
Penso che questi 3 punti, per quanto semplicistici, centrino bene il motivo tale per cui è così difficile iniziare il percorso di ricovero. Per farlo, infatti, bisogna affrontare la verità ammettendo che si è malate, che non si ha il controllo del nostro DCA (e di nessun ambito della nostra vita), che bisognerà iniziare un percorso mirato a porre fine a questi comportamenti alimentari dannosi per la nostra salute. È tanta roba.
Iniziare a percorrere la strada del ricovero significa dover accettare un sacco di verità tutt’altro che piacevoli, e non sempre si è pronte a questo. Il problema è che continuare ad ignorare (o a fingere d’ignorare) la verità, non la rende comunque meno vera.
L’essere umano presenta una sorta di peculiare cecità selettiva verso i problemi che lo riguardano. Da tener presente, peraltro, che questa cecità è individuale, e che gli esterni vendono invece come stanno le cose. Possiamo evitare la verità creandoci il nostro universo alternativo, e talvolta le differenze sono veramente sottili. Non siamo poi così in ritardo, oh, insomma, non troppo in ritardo, oh, insomma, non quando è veramente importante arrivare in orario. E che diamine, in fin dei conti, chi non ha peculiarità riguardo la propria alimentazione? Ci sono un sacco di persone che pesano meno di noi e che sono comunque in salute…. Ma man mano che il DCA procede, l’universo alternativo comincia a diventare sempre più simile alla Zona d’Ombra. Chiunque può mangiare questo gelato senza prendere peso, tranne noi. Il thè verde potrebbe essere calorico, quindi meglio non usarlo. Se si smette adesso di correre di sicuro si prenderà un sacco di peso. E altri pensieri simili.
Se veramente iniziassimo a chiederci quanto davvero sia “normale” il comportamento alimentare di un DCA, e cosa succederebbe se decidessimo di apportarvi un reale cambiamento, dovremo affrontare il fatto che il nostro DCA è molto più problematico di quel che credevano (o volevamo ostinarci a credere) che fosse. Aggiungiamo il fatto che un DCA apporta una buona dose di anosognosia (termine medico che indica l’incapacità d’ammettere che siamo malate), e il nostro cervello potrà continuare a bersi una buona dose di bugie e mezze verità per anni ed anni.
Iniziare a percorrere la strada del ricovero significa ammettere che per tanti anni abbiamo vissuto una bugia. Significa affrontare di petto tutti i problemi che veramente abbiamo dentro e che hanno portato all’insorgenza del disturbo alimentare, e rompere la routine che, per quanto malata, era comunque in grado di lenire l’ansia. Significa entrare nel mondo di ciò da cui per tanto tempo eravamo scappate.
È molto più semplice, perciò, evitare la verità, mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, ed continuare ad ignorare (o a fingere d’ignorare) tutto quanto.
Certo, la verità prima o poi finisce comunque per venire a galla, quando si sta fisicamente/mentalmente troppo male per tirare avanti con l’anoressia. Ma fa così paura che si preferisce evitarla fino all’ultimo.
C’è però un qualcosa che forse molte di voi non sanno, o comunque più che non saperlo non lo concretizzano: affrontare la verità e andare avanti a testa alta non è così terribile come crediamo sia prima di farlo. Ovvio, non è certo piacevole, ma estirpare le bugie che l’anoressia ci fa raccontare agli altri e, soprattutto, a noi stesse, ci dà la possibilità di affrontare la vita per quello che è veramente. E ci fa vedere che possiamo riuscirci e che, perciò, siamo molto più forti di quel che credevamo di essere.
Mi sono chiesta perchè sia così difficile ammettere di avere un DCA e soprattutto raccontarci la verità a proposito di quelli che sono i veri problemi sottostanti che si sono concretizzati clinicamente sotto forma di disturbo alimentare. Sono arrivata alla conclusione che ci siano 3 motivi principali:
1. Ammettere che si ha un DCA richiede un cambiamento di ciò in cui si crede. A ben pensarci, infatti, si ricercano sempre input che confermino quelle che sono le nostre credenze, e si escludono automaticamente quelli che le contrastano.
2. Ammettere che si ha un DCA richiede il successivo compimento di azioni indesiderate. Poiché razionalmente si è consapevoli che il DCA è un qualcosa di pericoloso per la salute, ammetterlo significa, in coscienza, iniziare a combatterlo: andare dai medici, mettere al corrente i familiari, talora andare in clinica… tutte cose estremamente ansiogene. Allora si preferisce continuare a tenere gli occhi chiusi.
3. Ammettere che si ha un DCA ci fa provare emozioni negative. In netto contrasto con tutte le sensazioni emotivamente piacevoli che invece l’anoressia stessa ci aveva fatto provare.
Penso che questi 3 punti, per quanto semplicistici, centrino bene il motivo tale per cui è così difficile iniziare il percorso di ricovero. Per farlo, infatti, bisogna affrontare la verità ammettendo che si è malate, che non si ha il controllo del nostro DCA (e di nessun ambito della nostra vita), che bisognerà iniziare un percorso mirato a porre fine a questi comportamenti alimentari dannosi per la nostra salute. È tanta roba.
Iniziare a percorrere la strada del ricovero significa dover accettare un sacco di verità tutt’altro che piacevoli, e non sempre si è pronte a questo. Il problema è che continuare ad ignorare (o a fingere d’ignorare) la verità, non la rende comunque meno vera.
L’essere umano presenta una sorta di peculiare cecità selettiva verso i problemi che lo riguardano. Da tener presente, peraltro, che questa cecità è individuale, e che gli esterni vendono invece come stanno le cose. Possiamo evitare la verità creandoci il nostro universo alternativo, e talvolta le differenze sono veramente sottili. Non siamo poi così in ritardo, oh, insomma, non troppo in ritardo, oh, insomma, non quando è veramente importante arrivare in orario. E che diamine, in fin dei conti, chi non ha peculiarità riguardo la propria alimentazione? Ci sono un sacco di persone che pesano meno di noi e che sono comunque in salute…. Ma man mano che il DCA procede, l’universo alternativo comincia a diventare sempre più simile alla Zona d’Ombra. Chiunque può mangiare questo gelato senza prendere peso, tranne noi. Il thè verde potrebbe essere calorico, quindi meglio non usarlo. Se si smette adesso di correre di sicuro si prenderà un sacco di peso. E altri pensieri simili.
Se veramente iniziassimo a chiederci quanto davvero sia “normale” il comportamento alimentare di un DCA, e cosa succederebbe se decidessimo di apportarvi un reale cambiamento, dovremo affrontare il fatto che il nostro DCA è molto più problematico di quel che credevano (o volevamo ostinarci a credere) che fosse. Aggiungiamo il fatto che un DCA apporta una buona dose di anosognosia (termine medico che indica l’incapacità d’ammettere che siamo malate), e il nostro cervello potrà continuare a bersi una buona dose di bugie e mezze verità per anni ed anni.
Iniziare a percorrere la strada del ricovero significa ammettere che per tanti anni abbiamo vissuto una bugia. Significa affrontare di petto tutti i problemi che veramente abbiamo dentro e che hanno portato all’insorgenza del disturbo alimentare, e rompere la routine che, per quanto malata, era comunque in grado di lenire l’ansia. Significa entrare nel mondo di ciò da cui per tanto tempo eravamo scappate.
È molto più semplice, perciò, evitare la verità, mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, ed continuare ad ignorare (o a fingere d’ignorare) tutto quanto.
Certo, la verità prima o poi finisce comunque per venire a galla, quando si sta fisicamente/mentalmente troppo male per tirare avanti con l’anoressia. Ma fa così paura che si preferisce evitarla fino all’ultimo.
C’è però un qualcosa che forse molte di voi non sanno, o comunque più che non saperlo non lo concretizzano: affrontare la verità e andare avanti a testa alta non è così terribile come crediamo sia prima di farlo. Ovvio, non è certo piacevole, ma estirpare le bugie che l’anoressia ci fa raccontare agli altri e, soprattutto, a noi stesse, ci dà la possibilità di affrontare la vita per quello che è veramente. E ci fa vedere che possiamo riuscirci e che, perciò, siamo molto più forti di quel che credevamo di essere.
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venerdì 26 ottobre 2012
Relazionarsi ai commenti altrui
Poiché ho riportato il mio indirizzo e-mail in testa alla colonnina di destra del blog, molte di voi mi scrivono chiedendomi consigli in merito ai più svariati ambiti interenti anoressia e bulimia.
