venerdì 10 febbraio 2012
La metafora della maratona
Ed eccomi qui a completare le mie risposte, concludendo con il commento di justvicky che scrive: “Perchè durante la scalata , nel momento in cui sei appeso alla roccia e tenti con tutte le forze di non cadere, la vetta sembra sempre il doppio della distanza reale. I compagni di arrampicata sembrano sempre km sopra di te, più bravi, quasi ti volessero lasciare indietro. E tu , appeso a quella roccia che non sai bene dove appigliarti per procedere allo step sucessivo, ti senti bersaglio di tutto.[…]”.
Il ricovero, direi, oltre che una scalata, è anche una corsa. Ed è più una maratona che uno sprint di 100 metri. È lungo. È duro. È difficile. È faticoso. È snervante. Ed è necessario tenere il passo.
Proprio stamattina, cercando il modo migliore per rispondere alle parole di justvicky, pensavo alla metafora ricovero = maratona, e mi è tornata in mente una cosa che il mio maestro di karate (che una volta, quand’era più giovane, ha corso la maratona di New York) era solito dire. Lui diceva che, ovviamente, dato che detta maratona consiste nel percorrere 42 Km, i 21 Km rappresentano la metà della gara. Una volta superato il 21° chilometro, tecnicamente, si è scollinato.
Il mio maestro di karate diceva anche che chiunque abbia corso una maratona direbbe che la corsa non è a metà una volta raggiunto il 21° chilometro. No, quando si arriva al 22° chilometro, ci si considera ancora all’inizio. Molti maratoneti non considerano se stessi a metà della corsa fino a che non superano il 30° chilometro. Il mio maestro? Lui diceva che si sentiva a metà corsa quando si era lasciato alle spalle 34 Km.
Anche un bambino capirebbe che arrivare al 30° chilometro o addirittura al 34° significa aver compiuto ben più di metà della corsa. Non è che il mio maestro di karate sia una tale schiappa in matematica, semplicemente lui diceva che gli ultimi 8 Km gli sembravano tanto lunghi e faticosi quanto i primi 34.
Questo, secondo me, è perfettamente aderente alla strada del ricovero. È un po’ come se stessimo arrancando, e guardando i chilometri che a poco a poco ci lasciamo alle spalle, ci sentissimo come se fossimo ancora bel lontane dal traguardo. “Eppure è così tanto che sto camminando” pensiamo “che sono vicina alla fine. Devo essere vicina alla fine”. Ma mancano ancora 3, 7, 10 chilometri se non di più. Come diamine si può continuare a tener duro così a lungo??
Gli ultimi passi sulla strada del ricovero sembrano i più lunghi di tutti, e tutto quello che si può fare è impegnarsi al massimo e stringere i denti. Quegli ultimi 8 Km – quella che sembra la parte terminale della strada del ricovero – sono tanto lunghi, duri e faticosi come i primi 34 Km messi tutti insieme. Ed è difficile per chi non ha mai provato un DCA sulla propria pelle comprendere questo. Chi non è mai stata anoressica misura le distanze matematicamente: la metà della maratona è al 21° chilometro. Non fa una piega. Ma per chi è anoressica la calcolatrice non funziona, perché nessuna macchinetta può misurare l’intensità della fatica, dei sentimenti, dell’impegno, della determinazione, della forza che il percorrere la strada del ricovero richiede.
Personalmente, non penso di essere ancora arrivata al 34° chilometro. Però continuo a correre. E le parole del mio maestro di karate mi fanno capire meglio perché la strada del ricovero mi sembri ancora così dannatamente lunga, anche se talvolta mi viene da pensare che, dopo tutti questi anni e questi sforzi, dovrei avere già tagliato il traguardo da un pezzo.
Il ricovero, direi, oltre che una scalata, è anche una corsa. Ed è più una maratona che uno sprint di 100 metri. È lungo. È duro. È difficile. È faticoso. È snervante. Ed è necessario tenere il passo.
Proprio stamattina, cercando il modo migliore per rispondere alle parole di justvicky, pensavo alla metafora ricovero = maratona, e mi è tornata in mente una cosa che il mio maestro di karate (che una volta, quand’era più giovane, ha corso la maratona di New York) era solito dire. Lui diceva che, ovviamente, dato che detta maratona consiste nel percorrere 42 Km, i 21 Km rappresentano la metà della gara. Una volta superato il 21° chilometro, tecnicamente, si è scollinato.
Il mio maestro di karate diceva anche che chiunque abbia corso una maratona direbbe che la corsa non è a metà una volta raggiunto il 21° chilometro. No, quando si arriva al 22° chilometro, ci si considera ancora all’inizio. Molti maratoneti non considerano se stessi a metà della corsa fino a che non superano il 30° chilometro. Il mio maestro? Lui diceva che si sentiva a metà corsa quando si era lasciato alle spalle 34 Km.
Anche un bambino capirebbe che arrivare al 30° chilometro o addirittura al 34° significa aver compiuto ben più di metà della corsa. Non è che il mio maestro di karate sia una tale schiappa in matematica, semplicemente lui diceva che gli ultimi 8 Km gli sembravano tanto lunghi e faticosi quanto i primi 34.
Questo, secondo me, è perfettamente aderente alla strada del ricovero. È un po’ come se stessimo arrancando, e guardando i chilometri che a poco a poco ci lasciamo alle spalle, ci sentissimo come se fossimo ancora bel lontane dal traguardo. “Eppure è così tanto che sto camminando” pensiamo “che sono vicina alla fine. Devo essere vicina alla fine”. Ma mancano ancora 3, 7, 10 chilometri se non di più. Come diamine si può continuare a tener duro così a lungo??
Gli ultimi passi sulla strada del ricovero sembrano i più lunghi di tutti, e tutto quello che si può fare è impegnarsi al massimo e stringere i denti. Quegli ultimi 8 Km – quella che sembra la parte terminale della strada del ricovero – sono tanto lunghi, duri e faticosi come i primi 34 Km messi tutti insieme. Ed è difficile per chi non ha mai provato un DCA sulla propria pelle comprendere questo. Chi non è mai stata anoressica misura le distanze matematicamente: la metà della maratona è al 21° chilometro. Non fa una piega. Ma per chi è anoressica la calcolatrice non funziona, perché nessuna macchinetta può misurare l’intensità della fatica, dei sentimenti, dell’impegno, della determinazione, della forza che il percorrere la strada del ricovero richiede.
Personalmente, non penso di essere ancora arrivata al 34° chilometro. Però continuo a correre. E le parole del mio maestro di karate mi fanno capire meglio perché la strada del ricovero mi sembri ancora così dannatamente lunga, anche se talvolta mi viene da pensare che, dopo tutti questi anni e questi sforzi, dovrei avere già tagliato il traguardo da un pezzo.
venerdì 3 febbraio 2012
"Perché?": Le mie risposte
Ringraziandovi per le numerose risposte che avete lasciato al mio post precedente, come promesso adesso risponderò a ciò che ciascuna di voi ha scritto.
