Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 23 marzo 2012

Prevenzione delle ricadute: Codice Rosso

Anche il miglior piano di prevenzione, talvolta, purtroppo non riesce ad impedire una completa ricaduta. Forse perché certi segnali ci sfuggono, forse perché vogliamo farceli sfuggire, forse perché ne sottovalutiamo l’importanza e pensiamo di potercela fare da sole, fatto sta che talvolta si ricade in pieno nell’anoressia. Il punto qui è identificare concreti, specifici criteri che spronano all’azione evitando di percorrere la china fino in fondo. L’importanza dell’identificazione dei segnali da “Codice Rosso” non sta tanto nel capire quando siamo di nuovo nel pieno dell’anoressia con tutti gli annessi rischi di compromissione fisica. L’importanza sta nel comprendere quando è necessario DARE UN TAGLIO NETTO a qualsiasi cosa stiamo facendo perché ci stiamo infilando nei casini. Significa che la ricaduta ormai c’è stata, e che è necessario (re)agire ADESSO. Non tra una settimana, non tra 3 giorni, non domani: ADESSO.

E’ così anche al Pronto Soccorso: su un paziente “Codice Rosso” bisogna intervenire immediatamente sospendendo ogni qualsiasi altra attività, perché aspettare anche solo 5 minuti potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte.

Non è immediato individuare segnali da “Codice Rosso”, specie quando siamo proprio nel pieno dell’anoressia. Si tende a pensare che la situazione sia critica solo quando si scende sotto i XX chili di peso. In realtà, il peso non è un indicatore molto affidabile in tal senso, poiché il DCA è una questione mentale, e si può essere in piena ricaduta pur conservando il normopeso. Quando si ricade, a prescindere dal peso, si ha bisogno di supporto, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Bisogna rimboccarci le maniche e darci da fare nell’immediato.

Fingere d’ignorare i segnali di ricaduta non rende più lieve la ricaduta stessa. E, più importante, non evita la ricaduta. Basta sederci di fronte a una tavolta imbandita per capire che, anche dopo anni ed anni di ricovero, l’anoressia è un qualcosa che non ci abbandonerà mai completamente e – per citare “Malocchio” Moody di Harry Potter – il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza. Perciò, è molto importante non nasconderci dietro a un dito ed ammettere la ricaduta in maniera tale da poter intervenire efficacemente e tempestivamente. Parlare di quello che non va, affrontarlo, agire in maniera adeguata. Significa prendere le distanze dalle bugie che l’anoressia racconta (per esempio che non stiamo poi così male, che non siamo poi così gravi, che abbiamo comunque avuto un peso minore e abbiamo ristretto di più l’aliemntazione, che non abbiamo fame o mangeremo qualcosa di più domani, etc…). Significa essere aperte all’ascolto del parere altrui, perché quando siamo ricadute nel mezzo dell’anoressia non siamo in grado di giudicarci con obiettività.

Questo detto, alcuni esempi di segnali da “Codice Rosso”:

-Restrizione alimentare marcata ed evitamento sistematico di alcuni pasi (spesso merenda e spuntino)
- Significativa perdita di peso
- Rifiuto totale di mangiare in presenza di altre persone
- Nascondere il cibo
- Fare attività fisica eccessiva di nascosto
- Continuare a fare attività fisica anche quando si sente che non ce la si fa più
- Mentire agli altri su quello che facciamo e mangiamo
- Estrema riduzione delle ore di sonno/Insonnia (dipende in parte dal DCA, in parte da altro, ma è comunque un chiaro segnale di ricaduta)
- Iperattività estrema
- Amenorrea conclamata
- Checking sistematico associato a forte ansia
- Vomito autoindotto in maniera sistematica (solo per chi presenta questo tipo di sintomo, ovviamente)
- Attuazione di svariati tipi di condotte di compensazione a seguito dei pasti
- Evitamento di certi cibi ritenuti “ansiogeni”
- Dismorfofobia marcata (solo per chi, naturalmente, presenta questo sintomo)
- Sensazione di freddo (anche quando tutti gli altri stanno bene o hanno caldo)
- Ansia mitigata dalla restrizione
- Ossessività/Impossibilità di guardarsi allo specchio
- Affaticabilità, astenia (non dipendente al 100% dal DCA, ma strettissimamente correlato)
- Mentalità “tanto sono incapace di percorrere la strada del ricovero, quindi chi se ne frega”
- Etc…
(Se vi va, potete aggiungere ai miei esempi generali, i vostri segnali di “Codice Rosso” nei commenti!)

Personalmente, come credo molte di voi stiano facendo, io seguo un “equilibrio alimentare” che mi ha dato la mia dietista che mi aiuta a mantenere più o meno il mio peso attuale, e sto lavorando su me stessa per cercare di acquisire una maggiore flessibilità in maniera tale da poter, un giorno, utilizzare l’ “equilibrio alimentare” non più come una regola, ma piuttosto come una guida. Ora, la stretta aderenza a un “equilibrio alimentare” può essere un segno sia buono che cattivo. Perché cattivo? Ovviamente perché siginifica che l’atteggiamento verso il cibo è innaturale e condizionato. Ma è anche un buon segno: assicura un margine di sicurezza nei confronti nelle ricadute. Io sono consapevole che, se seguo il mio “equilibrio alimentare” con scrupolosa precisione, non perderò né prenderò peso. Pesare gli alimenti costringe infatti a porre più attenzione a quello che mangiamo, a smussare gli angoli, a prenderci cura di noi stesse… a nutrirci.

Cosa fare coi segnali di “Codice Rosso” credo vari in funzione del tipo, della quantità e dell’entità dei segni che si presentano. La loro presenza può siginificare una telefonata immediata allo psicoterapeuta o al dietista per avere supporto psichico ed alimentare, ma anche il chiedere a un’amica di fare insieme a noi colazione/pranzo/cena/spuntino/merenda per aiutarci coi pasti, o il chiedere a un genitore di prepararci tutti i pasti affinché noi non possiamo fare la cresta alle dosi, fino a che non ci saremo riprese abbastanza da poter tornare ad occuparci da sole di noi stesse.

venerdì 16 marzo 2012

Prevenzione delle ricadute: Codice Giallo

Oltre ai codici identificativi del Pronto Soccorso, anche le luci del semaforo presentano i medesimi 3 colori: rosso, giallo e verde. Tecnicamente, quando si sta guidando e si vede che la luce del semaforo passa da verde a gialla, bisognerebbe rallentare per poi fermarsi. Sì, esatto. Non so voi, ma personalmente, quando sono in auto e vedo che si accende la luce gialla del semaforo, il mio impulso istintivo è quello di pigiare sull’acceleratore per cercare di passare prima che la luce diventi rossa. (Don’t try it at home, gals!)

Nella maggior parte dei casi, questo è il medesimo comportamento che si tiene anche nei confronti dell’anoressia. Si vedono i primi allarmanti segni della ricaduta, e si preme l’acceleratore del DCA rituffandoci dritte dritte nell’anoressia. Parte di questo comportamento è legato alla neurofisiologia dei disturbi alimentari – il famoso circolo vizioso – ma in parte si tende davvero a pensare che quello che facciamo non oltrepasserà certi limiti, e che saremo in grado di riprenderci non appena lo vorremo.

Purtroppo, non è così che funziona. Quando si fa un pensiero del genere, siamo di nuovo sulla strada dell’anoressia. Se si oltrepassa la linea dello stop quando la luce del semaforo passa da gialla a rossa, si rischia l’incidente. Che è esattamente quello che accade con un DCA. Non ci si ferma.

In Pronto Soccorso, un paziente “Codice Giallo” presuppone un intervento piuttosto rapido. È quindi necessario identificare con prontezza segni e sintomi, in maniera tale da poter agire nella giusta maniera, per evitare che il caso si trasformi in un “Codice Rosso”. Lo stesso vale per l’anoressia. Quando si notano segnali da “Codice Giallo”, bisogna intervenire subito per evitare le sirene dell’ambulanza e il ricovero in terapia intensiva. Questo perché, mentre la remissione dell’anoressia è incredibilmente lenta e richiede un sacco di forza di volontà e di pazienza; la velocità con cui questa torna ad impossessarsi di noi in una ricaduta è spaventosamente rapida. Erroneamente, io in certi momenti ho pensato di sapere un sacco di cose sulla mia anoressia e sul mio rapporto con essa perciò, mi dicevo, non è necessario che mi preoccupi troppo, no?!

Sottovalutare il nemico è una delle maggiori armi che l’anoressia va ad usare contro di noi.

I segnali da “Codice Giallo” presentano delle differenze rispetto a quelli da “Codice Azzurro”, perchè sono più specificatamente legati al DCA in sé. Ovviamente non consistono solo in un’acuizzazione dei pensieri e dei comportamenti connessi all’anoressia, ma molto spesso si tratta comunque di fatti che risultano essere strettamente correlati al disturbo alimentare. In parecchi casi, segnali premonitori sono l’aumento dell’ansia, il calo dell’autostima, l’irrequietezza fisica e mentale, che sono causa e conseguenza della ricaduta in sè. In tal senso, “Codice Giallo” e “Codice Azzurro” sono molto vicini tra loro.

Dunque, i segnali di “Codice Giallo” stanno a significare che bisogna decelerare e guardare a lungo e con attenzione ciò che abbiamo intorno prima di sfrecciare in avanti. Sono i segnali di ritorno dell’anoressia. Se mi perdonate l’ennesima analogia automobilistica, possono essere paragonati alla lucetta che avverte che siamo entrati in riserva di benzina. L’auto corre ancora, naturalmente, e si può anche non notare niente di diverso dal solito, ma la lucetta è un indicatore del fatto che le cose in realtà non vanno proprio così bene, e che se non facciamo rifornimento al prossimo distributore di benzina rimarremo a piedi.

Qualche esempio di segnale da “Codice Giallo”:

- Aumento delle paranoie inerenti il cibo (per esempio, il non fidarsi più dei genitori che ci preparano il pranzo, cominciando a chiederci se davvero hanno rispettato le dosi dell’ “equilibrio alimentare”, o se invece hanno aggiunto qualcosa)
- Cominciare a pensare a quali sono i nutrienti che compongono i vari alimenti
- Difficoltà pressanti a mangiare in presenza di qualsiasi altra persona
- Isolamento, riduzione dei contatti anche con gli amici più cari
- Autoinduzione del vomito (solo per chi presenta tale sintomo, ovviamente)
- Aumento marcato dell’ansia, subito seguito da una riduzione netta della stessa a seguito della messa in atto di comportamenti alimentari restrittivi
- Restringere l’alimentazione in maniera piuttosto marcata (magari saltando anche lo spuntino o la merenda)
- Rigidità ferrea in merito all’esercizio fisico che aumenta sempre più
- Accentuazione marcata della dismorfdofobia (solo in chi, ovviamente, presenta questo sintomo)
- Rarefazione o scomparsa del ciclo
- Aumento delle paranoie inerenti il proprio aspetto fisico
- Abituale ricorso al checking
- Aumento dell’irritabilità, del nervosismo
- Dubbiosità spiccate sulla nostra capacità di portare avanti il percorso di ricovero, nonché sulla necessità di farlo (è ciò che precede la fase: “Ricovero del cazzo!”…)
- Episodi di autolesionismo sempre più frequenti
- Voglia di arrendersi e di mollare per riscivolare nell’anoressia
- Comparsa della sensazione di riuscire a controllare tutto, e del pensiero che potremo fermarci non appena lo vorremo (ma non lo vorremo mai, è questo il problema…)
- Etc… (continuate voi la lista lasciando un commento!)