Dato che però, ultimamente, mi sono arrivate parecchie mail in cui mi viene richiesto come relazionarsi ai commenti che la gente fa in merito al peso e all’alimentazione, commenti fastidiosi, pungenti, o anche espressi con l’intento di incoraggiare, ma che comunque risultano inopportuni e che rappresentano dunque dei fattori di trigger per una ricaduta nel DCA, ho deciso di scrivere questo post in cui voglio condividere con tutte voi i miei pensieri al riguardo.
1. E’ inevitabile. Le persone fanno sempre commenti quando vedono qualcosa di anomalo, e non sempre pensano abbastanza nè a quello che dicono, nè a chi è la persona cui lo dicono. È inevitabile. Non c’è modo di prevenire questi commenti. Non c’è modo di evitarli nè di stopparli, quindi non perdete tempo nel tentativo di farlo. Risparmiate piuttosto le vostre energie per cercare una strategia di coping a questi commenti che sia differente da quella disfunzionale suggerita dal DCA.
2. Fate un respiro profondo. Prima di fare qualsiasi cosa – prima di sclerare, prima di mandare a fanculo la persona che vi sta di fronte, prima di fare un falso sorriso per poi scoppiare a piangere quando siete sicure che nessuno vi guarda, prima di essere soverchiate dai pensieri indotti dal DCA – respirate. Qualsiasi cosa diciate in risposta a quel commento, sarà una buona idea se vi date un attimo il tempo di pensarci. Se vi prendete qualche secondo, potrete riprendervi dal brutto impatto dato da quel commento, e concretizzare che le spiacevoli sensazioni che esso vi genera sono solo determinate dalla parte della vostra mente che è ancora vincolata al DCA, e che quindi voi avete anche una parte della vostra mente che è priva del DCA e che quindi è più forte di qualsiasi parola vi venga rivolta.
3. Non si tratta di voi, si tratta di loro. Quando qualcuno fa un commento sul vostro aspetto fisico o su quello che mangiate/non mangiate, quel qualcuno fa semplicemente un’osservazione oggettiva su una cosa che ha notato. Il commento è inerente quella specifica cosa, non la vostra persona in toto. E’ ovvio che la gente noti le anomalie, e quando le nota ci sta che le esprima ad alta voce. Ma se una persona critica quello che mangiate – al di là della maleducazione intrinseca nella critica – è probabilmente per il semplice fatto che, oggettivamente, il vostro comportamento alimentare è erroneo. Tutto qui. E’ un giudizio negativo sulla vostra alimentazione, non su di voi come persone. Quindi, non prendetela sul personale.
4. Siate consapevoli dei vostri limiti. Prima d’impergolarvi in una qualche situazione, provate ad immaginare come potrebbero andare le cose. Per esempio, se andate ad una festa di compleanno, provate ad immaginare chi sarà presente, quali saranno le cose che potrete fare, quali saranno i commenti che gli altri potrebbero fare su di voi. Se pensate di non essere capaci di reggere psicologicamente la situazione, e tutti i commenti che ne scaturiranno, evitate di andare ad infilatrici.
5. Siate consapevoli di chi è la persona che vi sta di fronte e lancia il commento. Purtroppo ci sono persone che continuano a pensare che un DCA è il capriccio di ragazzine egocentriche, l’hanno sempre pensato, e continueranno sempre a pensarlo. La mia risposta a persone che dicono una cosa del genere è un dito medio alzato o qualcosa di simile. Ci sono altre persone che sono disposte a comprendere cosa sia utile ed appropriato per una persona che ha un DCA, e cosa invece non lo è. Quindi, meglio parlare esplicitamente con loro di quali sono i commenti che possono darci fastidio e farci ri-precipitare verso il DCA, in maniera tale da evitare che questi possano in futuro farne. Conoscere la differenza tra la prima e la seconda categoria di persone può risparmiare un sacco di problemi.
6. Non cercate di giustificarvi. Non avete l’obbligo di spiegare per filo e per segno a chi fa un commento sul vostro corpo o su ciò che mangiate in cosa consiste il vostro DCA. È possibile rispondere a delle domande e fornire comunque informazioni minime. Se qualcuno vi dice che siete troppo magre, potete rispondergli semplicemente che state attraversando un periodo di particolare stress. Se vengono fatti commenti su ciò che mangiate, ditegli di non preoccuparsi perché siete seguite da un dietista al fine di poter mangiare nella maniera più corretta possibile. E’ la vostra vita, e il DCA è una cosa molto intima: non dovete parlarne con nessuno che non vogliate.
7. Potete decidere di non rispondere. Non è la stessa cosa del farsi mettere i piedi in testa di quando ci viene detto qualcosa e, pur volendo ribattere, rimaniamo senza parole. Non significa essere evasive. Significa fare una scelta per noi stesse. Alcune persone si potranno sdegnare. Va benissimo, è un loro problema. Il vostro obiettivo non è quello di rendere tutti felici. E per approfondire questo concetto, al prossimo punto.
8. Tenete bene a mente il vostro obiettivo. Quando le persone fanno qualche commento che vi fa star male in merito al vostro aspetto fisico o alla vostra alimentazione, ricordate sempre che il vostro obiettivo finale è quello di stare meglio. Di essere meno oppresse dalla vostra anoressia/bulimia. Questo è ciò che conta davvero: voi sapete che combattere è la cosa giusta da fare, perciò non lasciate che i commenti altrui vi buttino giù o vi tolgano la voglia di lottare. Perché voi sapete qual è la cosa giusta da fare per voi stesse.
9. Avete sempre la possibilità di fare una scelta. Le scelte sono difficili da fare, si sa. E la scelta più giusta da fare non è mai la più facile né la più divertente. A volte, pur sapendo qual è la scelta giusta, desidereremmo che fosse un’altra la direzione da prendere. Ma se c’è una cosa che possiamo fare per noi stesse, è combattere a prescindere da quel che possono pensare/dire gli altri della nostra lotta. Avete intenzione di scegliere una vita in cui possiate essere fisicamente sane, con la mente non più completamente devastata dalle ossessioni dettate dal DCA, anche se qualcuno potrebbe fare commenti sul fatto che avete ripreso peso, o preferite riscivolare tra le braccia del DCA, con tutto ciò che questo comporta? Decidere di combattere è sicuramente la scelta più dura e difficile, nell’immediato, ma quella che vi apporterà i maggiori benefici a lungo termine. Allo stesso modo, potete scegliere di dare le spalle a chi fa commenti indelicati su di voi, nel momento in cui percorrete la strada del ricovero. Potete cercare di avere quanto meno possibile a che fare con le persone che non sanno tenere la bocca chiusa, e cercare di circondarvi invece di persone supportive.
Spero che quanto ho scritto possa esservi in qualche modo d’aiuto, fatemi sapere cosa ne pensate.
E se volete aggiungere qualche altro punto alla mia lista, mi piacerebbe lo faceste nei commenti! Siete tutte le benvenute!
Dato che però, ultimamente, mi sono arrivate parecchie mail in cui mi viene richiesto come relazionarsi ai commenti che la gente fa in merito al peso e all’alimentazione, commenti fastidiosi, pungenti, o anche espressi con l’intento di incoraggiare, ma che comunque risultano inopportuni e che rappresentano dunque dei fattori di trigger per una ricaduta nel DCA, ho deciso di scrivere questo post in cui voglio condividere con tutte voi i miei pensieri al riguardo.
1. E’ inevitabile. Le persone fanno sempre commenti quando vedono qualcosa di anomalo, e non sempre pensano abbastanza nè a quello che dicono, nè a chi è la persona cui lo dicono. È inevitabile. Non c’è modo di prevenire questi commenti. Non c’è modo di evitarli nè di stopparli, quindi non perdete tempo nel tentativo di farlo. Risparmiate piuttosto le vostre energie per cercare una strategia di coping a questi commenti che sia differente da quella disfunzionale suggerita dal DCA.
2. Fate un respiro profondo. Prima di fare qualsiasi cosa – prima di sclerare, prima di mandare a fanculo la persona che vi sta di fronte, prima di fare un falso sorriso per poi scoppiare a piangere quando siete sicure che nessuno vi guarda, prima di essere soverchiate dai pensieri indotti dal DCA – respirate. Qualsiasi cosa diciate in risposta a quel commento, sarà una buona idea se vi date un attimo il tempo di pensarci. Se vi prendete qualche secondo, potrete riprendervi dal brutto impatto dato da quel commento, e concretizzare che le spiacevoli sensazioni che esso vi genera sono solo determinate dalla parte della vostra mente che è ancora vincolata al DCA, e che quindi voi avete anche una parte della vostra mente che è priva del DCA e che quindi è più forte di qualsiasi parola vi venga rivolta.