In quanto al commento di justvicky, le sue parole richiedono una trattazione più articolata che affronterò nel post di Venerdì prossimo.
Per tutte le altre, per comodità di trattazione, ho scelto di raggruppare alcuni dei commenti che hanno un contenuto simile… bè, veniamo a noi, dunque!
Alice sostiene che la sensazione di fallimento e d’incapacità di progredire nel percorso di ricovero sia legata al fatto che chi ha un DCA ha anche problemi di bassa autostima, e quindi non ha fiducia nelle proprie capacità di combattere riportando passi avanti e successi.
Questo è a suo modo certamente vero: molte ragazze che soffrono di DCA hanno un’autostima sotto ai piedi. Io credo però che la bassa autostima non sia tra le cause, ma tra le conseguenze del DCA. Se ci pensate, normalmente la gente basa la propria autostima sui successi che consegue nei vari ambiti della vita in cui si applica: l’aspetto fisico, il lavoro, lo studio, lo sport, la famiglia, le relazioni interpersonali, etc… Dal successo o meno in ciascuno di questi ambiti dipende un aumento o una riduzione dell’autostima. Nel momento in cui però viene fuori un DCA, l’unico ambito su cui la persona si focalizza è quello alimentare. Per cui, la persona giudica se stessa al 90% rispetto a quanto riesce a controllare l’alimentazione, e al 10% rispetto a tutti gli altri aspetti sopraelencati. Ovvio perciò che uno sgarro nel comportamento alimentare comprometta gran parte dell’autostima, visto che tutto è centrato lì. Ma il fatto che voi vediate magari in questo momento solo l’aspetto alimentare di voi stesse, non significa che non ci sia nient’altro, in realtà. Ci sono sempre anche tutte le altre cose. Re-imparare a dare il giusto valore ad ogni ambito della vita è indubbiamente un buon modo per progredire sulla strada del ricovero.
Withoutexit(?) e la ragazza che ha commentato anonimamente mettono l’accento sulla difficoltà nel fare passi avanti quando viene meno o comunque non è adeguato il supporto medico e familiare, facendo notale come questo possa intralciare il percorso di ricovero.
E’ vero, sicuramente un ambiente non supportivo non rende facile il muoversi nella lotta contro un DCA. Aumenta il senso d’insicurezza, e la falsa sensazione di non poter essere in grado di farcela. Ma è una falsa sensazione. Non è vero che non siete forti, volitive e determinate, è solo che state attraversando un momento in cui le circostanze e le persone sbagliate che avete incrociato finora vi stanno remando contro. Ma il fatto che non abbiate avuto molta fortuna finora con i terapeuti con cui avete avuto a che fare, non significa che non possiate trovare in futuro persone in grado di aiutarvi davvero. E’ difficile trovarle – e lo dice una che ha cambiato millemila terapeuti – ma esistono persone che possono darvi una mano a combattere, a trovare strategie di coping più funzionali e meno dannose. Semplicemente, non dovete arrendervi e continuare a cercarle.
Sonia riferisce a proposito della difficoltà di capire cosa voglia fare veramente e quale sia la strada giusta da intraprendere, considerate le difficoltà dell’affidarsi ai medici.
Quando si è ancora dentro l’anoressia, la “confusione nella testa” – citando – che si avverte, è proprio legata al fatto che, pur avendo iniziato un percorso di ricovero, l’anoressia è ancora presente nella nostra vita. Non si può pretendere che le cose cambino dall’oggi al domani, non si può pretendere che sia tutto facile e chiaro fin dal primo momento. Bisogna armarci di pazienza e saper aspettare, perché il una lotta come quella contro i DCA, i progressi si vedono solo su lunga gittata. È normale, soprattutto all’inizio, essere confuse. La nebbia si dirada man mano che si va avanti. Capisco anche come all’inizio possa essere difficile accettare il “controllo” proveniente dai medici, ma è necessario (e anche temporaneo, don’t worry, non c’è monitoraggio medico vita natural durante) perché quando siamo nell’anoressia non abbiamo più alcun controllo autonomo. È la malattia che ci controlla spietatamente. Dite che non è vero? Pensateci: non è forse vero che un piatto di spaghetti al pomodoro ha più controllo sulla vostra vita di quanto non ne abbiate voi stesse?!!...
Vale mette in luce l’aspetto legato all’immagine corporea, sottolineando quanto sia difficile in riuscire ad accettare l’aumento di peso, e come il vedere il peso che si alza possa precludere ogni volta ad una ricaduta in un loop senza fine.
Questo mi fa pensare ai ricoveri ospedalieri, o comunque in strutture non specializzate, dove l’obiettivo primario è il recupero del peso, a prescindere dal tempo necessario per farlo, per cui può accadere che una ragazza si veda costretta a prendere diversi chili in poche settimane, e questo rappresenta veramente un fattore di rischio ricaduta. Ma, in realtà, non esistono tempi standardizzati per il recupero del peso. Anzi, con l’eccezione delle situazioni ove c’è reale rischio di vita, penso che il peso debba essere ripreso in maniera estremamente graduale. Questo aiuta ad abituarsi in maniera naturale a una situazione che procede così lentamente da essere, sul momento, quasi impercettibile. Così non è solo il corpo che si riprende, ma anche la testa (per questo è importante abbinare la psicoterapia alla rialimentazione), e questo permette di non avere troppi sbalzi e riuscire a tollerare gli incrementi riducendo il margine di ricaduta. Ci vuole un dietista specializzato che aiuti, in questo, ovviamente, che sappia afferrare per mano ogni volta che ci sentiamo sul punto di ricadere.
Ilaria lega il suo senso di fallimento e di mancata progressione ai giudizi che gli altri lanciano addosso in caso di insuccesso, facendoci sentire sbagliate e imperfette.
E’ vero, non siamo perfette. E menomale che non lo siamo. Perché nell’acqua perfettamente limpida i pesci non ci sono. E dato che non viviamo in una bolla di sapone ma in un contesto sociale, è normale essere circondate da persone che “guardano” e giudicano quello che facciamo. Non soltanto relativamente al nostro percorso di ricovero, ma rispetto ad ogni singolo aspetto della nostra vita. Anche solo dopo aver detto questo, risulta palese che per non essere giudicate dagli altri, dovremo chiuderci in una stanza e non fare assolutamente niente. Il mondo ci giudica e noi – più o meno consapevolmente – giudichiamo il mondo. Quando si decide di fare un tentativo di percorrere la strada del ricovero, inevitabilmente ci si espone. Ed esporsi significa accettare non solo il bel tempo, ma anche le critiche e i giudizi. Ma quello che si fa, lo dobbiamo fare per noi stesse, non per gli altri. Perché se cerchiamo la comprensione, la compassione, le coccole altrui, aspetteremo una vita e ci ritroveremo con il niente in mano. Perciò, è solo per noi stesse che dobbiamo decidere cosa si vuole fare, perché siamo noi le uniche che possono veramente prenderci cura di noi stesse. Nel momento in cui scegliamo di tentare la strada del ricovero, sappiamo a priori che potremo fallire. E che, dunque, potremo essere giudicate, schernite, derise, infamate da chiunque. Però noi dobbiamo essere convinte che percorrere quella strada è la cosa giusta da fare: dobbiamo crederci fino in fondo. E proprio nel momento in cui ci crederemo al 100%, i giudizi altrui non saranno più in grado di scalfirci.