Quel che è difficile nell’identificare i segnali di “Codice Giallo”, è che l’anoressia ha spesso una natura di “tutto o nulla”, un’intrinseca dicotomia. I primi segni di ricaduta sfrecciano da 0 a 100 in pochissimo tempo, e non c’è neanche un pit-stop nel mezzo. Si passa dai segnali di “Codice Verde” a quelli di “Codice Rosso” anche solo in una decina di giorni. Perciò identificare i segnali di “Codice Giallo” è tanto complicato quanto cruciale. La seconda difficoltà cui si viene poste a fronte, nel momento in cui si identificano, è quella di passare all’azione. Spesso si tende a minimizzare di fronte a noi stesse la serietà dei segnali di “Codice Giallo”, si pensa che se ne andranno spontaneamente o che, comunque, possiamo farcela da sole a venirne fuori rapidamente. Bugie. Tutte bugie. È dura e difficile. È tremendamente difficile, questa è la verità. E poiché tutto si gioca nella nostra mente, NON siamo propriamente capaci di venirne fuori da sole, perché in una battaglia contro noi stesse se vinciamo perdiamo. Dobbiamo allora armarci di una buona dose di umiltà e chiedere aiuto per non sprofondare in quel principio di ricaduta, perché chiedere aiuto non è segno di debolezza, viceversa, è segno di grande intelligenza, maturità e responsabilità.

venerdì 9 marzo 2012

Prevenzione delle ricadute: Codice... Azzurro?!!

Dopo aver scritto il post precedente, avevo intenzione di procedere parlando delle situazioni da “Codice Giallo” e da “Codice Rosso” in merito alle ricadute nell’anoressia. Tuttavia ieri ho pensato al fatto che, in Inglese, il termine “ricaduta” viene tradotto come “relapse”. Ed esiste un’altra parola, letteralmente intraducibile, che è “prelapse”. E’, come dire, una sorta di “pre-ricaduta”. Ho detto che il “Codice Verde” è sinonimo di “va tutto bene”, e che il “Codice Giallo” sta per “ci sono allarmanti segni di imminente ricaduta”. Ecco, io penso che da qualche parte tra i segnali da “Codice Verde” e quelli da “Codice Giallo”, ci stanno i segnali di “prelapse”. Un po’ oltre il verde, ma un po’ prima del giallo, una sorta di fusione dei due… un azzurro? Insomma, se i segnali da “Codice Giallo” precedono immediatamente una ricaduta, quelli da “Codice Azzurro” sono i segnali che precedono immediatamente i segnali che precedono la ricaduta.

Okay, mi rendo conto che non sono stata esattamente limpida nella definizione dei termini quindi, giusto per avere tutte lo stesso concetto nel momento in cui uso determinate parole, ecco alcune (brevissime) definizioni:

Caduta: un’unica ed isolata deroga al percorso di ricovero, ovvero un unico riutilizzo di un comportamento tipico del DCA (come per esempio restringere solo una volta un pasto, eccedere solo un giorno nell’attività fisica, vomitare una sola volta, etc…)

Ricaduta: riutilizzo prolungato e persistente dei comportamenti tipici del DCA, che riportano in pieno auge il DCA stesso.

“Prelapse”: L’indicazione che si è sulla strada della caduta, o che si è ad alto rischio di caduta. Non è necessariamente preludio di una ricaduta, sebbene possa esserlo.

Molti segni di “Codice Azzurro” – di “prelapse” – sono strettamente connessi all'anoressia stessa (riduzione dell’alimentazione, riattuazione del checking, etc…), ma altri non lo sono affatto. Sebbene un DCA sia connesso al cibo, molto spesso la nostra vulnerabilità all’anoressia e il nostro ritorno all’anoressia hanno poco e nulla a che vedere col cibo stesso. Per questo bisogna stare molto attente a questi segni: per non farci cogliere impreparate da un’eventuale ricaduta, battendola sul tempo, ed iniziando a lavorare su noi stesse prima che il meccanismo dell’anoressia si sia rimesso in moto.

Qualche esempio di segnali da “Codice Azzurro”, dunque:

- Lieve preoccupazione in merito a quel che si deve mangiare
- Evitamento di situazioni sociali che coinvolgono i pasti
- Sensazione di dover attuare comportamenti compensatori a seguito di un pasto
- Aumento della rigidità nel controllo di varie attività e di vari ambiti della vita
- Ricomparsa/Aumento della dismorfofobia (solo in chi, ovviamente, presenta questo sintomo)
- Lieve restrizione alimentare
- Aumento della preoccupazione in merito all’immagine corporea
- Inizio di una “visione pessimistica” del futuro
- Aumento dell’ansia
- Ritorno di episodi di autolesionismo
- Difficoltà nel sonno
- Sensi di colpa e calo dell’autostima
- Etc…

Dunque, cosa possiamo fare quando si presentano i segnali di “Codice Azzurro”? Per lo più, le medesime cose che ho scritto nel post dedicato all’identificazione di punti di forza & difficoltà.

Qualche altra cosa può essere rappresentata, per esempio, da:

- Respirare profondamente e cercare di discernere ciò che è reale dalle bugie raccontate dall’anoressia
- Cercare di placare l’ansia e lo stress emotivo
- Riposarci se sentiamo che è ciò di cui si ha bisogno, senza tirare all’estremo
- Uscire con gli amici anche se ci sembra che questo vada contro ciò che ci sentiremo di fare
- Leggere e ripetersi frasi positive
- Lavorare su progetti creativi (disegnare, scrivere, fare un video, etc…)
- Fare un’azione di opposizione (per esempio, guardare un film comico quando ci sentiamo giù di morale)
- Rispettare l’ “equilibrio alimentare” dato dal dietista/nutrizionista
- Essere più indulgenti con noi stesse
- Parlare del problema in questione in psicoterapia (ma anche con amici e familiari supportivi)
- Scavare dentro di noi per risalire alla vera natura del problema che determina l’impulso a riadattare i comportamenti tipici dell’anoressia
- Etc…

Se vi va, scrivete nei commenti quali sono i vostri segnali da “Codice Azzurro”!

venerdì 2 marzo 2012

Prevenzione delle ricadute: Codice Verde

Facendo tirocinio al Pronto Soccorso, ho imparato che il triage assegna a tutti i pazienti che si presentano un codice colore differente in funzione della gravità della loro patologia, e quindi dell’urgenza con cui devono essere visitati dai medici. Dato che mi sembra funzionale, ho deciso di adottare questa stessa partizione per i segnali di ricaduta nell’anoressia. “Codice Verde” significa che i segnali indicano che si percorre la strada del ricovero. “Codice Giallo” significa che i segnali indicano che le cose si fanno più dure e il percorso s’incrina, con il che si tende ad adottare comportamenti che possono coadiuvare la ricaduta nell’anoressia. “Codice Rosso” significa che i segnali indicano che si è in piena ricaduta. È proprio di questo che ho intenzione di parlare in questo post e nei prossimi: individuare quali situazioni corrispondo ai codici di quale colore, e capire qual è la soglia, il limite in cui cominciamo a mentire a noi stesse per poterci giustificare la riadozione dei comportamenti tipici dell’anoressia.

Quindi, cominciamo dal “Codice Verde”.

Trovare le condizioni che simboleggiano un “Codice Verde”, ovvero tutti quei segnali che ci dicono che stiamo percorrendo correttamente la strada del ricovero – per quanto la cosa possa sembrare paradossale – è il compito più arduo. Perché? Perché siamo talmente abituate all’anoressia che non ci si rende ben conto di cosa poter fare per il nostro ricovero. Inoltre siamo talmente abituate a barcamenarci tra le difficoltà, siamo talmente abituate alla routine tipica dell’anoressia, che non si capisce più come di facesse, prima del suo esordio, a “vivere normalmente”. Non si capisce più cosa significhi vivere una vita “normale”.

Perciò, come individuare le situazioni da “Codice Verde”? Come si può vedere che stiamo effettivamente percorrendo la strada del ricovero? Innanzitutto, credo sia necessario ripensare al periodo in cui l’anoressia non era ancora entrata nella nostra vita, a quello che facevamo, a quelle che erano le nostre speranze, i nostri desideri. Credo che, come me, molte delle persone che stanno leggendo questo post abbiano difficoltà a ricordare come fosse la propria vita prima dell’anoressia, o hanno ricordi negativi della propria vita prima del DCA. In tal caso, provate a pensare a come adesso vorreste che la vostra vita fosse, senza l’anoressia, a tutto quello che potreste fare senza avere ansia. Ecco, quello che avete in mente è ciò che rientra nella categoria “Codice Verde”.

Qualche esempio di “Codice Verde”

- Flessibilità nei confronti dei pasti (nelle quantità, nelle porzioni, nella varietà, etc…)
- Riduzione dell’ansia a fronte di una cena in pizzeria con gli amici
- Mantenimento di contatti regolari con amici e familiari
- Capacità di controllare lo svolgimento di attività fisica in modo da non esagerare
- Riduzione dei pensieri ossessivi
- Riduzione dell’ansia nell’acquisto dei vestiti
- Capacità di mangiare qualcosa semplicemente perché se ne ha voglia
- Cessazione del checking
- Cessazione del bisogno di pesarsi e di conoscere il proprio peso/Cessazione dell’evitamento a tutti i costi della bilancia
- Aumento del tempo dedicato alle attività di svago e agli hobby
- Riduzione della necessità di mettere in atto comportamenti autolesivi o tipicamente anoressici
- Riuscire a seguire correttamente l’ “equilibrio alimentare”
- Non essere più “terrorizzate” di fronte a certi cibi o a certe situazioni
- Etc…

Vi accorgerete che ci sono molti segnali di “Codice Verde” che passano sotto silenzio, ma che si possono per lo più ascrivere all’assenza di tutti quei pensieri e comportamenti che sono tipici dell’anoressia. I segni e sintomi tipici del DCA tendono infatti a regredire progressivamente man mano che si fanno passi avanti sulla strada del ricovero, questo spesso avviene con una lentezza tale che sul momento non ci se ne rende conto, ma non scoraggiatevi: alla lunga i progressi saranno evidenti!

Se vi va, lasciate un commento su quali sono i vostri segnali di “Codice Verde”!

venerdì 24 febbraio 2012

Prevenzione delle ricadute: Identificare le situazioni di rischio

Eh sì. Identificare le situazioni di rischio. Quando si è nel pieno dell’anoressia, praticamente qualsiasi cosa rimanda all’anoressia stessa. Anche durante i primi passi sulla strada del ricovero la situazione persiste. Un piccolo sbaglio può farci venire voglia di punirci, di prendercela con noi stesse. Una minima critica che qualcuno ci rivolge può ributtarci nella spirale. Ogni situazione ansiogena fa scattare la molla della restrizione alimentare.