3. Non si tratta di voi, si tratta di loro. Quando qualcuno fa un commento sul vostro aspetto fisico o su quello che mangiate/non mangiate, quel qualcuno fa semplicemente un’osservazione oggettiva su una cosa che ha notato. Il commento è inerente quella specifica cosa, non la vostra persona in toto. E’ ovvio che la gente noti le anomalie, e quando le nota ci sta che le esprima ad alta voce. Ma se una persona critica quello che mangiate – al di là della maleducazione intrinseca nella critica – è probabilmente per il semplice fatto che, oggettivamente, il vostro comportamento alimentare è erroneo. Tutto qui. E’ un giudizio negativo sulla vostra alimentazione, non su di voi come persone. Quindi, non prendetela sul personale.
4. Siate consapevoli dei vostri limiti. Prima d’impergolarvi in una qualche situazione, provate ad immaginare come potrebbero andare le cose. Per esempio, se andate ad una festa di compleanno, provate ad immaginare chi sarà presente, quali saranno le cose che potrete fare, quali saranno i commenti che gli altri potrebbero fare su di voi. Se pensate di non essere capaci di reggere psicologicamente la situazione, e tutti i commenti che ne scaturiranno, evitate di andare ad infilatrici.
5. Siate consapevoli di chi è la persona che vi sta di fronte e lancia il commento. Purtroppo ci sono persone che continuano a pensare che un DCA è il capriccio di ragazzine egocentriche, l’hanno sempre pensato, e continueranno sempre a pensarlo. La mia risposta a persone che dicono una cosa del genere è un dito medio alzato o qualcosa di simile. Ci sono altre persone che sono disposte a comprendere cosa sia utile ed appropriato per una persona che ha un DCA, e cosa invece non lo è. Quindi, meglio parlare esplicitamente con loro di quali sono i commenti che possono darci fastidio e farci ri-precipitare verso il DCA, in maniera tale da evitare che questi possano in futuro farne. Conoscere la differenza tra la prima e la seconda categoria di persone può risparmiare un sacco di problemi.
6. Non cercate di giustificarvi. Non avete l’obbligo di spiegare per filo e per segno a chi fa un commento sul vostro corpo o su ciò che mangiate in cosa consiste il vostro DCA. È possibile rispondere a delle domande e fornire comunque informazioni minime. Se qualcuno vi dice che siete troppo magre, potete rispondergli semplicemente che state attraversando un periodo di particolare stress. Se vengono fatti commenti su ciò che mangiate, ditegli di non preoccuparsi perché siete seguite da un dietista al fine di poter mangiare nella maniera più corretta possibile. E’ la vostra vita, e il DCA è una cosa molto intima: non dovete parlarne con nessuno che non vogliate.
7. Potete decidere di non rispondere. Non è la stessa cosa del farsi mettere i piedi in testa di quando ci viene detto qualcosa e, pur volendo ribattere, rimaniamo senza parole. Non significa essere evasive. Significa fare una scelta per noi stesse. Alcune persone si potranno sdegnare. Va benissimo, è un loro problema. Il vostro obiettivo non è quello di rendere tutti felici. E per approfondire questo concetto, al prossimo punto.
8. Tenete bene a mente il vostro obiettivo. Quando le persone fanno qualche commento che vi fa star male in merito al vostro aspetto fisico o alla vostra alimentazione, ricordate sempre che il vostro obiettivo finale è quello di stare meglio. Di essere meno oppresse dalla vostra anoressia/bulimia. Questo è ciò che conta davvero: voi sapete che combattere è la cosa giusta da fare, perciò non lasciate che i commenti altrui vi buttino giù o vi tolgano la voglia di lottare. Perché voi sapete qual è la cosa giusta da fare per voi stesse.
9. Avete sempre la possibilità di fare una scelta. Le scelte sono difficili da fare, si sa. E la scelta più giusta da fare non è mai la più facile né la più divertente. A volte, pur sapendo qual è la scelta giusta, desidereremmo che fosse un’altra la direzione da prendere. Ma se c’è una cosa che possiamo fare per noi stesse, è combattere a prescindere da quel che possono pensare/dire gli altri della nostra lotta. Avete intenzione di scegliere una vita in cui possiate essere fisicamente sane, con la mente non più completamente devastata dalle ossessioni dettate dal DCA, anche se qualcuno potrebbe fare commenti sul fatto che avete ripreso peso, o preferite riscivolare tra le braccia del DCA, con tutto ciò che questo comporta? Decidere di combattere è sicuramente la scelta più dura e difficile, nell’immediato, ma quella che vi apporterà i maggiori benefici a lungo termine. Allo stesso modo, potete scegliere di dare le spalle a chi fa commenti indelicati su di voi, nel momento in cui percorrete la strada del ricovero. Potete cercare di avere quanto meno possibile a che fare con le persone che non sanno tenere la bocca chiusa, e cercare di circondarvi invece di persone supportive.
Spero che quanto ho scritto possa esservi in qualche modo d’aiuto, fatemi sapere cosa ne pensate.
E se volete aggiungere qualche altro punto alla mia lista, mi piacerebbe lo faceste nei commenti! Siete tutte le benvenute!
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venerdì 19 ottobre 2012
Anoressia: questo è per te.
Dear Anorexia, please, watch this video. It’s about what I want to say you. If you look, you can see it in my eyes: those are courage eyes. I don’t need you no more, and if you think otherwise… you are definitively blind. Life with you… it made me feel strong and in control, but now I know they were only lies you told me. I can do better without you – just want you to know.
(Cara Anoressia, per favore, guarda questo video. Riassume tutto quello che vorrei dirti. Se mi guardi negli occhi, te ne accorgerai: quella che ho iniziato è la danza del coraggio. Non ho più bisogno di te, e se tu la vedi diversamente… bè, vuol dire che sei completamente cieca. La mia vita con te… mi facevi sentire forte e in controllo, ma adesso so che erano tutte solo bugie. Me la caverò meglio senza di te – volevo solo lo sapessi.)
Traduzione (mia) del testo della canzone ("Skyscraper") che fa da soundtrack al video… che spero vi piaccia.
I cieli stanno piangendo, io sto a guardare, raccogliendo le lacrime nelle mie mani. Alla fine è rimasto soltanto il silenzio, come se non avessimo mai avuto scelta. Devi proprio farmi sentire come se non fosse rimasto più niente di me stessa? RIT:[Puoi prendere tutto quello che ho, puoi distruggere tutto quello che sono, come se fossi fatta di vetro, come se fossi fatta di carta. Vai avanti e prova a demolirmi, io mi risolleverò da terra come un grattacielo, come un grattacielo.] Appena il fumo che hai gettato nei miei occhi svanisce, io mi risveglio e ti districo da me. Pensi che potrebbe farti stare meglio il guardare le mie ferite che sanguinano? Tutte le mie finestre sono ancora rotte, ma adesso sono in grado di stare in piedi da sola. RIT: [Puoi prendere tutto quello che ho…] Va’, corri, corri, corri, io ho intenzione di restare ferma qui mentre ti guardo scomparire. Va’, corri, corri, corri, sì, è un lungo cammino verso il basso, ma io sono più vicina alle nuvole quassù. RIT: [Puoi prendere tutto quello che ho…]
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venerdì 12 ottobre 2012
L'anoressia vista dall'esterno
(ovvero: perchè scrivo sempre che chi non ha vissuto l'anoressia sulla propria pelle non la può capire.)
L’altro giorno ho letto un articolo che ho trovato su Inernet, a proposito degli studi svolti da V.S. Ramachandran e, nella fattispecie, si parlava della teoria della mente. Quel che vi ho trovato scritto mi ha fatto pensare a come le persone che non hanno l’anoressia/la bulimia (e, anche quelle che ce l’hanno, ovviamente) provano a comprendere l’affezione di un’altra persona.
Teoria della mente è il termine neurologico per indicare come si può provare a capire che cosa qualcun altro sta pensando. O, per dirla citando Wikipedia:
"La teoria della mente è l’abilità di attribuire stati mentali – credenze, intenti, desideri,ragionamenti, conoscienze, etc – a se stessi e agli altri, e capire che gli altri hanno credenze, desideri e intenzioni che sono differenti dalle proprie."
Se vedete qualcuno che sta cercando un bicchiere d’acqua, sicuramente penserete che quella persona ha sete. Dopotutto, è questa la principale motivazione per cui anche voi cerchereste un bicchiere d’acqua: perché siete assetate. Il bicchiere è un contenitore, l’acqua è un qualcosa da bere che disseta… Ta-dah! E non c’è bisogno che voi in quel momento abbiate sete per comprendere che qualcun altro può averla.
Cruciale per capire le motivazioni di qualcun altro, è il comprendere le proprie. Noi sappiamo cos’è la sete, sappiamo che l’acqua la fa passare, sappiamo che per ottenere questo risultato è necessario portare il bicchiere alle labbra e deglutirne il contenuto.