Wolfie e Victoria parlano della routinarietà del DCA, e della conseguente paura a lasciarlo andare, nella sensazione che dopo rimanga un “vuoto” troppo difficile da colmare.
È inevitabile che dopo tanti anni passati con un DCA, questo diventi in un certo senso parte integrante della nostra vita. E ciò rende difficile il lasciarlo andare, perché si ha sempre timore a “lasciare la strada vecchia per la nuova”. In fin dei conti, un DCA è una malattia ma, paradossalmente, si rivela un meccanismo di coping così efficace da rappresentare, sebbene in maniera distorta, anche una cura. Nel momento in cui si sceglie un sintomo, è come se si scegliesse di andare a piantare una bandiera sulla cima dell’Everest, per dimostrare a noi stesse e agli altri che siamo capaci di portare a termine un progetto. Dimostrare che siamo capaci di non avere fame, sete, freddo, bisogno, desiderio è ciò che spinge a salire sempre più in alto. Certo, poi ci si rende conto che quello che avevamo intrapreso era un progetto fallimentare, che era una strategia che non conduceva da nessuna parte. Però è in quel progetto fallimentare che abbiamo investito tutte noi stesse. Perciò, forse, quel che serve per abbandonare la posizione, è che vengano riconosciute la sofferenza e il coraggio. E dunque, ragazze, voglio dirvi che la vostra sofferenza ed il vostro coraggio mi sono chiari, palesi, evidenti. Che scorgo la vostra dolorosa arrampicata e posso sentire la lotta disperata verso una vita che ogni giorno incanta e sotterra. Voglio dirvi che il vostro coraggio potete adesso usarlo per fare qualcosa per voi stesse, non più contro voi stesse. E che lo sforzo che farete per percorrere la strada del ricovero, data la vostra volontà, si rivelerà sicuramente, alla lunga, un successo.
Jonny ammette che la sua non-progressione nel percorso di ricovero, è legata a una sua attuale non-volontà di fare passi avanti. ShadeOfTheSun quota le sue parole.
Di fronte a un commento del genere (e, Jonny, l’ho riletto un’infinità di volte) non posso che dire: rispetto. So che tutti i momenti della vita non sono uguali. Se anche solo 6 anni fa qualcuno mi avesse detto che un giorno io mi sarei dedicata a questo blog, avrei telefonato al CIM. Questo solo per dire che non tutti i momenti della vita effettivamente sono adatti per iniziare un percorso di ricovero. Ed è giusto che ciascuna si prenda i propri tempi ed inizi questo percorso nel momento in cui si sente pronta ad accettarlo senza riserve, altresì ne conseguirebbero inevitabili ricadute che servirebbero solo a rafforzare l’idea di fallimento e ad allontanare dalla strada del ricovero. Perciò, se sentite che adesso non siete pronte, aspettate il vostro momento. Ma, mi raccomando, non utilizzate l’attesa come una scusa. Il “momento giusto” non arriva dal cielo. Non è che vi svegliate una mattina e dite: “Oh, guarda un po’, oggi è la mia giornata, vai che inizio a combattere contro l’anoressia!”… no, non succede purtroppo. Siete voi che dovete crearvi il vostro “momento giusto”. Darvi un’opportunità. Perché in realtà non è vero che non volete combattere. Non è vero che volete passare il resto della vostra vita con l’anoressia. Perché nessuno sceglie e convive con un male percependolo come tale, ma solo se, per sbaglio, lo viene a considerare un bene rispetto a qualcos’altro che viene percepito come un male maggiore. È questo su cui dovete lavorare: su ciò che ci sta dietro. Perché sarà questa la chiave che darà l’avvio al vostro processo di cambiamento, alla vostra strada di ricovero. So cosa significa avere la vita dentro che avete voi, ragazze. È così tanta, talmente tanta che a volte sembra abbia il paradossale potere di uccidere.
In quanto al commento di justvicky, le sue parole richiedono una trattazione più articolata che affronterò nel post di Venerdì prossimo.
Per tutte le altre, per comodità di trattazione, ho scelto di raggruppare alcuni dei commenti che hanno un contenuto simile… bè, veniamo a noi, dunque!
Alice sostiene che la sensazione di fallimento e d’incapacità di progredire nel percorso di ricovero sia legata al fatto che chi ha un DCA ha anche problemi di bassa autostima, e quindi non ha fiducia nelle proprie capacità di combattere riportando passi avanti e successi.
Questo è a suo modo certamente vero: molte ragazze che soffrono di DCA hanno un’autostima sotto ai piedi. Io credo però che la bassa autostima non sia tra le cause, ma tra le conseguenze del DCA. Se ci pensate, normalmente la gente basa la propria autostima sui successi che consegue nei vari ambiti della vita in cui si applica: l’aspetto fisico, il lavoro, lo studio, lo sport, la famiglia, le relazioni interpersonali, etc… Dal successo o meno in ciascuno di questi ambiti dipende un aumento o una riduzione dell’autostima. Nel momento in cui però viene fuori un DCA, l’unico ambito su cui la persona si focalizza è quello alimentare. Per cui, la persona giudica se stessa al 90% rispetto a quanto riesce a controllare l’alimentazione, e al 10% rispetto a tutti gli altri aspetti sopraelencati. Ovvio perciò che uno sgarro nel comportamento alimentare comprometta gran parte dell’autostima, visto che tutto è centrato lì. Ma il fatto che voi vediate magari in questo momento solo l’aspetto alimentare di voi stesse, non significa che non ci sia nient’altro, in realtà. Ci sono sempre anche tutte le altre cose. Re-imparare a dare il giusto valore ad ogni ambito della vita è indubbiamente un buon modo per progredire sulla strada del ricovero.
Withoutexit(?) e la ragazza che ha commentato anonimamente mettono l’accento sulla difficoltà nel fare passi avanti quando viene meno o comunque non è adeguato il supporto medico e familiare, facendo notale come questo possa intralciare il percorso di ricovero.
E’ vero, sicuramente un ambiente non supportivo non rende facile il muoversi nella lotta contro un DCA. Aumenta il senso d’insicurezza, e la falsa sensazione di non poter essere in grado di farcela. Ma è una falsa sensazione. Non è vero che non siete forti, volitive e determinate, è solo che state attraversando un momento in cui le circostanze e le persone sbagliate che avete incrociato finora vi stanno remando contro. Ma il fatto che non abbiate avuto molta fortuna finora con i terapeuti con cui avete avuto a che fare, non significa che non possiate trovare in futuro persone in grado di aiutarvi davvero. E’ difficile trovarle – e lo dice una che ha cambiato millemila terapeuti – ma esistono persone che possono darvi una mano a combattere, a trovare strategie di coping più funzionali e meno dannose. Semplicemente, non dovete arrendervi e continuare a cercarle.