Anche se alcune cose riusciamo a tenerle sotto controllo, ci sono un mucchio di situazioni che possono amplificare i tipici pensieri del DCA e rendere più vulnerabili alle ricadute. Una parte importante nell’identificare le situazioni di rischio consiste nell’anticipare la situazioni in cui potremmo aver bisogno di un supporto extra. L’altra parte consta di costruire quello che mi piace chiamare “un piano di mitigazione” (in realtà è un termine che ho rubato all’ospedale, veniva usato quando facevo tirocinio al Pronto Soccorso, però secondo me si adatta bene anche alla prevenzione delle ricadute nell’anoressia), in maniera tale da poter sopravvivere all’evento avverso con il minimo danno possibile.

Le situazioni di rischio possono essere molteplici, e sono comunque estremamente variabili da persona a persona. Tanto per fare qualche esempio estremamente limitato, situazioni di rischio possono essere date da:

- Malattie fisiche che comportano una riduzione dell’appetito
- Cambiamenti in un qualche ambito della vita
- Vedere che un’amica ha avuto una ricaduta o ha perso peso
- Un aumento di peso (specie se rapido)
- Un nuovo lavoro/Una nuova esperienza scolastica
- Una sconfitta in un qualsiasi ambito della vita
- Una critica ricevuta da qualcuno
- Il dover comprare vestiti nuovi
- Il dover mangiare senza poter seguire l’ “equilibrio alimentare” prescritto dal dietista
- Fare qualcosa che spezza la routine quotidiana (per esempio, una cena di lavoro al ristorante)
- Aumento dell’ansia e dello stress
- Difficoltà nelle relazioni interpersonali
- Delusioni e ferite
- Etc…

Alcune di queste situazioni di rischio possono essere evitate, ma non tutte e non sempre. Analogamente, alcune di queste situazioni di rischio possono essere anticipate, anche se non tutte e non sempre. Detto questo, se non possiamo evitare le situazioni di rischio e non possiamo anticiparle, che altro possiamo fare? Come facevo quando tirocinavo al Pronto Soccorso, bisogna elaborare un piano (un piano di mitigazione!) che ci aiuti a relazionarci con queste situazioni difficili senza farci ricadere a pieno nell’anoressia.

È possible creare un “piano di mitigazione” generale per tutte le situazioni di rischio, e addizionarvi qualcosa per farlo aderire alla particolare situazione in cui ci si viene a trovare.

In generale, un “piano di mitigazione” può comprendere i seguenti aspetti:

- Utilizzare tutti i sistemi di supporto che si hanno a disposizione: psicoterapeuti/dietisti/familiari/amici
- Aumentare la frequenza degli appuntamenti con gli psicoterapeuti/dietisti
- Parlare di ciò che ci porta a ricadere, cercando di trovare insieme agli altri una soluzione
- Cercare di fare il meglio che si può per affrontare quella difficile situazione
- Rispettare rigorosamente le dosi dell’ “equilibrio alimentare” per ogni cibo, imponendosi di non sgarrare neanche di un grammo
- Essere oneste con noi stesse sulla reale natura del problema
- Avere la consapevolezza che le ricadute sono parte integrante del percorso di ricovero, e non fanno di noi delle fallite
- Ascoltare la voce della razionalità e non la spinta verso i comportamenti anoressici data dall’emotività
- Prendere le distanze dalle persone che consideriamo ansiogene
- Ricercare l’auto-aiuto e il supporto che si può avere tramite Internet
- Avere la consapevolezza che il proprio “equilibrio alimentare” e la propria attività fisica è quella GIUSTA PER NOI STESSE, a prescindere da ciò che fanno gli altri
- Evitare di fare cose che potrebbero aumentare l’ansia e il disagio
- Etc...

Alcuni di questi punti sono applicabili in svariate situazioni, mentre altri hanno una maggiore specificità. L’idea è quella di costruire un “piano di mitigazione” che sia flessibile e che possa essere applicato a molteplici situazioni che ci vedono a rischio ricaduta, una sorta di “linee guida” da utilizzare quando ci rendiamo conto che l’anoressia rischia di nuovo di avere la meglio su di noi.

Sapere e volere è potere, si dice dalle mie parti, e nel caso della prevenzione delle ricadute credo sia assolutamente vero. La frase “uomo avvisato, mezzo salvato” calza a pennello. Se, per esempio, si riesce ad anticipare una situazione di rischio (per esempio, un invito a cena da parte di amici), si può cominciare ad applicare il “piano di mitigazione” prima che l’evento abbia luogo. Sebbene questo non possa magari evitare del tutto ogni slittamento all’indietro, può comunque essere importante per contenere i danni.

venerdì 17 febbraio 2012

Prevenzione delle ricadute: Punti di forza & difficoltà

Inizio oggi un nuovo ciclo di post, sempre in risposta a una domanda che, con sfumature differenti, mi è stata rivolta da molte di voi: come prevenire/evitare le ricadute nel DCA quando si sta percorrendo la strada del ricovero? Dato che questo è un argomento di cruciale importanza per tutte noi, comincerò dalle fondamenta.

Uno dei punti principali nella prevenzione delle ricadute consiste nell’individuare quali sono le difficoltà che spingono a ricadere nel DCA che potremmo dover affrontare, in modo da anticiparle, creando preventivamente un piano che ci permetta di affrontarle senza sbatterle immediatamente sul versante dell’anoressia restringendo l’alimentazione, ma cercando d’individuare altre strategie di coping. Un altro aspetto fondamentale nella prevenzione delle ricadute consiste nel valutare quali siano i nostri punti di forza. Cosa possiamo fare quando ci troviamo immerse nelle difficoltà e tutto ci spinge verso una ricaduta nei comportamenti tipici dell’anoressia?

Per prima cosa, possiamo stendere una lista in merito a quelli che sono i nostri punti di forza e le nostre difficoltà: una rete di sicurezza per il nostro piano di prevenzione per le ricadute.

Tanto per fare qualche esempio.

Punti di forza:
- Avere vicino familiari e amici supportivi
- Avere la possibilità di consultare psicologi/psichiatri/dietisti
- Lavorare su noi stesse per identificare ed analizzare ciò che spinge a ricadere
- Motivazione a stare meglio
- Capacità di ritagliarsi altre possibilità oltre l’anoressia
- Capacità di direzionare il pensiero distogliendolo dall’ossessività del DCA
- Forza di volontà e determinazione
- Etc…

Difficoltà:
- Solitudine
- Ansia
- Perfezionismo
- Dismorfofobia (solo in chi, ovviamente, presenta questo sintomo)
- Competitività
- Paura del cambiamento
- Disagio con la propria fisicità
- Tendenza ad assecondare le ossessioni del DCA
- Etc…

Dopo aver redatto una lista di questo tipo, bisogna prendere in considerazione ognuna delle difficoltà, e scrivere un’altra lista in cui ad ogni difficoltà si associa una strategia di coping che sia diversa dall’adottare i comportamenti tipici dell’anoressia. Tanto per fare un esempio prendendo un aspetto che credo interessi chiunque abbia un DCA, come relazionarci con il disagio che proviamo rispetto al nostro corpo senza restringere l’alimentazione.

Piano contro il disagio per la fisicità
- Focalizzarci su quello che il nostro corpo può fare, piuttosto che su quello che il nostro corpo è
- Fare sport insieme a un’amica piuttosto che da sole
- Ripetere più e più volte: “Il mio corpo sta bene ed è in salute se io mantengo questo peso, e non quando pesavo XX chili in meno
- Parlarne con familiari/amici/terapeuti per cercare di stemperare le sensazioni che proviamo
- Non fare checking e stare il meno possibile davanti allo specchio
- Non pesarsi
- Accettare il fatto che il nostro corpo non è come vorremmo che fosse, ma che può andar bene comunque
- Ricordare: restringere l’alimentazione è una soluzione-placebo, poiché di fatto non serve a nulla, non risolve veramente quello che ci sta sotto. L’anoressia è una soluzione a breve termine che diventa un problema a lungo termine

Ovviamente questa lista non ha la pretesa di essere esaustiva, né di risolvere completamente il problema della difficile accettazione della nostra fisicità, né evitare che si abbiano ricadute, tuttavia penso possa essere un buon punto di partenza… e potete elaborarla per qualsiasi punto della vostra lista di difficoltà.

venerdì 10 febbraio 2012

La metafora della maratona

Ed eccomi qui a completare le mie risposte, concludendo con il commento di justvicky che scrive: “Perchè durante la scalata , nel momento in cui sei appeso alla roccia e tenti con tutte le forze di non cadere, la vetta sembra sempre il doppio della distanza reale. I compagni di arrampicata sembrano sempre km sopra di te, più bravi, quasi ti volessero lasciare indietro. E tu , appeso a quella roccia che non sai bene dove appigliarti per procedere allo step sucessivo, ti senti bersaglio di tutto.[…]”.

Il ricovero, direi, oltre che una scalata, è anche una corsa. Ed è più una maratona che uno sprint di 100 metri. È lungo. È duro. È difficile. È faticoso. È snervante. Ed è necessario tenere il passo.

Proprio stamattina, cercando il modo migliore per rispondere alle parole di justvicky, pensavo alla metafora ricovero = maratona, e mi è tornata in mente una cosa che il mio maestro di karate (che una volta, quand’era più giovane, ha corso la maratona di New York) era solito dire. Lui diceva che, ovviamente, dato che detta maratona consiste nel percorrere 42 Km, i 21 Km rappresentano la metà della gara. Una volta superato il 21° chilometro, tecnicamente, si è scollinato.

Il mio maestro di karate diceva anche che chiunque abbia corso una maratona direbbe che la corsa non è a metà una volta raggiunto il 21° chilometro. No, quando si arriva al 22° chilometro, ci si considera ancora all’inizio. Molti maratoneti non considerano se stessi a metà della corsa fino a che non superano il 30° chilometro. Il mio maestro? Lui diceva che si sentiva a metà corsa quando si era lasciato alle spalle 34 Km.

Anche un bambino capirebbe che arrivare al 30° chilometro o addirittura al 34° significa aver compiuto ben più di metà della corsa. Non è che il mio maestro di karate sia una tale schiappa in matematica, semplicemente lui diceva che gli ultimi 8 Km gli sembravano tanto lunghi e faticosi quanto i primi 34.

Questo, secondo me, è perfettamente aderente alla strada del ricovero. È un po’ come se stessimo arrancando, e guardando i chilometri che a poco a poco ci lasciamo alle spalle, ci sentissimo come se fossimo ancora bel lontane dal traguardo. “Eppure è così tanto che sto camminando” pensiamo “che sono vicina alla fine. Devo essere vicina alla fine”. Ma mancano ancora 3, 7, 10 chilometri se non di più. Come diamine si può continuare a tener duro così a lungo??

Gli ultimi passi sulla strada del ricovero sembrano i più lunghi di tutti, e tutto quello che si può fare è impegnarsi al massimo e stringere i denti. Quegli ultimi 8 Km – quella che sembra la parte terminale della strada del ricovero – sono tanto lunghi, duri e faticosi come i primi 34 Km messi tutti insieme. Ed è difficile per chi non ha mai provato un DCA sulla propria pelle comprendere questo. Chi non è mai stata anoressica misura le distanze matematicamente: la metà della maratona è al 21° chilometro. Non fa una piega. Ma per chi è anoressica la calcolatrice non funziona, perché nessuna macchinetta può misurare l’intensità della fatica, dei sentimenti, dell’impegno, della determinazione, della forza che il percorrere la strada del ricovero richiede.