Dunque, vi starete chiedendo, ma tutto questo cos’ha a che fare con l’anoressia? Ebbene, la maggior parte delle ricerche che correlano i DCA con la teoria della mente sono relative ad eventuali deficit che le persone affette da anoressia o bulimia potrebbero avere in merito alle aree cerebrali che si occupano della comprensione. Uno studio condotto nel 2010, per esempio, ha evidenziato che le donne affette da anoressia avevano difficoltà a comprendere le emozioni altrui, il che è un aspetto della teoria della mente. Le donne affette da bulimia, invece, si mettevano più facilmente in sintonia con le emozioni altrui… ma solo se si trattava di emozioni negative.
Tutto ciò è certamente interessante, ma ancora non ci dice in che modo chi non ha mai vissuto un DCA possa comprendere cosa significhi averne uno. Non so se è mai stata fatta una ricerca mirata a tal riguardo, o come si potrebbe peraltro anche solo provare a misurare il grado di empatia di una persona comune nei confronti di una affetta da anoressia o bulimia. Ma fondamentale per comprendere le esperienze di chiunque, di qualsiasi cosa, è la teoria della mente.
Immaginate questo: qualcuna delle vostre colleghe di lavoro (o delle vostre compagne di classe) ha smesso di mangiare a pranzo un panino, e lo ha sostituito con un’insalata. Questa persona dice di voler perdere qualche chilo. Per una persona che non ha un DCA, questo significa semplicemente che la sua collega (o compagna di classe) si è messa a dieta per un po’. Come un sacco di gente a questo mondo, la vostra collega vuole essere più magra. Tuttavia, può accadere che, a differenza di quello che fanno la maggior parte delle persone, la “dieta” della vostra collega non s’interrompe quando lei perde qualche chilo. Va avanti e avanti, e lei continua a mangiare solo insalate anche quando è in evidente sottopeso. Così la persona che non ha un DCA immagina che la sua collega possa essere anoressica.
L’unico modo che ha a disposizione una persona che non ha vissuto un DCA per capire l’anoressia è fare riferimento alla propria esperienza. Molte persone, nel corso della propria vita, hanno seguito per un po’ delle diete. Si sono sottoposte spesso a controlli ponderali, si sono guardate e riguardate alle specchio, hanno provato vestiti di taglie diverse. L’anoressia è certamente molto più mentale, meno basata sulla fisicità, e sicuramente molto più estrema, ma la maggior parte della gente non ha mai trovato un piatto di spaghetti più ansiogeno di un piatto di serpenti vivi. Per cui, chi non ha vissuto un DCA conosce solo il classico “fare la dieta per un po’”, e questo è il loro unico punto di riferimento.
Questo, purtroppo, può essere “pericoloso” nel momento in cui una persona che non ha un DCA va a relazionarsi con una persona che invece ce l’ha. “Pericoloso” sotto più punti di vista: 1) Le persone credono di sapere cosa voglia dire avere un DCA solo perché hanno fatto qualche dieta e 2) l’anoressia viene percepita dagli altri semplicemente come il desiderio di dimagrire che viene portato troppo all’estremo. Certo, esistono persone che cadono in un DCA perché sono effettivamente sovrappeso, e il seguire una dieta gli prende troppo la mano, ma queste persone sono la minoranza. Per lo più, le persone che sviluppano un DCA non hanno, originariamente, problemi di peso, e la perdita di peso non è veramente il fattore motivante. Ciò che sottende un DCA è infatti il bisogno di controllo, la necessità di trovare una strategia di coping per tenere a bada l’ansia, il crearsi una “coperta di Linus” che possa momentaneamente celare tutti gli altri problemi della vita, il bisogno di sentirsi forti nell’autocontrollo più completo.
Provate a spiegare ad una persona che non ha mai avuto un DCA cosa sia la vostra anoressia. Provate a spiegargli quello che vi passa per la mente. Tutti capiranno il bisogno di dimagrire, perché è un qualcosa che in molti hanno provato sulla propria pelle. Anche se la motivazione che spinge a dimagrire è nei due casi differente, la sensazione provata è la stessa. Ma nessuno che non l’abbia vissuto può capire i sentimenti. E nessuno che l’ha vissuto può mettere in parole, esattamente, quelli che sono i propri sentimenti, e spiegare come la soppressione dell’ansia e la necessità di controllo siano il leit-motive dell’anoressia. Perché a un certo punto l’empatia non basta: si capisce veramente solo quello che si è vissuto.
In ogni caso… cosa ne pensate? Le persone che vi stanno intorno hanno difficoltà a comprendere il vostro DCA? Vi è capitato di provare a spiegarlo a qualcuno? Vi è sembrato che quelle persone dopo le vostre spiegazioni avessero un’idea più realistica, rispetto al solito stereotipo proposto dai media, di quella che è l’anoressia?
L’altro giorno ho letto un articolo che ho trovato su Inernet, a proposito degli studi svolti da V.S. Ramachandran e, nella fattispecie, si parlava della teoria della mente. Quel che vi ho trovato scritto mi ha fatto pensare a come le persone che non hanno l’anoressia/la bulimia (e, anche quelle che ce l’hanno, ovviamente) provano a comprendere l’affezione di un’altra persona.
Teoria della mente è il termine neurologico per indicare come si può provare a capire che cosa qualcun altro sta pensando. O, per dirla citando Wikipedia:
"La teoria della mente è l’abilità di attribuire stati mentali – credenze, intenti, desideri,ragionamenti, conoscienze, etc – a se stessi e agli altri, e capire che gli altri hanno credenze, desideri e intenzioni che sono differenti dalle proprie."
Se vedete qualcuno che sta cercando un bicchiere d’acqua, sicuramente penserete che quella persona ha sete. Dopotutto, è questa la principale motivazione per cui anche voi cerchereste un bicchiere d’acqua: perché siete assetate. Il bicchiere è un contenitore, l’acqua è un qualcosa da bere che disseta… Ta-dah! E non c’è bisogno che voi in quel momento abbiate sete per comprendere che qualcun altro può averla.
Cruciale per capire le motivazioni di qualcun altro, è il comprendere le proprie. Noi sappiamo cos’è la sete, sappiamo che l’acqua la fa passare, sappiamo che per ottenere questo risultato è necessario portare il bicchiere alle labbra e deglutirne il contenuto.
Dunque, vi starete chiedendo, ma tutto questo cos’ha a che fare con l’anoressia? Ebbene, la maggior parte delle ricerche che correlano i DCA con la teoria della mente sono relative ad eventuali deficit che le persone affette da anoressia o bulimia potrebbero avere in merito alle aree cerebrali che si occupano della comprensione. Uno studio condotto nel 2010, per esempio, ha evidenziato che le donne affette da anoressia avevano difficoltà a comprendere le emozioni altrui, il che è un aspetto della teoria della mente. Le donne affette da bulimia, invece, si mettevano più facilmente in sintonia con le emozioni altrui… ma solo se si trattava di emozioni negative.
Tutto ciò è certamente interessante, ma ancora non ci dice in che modo chi non ha mai vissuto un DCA possa comprendere cosa significhi averne uno. Non so se è mai stata fatta una ricerca mirata a tal riguardo, o come si potrebbe peraltro anche solo provare a misurare il grado di empatia di una persona comune nei confronti di una affetta da anoressia o bulimia. Ma fondamentale per comprendere le esperienze di chiunque, di qualsiasi cosa, è la teoria della mente.
Immaginate questo: qualcuna delle vostre colleghe di lavoro (o delle vostre compagne di classe) ha smesso di mangiare a pranzo un panino, e lo ha sostituito con un’insalata. Questa persona dice di voler perdere qualche chilo. Per una persona che non ha un DCA, questo significa semplicemente che la sua collega (o compagna di classe) si è messa a dieta per un po’. Come un sacco di gente a questo mondo, la vostra collega vuole essere più magra. Tuttavia, può accadere che, a differenza di quello che fanno la maggior parte delle persone, la “dieta” della vostra collega non s’interrompe quando lei perde qualche chilo. Va avanti e avanti, e lei continua a mangiare solo insalate anche quando è in evidente sottopeso. Così la persona che non ha un DCA immagina che la sua collega possa essere anoressica.
L’unico modo che ha a disposizione una persona che non ha vissuto un DCA per capire l’anoressia è fare riferimento alla propria esperienza. Molte persone, nel corso della propria vita, hanno seguito per un po’ delle diete. Si sono sottoposte spesso a controlli ponderali, si sono guardate e riguardate alle specchio, hanno provato vestiti di taglie diverse. L’anoressia è certamente molto più mentale, meno basata sulla fisicità, e sicuramente molto più estrema, ma la maggior parte della gente non ha mai trovato un piatto di spaghetti più ansiogeno di un piatto di serpenti vivi. Per cui, chi non ha vissuto un DCA conosce solo il classico “fare la dieta per un po’”, e questo è il loro unico punto di riferimento.