Sonia riferisce a proposito della difficoltà di capire cosa voglia fare veramente e quale sia la strada giusta da intraprendere, considerate le difficoltà dell’affidarsi ai medici.
Quando si è ancora dentro l’anoressia, la “confusione nella testa” – citando – che si avverte, è proprio legata al fatto che, pur avendo iniziato un percorso di ricovero, l’anoressia è ancora presente nella nostra vita. Non si può pretendere che le cose cambino dall’oggi al domani, non si può pretendere che sia tutto facile e chiaro fin dal primo momento. Bisogna armarci di pazienza e saper aspettare, perché il una lotta come quella contro i DCA, i progressi si vedono solo su lunga gittata. È normale, soprattutto all’inizio, essere confuse. La nebbia si dirada man mano che si va avanti. Capisco anche come all’inizio possa essere difficile accettare il “controllo” proveniente dai medici, ma è necessario (e anche temporaneo, don’t worry, non c’è monitoraggio medico vita natural durante) perché quando siamo nell’anoressia non abbiamo più alcun controllo autonomo. È la malattia che ci controlla spietatamente. Dite che non è vero? Pensateci: non è forse vero che un piatto di spaghetti al pomodoro ha più controllo sulla vostra vita di quanto non ne abbiate voi stesse?!!...
Vale mette in luce l’aspetto legato all’immagine corporea, sottolineando quanto sia difficile in riuscire ad accettare l’aumento di peso, e come il vedere il peso che si alza possa precludere ogni volta ad una ricaduta in un loop senza fine.
Questo mi fa pensare ai ricoveri ospedalieri, o comunque in strutture non specializzate, dove l’obiettivo primario è il recupero del peso, a prescindere dal tempo necessario per farlo, per cui può accadere che una ragazza si veda costretta a prendere diversi chili in poche settimane, e questo rappresenta veramente un fattore di rischio ricaduta. Ma, in realtà, non esistono tempi standardizzati per il recupero del peso. Anzi, con l’eccezione delle situazioni ove c’è reale rischio di vita, penso che il peso debba essere ripreso in maniera estremamente graduale. Questo aiuta ad abituarsi in maniera naturale a una situazione che procede così lentamente da essere, sul momento, quasi impercettibile. Così non è solo il corpo che si riprende, ma anche la testa (per questo è importante abbinare la psicoterapia alla rialimentazione), e questo permette di non avere troppi sbalzi e riuscire a tollerare gli incrementi riducendo il margine di ricaduta. Ci vuole un dietista specializzato che aiuti, in questo, ovviamente, che sappia afferrare per mano ogni volta che ci sentiamo sul punto di ricadere.
Ilaria lega il suo senso di fallimento e di mancata progressione ai giudizi che gli altri lanciano addosso in caso di insuccesso, facendoci sentire sbagliate e imperfette.
E’ vero, non siamo perfette. E menomale che non lo siamo. Perché nell’acqua perfettamente limpida i pesci non ci sono. E dato che non viviamo in una bolla di sapone ma in un contesto sociale, è normale essere circondate da persone che “guardano” e giudicano quello che facciamo. Non soltanto relativamente al nostro percorso di ricovero, ma rispetto ad ogni singolo aspetto della nostra vita. Anche solo dopo aver detto questo, risulta palese che per non essere giudicate dagli altri, dovremo chiuderci in una stanza e non fare assolutamente niente. Il mondo ci giudica e noi – più o meno consapevolmente – giudichiamo il mondo. Quando si decide di fare un tentativo di percorrere la strada del ricovero, inevitabilmente ci si espone. Ed esporsi significa accettare non solo il bel tempo, ma anche le critiche e i giudizi. Ma quello che si fa, lo dobbiamo fare per noi stesse, non per gli altri. Perché se cerchiamo la comprensione, la compassione, le coccole altrui, aspetteremo una vita e ci ritroveremo con il niente in mano. Perciò, è solo per noi stesse che dobbiamo decidere cosa si vuole fare, perché siamo noi le uniche che possono veramente prenderci cura di noi stesse. Nel momento in cui scegliamo di tentare la strada del ricovero, sappiamo a priori che potremo fallire. E che, dunque, potremo essere giudicate, schernite, derise, infamate da chiunque. Però noi dobbiamo essere convinte che percorrere quella strada è la cosa giusta da fare: dobbiamo crederci fino in fondo. E proprio nel momento in cui ci crederemo al 100%, i giudizi altrui non saranno più in grado di scalfirci.
Wolfie e Victoria parlano della routinarietà del DCA, e della conseguente paura a lasciarlo andare, nella sensazione che dopo rimanga un “vuoto” troppo difficile da colmare.
È inevitabile che dopo tanti anni passati con un DCA, questo diventi in un certo senso parte integrante della nostra vita. E ciò rende difficile il lasciarlo andare, perché si ha sempre timore a “lasciare la strada vecchia per la nuova”. In fin dei conti, un DCA è una malattia ma, paradossalmente, si rivela un meccanismo di coping così efficace da rappresentare, sebbene in maniera distorta, anche una cura. Nel momento in cui si sceglie un sintomo, è come se si scegliesse di andare a piantare una bandiera sulla cima dell’Everest, per dimostrare a noi stesse e agli altri che siamo capaci di portare a termine un progetto. Dimostrare che siamo capaci di non avere fame, sete, freddo, bisogno, desiderio è ciò che spinge a salire sempre più in alto. Certo, poi ci si rende conto che quello che avevamo intrapreso era un progetto fallimentare, che era una strategia che non conduceva da nessuna parte. Però è in quel progetto fallimentare che abbiamo investito tutte noi stesse. Perciò, forse, quel che serve per abbandonare la posizione, è che vengano riconosciute la sofferenza e il coraggio. E dunque, ragazze, voglio dirvi che la vostra sofferenza ed il vostro coraggio mi sono chiari, palesi, evidenti. Che scorgo la vostra dolorosa arrampicata e posso sentire la lotta disperata verso una vita che ogni giorno incanta e sotterra. Voglio dirvi che il vostro coraggio potete adesso usarlo per fare qualcosa per voi stesse, non più contro voi stesse. E che lo sforzo che farete per percorrere la strada del ricovero, data la vostra volontà, si rivelerà sicuramente, alla lunga, un successo.
Jonny ammette che la sua non-progressione nel percorso di ricovero, è legata a una sua attuale non-volontà di fare passi avanti. ShadeOfTheSun quota le sue parole.