Personalmente, non penso di essere ancora arrivata al 34° chilometro. Però continuo a correre. E le parole del mio maestro di karate mi fanno capire meglio perché la strada del ricovero mi sembri ancora così dannatamente lunga, anche se talvolta mi viene da pensare che, dopo tutti questi anni e questi sforzi, dovrei avere già tagliato il traguardo da un pezzo.

venerdì 3 febbraio 2012

"Perché?": Le mie risposte

Ringraziandovi per le numerose risposte che avete lasciato al mio post precedente, come promesso adesso risponderò a ciò che ciascuna di voi ha scritto.

In quanto al commento di justvicky, le sue parole richiedono una trattazione più articolata che affronterò nel post di Venerdì prossimo.

Per tutte le altre, per comodità di trattazione, ho scelto di raggruppare alcuni dei commenti che hanno un contenuto simile… bè, veniamo a noi, dunque!

Alice sostiene che la sensazione di fallimento e d’incapacità di progredire nel percorso di ricovero sia legata al fatto che chi ha un DCA ha anche problemi di bassa autostima, e quindi non ha fiducia nelle proprie capacità di combattere riportando passi avanti e successi.
Questo è a suo modo certamente vero: molte ragazze che soffrono di DCA hanno un’autostima sotto ai piedi. Io credo però che la bassa autostima non sia tra le cause, ma tra le conseguenze del DCA. Se ci pensate, normalmente la gente basa la propria autostima sui successi che consegue nei vari ambiti della vita in cui si applica: l’aspetto fisico, il lavoro, lo studio, lo sport, la famiglia, le relazioni interpersonali, etc… Dal successo o meno in ciascuno di questi ambiti dipende un aumento o una riduzione dell’autostima. Nel momento in cui però viene fuori un DCA, l’unico ambito su cui la persona si focalizza è quello alimentare. Per cui, la persona giudica se stessa al 90% rispetto a quanto riesce a controllare l’alimentazione, e al 10% rispetto a tutti gli altri aspetti sopraelencati. Ovvio perciò che uno sgarro nel comportamento alimentare comprometta gran parte dell’autostima, visto che tutto è centrato lì. Ma il fatto che voi vediate magari in questo momento solo l’aspetto alimentare di voi stesse, non significa che non ci sia nient’altro, in realtà. Ci sono sempre anche tutte le altre cose. Re-imparare a dare il giusto valore ad ogni ambito della vita è indubbiamente un buon modo per progredire sulla strada del ricovero.

Withoutexit(?) e la ragazza che ha commentato anonimamente mettono l’accento sulla difficoltà nel fare passi avanti quando viene meno o comunque non è adeguato il supporto medico e familiare, facendo notale come questo possa intralciare il percorso di ricovero.
E’ vero, sicuramente un ambiente non supportivo non rende facile il muoversi nella lotta contro un DCA. Aumenta il senso d’insicurezza, e la falsa sensazione di non poter essere in grado di farcela. Ma è una falsa sensazione. Non è vero che non siete forti, volitive e determinate, è solo che state attraversando un momento in cui le circostanze e le persone sbagliate che avete incrociato finora vi stanno remando contro. Ma il fatto che non abbiate avuto molta fortuna finora con i terapeuti con cui avete avuto a che fare, non significa che non possiate trovare in futuro persone in grado di aiutarvi davvero. E’ difficile trovarle – e lo dice una che ha cambiato millemila terapeuti – ma esistono persone che possono darvi una mano a combattere, a trovare strategie di coping più funzionali e meno dannose. Semplicemente, non dovete arrendervi e continuare a cercarle.

Sonia riferisce a proposito della difficoltà di capire cosa voglia fare veramente e quale sia la strada giusta da intraprendere, considerate le difficoltà dell’affidarsi ai medici.
Quando si è ancora dentro l’anoressia, la “confusione nella testa” – citando – che si avverte, è proprio legata al fatto che, pur avendo iniziato un percorso di ricovero, l’anoressia è ancora presente nella nostra vita. Non si può pretendere che le cose cambino dall’oggi al domani, non si può pretendere che sia tutto facile e chiaro fin dal primo momento. Bisogna armarci di pazienza e saper aspettare, perché il una lotta come quella contro i DCA, i progressi si vedono solo su lunga gittata. È normale, soprattutto all’inizio, essere confuse. La nebbia si dirada man mano che si va avanti. Capisco anche come all’inizio possa essere difficile accettare il “controllo” proveniente dai medici, ma è necessario (e anche temporaneo, don’t worry, non c’è monitoraggio medico vita natural durante) perché quando siamo nell’anoressia non abbiamo più alcun controllo autonomo. È la malattia che ci controlla spietatamente. Dite che non è vero? Pensateci: non è forse vero che un piatto di spaghetti al pomodoro ha più controllo sulla vostra vita di quanto non ne abbiate voi stesse?!!...

Vale mette in luce l’aspetto legato all’immagine corporea, sottolineando quanto sia difficile in riuscire ad accettare l’aumento di peso, e come il vedere il peso che si alza possa precludere ogni volta ad una ricaduta in un loop senza fine.
Questo mi fa pensare ai ricoveri ospedalieri, o comunque in strutture non specializzate, dove l’obiettivo primario è il recupero del peso, a prescindere dal tempo necessario per farlo, per cui può accadere che una ragazza si veda costretta a prendere diversi chili in poche settimane, e questo rappresenta veramente un fattore di rischio ricaduta. Ma, in realtà, non esistono tempi standardizzati per il recupero del peso. Anzi, con l’eccezione delle situazioni ove c’è reale rischio di vita, penso che il peso debba essere ripreso in maniera estremamente graduale. Questo aiuta ad abituarsi in maniera naturale a una situazione che procede così lentamente da essere, sul momento, quasi impercettibile. Così non è solo il corpo che si riprende, ma anche la testa (per questo è importante abbinare la psicoterapia alla rialimentazione), e questo permette di non avere troppi sbalzi e riuscire a tollerare gli incrementi riducendo il margine di ricaduta. Ci vuole un dietista specializzato che aiuti, in questo, ovviamente, che sappia afferrare per mano ogni volta che ci sentiamo sul punto di ricadere.

Ilaria lega il suo senso di fallimento e di mancata progressione ai giudizi che gli altri lanciano addosso in caso di insuccesso, facendoci sentire sbagliate e imperfette.
E’ vero, non siamo perfette. E menomale che non lo siamo. Perché nell’acqua perfettamente limpida i pesci non ci sono. E dato che non viviamo in una bolla di sapone ma in un contesto sociale, è normale essere circondate da persone che “guardano” e giudicano quello che facciamo. Non soltanto relativamente al nostro percorso di ricovero, ma rispetto ad ogni singolo aspetto della nostra vita. Anche solo dopo aver detto questo, risulta palese che per non essere giudicate dagli altri, dovremo chiuderci in una stanza e non fare assolutamente niente. Il mondo ci giudica e noi – più o meno consapevolmente – giudichiamo il mondo. Quando si decide di fare un tentativo di percorrere la strada del ricovero, inevitabilmente ci si espone. Ed esporsi significa accettare non solo il bel tempo, ma anche le critiche e i giudizi. Ma quello che si fa, lo dobbiamo fare per noi stesse, non per gli altri. Perché se cerchiamo la comprensione, la compassione, le coccole altrui, aspetteremo una vita e ci ritroveremo con il niente in mano. Perciò, è solo per noi stesse che dobbiamo decidere cosa si vuole fare, perché siamo noi le uniche che possono veramente prenderci cura di noi stesse. Nel momento in cui scegliamo di tentare la strada del ricovero, sappiamo a priori che potremo fallire. E che, dunque, potremo essere giudicate, schernite, derise, infamate da chiunque. Però noi dobbiamo essere convinte che percorrere quella strada è la cosa giusta da fare: dobbiamo crederci fino in fondo. E proprio nel momento in cui ci crederemo al 100%, i giudizi altrui non saranno più in grado di scalfirci.

Wolfie e Victoria parlano della routinarietà del DCA, e della conseguente paura a lasciarlo andare, nella sensazione che dopo rimanga un “vuoto” troppo difficile da colmare.
È inevitabile che dopo tanti anni passati con un DCA, questo diventi in un certo senso parte integrante della nostra vita. E ciò rende difficile il lasciarlo andare, perché si ha sempre timore a “lasciare la strada vecchia per la nuova”. In fin dei conti, un DCA è una malattia ma, paradossalmente, si rivela un meccanismo di coping così efficace da rappresentare, sebbene in maniera distorta, anche una cura. Nel momento in cui si sceglie un sintomo, è come se si scegliesse di andare a piantare una bandiera sulla cima dell’Everest, per dimostrare a noi stesse e agli altri che siamo capaci di portare a termine un progetto. Dimostrare che siamo capaci di non avere fame, sete, freddo, bisogno, desiderio è ciò che spinge a salire sempre più in alto. Certo, poi ci si rende conto che quello che avevamo intrapreso era un progetto fallimentare, che era una strategia che non conduceva da nessuna parte. Però è in quel progetto fallimentare che abbiamo investito tutte noi stesse. Perciò, forse, quel che serve per abbandonare la posizione, è che vengano riconosciute la sofferenza e il coraggio. E dunque, ragazze, voglio dirvi che la vostra sofferenza ed il vostro coraggio mi sono chiari, palesi, evidenti. Che scorgo la vostra dolorosa arrampicata e posso sentire la lotta disperata verso una vita che ogni giorno incanta e sotterra. Voglio dirvi che il vostro coraggio potete adesso usarlo per fare qualcosa per voi stesse, non più contro voi stesse. E che lo sforzo che farete per percorrere la strada del ricovero, data la vostra volontà, si rivelerà sicuramente, alla lunga, un successo.

Jonny ammette che la sua non-progressione nel percorso di ricovero, è legata a una sua attuale non-volontà di fare passi avanti. ShadeOfTheSun quota le sue parole.
Di fronte a un commento del genere (e, Jonny, l’ho riletto un’infinità di volte) non posso che dire: rispetto. So che tutti i momenti della vita non sono uguali. Se anche solo 6 anni fa qualcuno mi avesse detto che un giorno io mi sarei dedicata a questo blog, avrei telefonato al CIM. Questo solo per dire che non tutti i momenti della vita effettivamente sono adatti per iniziare un percorso di ricovero. Ed è giusto che ciascuna si prenda i propri tempi ed inizi questo percorso nel momento in cui si sente pronta ad accettarlo senza riserve, altresì ne conseguirebbero inevitabili ricadute che servirebbero solo a rafforzare l’idea di fallimento e ad allontanare dalla strada del ricovero. Perciò, se sentite che adesso non siete pronte, aspettate il vostro momento. Ma, mi raccomando, non utilizzate l’attesa come una scusa. Il “momento giusto” non arriva dal cielo. Non è che vi svegliate una mattina e dite: “Oh, guarda un po’, oggi è la mia giornata, vai che inizio a combattere contro l’anoressia!”… no, non succede purtroppo. Siete voi che dovete crearvi il vostro “momento giusto”. Darvi un’opportunità. Perché in realtà non è vero che non volete combattere. Non è vero che volete passare il resto della vostra vita con l’anoressia. Perché nessuno sceglie e convive con un male percependolo come tale, ma solo se, per sbaglio, lo viene a considerare un bene rispetto a qualcos’altro che viene percepito come un male maggiore. È questo su cui dovete lavorare: su ciò che ci sta dietro. Perché sarà questa la chiave che darà l’avvio al vostro processo di cambiamento, alla vostra strada di ricovero. So cosa significa avere la vita dentro che avete voi, ragazze. È così tanta, talmente tanta che a volte sembra abbia il paradossale potere di uccidere.

venerdì 27 gennaio 2012

Una domanda per voi: Perchè?