Questo, purtroppo, può essere “pericoloso” nel momento in cui una persona che non ha un DCA va a relazionarsi con una persona che invece ce l’ha. “Pericoloso” sotto più punti di vista: 1) Le persone credono di sapere cosa voglia dire avere un DCA solo perché hanno fatto qualche dieta e 2) l’anoressia viene percepita dagli altri semplicemente come il desiderio di dimagrire che viene portato troppo all’estremo. Certo, esistono persone che cadono in un DCA perché sono effettivamente sovrappeso, e il seguire una dieta gli prende troppo la mano, ma queste persone sono la minoranza. Per lo più, le persone che sviluppano un DCA non hanno, originariamente, problemi di peso, e la perdita di peso non è veramente il fattore motivante. Ciò che sottende un DCA è infatti il bisogno di controllo, la necessità di trovare una strategia di coping per tenere a bada l’ansia, il crearsi una “coperta di Linus” che possa momentaneamente celare tutti gli altri problemi della vita, il bisogno di sentirsi forti nell’autocontrollo più completo.
Provate a spiegare ad una persona che non ha mai avuto un DCA cosa sia la vostra anoressia. Provate a spiegargli quello che vi passa per la mente. Tutti capiranno il bisogno di dimagrire, perché è un qualcosa che in molti hanno provato sulla propria pelle. Anche se la motivazione che spinge a dimagrire è nei due casi differente, la sensazione provata è la stessa. Ma nessuno che non l’abbia vissuto può capire i sentimenti. E nessuno che l’ha vissuto può mettere in parole, esattamente, quelli che sono i propri sentimenti, e spiegare come la soppressione dell’ansia e la necessità di controllo siano il leit-motive dell’anoressia. Perché a un certo punto l’empatia non basta: si capisce veramente solo quello che si è vissuto.
In ogni caso… cosa ne pensate? Le persone che vi stanno intorno hanno difficoltà a comprendere il vostro DCA? Vi è capitato di provare a spiegarlo a qualcuno? Vi è sembrato che quelle persone dopo le vostre spiegazioni avessero un’idea più realistica, rispetto al solito stereotipo proposto dai media, di quella che è l’anoressia?
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venerdì 5 ottobre 2012
Per combattere giorno dopo giorno...
E’ difficile percorrere la strada del ricovero, è difficile combattere giorno dopo giorno contro l’anoressia, ed è perciò comune e frequente trovarsi di fronte a momenti di difficoltà che appaiono insormontabili, avere delle ricadute, pensare di non potercela fare.
Eppure, spesso sono proprio queste difficoltà che ci forgiano, è il decidere di tenere duro nonostante tutto che ci rende delle persone forti, è il rialzarsi da ogni ricaduta nell’anoressia che ci fornisce la possibilità di ricominciare a combattere con ancor più determinazione.
Perciò, vorrei darvi alcuni consigli su come affrontare giornalmente la nostra battaglia quotidiana contro l’anoressia.
1. Nessuna è ciò che le è accaduto nel passato. Non importa quanto il DCA abbia impezzato la vostra vita in passato: il vostro futuro è ancora tutto da vivere. Voi non siete le ossessioni che l’anoressia vi ha messo in testa per tanto tempo. Voi non siete le ricadute nella malattia che avete avuto. Voi non siete necessariamente quello che siete state. Voi siete solo e soltanto ciò che pensate di essere in questo momento. Voi siete solo e soltanto quello che fate adesso contro l’anoressia: delle guerriere.
2. Concentratevi su ciò che avete, non su ciò che vi manca. Certo, potreste stare meglio sia fisicamente che mentalmente, potreste avere fatto più passi avanti, potreste avere meno fisse in testa, potreste… Ma pensare in questo modo non vi servirà a niente, salvo a farvi sentire in colpa, è il senso di colpa è notoriamente un inutile spreco di tempo. Pensate piuttosto a quello che di positivo avete fatto sinora, ai passi avanti che siete riuscite a muovere. Pensate a quali sono stati i vostri miglioramenti, e a cosa potreste fare per andare avanti in questa direzione. Lasciate andare ciò che avreste potuto fare, e concentratevi su quanto di prezioso avete realizzato sinora. E siete fiere di voi per questo.
3. Affrontare i veri problemi è basilare per combattere l’anoressia. La restrizione alimentare è un sintomo. Il corpo è un simbolo. Ma il vero problema, e ormai lo sappiamo tutte più che bene, non è il cibo o il peso… i veri problemi sono ben altri. L’anoressia è solo una strategia di coping, ma una coperta di Linus non cancella i problemi, serve solo a nasconderli temporaneamente. Per quanto sia estremamente difficile, è solo affrontandoli, in sede psicoterapica ma anche facendo introspezione, che possiamo risolverli, e così indirettamente allentare anche la morsa dell’anoressia.
4. Le ricadute sono parte inevitabile del processo di ricovero. Non deve andare sempre tutto bene per forza. Non è necessario sorridere sempre e ripetere che va tutto bene. Non c’è niente di così tragico nell’avere una ricaduta. Anzi, la ricaduta va vista in maniera propositiva: non come un fallimento, ma come un errore di percorso da analizzare per non doverlo ripetere.
5. Rialzarsi dopo una ricaduta è fondamentale. Prima accetterete questa verità, meglio sarà. È basilare trovare dentro di sé la forza per rimettersi in piedi dopo ogni sbandamento verso l’anoressia. È importantissimo darsi sempre la possibilità di fare un nuovo tentativo. Non potrete mai essere sicure al 100% che quel nuovo tentativo funzionerà, ma potrete essere sempre sicure al 100% che senza provarci non riuscirete mai a raggiungere il vostro obiettivo. Perciò, se siete ricadute, rialzatevi. Rialzatevi. Rialzatevi e rialzatevi ancora. È il solo modo per arrivare a meta.
6. Avete tutta la capacità di cambiare la vostra vita. Potete decidere di giocare impersonando il ruolo della vittima, lamentandovi di tutto quello che vi va storto e piangendovi addosso, e colpevolizzandovi per ogni errore che commettete. Oppure potete fare una scelta diversa: combattere. Combattere contro l’anoressia è una scelta, non un miracolo. Il ricovero da un DCA è un processo, non un evento.
7. Non ingigantite i problemi. L’anoressia tende a far sembrare come enormi problemi che rivestono scarsa importanza. Perciò non fasciatevi la testa prima di averla battuta, e cercate di osservare i dati di fatto sotto differenti punti di vista. Non fatevi prendere dal panico di fronte ad una difficoltà, ma cercate di valutarla per quello che è e di vedere come possa essere possibile il superarla.
8. Non c’è notte così lunga da impedire al sole di sorgere il giorno dopo. La cattiva notizia è che nulla dura per sempre. La buona notizia è che nulla dura per sempre. Centrato il punto? Niente è perenne, anche quella difficoltà che oggi sembra insuperabile. Ma d’altronde per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.
9. Accettatevi. Lasciamo per un attimo da parte le frasi fatte su come e quanto dovremmo amarci. È complicatissimo amare se stessa per una persona che ha un DCA. Però, ecco, come primo passo, è importante per lo meno cercare di accettarsi per quello che si è, con tutti i nostri difetti che però nascondono altrettanti pregi… cercando di celare i primi e di mettere in evidenza questi ultimi.
10. Non siete sole. Ci sono persone che vi sono più vicine di quanto potreste pensare: i vostri genitori, i vostri familiari, i vostri amici. Sono tutte persone che fanno il tifo per voi. E se non vi sentite comprese da chi vi sta intorno, potete sempre venire qui: siamo in tante che stiamo combattendo, perciò continuiamo a farlo insieme.
11. Meglio una verità dolorosa che una bugia confortante. Le illusioni dell’anoressia sono meravigliose, però tali restano: illusioni. C’è altro da fare: affrontare la realtà. Solo così è possibile digerire la verità e mettere le basi per ripartire e costruire un futuro differente dalla rovina che potrerebbe l’anoressia.
12. Non potete controllare ogni singolo aspetto della vostra vita. L’aspetto fondamentale dell’anoressia, il motivo per cui si abbraccia così strettamente l’anoressia anche quando ci si rende conto che non è poi una scelta così felice come credevamo, è che essa dà comunque l’illusoria sensazione di avere il controllo. Il controllo è il cuore dell’anoressia. Però, se ci pensate, in realtà nella vita sono tantissime le cose che non abbiamo la benché minima possibilità di controllare. Occorre allora rispondere all’ansia che questa constatazione comporta: non si può cambiare il vento, ma si possono dirigere le vele. Si può decidere come reagire, sia da un punto di vista pratico che psicologico, ed è questo l’importante: non controllare, ma reagire.