Di fronte a un commento del genere (e, Jonny, l’ho riletto un’infinità di volte) non posso che dire: rispetto. So che tutti i momenti della vita non sono uguali. Se anche solo 6 anni fa qualcuno mi avesse detto che un giorno io mi sarei dedicata a questo blog, avrei telefonato al CIM. Questo solo per dire che non tutti i momenti della vita effettivamente sono adatti per iniziare un percorso di ricovero. Ed è giusto che ciascuna si prenda i propri tempi ed inizi questo percorso nel momento in cui si sente pronta ad accettarlo senza riserve, altresì ne conseguirebbero inevitabili ricadute che servirebbero solo a rafforzare l’idea di fallimento e ad allontanare dalla strada del ricovero. Perciò, se sentite che adesso non siete pronte, aspettate il vostro momento. Ma, mi raccomando, non utilizzate l’attesa come una scusa. Il “momento giusto” non arriva dal cielo. Non è che vi svegliate una mattina e dite: “Oh, guarda un po’, oggi è la mia giornata, vai che inizio a combattere contro l’anoressia!”… no, non succede purtroppo. Siete voi che dovete crearvi il vostro “momento giusto”. Darvi un’opportunità. Perché in realtà non è vero che non volete combattere. Non è vero che volete passare il resto della vostra vita con l’anoressia. Perché nessuno sceglie e convive con un male percependolo come tale, ma solo se, per sbaglio, lo viene a considerare un bene rispetto a qualcos’altro che viene percepito come un male maggiore. È questo su cui dovete lavorare: su ciò che ci sta dietro. Perché sarà questa la chiave che darà l’avvio al vostro processo di cambiamento, alla vostra strada di ricovero. So cosa significa avere la vita dentro che avete voi, ragazze. È così tanta, talmente tanta che a volte sembra abbia il paradossale potere di uccidere.
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venerdì 27 gennaio 2012
Una domanda per voi: Perchè?
Ciao a tutte, ragazze!
Il post che scrivo oggi è diretta conseguenza dell’ultimo che ho pubblicato lo scorso Venerdì.
Perciò, voglio aprire questo post con una domanda. E la domanda è: cos’è che vi fa pensare che siete un fallimento e che non potrete mai raggiungere il livello di ricovero cui io sono adesso?
Il motivo per cui vi rivolgo questa domanda è perché dopo aver letto i vostri commenti a proposito del mio post precedente, e dopo aver letto anche alcune e-mail che mi sono arrivate al riguardo, nonché, più in generale, parlando, vuoi direttamente, vuoi tramite e-mail, con ragazze meravigliose, intelligenti, sensibili, creative, conosciute sia tramite blog sia nella vita di tutti i giorni, che stanno attivamente combattendo contro l’anoressia, che sono pienamente convinte di non voler rimanere impantanate nella melma di un DCA, mi sono ritrovata a sentire e a leggere cose come: “Io non riuscirò mai ad arrivare al punto in cui sei arrivata tu, perché non riesco neanche ad immaginare me stessa mentre mangio quel cibo o bevo quella bevanda; ed è bellissimo che tu invece ci riesca, ma io non penso proprio che ci riuscirò mai”, oppure “Non sentirsi un fallimento è una missione ardua... soprattutto per chi, come me, non accetta vie di mezzo. O è bianco o è nero, il grigio non esiste nella mia mente contorta”, o ancora “Tu sei molto più avanti di me nel percorso di ricovero, io mi sento un po’ una fallita perché mi sembra di non riuscire a fare passi avanti, e anche quando li faccio sono comunque troppo piccoli per portarmi da qualche parte”.
Questo mi ha fatto pensare molto, perché io ho sempre creduto (e detto anche qui sul blog) che un DCA è completamente diverso da persona a persona, perché ognuna di noi ha un diverso carattere e un diverso background, e ho detto anche più volte che pure il ricovero dall’anoressia è un qualcosa di diverso per ognuna di noi. È un processo, è un viaggio, più o meno lungo, che porta a dover fronteggiare problemi e situazioni differenti per ciascuna di noi, proprio perché ognuna di noi ha maturato l’anoressia per ragioni differenti. Certamente ognuna di noi avrà le sue motivazioni e le sue modalità d’intraprendere la strada del ricovero ma se cominciate a fare paragoni e soprattutto a pensare che il vostro “livello di ricovero” sia inferiore rispetto a quello di qualcun’altra, significa che non avete il giusto rispetto per voi stesse e per lo sforzo che state facendo, che sminuite il lavoro che siete riuscite a fare finora, e che non avete fiducia nelle vostre capacità di poter migliorare ulteriormente la vostra situazione… che non avete fiducia in voi stesse.
Perciò,vorrei innanzitutto dirvi che, invece, dovete avere fiducia in voi stesse perché è quello che avete bisogno di avere e che vi meritate. Conosco un sacco di persone che hanno fiducia in qualcun altro, e scommetto che ci sono un sacco di persone che hanno fiducia in voi e nella vostra capacità di combattere l’anoressia perciò, perché non volete essere voi le prime ad avere fiducia in voi stesse?
Inoltre, vorrei anche dirvi che non ha alcun senso che compariate la vostra strada del ricovero con quella di qualcun altro… semplicemente, è impossibile fare un tale tipo di comparazione. Si possono comparare due cose solo quando queste sono uguali. Posso comparare, per esempio, due penne biro e stabilire quale sia la migliore, vuoi per l’impugnatura, vuoi per il tipo d’inchiostro. Ma non posso comparare il ricovero di due persone, potrei farlo solo se queste persone avessero lo stesso background, gli stessi vissuti, la stessa situazione familiare, lo stesso carattere, lo stesso supporto medico e familiare… cosa, ovviamente, impossibile. E, dunque, anche il confronto è impossibile. È sempre impossibile, sempre.
Ma, allo stesso tempo, come non potete confrontare il vostro percorso di ricovero con quello di qualcun’altra, dovete riconoscere che ognuna di voi ha il potenziale di portare il proprio ricovero al livello di quello di qualsiasi altra persona. E se pensate che questo non sia vero, allora voglio che mi diciate il perché. Perché pensate che voi non ce la potete fare ad arrivare a un certo punto? Ecco quello che vi chiedo: cos’è che vi fa pensare che voi non arriverete mai al livello di ricovero cui sono io adesso? Perché quello che mi sento dire, o quello che leggo nelle mail e nei commenti del blog è: “Ma io non arriverò mai al punto cui sei arrivata tu”, oppure, soprattutto: “Grazie, grazie, grazie, grazie per questo tuo blog, grazie per il tuo aiuto, grazie per aver risposto alla mia e-mail, grazie per i tuoi consigli, grazie per quello che dici, grazie per quello che fai, il tuo blog e le tue parole mi aiutano moltissimo a combattere l’anoressia”, ma poi arriva l’inevitabile constatazione: “Tu sei forte, determinata e volitiva, ma io non lo sono tanto quanto te e quindi non riuscirò mai ad arrivare al punto cui sei arrivata te”.
Bene, penso che questo sia assolutamente falso. Se la pensate così, vi sbagliate. E perciò, vorrei che rivolgeste a voi stesse questa domanda, perché se la pensate davvero così, allora avete veramente bisogno di capire il perché. Perché la pensate così? Perché vi sentite così? Mi farebbe molto piacere se, nei commenti relativi a questo post o via e-mail, rispondeste a questa mia domanda.