Ciao a tutte, ragazze!

Il post che scrivo oggi è diretta conseguenza dell’ultimo che ho pubblicato lo scorso Venerdì.

Perciò, voglio aprire questo post con una domanda. E la domanda è: cos’è che vi fa pensare che siete un fallimento e che non potrete mai raggiungere il livello di ricovero cui io sono adesso?

Il motivo per cui vi rivolgo questa domanda è perché dopo aver letto i vostri commenti a proposito del mio post precedente, e dopo aver letto anche alcune e-mail che mi sono arrivate al riguardo, nonché, più in generale, parlando, vuoi direttamente, vuoi tramite e-mail, con ragazze meravigliose, intelligenti, sensibili, creative, conosciute sia tramite blog sia nella vita di tutti i giorni, che stanno attivamente combattendo contro l’anoressia, che sono pienamente convinte di non voler rimanere impantanate nella melma di un DCA, mi sono ritrovata a sentire e a leggere cose come: “Io non riuscirò mai ad arrivare al punto in cui sei arrivata tu, perché non riesco neanche ad immaginare me stessa mentre mangio quel cibo o bevo quella bevanda; ed è bellissimo che tu invece ci riesca, ma io non penso proprio che ci riuscirò mai”, oppure “Non sentirsi un fallimento è una missione ardua... soprattutto per chi, come me, non accetta vie di mezzo. O è bianco o è nero, il grigio non esiste nella mia mente contorta”, o ancora “Tu sei molto più avanti di me nel percorso di ricovero, io mi sento un po’ una fallita perché mi sembra di non riuscire a fare passi avanti, e anche quando li faccio sono comunque troppo piccoli per portarmi da qualche parte”.

Questo mi ha fatto pensare molto, perché io ho sempre creduto (e detto anche qui sul blog) che un DCA è completamente diverso da persona a persona, perché ognuna di noi ha un diverso carattere e un diverso background, e ho detto anche più volte che pure il ricovero dall’anoressia è un qualcosa di diverso per ognuna di noi. È un processo, è un viaggio, più o meno lungo, che porta a dover fronteggiare problemi e situazioni differenti per ciascuna di noi, proprio perché ognuna di noi ha maturato l’anoressia per ragioni differenti. Certamente ognuna di noi avrà le sue motivazioni e le sue modalità d’intraprendere la strada del ricovero ma se cominciate a fare paragoni e soprattutto a pensare che il vostro “livello di ricovero” sia inferiore rispetto a quello di qualcun’altra, significa che non avete il giusto rispetto per voi stesse e per lo sforzo che state facendo, che sminuite il lavoro che siete riuscite a fare finora, e che non avete fiducia nelle vostre capacità di poter migliorare ulteriormente la vostra situazione… che non avete fiducia in voi stesse.

Perciò,vorrei innanzitutto dirvi che, invece, dovete avere fiducia in voi stesse perché è quello che avete bisogno di avere e che vi meritate. Conosco un sacco di persone che hanno fiducia in qualcun altro, e scommetto che ci sono un sacco di persone che hanno fiducia in voi e nella vostra capacità di combattere l’anoressia perciò, perché non volete essere voi le prime ad avere fiducia in voi stesse?

Inoltre, vorrei anche dirvi che non ha alcun senso che compariate la vostra strada del ricovero con quella di qualcun altro… semplicemente, è impossibile fare un tale tipo di comparazione. Si possono comparare due cose solo quando queste sono uguali. Posso comparare, per esempio, due penne biro e stabilire quale sia la migliore, vuoi per l’impugnatura, vuoi per il tipo d’inchiostro. Ma non posso comparare il ricovero di due persone, potrei farlo solo se queste persone avessero lo stesso background, gli stessi vissuti, la stessa situazione familiare, lo stesso carattere, lo stesso supporto medico e familiare… cosa, ovviamente, impossibile. E, dunque, anche il confronto è impossibile. È sempre impossibile, sempre.

Ma, allo stesso tempo, come non potete confrontare il vostro percorso di ricovero con quello di qualcun’altra, dovete riconoscere che ognuna di voi ha il potenziale di portare il proprio ricovero al livello di quello di qualsiasi altra persona. E se pensate che questo non sia vero, allora voglio che mi diciate il perché. Perché pensate che voi non ce la potete fare ad arrivare a un certo punto? Ecco quello che vi chiedo: cos’è che vi fa pensare che voi non arriverete mai al livello di ricovero cui sono io adesso? Perché quello che mi sento dire, o quello che leggo nelle mail e nei commenti del blog è: “Ma io non arriverò mai al punto cui sei arrivata tu”, oppure, soprattutto: “Grazie, grazie, grazie, grazie per questo tuo blog, grazie per il tuo aiuto, grazie per aver risposto alla mia e-mail, grazie per i tuoi consigli, grazie per quello che dici, grazie per quello che fai, il tuo blog e le tue parole mi aiutano moltissimo a combattere l’anoressia”, ma poi arriva l’inevitabile constatazione: “Tu sei forte, determinata e volitiva, ma io non lo sono tanto quanto te e quindi non riuscirò mai ad arrivare al punto cui sei arrivata te”.

Bene, penso che questo sia assolutamente falso. Se la pensate così, vi sbagliate. E perciò, vorrei che rivolgeste a voi stesse questa domanda, perché se la pensate davvero così, allora avete veramente bisogno di capire il perché. Perché la pensate così? Perché vi sentite così? Mi farebbe molto piacere se, nei commenti relativi a questo post o via e-mail, rispondeste a questa mia domanda.

In ogni caso, sappiate che non c’è alcuna ragione per cui percorrere la strada del ricovero non sia assolutamente possibile per ciascuna di noi. Perché è una strada dura e difficile, e tutte incontreremo problemi e difficoltà, ma tutte possiamo tirare fuori la grinta necessaria per superarle. Paradossalmente, è proprio il pensare “non ce la posso fare” che non vi permetterà di farcela, anche se ne avreste tutte le possibilità. Ma se riuscite a capire cos’è che vi spinge a pensare “non ce la posso fare”, ecco, allora avete in mano la chiave per superarlo.

Perciò, se vi va, rispondete alla mia domanda, nei commenti o via e-mail (veggie.any@gmail.com). Nel prossimo post, toccherò ciascuno dei punti che mi direte nelle vostre risposte.

venerdì 20 gennaio 2012

Nessuna qui è un fallimento

Vorrei dire a tutte le ragazze che commentano su questo blog e a quelle che mi scrivono via e-mail definendosi talvolta un fallimento che, semplicemente, non lo sono affatto. Non perché qualcuna ha una ricaduta, ciò significa che sia un fallimento. Combattere contro l’anoressia è come imparare a camminare. All’inizio si striscia (si comincia a pensare alla possibilità di combattere contro l’anoressia). Poi si utilizzano sostegni che possano aiutarci a reggerci in piedi (si contattano centri specializzati, dietisti, medici). Poi si comincia a camminare sulle nostre gambe e infine a correre, e anche se si può scivolare, ci si rialza (si diventa capaci di riprenderci da ogni ricaduta). CI SARANNO ricadute lungo la strada del ricovero che decideremo di percorrere. E quando ricadremo, immediatamente la voce dell’anoressia ci dirà che, se non siamo riuscita a stare in piedi, allora abbiamo fallito. Ma se continuiamo a seguire la sua linea di pensiero, ritorneremo inevitabilmente dentro la malattia. Io credo fermamente nella capacità che ciascuna di noi ha di stare meglio. Di combattere contro l’anoressia a pieno. Ci vuole molto tempo? Sì. È facile? No. In ogni caso, anche il peggior giorno del nostro percorso di ricovero è comunque preferibile al miglior giorno con un DCA.

Dire a voi stesse che siete un fallimento non aiuta, anzi, rinforza il pensiero dicotomico (tutto o niente, bianco o nero) che è tipico di chi ha un DCA. Se non riusciamo a fare tutto come avremmo dovuto, se non riusciamo a seguire in toto il nostro “equilibrio alimentare” o a limitare l’attività fisica in eccesso, etc, ciò non significa che siamo un fallimento. C’è una zona grigia. Quando riusciamo a fare qualcosa di positivo, quando ci rialziamo dopo ogni ricaduta, quando combattiamo contro l’anoressia, stiamo vincendo battaglie. Continuiamo a farlo, e vinceremo la guerra.

Ad ogni modo, avere una ricaduta ed aver bisogno d’aiuto non è sinonimo di fallimento. Penso che chiunque di noi abbia avuto almeno una ricaduta nel suo percorso di ricovero. La strada del ricovero non è dritta e facile da percorrere come la Route 66. E’ una strada difficile, stretta ed intricata, e si può andare avanti solo per tentativi. E io credo pienamente nella capacità di ciascuna di noi di fare questi tentativi.

Ridefinite il vostro concetto di “fallimento”. Poiché state combattendo, poiché ci state provando, poichè ce la state mettendo tutta, poiché cercate di allontanare i pensieri indotti dall’anoressia, allora siete tutto meno che un fallimento. Non dovete percorrere la strada del ricovero sempre alla perfezione per essere comunque, un giorno, perfettamente in grado di contrastare l’anoressia.

venerdì 13 gennaio 2012

Stop, Swap & Console

Pochi giorni fa, per lavoro, ho frequentato un corso a proposito della sicurezza nelle palestre. Alcuni dei relatori del corso erano stranieri, quindi ci avevano fornito del materiale in Inglese, e tra questo la parte relativa a cosa fare in caso d’incendio: “Stop, Drop and Roll” recitava la prima frase che mi è rimasta particolarmente impressa (relativa a “What to do if your karategi is on fire - Cosa fare se il tuo karategi è in fiamme”).

E questo mi ha fatto pensare che mentre percorriamo la strada del ricovero dall’anoressia, molto spesso è importante semplificare, e dire a noi stesse cosa fare in poche e semplici parole. “Cosa posso effettivamente FARE quando sono stressata, o mi sento in colpa, o sto per mettere in atto uno dei comportamenti disfunzionali tipici dell’anoressia?”.

Pertanto, questa è la mia personale versione di “Stop, Drop and Roll”. La chiamerò

Stop, Swap & Console.

STOP a quello che state facendo. Calmate i vostri pensieri. Identificate i vostri sentimenti. Provate a cercare di capire cosa ci sta veramente dietro alla voglia di restringere o di abbuffarvi e vomitare. Concentratevi sul presente e dite a voi stesse: stop. Cercate di visualizzare nella vostra mente un segnale di stop.

SWAP (= Cambiate) i pensieri nella vostra mente. Pensate a qualcuno cui volete bene: “La persona cui voglio bene si sentirebbe veramente colpevole per aver fatto una cosa del genere?”; “La persona cui voglio bene seguirebbe quest’impulso dettato dal DCA?”; “Come mi sentirei se sapessi che la persona cui voglio bene ha tenuto questo comportamento disfunzionale?”. Ora, cambiate di nuovo il pensiero: mettete il vostro nome al posto di “la persona cui voglio bene”. E ricordate perciò a voi stesse che meritate tanta pazienza, dolcezza e aiuto come le meriterebbe da parte vostra la persona cui volete bene se avesse un DCA. Voi stesse siete la persona cui voi stesse dovete imparare a voler bene. Perciò, trattatevi con affetto.