13. Avete sempre la possibilità di fare una scelta. Non esiste un destino che vincola le persone a rimanere legate all’anoressia. Questa è solo la comoda scusa che tira fuori chi non ha voglia di farsi il culo combattendo. È sempre possibile fare dei passi avanti, ma dovete essere voi a volerlo davvero. A sceglierlo.
14. Date agli altri la possibilità di aiutarvi. Chiedere aiuto non è segno di debolezza, questo è solo ciò che l’anoressia vuole farvi credere. Viceversa, invece, chiedere aiuto è segno di grande forza interiore, responsabilità e maturità. L’anoressia è una malattia mentale, e noi come singole, perciò non possiamo opporci completamente a qualcosa che viene dalla nostra mente. Per questo è importante chiedere aiuto alle persone professionalmente competenti, nonché supporto da chi ci sta vicino nella vita di tutti i giorni.
15. Un nuovo inizio è sempre possibile. Ogni giorno è un nuovo inizio. Ogni giorno può essere il primo del resto della vostra vita. L’anoressia vi ha dato una lezione di vita, sebbene in negativo, e questo può rendere possibile il proiettarvi verso il futuro. Ogni momento può essere quello buono per cominciare a combattere contro l’anoressia. Cominciate adesso.
1. Nessuna è ciò che le è accaduto nel passato. Non importa quanto il DCA abbia impezzato la vostra vita in passato: il vostro futuro è ancora tutto da vivere. Voi non siete le ossessioni che l’anoressia vi ha messo in testa per tanto tempo. Voi non siete le ricadute nella malattia che avete avuto. Voi non siete necessariamente quello che siete state. Voi siete solo e soltanto ciò che pensate di essere in questo momento. Voi siete solo e soltanto quello che fate adesso contro l’anoressia: delle guerriere.
2. Concentratevi su ciò che avete, non su ciò che vi manca. Certo, potreste stare meglio sia fisicamente che mentalmente, potreste avere fatto più passi avanti, potreste avere meno fisse in testa, potreste… Ma pensare in questo modo non vi servirà a niente, salvo a farvi sentire in colpa, è il senso di colpa è notoriamente un inutile spreco di tempo. Pensate piuttosto a quello che di positivo avete fatto sinora, ai passi avanti che siete riuscite a muovere. Pensate a quali sono stati i vostri miglioramenti, e a cosa potreste fare per andare avanti in questa direzione. Lasciate andare ciò che avreste potuto fare, e concentratevi su quanto di prezioso avete realizzato sinora. E siete fiere di voi per questo.
3. Affrontare i veri problemi è basilare per combattere l’anoressia. La restrizione alimentare è un sintomo. Il corpo è un simbolo. Ma il vero problema, e ormai lo sappiamo tutte più che bene, non è il cibo o il peso… i veri problemi sono ben altri. L’anoressia è solo una strategia di coping, ma una coperta di Linus non cancella i problemi, serve solo a nasconderli temporaneamente. Per quanto sia estremamente difficile, è solo affrontandoli, in sede psicoterapica ma anche facendo introspezione, che possiamo risolverli, e così indirettamente allentare anche la morsa dell’anoressia.
4. Le ricadute sono parte inevitabile del processo di ricovero. Non deve andare sempre tutto bene per forza. Non è necessario sorridere sempre e ripetere che va tutto bene. Non c’è niente di così tragico nell’avere una ricaduta. Anzi, la ricaduta va vista in maniera propositiva: non come un fallimento, ma come un errore di percorso da analizzare per non doverlo ripetere.
5. Rialzarsi dopo una ricaduta è fondamentale. Prima accetterete questa verità, meglio sarà. È basilare trovare dentro di sé la forza per rimettersi in piedi dopo ogni sbandamento verso l’anoressia. È importantissimo darsi sempre la possibilità di fare un nuovo tentativo. Non potrete mai essere sicure al 100% che quel nuovo tentativo funzionerà, ma potrete essere sempre sicure al 100% che senza provarci non riuscirete mai a raggiungere il vostro obiettivo. Perciò, se siete ricadute, rialzatevi. Rialzatevi. Rialzatevi e rialzatevi ancora. È il solo modo per arrivare a meta.
6. Avete tutta la capacità di cambiare la vostra vita. Potete decidere di giocare impersonando il ruolo della vittima, lamentandovi di tutto quello che vi va storto e piangendovi addosso, e colpevolizzandovi per ogni errore che commettete. Oppure potete fare una scelta diversa: combattere. Combattere contro l’anoressia è una scelta, non un miracolo. Il ricovero da un DCA è un processo, non un evento.
7. Non ingigantite i problemi. L’anoressia tende a far sembrare come enormi problemi che rivestono scarsa importanza. Perciò non fasciatevi la testa prima di averla battuta, e cercate di osservare i dati di fatto sotto differenti punti di vista. Non fatevi prendere dal panico di fronte ad una difficoltà, ma cercate di valutarla per quello che è e di vedere come possa essere possibile il superarla.
8. Non c’è notte così lunga da impedire al sole di sorgere il giorno dopo. La cattiva notizia è che nulla dura per sempre. La buona notizia è che nulla dura per sempre. Centrato il punto? Niente è perenne, anche quella difficoltà che oggi sembra insuperabile. Ma d’altronde per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.
9. Accettatevi. Lasciamo per un attimo da parte le frasi fatte su come e quanto dovremmo amarci. È complicatissimo amare se stessa per una persona che ha un DCA. Però, ecco, come primo passo, è importante per lo meno cercare di accettarsi per quello che si è, con tutti i nostri difetti che però nascondono altrettanti pregi… cercando di celare i primi e di mettere in evidenza questi ultimi.
10. Non siete sole. Ci sono persone che vi sono più vicine di quanto potreste pensare: i vostri genitori, i vostri familiari, i vostri amici. Sono tutte persone che fanno il tifo per voi. E se non vi sentite comprese da chi vi sta intorno, potete sempre venire qui: siamo in tante che stiamo combattendo, perciò continuiamo a farlo insieme.
11. Meglio una verità dolorosa che una bugia confortante. Le illusioni dell’anoressia sono meravigliose, però tali restano: illusioni. C’è altro da fare: affrontare la realtà. Solo così è possibile digerire la verità e mettere le basi per ripartire e costruire un futuro differente dalla rovina che potrerebbe l’anoressia.
12. Non potete controllare ogni singolo aspetto della vostra vita. L’aspetto fondamentale dell’anoressia, il motivo per cui si abbraccia così strettamente l’anoressia anche quando ci si rende conto che non è poi una scelta così felice come credevamo, è che essa dà comunque l’illusoria sensazione di avere il controllo. Il controllo è il cuore dell’anoressia. Però, se ci pensate, in realtà nella vita sono tantissime le cose che non abbiamo la benché minima possibilità di controllare. Occorre allora rispondere all’ansia che questa constatazione comporta: non si può cambiare il vento, ma si possono dirigere le vele. Si può decidere come reagire, sia da un punto di vista pratico che psicologico, ed è questo l’importante: non controllare, ma reagire.
13. Avete sempre la possibilità di fare una scelta. Non esiste un destino che vincola le persone a rimanere legate all’anoressia. Questa è solo la comoda scusa che tira fuori chi non ha voglia di farsi il culo combattendo. È sempre possibile fare dei passi avanti, ma dovete essere voi a volerlo davvero. A sceglierlo.
14. Date agli altri la possibilità di aiutarvi. Chiedere aiuto non è segno di debolezza, questo è solo ciò che l’anoressia vuole farvi credere. Viceversa, invece, chiedere aiuto è segno di grande forza interiore, responsabilità e maturità. L’anoressia è una malattia mentale, e noi come singole, perciò non possiamo opporci completamente a qualcosa che viene dalla nostra mente. Per questo è importante chiedere aiuto alle persone professionalmente competenti, nonché supporto da chi ci sta vicino nella vita di tutti i giorni.
15. Un nuovo inizio è sempre possibile. Ogni giorno è un nuovo inizio. Ogni giorno può essere il primo del resto della vostra vita. L’anoressia vi ha dato una lezione di vita, sebbene in negativo, e questo può rendere possibile il proiettarvi verso il futuro. Ogni momento può essere quello buono per cominciare a combattere contro l’anoressia. Cominciate adesso.
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venerdì 28 settembre 2012
(Evitare di) Confrontarsi con le altre
Scrivo questo post in risposta ad alcune di voi lettrici, che più volte mi hanno chiesto tramite e-mail come poter fare per cercare di non confrontarsi con le altre quando si è nel pieno con un DCA, e come riuscire a non stare male di fronte al confronto.