In ogni caso, sappiate che non c’è alcuna ragione per cui percorrere la strada del ricovero non sia assolutamente possibile per ciascuna di noi. Perché è una strada dura e difficile, e tutte incontreremo problemi e difficoltà, ma tutte possiamo tirare fuori la grinta necessaria per superarle. Paradossalmente, è proprio il pensare “non ce la posso fare” che non vi permetterà di farcela, anche se ne avreste tutte le possibilità. Ma se riuscite a capire cos’è che vi spinge a pensare “non ce la posso fare”, ecco, allora avete in mano la chiave per superarlo.
Perciò, se vi va, rispondete alla mia domanda, nei commenti o via e-mail (veggie.any@gmail.com). Nel prossimo post, toccherò ciascuno dei punti che mi direte nelle vostre risposte.
Il post che scrivo oggi è diretta conseguenza dell’ultimo che ho pubblicato lo scorso Venerdì.
Perciò, voglio aprire questo post con una domanda. E la domanda è: cos’è che vi fa pensare che siete un fallimento e che non potrete mai raggiungere il livello di ricovero cui io sono adesso?
Il motivo per cui vi rivolgo questa domanda è perché dopo aver letto i vostri commenti a proposito del mio post precedente, e dopo aver letto anche alcune e-mail che mi sono arrivate al riguardo, nonché, più in generale, parlando, vuoi direttamente, vuoi tramite e-mail, con ragazze meravigliose, intelligenti, sensibili, creative, conosciute sia tramite blog sia nella vita di tutti i giorni, che stanno attivamente combattendo contro l’anoressia, che sono pienamente convinte di non voler rimanere impantanate nella melma di un DCA, mi sono ritrovata a sentire e a leggere cose come: “Io non riuscirò mai ad arrivare al punto in cui sei arrivata tu, perché non riesco neanche ad immaginare me stessa mentre mangio quel cibo o bevo quella bevanda; ed è bellissimo che tu invece ci riesca, ma io non penso proprio che ci riuscirò mai”, oppure “Non sentirsi un fallimento è una missione ardua... soprattutto per chi, come me, non accetta vie di mezzo. O è bianco o è nero, il grigio non esiste nella mia mente contorta”, o ancora “Tu sei molto più avanti di me nel percorso di ricovero, io mi sento un po’ una fallita perché mi sembra di non riuscire a fare passi avanti, e anche quando li faccio sono comunque troppo piccoli per portarmi da qualche parte”.
Questo mi ha fatto pensare molto, perché io ho sempre creduto (e detto anche qui sul blog) che un DCA è completamente diverso da persona a persona, perché ognuna di noi ha un diverso carattere e un diverso background, e ho detto anche più volte che pure il ricovero dall’anoressia è un qualcosa di diverso per ognuna di noi. È un processo, è un viaggio, più o meno lungo, che porta a dover fronteggiare problemi e situazioni differenti per ciascuna di noi, proprio perché ognuna di noi ha maturato l’anoressia per ragioni differenti. Certamente ognuna di noi avrà le sue motivazioni e le sue modalità d’intraprendere la strada del ricovero ma se cominciate a fare paragoni e soprattutto a pensare che il vostro “livello di ricovero” sia inferiore rispetto a quello di qualcun’altra, significa che non avete il giusto rispetto per voi stesse e per lo sforzo che state facendo, che sminuite il lavoro che siete riuscite a fare finora, e che non avete fiducia nelle vostre capacità di poter migliorare ulteriormente la vostra situazione… che non avete fiducia in voi stesse.
Perciò,vorrei innanzitutto dirvi che, invece, dovete avere fiducia in voi stesse perché è quello che avete bisogno di avere e che vi meritate. Conosco un sacco di persone che hanno fiducia in qualcun altro, e scommetto che ci sono un sacco di persone che hanno fiducia in voi e nella vostra capacità di combattere l’anoressia perciò, perché non volete essere voi le prime ad avere fiducia in voi stesse?
Inoltre, vorrei anche dirvi che non ha alcun senso che compariate la vostra strada del ricovero con quella di qualcun altro… semplicemente, è impossibile fare un tale tipo di comparazione. Si possono comparare due cose solo quando queste sono uguali. Posso comparare, per esempio, due penne biro e stabilire quale sia la migliore, vuoi per l’impugnatura, vuoi per il tipo d’inchiostro. Ma non posso comparare il ricovero di due persone, potrei farlo solo se queste persone avessero lo stesso background, gli stessi vissuti, la stessa situazione familiare, lo stesso carattere, lo stesso supporto medico e familiare… cosa, ovviamente, impossibile. E, dunque, anche il confronto è impossibile. È sempre impossibile, sempre.
Ma, allo stesso tempo, come non potete confrontare il vostro percorso di ricovero con quello di qualcun’altra, dovete riconoscere che ognuna di voi ha il potenziale di portare il proprio ricovero al livello di quello di qualsiasi altra persona. E se pensate che questo non sia vero, allora voglio che mi diciate il perché. Perché pensate che voi non ce la potete fare ad arrivare a un certo punto? Ecco quello che vi chiedo: cos’è che vi fa pensare che voi non arriverete mai al livello di ricovero cui sono io adesso? Perché quello che mi sento dire, o quello che leggo nelle mail e nei commenti del blog è: “Ma io non arriverò mai al punto cui sei arrivata tu”, oppure, soprattutto: “Grazie, grazie, grazie, grazie per questo tuo blog, grazie per il tuo aiuto, grazie per aver risposto alla mia e-mail, grazie per i tuoi consigli, grazie per quello che dici, grazie per quello che fai, il tuo blog e le tue parole mi aiutano moltissimo a combattere l’anoressia”, ma poi arriva l’inevitabile constatazione: “Tu sei forte, determinata e volitiva, ma io non lo sono tanto quanto te e quindi non riuscirò mai ad arrivare al punto cui sei arrivata te”.
Bene, penso che questo sia assolutamente falso. Se la pensate così, vi sbagliate. E perciò, vorrei che rivolgeste a voi stesse questa domanda, perché se la pensate davvero così, allora avete veramente bisogno di capire il perché. Perché la pensate così? Perché vi sentite così? Mi farebbe molto piacere se, nei commenti relativi a questo post o via e-mail, rispondeste a questa mia domanda.
In ogni caso, sappiate che non c’è alcuna ragione per cui percorrere la strada del ricovero non sia assolutamente possibile per ciascuna di noi. Perché è una strada dura e difficile, e tutte incontreremo problemi e difficoltà, ma tutte possiamo tirare fuori la grinta necessaria per superarle. Paradossalmente, è proprio il pensare “non ce la posso fare” che non vi permetterà di farcela, anche se ne avreste tutte le possibilità. Ma se riuscite a capire cos’è che vi spinge a pensare “non ce la posso fare”, ecco, allora avete in mano la chiave per superarlo.
Perciò, se vi va, rispondete alla mia domanda, nei commenti o via e-mail (veggie.any@gmail.com). Nel prossimo post, toccherò ciascuno dei punti che mi direte nelle vostre risposte.