CONSOLE (= Confortate) voi stesse. Abbiate cura di voi stesse. Siate gentili con voi stesse. Non sfogate sul vostro corpo le vostre emozioni negative. Chiamate il vostro psicoterapeuta o chiunque pensiate possa esservi d’aiuto. Indirizzate i vostri sentimenti. Comunicate quello che state provando… quello che state provando veramente. Validate i vostri desideri. Cercate di trovare altre più salutari strategie di coping.

Tre passi da compiere in tutti i momenti di difficoltà. Anche solo il pensare: Stop, Swap & Console, è un passo nella giusta direzione! Imparare a prenderci cura di noi stesse è un processo, e le cose non andranno a meraviglia fin dal primo tentativo, ma cominciare con queste tre semplici parole che possono aiutarci ad identificare quello di cui abbiamo davvero bisogno per prenderci cura di noi stesse, che possono aiutarci a leggerci dentro, può essere il primo passo per avere una maggiore cura per noi stesse in futuro.

venerdì 6 gennaio 2012

Anoressia: "I know"

Quale modo migliore per salutare il 2012, se non con un nuovo video?! ^__-
Un video che è una lettera aperta all’anoressia…



Videoclips delle t.A.T.u.:
“Snowfalls” / “Снегопады”
“30 Minutes” / “30 минут”
“Dangerous and Moving” / “Люди Инвалиды”

E questo è il testo della canzone – “I know”, sempre delle t.A.T.u. – che fa da colonna sonora. Perdonate la mia grafia da bambina delle scuole elementari, spero che vi piaccia almeno il disegno… oltre che il video, ovviamente!


(click sull'immagine per ingrandire)

venerdì 30 dicembre 2011

Per Lucy May - Buon 2012...

Per finire in bellezza questo 2011, ed iniziare il 2012 in positività, ho incontrato Lucy May.

E perciò, Lucy May, questo post è per te.

Perché si arriva ad un punto in cui capisci che altro non puoi fare. Nient’altro, tranne continuare a combattere contro l’anoressia. Quello che dovevi dire l'hai detto. Veramente, anche quello che non dovevi dire. Ma, Lucy May, sbagliare è umano. E anche aver paura, sentirsi in ansia, pensare di non farcela… tutto questo fa parte del nostro percorso. Sono stata così felice di poter passare un po’ di tempo con te, anche se temo che tu abbia visto in me molto più di quella che io sento di essere. Ma forse è normale che sia così.

Non è mai facile avere a che fare con una persona che ha un DCA, e questo lo sai bene anche tu. Non è facile per gli “esterni”, e a volte neanche per chi l’ha vissuta sulla propria pelle. Ma volevo solo dirti che per me il tuo abbraccio e il tuo sorriso valevano più di quanto si possa esprimere a parole.

Ti penso. Ti scrivo. Condividiamo. Combattiamo insieme. A volte va meglio, altre va peggio, e ci sentiamo come se fosse tutto come prima. Ma in realtà qualcosa cambia sempre.

Sono stata davvero felice di poterti parlare faccia a faccia, di poterti tenere per mano. Sei veramente unica e meravigliosa per me. Ti svaluti un sacco, eppure sei sempre te, quella speciale. Impulsiva, sorridente, silenziosa, dolce, forte, fragile, semplice, sensibile, diretta, viva e coraggiosa. Sai vivere. Tu pensi di no, ma io ti dico di sì, sai vivere. Non so da chi l'hai imparato. Che non si decide di essere così. Hai quella capacità d'incantare con le tue parole e il tuo alone di mistero tipica delle persone speciali. Dovresti vederti quando parli, quando gesticoli. Sei fatta per attirare l'attenzione. Brilli. Credo che, in fondo in fondo, sia uno dei tuoi scopi, temuti ed agognati.

Mi hai detto che hai avuto la sensazione di poter imparare tante cose da me. Ma arrivate a questo punto, sono io quella che ha imparato di più da te. Sono felicissima ed orgogliosa di averti come amica. Non vedo l’ora di poterti riabbracciare. Ti voglio un bene dell'anima.

E per questo nuovo anno che sta per cominciare, ti auguro (e auguro a tutte voi, ragazze) sogni a non finire, e la voglia di mettercela tutta per realizzarne qualcuno. Auguro di amare ciò che si deve amare, e di dimenticare ciò che si deve dimenticare. Auguro forza, coraggio, passioni, silenzi, un raggio di sole al risveglio e un sorriso sincero sulle labbra. Auguro di resistere alle mille e poi mille difficoltà quotidiane, e di rialzarsi dopo ogni caduta. Auguro soprattutto di essere sempre e solo noi stesse…


P.S.= Se vi va, date un’occhiata a QUESTO POST che ho trovato su un blog… Credo che troverete il post e la mia risposta alquanto interessanti… E se qualcuna vuole aggiungere al mio il proprio commento… ^__^”

venerdì 23 dicembre 2011

Natale: soprav/vivere

Come sopravvivere al Natale quando si ha un DCA? Che tu sia anoressica, bulimica, o che tu sia un genitore/fratello/sorella/amico/amica di qualcuno che ha un DCA, DCAmocelo chiaramente, il Natale può essere fonte di complicazioni e di stress. E lo stress tende a peggiorare il quadro di chi ha un DCA, sia da un punto di vista alimentare, sia in termini di relazioni con gli altri.

Per prima cosa, perciò, se avete un DCA, è importante cercare di allentare la presa, ed essere consapevoli del fatto che ci saranno momenti in cui ci si sentirà completamente incapaci di esercitare il benché minimo controllo. Attraversare il Natale significa molto spesso sentirsi obbligate a fare cose che non ci va di fare, perciò è importante pianificare in anticipo dei getaway, in modo da non sentirci con l’acqua alla gola.

Se si ha un DCA, il Natale può essere terrorizzante. Perché si potrebbe essere costretto a viverlo lontano da un contesto casalingo e, quindi, protetto. Oppure può essere ansiogeno anche l’avere tutto il parentado riunito, e il dover fingere di essere felici, l’ostentare falsi sorrisi, desiderando soltanto scappare veloce, lontano e da qualche altra parte.

L’ansia a Natale è in definitiva una costante per chi ha un DCA, ma non deve rovinare questa giornata. Bisogna sempre ricordare che la comunicazione – come in qualsiasi altro giorno dell’anno – può aiutare a ridurre lo stress. Perciò, circondatevi di persone cui volete bene e con cui state bene, affinché esse stesse possano aiutarvi a superare le vostre difficoltà.

Consigli per chi ha un DCA:

• Telefonare al Numero Verde SOS Disturbi Alimentari: 800180969 per parlare delle proprie difficoltà. (Vi ricordo che potete rimanere anche anonime, non vi è richiesto d’identificarvi, quindi sentitevi libere di parlare di tutti i vostri timori).

• Pianificate in anticipo. Identificate una persona supportiva che possa starvi vicino durante la giornata (vuoi fisicamente, vuoi telefonicamente), e che sapete essere pronta in ogni momento ad ascoltare le vostre ansie. Parlateci immediatamente, non appena sentite che le cose si stanno mettendo male.

• Parlate con i vostri familiari (o comunque con le persone con cui trascorrete la giornata natalizia) del vostro DCA, e spiegategli cosa dovrebbero fare, come dovrebbero comportarsi, per non farvi venire troppa ansia.

• Pianificate le visite a casa di familiari e amici, e provate ad immaginare cosa potrebbe succedere in questi contesti. Pensate a cosa potrebbero dirvi, e a quali risposte potreste dargli.

• Se trascorrete il Natale a casa, pianificate il momento in cui i vostri familiari e i vostri amici possono venire a farvi visita, così sarete psicologicamente preparate al loro arrivo, e minimizzerete lo stress relativo a questi incontri. Se dovete prendere parte a un “pranzo di famiglia”, pianificate quello che mangerete magari cucinandovelo in anticipo, e se vi fa sentire più tranquille, continuate a seguire il vostro “equilibrio alimentare”.

• Se siete a mangiare a casa di amici o parenti e non avete la possibilità di seguire l’ “equilibrio alimentare”, contattate la persona incaricata di preparare il pasto, e chiedetegli cosa cucinerà, affinché possiate poi telefonare alla vostra dietista e chiedere quali quantità di questi cibi mangiare. Altrimenti, portate qualcosa di preparato da voi, che vi sentite di mangiare senza avere troppa ansia.

• Ricordate che, a differenza di ciò che potete pensare, non è vero che tutti gli occhi sono puntati su di voi, pronti a controllare cosa/quanto mangiate. Per lo più la gente pensa a ciò che c’è sul proprio piatto, e a chiacchierare con gli altri.

• Se qualcuno si mette a fare commenti su cosa quanto mangiate, ricordate che quelle parole non sono affatto importanti: voi seguite il vostro “equilibrio alimentare” e perciò sapete che state mangiando quel che è giusto mangiare, dunque i commenti degli altri sono insignificanti.

• Trovatevi un po’ di tempo per voi stesse – ascoltate il vostro CD musicale preferito, telefonate alla vostra migliore amica, andate a fare una passeggiata, andate a fare un giro in auto. È importante che facciate qualcosa che vi faccia star bene e vi rilassi.

• Fate presente quelle che sono le vostre difficoltà in maniera tranquilla e serena, senza fare scenate che fanno poi stare peggio sia voi sia chi vi sta intorno.

• Datevi la possibilità di vivere le vostre emozioni per quello che sono. Ricordate che non avete l’obbligo di essere felici e sorridere per tutto il tempo – nessuno si aspetta questo da voi.

• Se anche esagerate col cibo… il Natale dura un giorno. Un giorno in cui si mangia di più, nel computo totale dell’alimentazione, non cambia assolutamente niente.

Consigli per chi ha a che fare con chi ha un DCA:

• Pianificate in anticipo. Informate i vostri parenti e chi sarà presente al pranzo di Natale, che vi partecipa anche una persona con un DCA, e aiutateli a capire cosa è meglio fare/non fare, e in cosa consiste veramente un DCA. Purtroppo queste patologie sono spesso minimizzate o trattate in maniera superficiale dai media, e ciò non aiuta certo chi sta male.

• La tensione che si viene a generare nel periodo natalizio reduce l’effettiva capacità di comunicare tra i membri di una famiglia. Consapevoli di questo, cercate di conservare la calma e di comunicare in maniera diretta con chi vi circonda. Considerate che una persona che ha un DCA è molto sensibile ai segnali subliminali, quindi parlate con tranquillità e chiarezza.

• Se siete voi che avete il compito di occuparvi del cibo, chiedete alla persona che ha un DCA cosa preferirebbe mangiare.

• Non riponete irrealistiche aspettative su ciò che mangerà la persona che ha un DCA. Cercate di ricordare che ognuno si relaziona con le situazioni, le emozioni e i sentimenti in maniera differente, e che una persona che ha un DCA tende a scaricare tutto sul cibo. Perciò, non pressatele con commenti sull’alimentazione, magari dicendo di mangiare un po’ di più. Non dovete “salvare” nessuno.