So che questo è un qualcosa con cui molte di voi hanno quotidianamente a che fare, ed in effetti è molto difficile non confrontarci con le persone che ci stanno accanto, perché se viene meno il confronto non si ha la misura delle nostre capacità.
Perciò, voglio cogliere quest’opportunità per dire a ciascuna di voi: TU SEI UNICA. Tu sei meravigliosa. Tu sei bellissima. Tu hai un sacco di talenti, anche se ancora non te ne rendi conto, non li vedi in te stessa, e non sai quali possano essere. Tu hai un sacco di qualità positive, sei una bella persona, e ci sono un bel po’ di persone pronte a volerti bene se solo gli permetti di avvicinarsi a te.
Questi sono dati di fatto, queste sono verità, e non c’è alcuna ragione per cui queste affermazioni non possano rispondere a ciascuna di voi, proprio nessuna ragione.
So che leggere queste cose scritte da una ragazza che non conoscete nemmeno potrebbe farle suonare false, ma sono pronta a scommettere che accanto a voi c’è almeno una persona che vi conosce bene e sarebbe pronta a confermare tutto ciò che ho appena scritto. In ogni caso, quello che voglio dirvi è vero per ognuna di voi: ciascuna di noi ha un proprio enorme potenziale, ed è proprio l’espressione dello stesso che rende uniche e meravigliose come individui singoli.
Comunque, imparare ad accettare noi stesse per quello che siamo credo sia il primo passo per smettere di confrontarsi con le altre. Accettarsi per quello che siamo non significa in automatico smettere di fare raffronti con chi ci sta vicino, ma permette, nel momento in cui il confronto viene realizzato di razionalizzare pensieri quali: “Okay, io non sono come quella persona. Ma non sono come quella persona non perché sono più magra/grassa/alta/bassa/simpatica/antipatica, ma perchè ognuno ha i suoi pregi e i suoi difetti che ci rendono persone differenti e uniche”.
Poco a poco, vi renderete conto che confrontarvi con le altre non vi è d’aiuto, non vi fa stare serene, non è un modo piacevole per vivere la vostra vita. Inoltre, anche se voi non ci pensate, la persona con cui vi state confrontando si sta a sua volta molto probabilmente confrontando con voi, da un punto di vista fisico, intellettuale, emozionale, per il lavoro che fate, per la macchina che guidate, e così via.
Penso che sia naturale, da un certo punto vista confrontarsi con gli altri, e vedere in loro quello che noi non abbiamo, ed invidiare quello che vorremmo avere e che ci sembra gli altri abbiano: è una spinta che può servire per migliorarsi. Ma se nel vostro confronto focalizzate soltanto l’aspetto “ma quanto sono peggiore rispetto a lei”, questo non vi sarà d’aiuto in alcun modo. E non credo che nessuna di voi voglia vivere il resto della propria vita paragonandosi a qualcun altro e interrogandosi continuamente sul perché non possa essere come l’altro, poiché questo è un arrovellarsi che non porta a niente, in quanto è impossibile essere uguali a qualcun altro, siamo nate per essere differenti… e menomale. Sai che noia vivere in un mondo di cloni!
Quindi, detto tutto questo, credo sia arrivato il momento di provare a dare qualche suggerimento su come poter fare per evitare il confronto continuo con le altre.
Come premessa, occorre che tutte voi vi focalizziate sul fatto che, al mondo, ci sono millemila persone che per certi aspetti sono migliori di voi, e millemila persone che per i medesimi aspetti sono peggiori di voi. Però – guarda caso! – il confronto viene fatto sempre con quelle persone che voi ritenete migliori di voi. Non vi confrontate con quelle che ritenete peggiori, come se non esistessero, non le calcolate neanche.
Questo è un errore di focalizzazione. Per cui, per prima cosa, la prossima volta che vi trovate di fronte ad una persona che reputate migliore di voi sotto un certo aspetto – per fare un esempio tipico inerente i DCA, una persona che reputate essere più magra di voi – cercatene a breve raggio un'altra che, per quello stesso aspetto, consideriate indietro rispetto a voi. Vi accorgerete così che il mondo non è 100% - 0%, ma fifty-fifty. Certo, la vostra attenzione sarà sempre catturata, in prima battuta, da ciò che vi sembra migliore di voi, ma cercare anche quello che è peggiore aiuta a comprendere il fatto che non si sta così in basso come si crede. Aiuta a concretizzare il fatto che anche voi potete essere “migliori”, non solo le altre. Che non c’è solo del negativo in voi, ma anche del positivo.
Altra cosa che può essere utile, mettete per iscritto una lista dei vostri pregi e dei vostri difetti, fisici e caratteriali. Immagino che inizialmente vi verranno in mente molti più difetti che pregi, ma non importa. Scervellatevi e scrivete tutto ciò che vi balza in testa. Poi, rileggete quello che avete scritto. Certo, il primo impulso sarà quello di vedere il negativo, i difetti, che vi sembreranno molto più reali e convincenti dei pregi. Non importa. L’importante è che abbiate messo nero su bianco il fatto che avete anche dei pregi, non siete solo un coacervo di difetti. Dopodiché, data la lista dei vostri pregi, dovete pensare a come poter fare per valorizzarli e, viceversa, come poter smussare quelli che sono i difetti. Rifocalizzare la mente su quello che c’è di positivo quando questa vede solo il negativo, credo sia la strategia migliore per evitare i confronti e non rimanerne comunque troppo demoralizzate.
Inoltre, chiedete a chi vi sta intorno quali sono le vostre doti, le cose belle di voi. Il fatto che voi possiate adesso non vedere del positivo in voi, non significa che le persone che vi stanno intorno siano altrettanto cieche. E quando queste persone vi diranno quali sono i vostri punti di forza, scriveteveli e rileggeteveli più volte al giorno. Tenete positiva la vostra mentalità nei confronti di voi stesse. Già solo questo riduce la tendenza ai confronti. Potrà sembrarvi un po’ assurdo… ma non è forse altrettanto assurdo confrontarsi con chiunque ci passi accanto, e rovinarsi il resto della giornata rimuginando su quanto quelle persone fossero migliori di noi??!
Inoltre, tenete sempre conto del fatto che quando vi confrontate con una persona vi confrontate con quello che è il suo aspetto più esteriore. E’ un raffronto meramente basato sulle apparenze. Non sapete in realtà che tipo di persona sia veramente, se sia dunque davvero una persona da ammirare o meno. Pensate anche a questo. La copertina di un libro non dice niente su quanto possa essere o meno bello il suo contenuto, la storia che vi è racchiusa. Inoltre, pensate anche al fatto che chiunque nella vita ha i suoi problemi e le sue difficoltà, e la persona che invidiate, la persona che tanto ardentemente vorreste essere, non ha necessariamente una vita “perfetta”.
Ovvio, questa è solo la mia opinione. Però credo davvero che più vi comportate come scritto sopra, più aprirete la strada al cambiamento.
Certo, anche a me talvolta capita, soprattutto in ambito universitario e lavorativo, di confrontarmi con chi mi sta intorno, ma quando questo mi succede, cerco di portarmi a pensare: “Okay, mi sto confrontando con questa persona e sto pensando che non sono in gamba come lei, non sono intelligente come lei, non sono vestita con stile come lei, non ho un buon carattere come lei, non ho quello che ha lei… ma anch’io ho delle doti, delle cose positive che molto probabilmente questa persona non ha, e devo essere contenta di quello che ho”.
La mente può anche istintivamente formulare il pensiero del confronto rispetto alla persona che avete di fronte. Ma è quello che decidete di fare del pensiero formulato che fa la differenza. Guardare agli aspetti negativi viene sicuramente più facile, viene più facile vedersi peggiori degli altri piuttosto che cercare di focalizzarci sui nostri aspetti positivi. In fin dei conti, per le persone che soffrono di OCD (Obsessive Cleaning Disorder) e che sono terrorizzate dalla presenza di batteri, è facilissimo guardare una qualsiasi superficie e poi partire in quarta a pulirla, perché è più facile supporre che quella superficie sia infetta piuttosto che razionalizzare il fatto che questo è un pensiero indotto dalla malattia, e utilizzare questo dato di fatto per combattere i pensieri irrazionali. E lo stesso vale per l’anoressia e per la bulimia: è più facile accettare i messaggi negativi relativi al proprio corpo e alla propria persona piuttosto che cercare gli aspetti positivi.
Perciò, se nel momento in cui vi accorgete che vi state confrontando con qualcuno che vi pare migliore di voi sotto tanti aspetti, pensate a quali sono le vostre doti, i vostri punti di forza, e cercate di valorizzarli, potrete impedire al confronto di rovinarvi la giornata.