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venerdì 20 gennaio 2012
Nessuna qui è un fallimento
Vorrei dire a tutte le ragazze che commentano su questo blog e a quelle che mi scrivono via e-mail definendosi talvolta un fallimento che, semplicemente, non lo sono affatto. Non perché qualcuna ha una ricaduta, ciò significa che sia un fallimento. Combattere contro l’anoressia è come imparare a camminare. All’inizio si striscia (si comincia a pensare alla possibilità di combattere contro l’anoressia). Poi si utilizzano sostegni che possano aiutarci a reggerci in piedi (si contattano centri specializzati, dietisti, medici). Poi si comincia a camminare sulle nostre gambe e infine a correre, e anche se si può scivolare, ci si rialza (si diventa capaci di riprenderci da ogni ricaduta). CI SARANNO ricadute lungo la strada del ricovero che decideremo di percorrere. E quando ricadremo, immediatamente la voce dell’anoressia ci dirà che, se non siamo riuscita a stare in piedi, allora abbiamo fallito. Ma se continuiamo a seguire la sua linea di pensiero, ritorneremo inevitabilmente dentro la malattia. Io credo fermamente nella capacità che ciascuna di noi ha di stare meglio. Di combattere contro l’anoressia a pieno. Ci vuole molto tempo? Sì. È facile? No. In ogni caso, anche il peggior giorno del nostro percorso di ricovero è comunque preferibile al miglior giorno con un DCA.
Dire a voi stesse che siete un fallimento non aiuta, anzi, rinforza il pensiero dicotomico (tutto o niente, bianco o nero) che è tipico di chi ha un DCA. Se non riusciamo a fare tutto come avremmo dovuto, se non riusciamo a seguire in toto il nostro “equilibrio alimentare” o a limitare l’attività fisica in eccesso, etc, ciò non significa che siamo un fallimento. C’è una zona grigia. Quando riusciamo a fare qualcosa di positivo, quando ci rialziamo dopo ogni ricaduta, quando combattiamo contro l’anoressia, stiamo vincendo battaglie. Continuiamo a farlo, e vinceremo la guerra.
Ad ogni modo, avere una ricaduta ed aver bisogno d’aiuto non è sinonimo di fallimento. Penso che chiunque di noi abbia avuto almeno una ricaduta nel suo percorso di ricovero. La strada del ricovero non è dritta e facile da percorrere come la Route 66. E’ una strada difficile, stretta ed intricata, e si può andare avanti solo per tentativi. E io credo pienamente nella capacità di ciascuna di noi di fare questi tentativi.
Ridefinite il vostro concetto di “fallimento”. Poiché state combattendo, poiché ci state provando, poichè ce la state mettendo tutta, poiché cercate di allontanare i pensieri indotti dall’anoressia, allora siete tutto meno che un fallimento. Non dovete percorrere la strada del ricovero sempre alla perfezione per essere comunque, un giorno, perfettamente in grado di contrastare l’anoressia.
Dire a voi stesse che siete un fallimento non aiuta, anzi, rinforza il pensiero dicotomico (tutto o niente, bianco o nero) che è tipico di chi ha un DCA. Se non riusciamo a fare tutto come avremmo dovuto, se non riusciamo a seguire in toto il nostro “equilibrio alimentare” o a limitare l’attività fisica in eccesso, etc, ciò non significa che siamo un fallimento. C’è una zona grigia. Quando riusciamo a fare qualcosa di positivo, quando ci rialziamo dopo ogni ricaduta, quando combattiamo contro l’anoressia, stiamo vincendo battaglie. Continuiamo a farlo, e vinceremo la guerra.
Ad ogni modo, avere una ricaduta ed aver bisogno d’aiuto non è sinonimo di fallimento. Penso che chiunque di noi abbia avuto almeno una ricaduta nel suo percorso di ricovero. La strada del ricovero non è dritta e facile da percorrere come la Route 66. E’ una strada difficile, stretta ed intricata, e si può andare avanti solo per tentativi. E io credo pienamente nella capacità di ciascuna di noi di fare questi tentativi.
Ridefinite il vostro concetto di “fallimento”. Poiché state combattendo, poiché ci state provando, poichè ce la state mettendo tutta, poiché cercate di allontanare i pensieri indotti dall’anoressia, allora siete tutto meno che un fallimento. Non dovete percorrere la strada del ricovero sempre alla perfezione per essere comunque, un giorno, perfettamente in grado di contrastare l’anoressia.
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venerdì 13 gennaio 2012
Stop, Swap & Console
Pochi giorni fa, per lavoro, ho frequentato un corso a proposito della sicurezza nelle palestre. Alcuni dei relatori del corso erano stranieri, quindi ci avevano fornito del materiale in Inglese, e tra questo la parte relativa a cosa fare in caso d’incendio: “Stop, Drop and Roll” recitava la prima frase che mi è rimasta particolarmente impressa (relativa a “What to do if your karategi is on fire - Cosa fare se il tuo karategi è in fiamme”).
E questo mi ha fatto pensare che mentre percorriamo la strada del ricovero dall’anoressia, molto spesso è importante semplificare, e dire a noi stesse cosa fare in poche e semplici parole. “Cosa posso effettivamente FARE quando sono stressata, o mi sento in colpa, o sto per mettere in atto uno dei comportamenti disfunzionali tipici dell’anoressia?”.
Pertanto, questa è la mia personale versione di “Stop, Drop and Roll”. La chiamerò
Stop, Swap & Console.
STOP a quello che state facendo. Calmate i vostri pensieri. Identificate i vostri sentimenti. Provate a cercare di capire cosa ci sta veramente dietro alla voglia di restringere o di abbuffarvi e vomitare. Concentratevi sul presente e dite a voi stesse: stop. Cercate di visualizzare nella vostra mente un segnale di stop.
SWAP (= Cambiate) i pensieri nella vostra mente. Pensate a qualcuno cui volete bene: “La persona cui voglio bene si sentirebbe veramente colpevole per aver fatto una cosa del genere?”; “La persona cui voglio bene seguirebbe quest’impulso dettato dal DCA?”; “Come mi sentirei se sapessi che la persona cui voglio bene ha tenuto questo comportamento disfunzionale?”. Ora, cambiate di nuovo il pensiero: mettete il vostro nome al posto di “la persona cui voglio bene”. E ricordate perciò a voi stesse che meritate tanta pazienza, dolcezza e aiuto come le meriterebbe da parte vostra la persona cui volete bene se avesse un DCA. Voi stesse siete la persona cui voi stesse dovete imparare a voler bene. Perciò, trattatevi con affetto.
CONSOLE (= Confortate) voi stesse. Abbiate cura di voi stesse. Siate gentili con voi stesse. Non sfogate sul vostro corpo le vostre emozioni negative. Chiamate il vostro psicoterapeuta o chiunque pensiate possa esservi d’aiuto. Indirizzate i vostri sentimenti. Comunicate quello che state provando… quello che state provando veramente. Validate i vostri desideri. Cercate di trovare altre più salutari strategie di coping.