• Non parlate di cibo o di diete durante il pasto, e non fate commenti sull’aspetto fisico di nessuno dei partecipanti al pranzo. Viceversa, se si deve fare un commento su una persona che ha un DCA, è meglio orientarsi su cose come: “E’ bello che anche tu sia qui”, “sei forte perché ce la metti tutta”, “sembri più felice, ora” o “ci sei mancata”. Insomma, messaggi d’affetto… che è ciò di cui tutti (e chi ha un DCA in particolar modo) hanno bisogno. Critiche, falsi pietismi, e commenti sull’aspetto fisico o sul tipo di alimentazione sono assolutamente improduttivi, anzi, persino dannosi.

• Il Natale è un giorno come tutti gli altri, e se ve lo aspettate “perfetto”, andrete incontro a grosse delusioni. Una persona che ha un DCA non “guarisce” perché è Natale, anzi, per Natale avrà ancora più problemi col cibo. Siate consapevoli di questo, e cercate di essere più supportavi possibile: lei non sta cercando di rovinare il vostro Natale, sta cercando di sopravvivere al Natale.

• Non vi focalizzate sul cibo, su quanto la persona col DCA mangia o meno, cercate semplicemente di apprezzare il tempo che potete trascorrere insieme.

Consigli per tutti quanti:

• Ascoltate le sensazioni trasmesse dal vostro corpo – imparate a dire “no” se una cosa non vi va, e “sì” se invece volete mangiarla. Il corpo sa molto meglio della testa ciò di cui ha bisogno.

• Imparate a riconoscere i segnali che il vostro corpo vi manda – ascoltare voi stesse, e non agite solo per ciò che gli altri si aspettano da voi.

• Comunicate le vostre emozioni e i vostri sentimenti. Non tenetevi dentro cose che vi fanno stare male. Parlatene con qualcuno di cui avete fiducia. Tenete un diario o un blog in cui sfogarvi. Buttare fuori le emozioni significa non inchiodarle più sul proprio corpo…

• Non cercate la perfezione: siate semplicemente voi stesse. Siate fiere di quello che siete, non perdete tempo a cercare di essere perfette… non ci riuscireste comunque, ed in ogni caso non ne vale la pena. Datevi la possibilità di essere voi stesse, anche in un giorno difficile come il Natale. Non c’è niente di meglio al mondo.

P.S.= Buon Natale a tutte, ragazze...

(Click sull'immagine per ingrandirla)

venerdì 16 dicembre 2011

Trauma e ricovero

Vorrei condividere con voi un discorso che ho letto in un mio libro universitario e che penso racchiuda grandi verità:

“Dopo un trauma, il corpo raggiunge la sua massima vulnerabilità. La tempestività dell’intervento è fondamentale: occorre immediatamente l’operato di medici, infermieri, specialisti, tecnici. L’intervento chirurgico è uno sport di squadra, tutti corrono per tagliare il medesimo traguardo, per guarire il paziente. Ma lo stesso intervento chirurgico è, di per sé, un trauma; e soltanto quando è terminato inizia realmente il processo di guarigione. È quel che viene propriamente definito ricovero”.

Leggendo questa frase, ecco ciò che ho pensato:
Il ricovero dall’anoressia non è uno sport di squadra. È una solitaria corsa di fondo. È lunga, maledettamente faticosa, estenuante, ed estremamente solitaria.

La lunghezza della strada del ricovero è determinata dall’estensione delle nostre ferrite interiori, e non si conclude sempre in un successo. Non conta quanto duramente possiamo lavorarci su, ci sono delle ferite che non si rimargineranno mai completamente. Dobbiamo perciò abituarci a un nuovo modo di vivere: è questo il percorrere la strada del ricovero. E man mano che si va avanti, ci si accorge che si cambia così radicalmente da non poter più tornare al punto di partenza. Talvolta, confrontando quello che siamo con quello che eravamo, si può arrivare persino a non riconoscersi. Perché un processo di ricovero ci cambia. E si diventa delle persone completamente nuove… con la possibilità di costruirci una vita totalmente nuova.

Ecco, io credo sia così.
Molto spesso si sente parlare del legame tra un trauma subìto durante la vita (prese in giro, divorzio dei genitori, morte di una persona cara, violenze, rapporti sbagliati coi genitori, etc…) e lo sviluppo di un DCA, più raro (ma secondo me più realistico ed importante) è il sentir parlare del DCA in qualità di trauma stesso. Certo, non sarà traumatico nello stesso modo in cui può esserlo uno stupro, ma è comunque estremamente traumatico. Un DCA distrugge l’autostima, le sicurezze, la fiducia, gli interessi, gli affetti… distrugge la vita. Il ricovero obbliga ad affrontare le proprie ferite. E questa è la cosa più terrorizzante. E non è un qualcosa da cui si può uscire senza essere cambiate interiormente.

Certamente ognuna di noi ha un background che non può essere cancellato né cambiato, per quanto possiamo provarci. Ma abbiamo comunque la possibilità e la capacità di guardare a quello che è stato in maniera costruttiva, per rimetterci in piedi ed andare avanti costruendo qualcosa di nuovo e di diverso. È difficile trovare un equilibrio tra la nostra naturale tendenza a rimpiangere quello che è stato quando eravamo nel pieno dell’anoressia, e l’impiegare le nostre energie per trovare quanto di positivo può esserci al di là dell’anoressia stessa; anche perché si ha paura che quello che ci aspetta al termine della strada del ricovero sia uguale a ciò da cui avevamo cercato di fuggire scegliendo l’anoressia, e che quindi, alla fine, la nostra vita si riveli solo e soltanto un colossale disastro… ma, allo stesso tempo, bisogna avere la consapevolezza che, per quanto duro, dopo un trauma è sempre necessario un ricovero per ricominciare a vivere.


P.S.= Venerdì prossimo pubblicherò un post con un po' di consigli su come soprav/vivere i/a-l Natale... Stay tuned, gals!

venerdì 9 dicembre 2011

Disaccordo, disobbedienza e diniego

Sto leggendo un libro intitolato “Life Without ED”, scritto da Jenni Schaefer, in cui l’autrice illustra 2 principali strategie per combattere i pensieri che un DCA ci mette in testa:

• Disaccordo: Se l’anoressia ci mette in testa che mangiare un gelato per merenda possa farci prendere peso, occorre contrastare questo pensiero con un altro come: Mangiare il gelato a merenda è una cosa perfettamente normale, e un gelato non cambierà certo il mio peso, inoltre ho fiducia nella mia dietista e nell’ “equilibrio alimentare” che mi ha dato: se c’è scritto che per merenda devo mangiare un gelato, vuol dire che è la cosa giusta da fare.

• Disobbedienza: Nel momento in cui l’anoressia ci dice di non mangiare quel gelato, noi lo mangiamo ugualmente, cazzo.

Le trovo entrambe ottime strategie. Il mio maestro di karate mi diceva sempre che non avrei mai potuto vincere un incontro fino a che non mi fossi decisa a combattere seriamente. Combattere contro noi stesse è estremamente difficile perché c’è un gap tra la nostra razionalità e la nostra emotività, ed è arduo far prevalere la logica.

Anche nel momento in cui si riescono a contrastare i pensieri che l’anoressia ci mette in testa, il lungo braccio di ferro tra la nostra parte sana e la nostra parte malata ci lascia esauste e un po’ demoralizzate: ma è davvero sempre così difficile e stancante?!...

Infatti, non dovrebbe esserlo.
File sottostante: Vittoria di Pirro, definizione di.

Perciò, personalmente ho elaborato un’altra “strategia D” per contrastare i pensieri che l’anoressia mette in testa: Diniego.

Perciò, quando la voce dell’anoressia si presenta nella mia testa e mi dice quello che dovrei fare o non fare, quando mi dice che senza di lei non valgo niente, io non controbatto. Dico solo: “Hmmm…” e fingo di non aver sentito la sua voce. Quando si deve prendere una decisione, non sempre il cervello arriva ad un’unica ed inequivocabile conclusione. Differenti parti del cervello forniscono diversi input, e non tutti questi input sono ugualmente importanti e rilevanti. Questo dobbiamo fare con i pensieri indotti dall’anoressia: siamo coscienti che sono pensieri irrazionali quindi quello che dobbiamo fare è cercare d’ignorarli.

E dato che sappiamo che i pensieri indotti dall’anoressia sono menzogneri, non vale la pena di sprecare il nostro tempo e le nostre energie per controbatterli. Combattere contro qualcosa significa che la riteniamo abbastanza importante da sprecarci le nostre energie. Il fatto è che i pensieri che il DCA ci mette in testa non sono davvero così importanti, proprio perché sono bugie. Per questo è importante cercare di allontanarci mentalmente dal casino di pensieri che l’anoressia ci mette in testa. Può essere più o meno funzionale, e certamente è tutt’altro che facile, ma sicuramente ci lascerà più energie e positività.

venerdì 2 dicembre 2011

Possiamo farcela!

Ne avete abbastanza dell’anoressia? Ne avete abbastanza della restrizione alimentare? Ne avete abbastanza di trascorrere giornate fatte di ossessione e di vuoto? Ne avete abbastanza di tutte le sue bugie?

Bè, allora a questo punto c’è un’altra cosa che avete: una scelta. La scelta d’iniziare a percorrere la strada del ricovero.

L’anoressia vale VERAMENTE la pena? Provate a rispondere a questa domanda, e siate sincere con voi stesse. Indubbiamente l’anoressia trasmette una gran quantità di sensazioni positive e fantastiche nell’immediato… ma a lungo andare? Bisogna aprire gli occhi. Bisogna svegliarsi. Perché la devastazione che alla fine l’anoressia inevitabilmente produce, non vale la pena. Fa stare da dio, ma non vale tutta la merda che ne consegue. E lo dico con tutto il dolore del mondo, ma per lo meno adesso riesco a dirlo.

Lo so che è difficile crederci, ma vi assicuro che ci sono momenti in cui la cosa migliore da fare è arrendersi. Non resistere, non resistere a niente, mollare la presa. La presa dell’anoressia.

Ci vuole molta forza, molto coraggio e molta determinazione per scegliere la dura strada del ricovero… ma noi possiamo farcela!

Purtroppo c’è qualcosa nella psiche umana che fa confusione tra il concetto di “bellezza” e il diritto di essere amate per quello che siamo, ed impasta le due cose anche se in realtà si tratta di cose totalmente differenti: perché, ragazze, ognuna di voi merita di essere amata nonostante le sue imperfezioni. Anzi, di più: ognuna di voi merita di essere amata anche per le sue imperfezioni, che sono proprio quelle che vi rendono belle sotto ogni punto di vista. Siate una SU un milione, non una IN un milione: siate voi stesse.

Scegliete la strada del ricovero, datevi una possibilità, provate a correre il rischio (non il rischio di sbagliare, ma il ben più arduo rischio di farcela): in fin dei conti, non avete niente da perdere e tutto da guadagnare, ed è proprio quando si rischia tutto che non si rischia niente.

Tutto quel che dobbiamo fare è imparare ad ascoltarci, ad accettarci, ad apprezzarci, a farci respirare.