So che questo è un qualcosa con cui molte di voi hanno quotidianamente a che fare, ed in effetti è molto difficile non confrontarci con le persone che ci stanno accanto, perché se viene meno il confronto non si ha la misura delle nostre capacità.
Perciò, voglio cogliere quest’opportunità per dire a ciascuna di voi: TU SEI UNICA. Tu sei meravigliosa. Tu sei bellissima. Tu hai un sacco di talenti, anche se ancora non te ne rendi conto, non li vedi in te stessa, e non sai quali possano essere. Tu hai un sacco di qualità positive, sei una bella persona, e ci sono un bel po’ di persone pronte a volerti bene se solo gli permetti di avvicinarsi a te.
Questi sono dati di fatto, queste sono verità, e non c’è alcuna ragione per cui queste affermazioni non possano rispondere a ciascuna di voi, proprio nessuna ragione.
So che leggere queste cose scritte da una ragazza che non conoscete nemmeno potrebbe farle suonare false, ma sono pronta a scommettere che accanto a voi c’è almeno una persona che vi conosce bene e sarebbe pronta a confermare tutto ciò che ho appena scritto. In ogni caso, quello che voglio dirvi è vero per ognuna di voi: ciascuna di noi ha un proprio enorme potenziale, ed è proprio l’espressione dello stesso che rende uniche e meravigliose come individui singoli.
Comunque, imparare ad accettare noi stesse per quello che siamo credo sia il primo passo per smettere di confrontarsi con le altre. Accettarsi per quello che siamo non significa in automatico smettere di fare raffronti con chi ci sta vicino, ma permette, nel momento in cui il confronto viene realizzato di razionalizzare pensieri quali: “Okay, io non sono come quella persona. Ma non sono come quella persona non perché sono più magra/grassa/alta/bassa/simpatica/antipatica, ma perchè ognuno ha i suoi pregi e i suoi difetti che ci rendono persone differenti e uniche”.
Poco a poco, vi renderete conto che confrontarvi con le altre non vi è d’aiuto, non vi fa stare serene, non è un modo piacevole per vivere la vostra vita. Inoltre, anche se voi non ci pensate, la persona con cui vi state confrontando si sta a sua volta molto probabilmente confrontando con voi, da un punto di vista fisico, intellettuale, emozionale, per il lavoro che fate, per la macchina che guidate, e così via.
Penso che sia naturale, da un certo punto vista confrontarsi con gli altri, e vedere in loro quello che noi non abbiamo, ed invidiare quello che vorremmo avere e che ci sembra gli altri abbiano: è una spinta che può servire per migliorarsi. Ma se nel vostro confronto focalizzate soltanto l’aspetto “ma quanto sono peggiore rispetto a lei”, questo non vi sarà d’aiuto in alcun modo. E non credo che nessuna di voi voglia vivere il resto della propria vita paragonandosi a qualcun altro e interrogandosi continuamente sul perché non possa essere come l’altro, poiché questo è un arrovellarsi che non porta a niente, in quanto è impossibile essere uguali a qualcun altro, siamo nate per essere differenti… e menomale. Sai che noia vivere in un mondo di cloni!
Quindi, detto tutto questo, credo sia arrivato il momento di provare a dare qualche suggerimento su come poter fare per evitare il confronto continuo con le altre.
Come premessa, occorre che tutte voi vi focalizziate sul fatto che, al mondo, ci sono millemila persone che per certi aspetti sono migliori di voi, e millemila persone che per i medesimi aspetti sono peggiori di voi. Però – guarda caso! – il confronto viene fatto sempre con quelle persone che voi ritenete migliori di voi. Non vi confrontate con quelle che ritenete peggiori, come se non esistessero, non le calcolate neanche.
Questo è un errore di focalizzazione. Per cui, per prima cosa, la prossima volta che vi trovate di fronte ad una persona che reputate migliore di voi sotto un certo aspetto – per fare un esempio tipico inerente i DCA, una persona che reputate essere più magra di voi – cercatene a breve raggio un'altra che, per quello stesso aspetto, consideriate indietro rispetto a voi. Vi accorgerete così che il mondo non è 100% - 0%, ma fifty-fifty. Certo, la vostra attenzione sarà sempre catturata, in prima battuta, da ciò che vi sembra migliore di voi, ma cercare anche quello che è peggiore aiuta a comprendere il fatto che non si sta così in basso come si crede. Aiuta a concretizzare il fatto che anche voi potete essere “migliori”, non solo le altre. Che non c’è solo del negativo in voi, ma anche del positivo.
Altra cosa che può essere utile, mettete per iscritto una lista dei vostri pregi e dei vostri difetti, fisici e caratteriali. Immagino che inizialmente vi verranno in mente molti più difetti che pregi, ma non importa. Scervellatevi e scrivete tutto ciò che vi balza in testa. Poi, rileggete quello che avete scritto. Certo, il primo impulso sarà quello di vedere il negativo, i difetti, che vi sembreranno molto più reali e convincenti dei pregi. Non importa. L’importante è che abbiate messo nero su bianco il fatto che avete anche dei pregi, non siete solo un coacervo di difetti. Dopodiché, data la lista dei vostri pregi, dovete pensare a come poter fare per valorizzarli e, viceversa, come poter smussare quelli che sono i difetti. Rifocalizzare la mente su quello che c’è di positivo quando questa vede solo il negativo, credo sia la strategia migliore per evitare i confronti e non rimanerne comunque troppo demoralizzate.
Inoltre, chiedete a chi vi sta intorno quali sono le vostre doti, le cose belle di voi. Il fatto che voi possiate adesso non vedere del positivo in voi, non significa che le persone che vi stanno intorno siano altrettanto cieche. E quando queste persone vi diranno quali sono i vostri punti di forza, scriveteveli e rileggeteveli più volte al giorno. Tenete positiva la vostra mentalità nei confronti di voi stesse. Già solo questo riduce la tendenza ai confronti. Potrà sembrarvi un po’ assurdo… ma non è forse altrettanto assurdo confrontarsi con chiunque ci passi accanto, e rovinarsi il resto della giornata rimuginando su quanto quelle persone fossero migliori di noi??!
Inoltre, tenete sempre conto del fatto che quando vi confrontate con una persona vi confrontate con quello che è il suo aspetto più esteriore. E’ un raffronto meramente basato sulle apparenze. Non sapete in realtà che tipo di persona sia veramente, se sia dunque davvero una persona da ammirare o meno. Pensate anche a questo. La copertina di un libro non dice niente su quanto possa essere o meno bello il suo contenuto, la storia che vi è racchiusa. Inoltre, pensate anche al fatto che chiunque nella vita ha i suoi problemi e le sue difficoltà, e la persona che invidiate, la persona che tanto ardentemente vorreste essere, non ha necessariamente una vita “perfetta”.
Ovvio, questa è solo la mia opinione. Però credo davvero che più vi comportate come scritto sopra, più aprirete la strada al cambiamento.
Certo, anche a me talvolta capita, soprattutto in ambito universitario e lavorativo, di confrontarmi con chi mi sta intorno, ma quando questo mi succede, cerco di portarmi a pensare: “Okay, mi sto confrontando con questa persona e sto pensando che non sono in gamba come lei, non sono intelligente come lei, non sono vestita con stile come lei, non ho un buon carattere come lei, non ho quello che ha lei… ma anch’io ho delle doti, delle cose positive che molto probabilmente questa persona non ha, e devo essere contenta di quello che ho”.
La mente può anche istintivamente formulare il pensiero del confronto rispetto alla persona che avete di fronte. Ma è quello che decidete di fare del pensiero formulato che fa la differenza. Guardare agli aspetti negativi viene sicuramente più facile, viene più facile vedersi peggiori degli altri piuttosto che cercare di focalizzarci sui nostri aspetti positivi. In fin dei conti, per le persone che soffrono di OCD (Obsessive Cleaning Disorder) e che sono terrorizzate dalla presenza di batteri, è facilissimo guardare una qualsiasi superficie e poi partire in quarta a pulirla, perché è più facile supporre che quella superficie sia infetta piuttosto che razionalizzare il fatto che questo è un pensiero indotto dalla malattia, e utilizzare questo dato di fatto per combattere i pensieri irrazionali. E lo stesso vale per l’anoressia e per la bulimia: è più facile accettare i messaggi negativi relativi al proprio corpo e alla propria persona piuttosto che cercare gli aspetti positivi.
Perciò, se nel momento in cui vi accorgete che vi state confrontando con qualcuno che vi pare migliore di voi sotto tanti aspetti, pensate a quali sono le vostre doti, i vostri punti di forza, e cercate di valorizzarli, potrete impedire al confronto di rovinarvi la giornata.
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