Fino a qualche anno fa pensavo che l’anoressia fosse tutta la mia vita, ma fortunatamente mi sbagliavo. Quindi, se anche voi lo state pensando, sappiate che questa non è che l’ennesima delle bugie che l’anoressia racconta. Lo so che talvolta percorrere la strada del ricovero sembra impossibile… ma non lo è. Dobbiamo farlo per noi stesse e per nessun altro. E noi possiamo farcela!

Se scegliete la strada del ricovero, ragazze, sorridete: è la giusta strada.

venerdì 25 novembre 2011

"F**king Perfect"

Per tutte voi, ragazze.



Traduzione delle canzone - da cui prende il titolo questo post - che fa da soundtrack del video...

FOTTUTAMENTE PERFETTA

Prendere la decisione sbagliata una o due volte
Scoprire la mia strada attraverso sangue e fuoco
Scelte errate sono all’ordine del giorno
benvenuti nella mia stupida vita.
Scansata, fuoriluogo, incompresa,
La signorina “Nessun problema, va sempre tutto bene”.
Niente riuscirà ad abbattermi
Sbagliata, sempre incapace di prevedere le conseguenze, sottovalutata
Ehi, guardate, sono ancora qui

Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.

Sei così severa quando parli di te stessa, ma ti sbagli
Cancella quella vocina che ti critica nella tua testa, insegnale a piacerti
È così difficile, ma ce la puoi fare alla grande,
Per molto tempo ti sei odiata così tanto… è un gioco a perdere
Non ne hai abbastanza?!! Io ho fatto tutto quello che potevo
Per scovare e sconfiggere tutti i miei demoni, e vedo che tu stai facendo lo stesso

Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.

Tutto il mondo sta a guardare mentre cerchiamo di ingoiare la paura
tutto quello che dovremmo bere è un gelido thé freddo
Così brave a mentire, e proviamo proviamo proviamo,
ma questi strenui tentativi sono solo una perdita di tempo
Bisogna ignorare le critiche, perchè ci piovono addosso da ogni direzione
Non gli piacciono i nostri jeans, non approvano la nostra pettinatura
Cercare di cambiare noi stesse in funzione degli altri
è quello che facciamo in continuazione.
Perché lo facciamo?
Perché lo faccio?
Perché lo faccio…?

Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.

Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta…

venerdì 18 novembre 2011

Paura del fallimento

L’altro giorno stavo parlando al telefono con una ragazza che ho conosciuto durante uno dei miei ricoveri in clinica specializzata per DCA, e si discuteva di alcuni aspetti del percorso di ricovero che entrambe ci siamo ritrovate a dover fronteggiare. Uno degli argomenti che abbiamo messo in campo è stata la possibilità di fallire nel momento in cui si sceglie d’intraprendere la strada del ricovero.

Una delle cose che c’intrappola nell’anoressia, infatti, è la sensazione che questa sia un qualcosa in cui riusciamo molto bene, che la restrizione alimentare sia un qualcosa che ci viene davvero bene. Certo, magari gli altri ci dicono che siamo brave anche in molte altre cose, ma la differenza sta nel fatto che, con l’anoressia, siamo noi le prime a dirci che siamo brave, e non temiamo, come succede per tutte le altre cose, che gli altri stiano solo facendo complimenti senza pensare davvero quello che dicono. Non abbiamo bisogno di nessuno che ci dica quanto siamo brave nel restringere l’alimentazione: è una certezza che abbiamo. Sappiamo che possiamo continuare a restringere l’alimentazione anche qualora ogni altro aspetto della nostra vita dovesse andare a puttane.

La strada del ricovero, d’altro canto, è un qualcosa di totalmente diverso. Sappiamo perfettamente come perdere peso, è molto semplice: basta mangiare di meno e fare più attività fisica. Così facendo, non si può certamente fallire. Il ricovero non è così semplice. Restringere l’alimentazione è molto più facile che mangiare seguendo l’ “equilibrio alimentare” che ci dà la dietista. Parafrasando: percorrere la strada dell’anoressia è come buttarsi giù da un dirupo. E’ facile, perché ci aiuta la forza di gravità. Percorrere la strada del ricovero, invece, è come risalire da quel dirupo. È difficile, perché bisogna contrastare la forza di gravità.

Questo è il punto: tutte abbiamo paura del fallimento. Molta, molta paura. E intraprendere la strada del ricovero mette in campo la possibilità di poter fallire. E il fare qualcosa sulle cui possibilità di successo non siamo del tutto sicure, mette addosso sempre certo una grande ansia. È lo stesso motivo per cui a volte rifiutiamo delle sfide – in ambito scolastico, lavorativo, o sportivo. Perché si ha paura del fallimento.

È anche per questo che è più facile rimanere nell’anoressia: è una cosa nella quale, indubbiamente, abbiamo dimostrato di essere estremamente abili nell’avere successo. E a causa di ciò, non siamo abituate al fallimento. Per questo è così difficile relazionarsi con un qualcosa che apre la possibilità al fallimento stesso. E poiché il fallimento non ci piace, preferiamo evitare le situazioni che potrebbero determinarlo. Ecco un altro motivo per cui è così dura intraprendere la strada del ricovero.

Ecco perchè si è così caute, ecco perchè si esita così tanto prima d’intraprendere la strada del ricovero. Perché non si sa come la cosa potrà evolvere. Perchè non siamo sicure che potremo farcela. Perchè, in fin dei conti, spesso all’inizio non siamo neanche sicure che vorremo farcela.

Questo è uno scoglio che bisogna superare per fare progressi. La paura del fallimento, in realtà, ci frena soltanto dal tentare di fare nuove esperienze, dal lasciare la strada vecchia per la nuova. Ci intrappola. Ovviamente, ci vuole la consapevolezza che se si decide d’intraprendere la strada del ricovero non ci saranno solo rose e fiori, anzi, sarà estremamente probabile andare incontro a delle ricadute. Non tutti i tentativi che faremo avranno successo. Ma se ci rifiutiamo di fare tentativi fino a che non siamo sicure al 100% che questi andranno a segno, allora non faremo mai niente. Del resto, non c’è modo di capire veramente se un tentativo possa avere successo o meno, fino a che non ci decidiamo a metterlo in pratica.

Paradossalmente, è proprio sbagliando che s’impara. E questo vale anche per la strada del ricovero. E per l’anoressia.

venerdì 11 novembre 2011

Mentre il tempo continua a scorrere

Mentre il tempo continua a scorrere, noi continuiamo a combattere contro l’anoressia. Ci sono giorni migliori, giorni in cui le cose vanno un po’ meglio, in cui lottare sembra più facile, in cui ci pare di riuscire a vedere una luce in fondo al tunnel e in cui ci sembra di sapere quello che stiamo facendo e perché; e giorni più difficili, giorni neri, giorni in cui sembra che il mondo ci crolli addosso, e allora si ha paura ad andare avanti perché si teme di non essere forti abbastanza per sopportare quello che ci attende.

Quando eravamo nell’anoressia, tutto quello che volevamo era sentirci in controllo, forti, soddisfatte, sicure di noi stesse… in una parola, onnipotenti. Ma adesso sappiamo che questa è solo un’illusione. Che quella dell’anoressia non è l’autostrada che prometteva di essere, ma soltanto un vicolo cieco, che ha come unico destino quello di farci sbattere contro un muro.

Bugie svelate, quindi. Abbiamo così iniziato a percorrere la dura e difficile strada del ricovero. E il tempo continua a scorrere. Il sole sorge ogni mattina. Le tempeste arrivano e passano via. Le battaglie continuiamo a combatterle giorno dopo giorno. Le lacrime scorrono e si asciugano. E noi continuiamo ad andare avanti. E dove c’è movimento sulla strada della luce, c’è speranza.

Ragazze, finché continueremo a combattere, l’anoressia non vincerà! Chi vince è perché non si è arreso, e chi si arrende all’anoressia non potrà mai vincere.

Tutte voi, ragazze, siete come delle stelle preziose, brillanti ed uniche. Non abbiate timore nel mostrare la vostra luce. Mentre il tempo continua a scorrere, potete illuminare la vostra vita e la strada del ricovero.

venerdì 4 novembre 2011

Amare il nostro corpo

Quando sono entrata nella spirale discendente dell’anoressia avevo solo 14 – 15 anni. Successivamente, si è aggiunto l’autolesionismo. Ho lottato a lungo col mio corpo, lo sto facendo tuttora. Sono arrivata a pesare XX Kg, come una bambina, ma adesso ho recuperato e il mio peso è XX Kg. Tuttavia ho imparato che non sono le dimensioni del mio corpo, il suo peso, la taglia ad essere importanti. Sono una persona valida a prescindere da quanto peso o dalla taglia dei miei jeans. E lo stesso vale per ciascuna di voi, ragazze.

Non è facile amare il nostro corpo, lo so, anzi, per lo più è estremamente difficile, ma dobbiamo sempre ricordare che noi siamo molto più del semplice nostro corpo! Siamo persone con una testa, un carattere, delle idee, delle passioni, degli interessi.

Perciò, nel momento in cui vi capiterà di odiare particolarmente il vostro corpo, cercate di focalizzarvi su quelle che sono le cose che contano veramente nella vita:

L’amicizia.
Le passioni.
L’aiuto reciproco.
La salute.


La strenua lotta che combattiamo contro il nostro corpo non vale la pena. Credo che ormai tutte voi sappiate benissimo che non sono 10 Kg in più o in meno a cambiarci la vita, a darci veramente quello che desideriamo e a farci essere quel che realmente vorremo essere. La verità è che essere 30 Kg o essere 80 Kg non cambierà la persona che siamo, non ci renderà una persona migliore/peggiore. Non ci renderà più desiderabili, più simpatiche o più intelligenti.

L’unica cosa di noi che il nostro peso – sottopeso – dimostra, è che siamo capaci di controllare cosa entra nella nostra bocca. Ma penso che siano altre le cose che vale davvero la pena di riuscire a controllare… e per poterlo fare, abbiamo bisogno che il nostro corpo sia in salute, perciò cerchiamo di averne cura. Anche nei momenti in cui vi sentite più giù, cercate di pensare al vostro corpo come al risultato del lavoro di un artista: chi desidererebbe distruggere il lavoro di un artista?

Il nostro corpo non ci definisce. La nostra immagine corporea non ha realmente tutta questa importanza, ma solo quella che le attribuiamo noi. L’unica immagine cui dobbiamo cercare di aderire, semmai, è l’immagine di un corpo in salute. Perchè è questo ciò che veramente ci serve.

La trasformazione del nostro corpo che con l’anoressia abbiamo cercato di operare, non è altro che una strategia di coping. Ma adesso è arrivato il momento di guardare i problemi dritti in faccia e di affrontarli, senza più rimanere nella stretta dolce e soffocante del DCA. Sfidiamo noi stesse a cambiare il nostro punto di vista: è possibile. Difficile, tremendamente difficile, ma possibile. Cerchiamo di canalizzare le nostre energie in una direzione positiva, cominciando a fare qualcosa per noi stesse, e iniziando e continuando a percorrere la strada del ricovero.

Cominciamo ad inseguire i nostri sogni. E, da tener sempre bene a mente: il ricovero è un PROCESSO, non un EVENTO. Sta a noi costruirlo giorno dopo giorno.
 
Clicky Web Analytics Licenza Creative Commons
Anoressia: after dark by Veggie is licensed under a Creative Commons Attribution-NoDerivs 3.0 Unported License.