Tre passi da compiere in tutti i momenti di difficoltà. Anche solo il pensare: Stop, Swap & Console, è un passo nella giusta direzione! Imparare a prenderci cura di noi stesse è un processo, e le cose non andranno a meraviglia fin dal primo tentativo, ma cominciare con queste tre semplici parole che possono aiutarci ad identificare quello di cui abbiamo davvero bisogno per prenderci cura di noi stesse, che possono aiutarci a leggerci dentro, può essere il primo passo per avere una maggiore cura per noi stesse in futuro.
E questo mi ha fatto pensare che mentre percorriamo la strada del ricovero dall’anoressia, molto spesso è importante semplificare, e dire a noi stesse cosa fare in poche e semplici parole. “Cosa posso effettivamente FARE quando sono stressata, o mi sento in colpa, o sto per mettere in atto uno dei comportamenti disfunzionali tipici dell’anoressia?”.
Pertanto, questa è la mia personale versione di “Stop, Drop and Roll”. La chiamerò
Stop, Swap & Console.
STOP a quello che state facendo. Calmate i vostri pensieri. Identificate i vostri sentimenti. Provate a cercare di capire cosa ci sta veramente dietro alla voglia di restringere o di abbuffarvi e vomitare. Concentratevi sul presente e dite a voi stesse: stop. Cercate di visualizzare nella vostra mente un segnale di stop.
SWAP (= Cambiate) i pensieri nella vostra mente. Pensate a qualcuno cui volete bene: “La persona cui voglio bene si sentirebbe veramente colpevole per aver fatto una cosa del genere?”; “La persona cui voglio bene seguirebbe quest’impulso dettato dal DCA?”; “Come mi sentirei se sapessi che la persona cui voglio bene ha tenuto questo comportamento disfunzionale?”. Ora, cambiate di nuovo il pensiero: mettete il vostro nome al posto di “la persona cui voglio bene”. E ricordate perciò a voi stesse che meritate tanta pazienza, dolcezza e aiuto come le meriterebbe da parte vostra la persona cui volete bene se avesse un DCA. Voi stesse siete la persona cui voi stesse dovete imparare a voler bene. Perciò, trattatevi con affetto.
CONSOLE (= Confortate) voi stesse. Abbiate cura di voi stesse. Siate gentili con voi stesse. Non sfogate sul vostro corpo le vostre emozioni negative. Chiamate il vostro psicoterapeuta o chiunque pensiate possa esservi d’aiuto. Indirizzate i vostri sentimenti. Comunicate quello che state provando… quello che state provando veramente. Validate i vostri desideri. Cercate di trovare altre più salutari strategie di coping.
Tre passi da compiere in tutti i momenti di difficoltà. Anche solo il pensare: Stop, Swap & Console, è un passo nella giusta direzione! Imparare a prenderci cura di noi stesse è un processo, e le cose non andranno a meraviglia fin dal primo tentativo, ma cominciare con queste tre semplici parole che possono aiutarci ad identificare quello di cui abbiamo davvero bisogno per prenderci cura di noi stesse, che possono aiutarci a leggerci dentro, può essere il primo passo per avere una maggiore cura per noi stesse in futuro.
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venerdì 6 gennaio 2012
Anoressia: "I know"
Quale modo migliore per salutare il 2012, se non con un nuovo video?! ^__-
Un video che è una lettera aperta all’anoressia…
Videoclips delle t.A.T.u.:
“Snowfalls” / “Снегопады”
“30 Minutes” / “30 минут”
“Dangerous and Moving” / “Люди Инвалиды”
E questo è il testo della canzone – “I know”, sempre delle t.A.T.u. – che fa da colonna sonora. Perdonate la mia grafia da bambina delle scuole elementari, spero che vi piaccia almeno il disegno… oltre che il video, ovviamente!

(click sull'immagine per ingrandire)
Un video che è una lettera aperta all’anoressia…
Videoclips delle t.A.T.u.:
“Snowfalls” / “Снегопады”
“30 Minutes” / “30 минут”
“Dangerous and Moving” / “Люди Инвалиды”
E questo è il testo della canzone – “I know”, sempre delle t.A.T.u. – che fa da colonna sonora. Perdonate la mia grafia da bambina delle scuole elementari, spero che vi piaccia almeno il disegno… oltre che il video, ovviamente!

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venerdì 30 dicembre 2011
Per Lucy May - Buon 2012...
Per finire in bellezza questo 2011, ed iniziare il 2012 in positività, ho incontrato Lucy May.
E perciò, Lucy May, questo post è per te.
Perché si arriva ad un punto in cui capisci che altro non puoi fare. Nient’altro, tranne continuare a combattere contro l’anoressia. Quello che dovevi dire l'hai detto. Veramente, anche quello che non dovevi dire. Ma, Lucy May, sbagliare è umano. E anche aver paura, sentirsi in ansia, pensare di non farcela… tutto questo fa parte del nostro percorso. Sono stata così felice di poter passare un po’ di tempo con te, anche se temo che tu abbia visto in me molto più di quella che io sento di essere. Ma forse è normale che sia così.
Non è mai facile avere a che fare con una persona che ha un DCA, e questo lo sai bene anche tu. Non è facile per gli “esterni”, e a volte neanche per chi l’ha vissuta sulla propria pelle. Ma volevo solo dirti che per me il tuo abbraccio e il tuo sorriso valevano più di quanto si possa esprimere a parole.
Ti penso. Ti scrivo. Condividiamo. Combattiamo insieme. A volte va meglio, altre va peggio, e ci sentiamo come se fosse tutto come prima. Ma in realtà qualcosa cambia sempre.
Sono stata davvero felice di poterti parlare faccia a faccia, di poterti tenere per mano. Sei veramente unica e meravigliosa per me. Ti svaluti un sacco, eppure sei sempre te, quella speciale. Impulsiva, sorridente, silenziosa, dolce, forte, fragile, semplice, sensibile, diretta, viva e coraggiosa. Sai vivere. Tu pensi di no, ma io ti dico di sì, sai vivere. Non so da chi l'hai imparato. Che non si decide di essere così. Hai quella capacità d'incantare con le tue parole e il tuo alone di mistero tipica delle persone speciali. Dovresti vederti quando parli, quando gesticoli. Sei fatta per attirare l'attenzione. Brilli. Credo che, in fondo in fondo, sia uno dei tuoi scopi, temuti ed agognati.
Mi hai detto che hai avuto la sensazione di poter imparare tante cose da me. Ma arrivate a questo punto, sono io quella che ha imparato di più da te. Sono felicissima ed orgogliosa di averti come amica. Non vedo l’ora di poterti riabbracciare. Ti voglio un bene dell'anima.
E per questo nuovo anno che sta per cominciare, ti auguro (e auguro a tutte voi, ragazze) sogni a non finire, e la voglia di mettercela tutta per realizzarne qualcuno. Auguro di amare ciò che si deve amare, e di dimenticare ciò che si deve dimenticare. Auguro forza, coraggio, passioni, silenzi, un raggio di sole al risveglio e un sorriso sincero sulle labbra. Auguro di resistere alle mille e poi mille difficoltà quotidiane, e di rialzarsi dopo ogni caduta. Auguro soprattutto di essere sempre e solo noi stesse…
P.S.= Se vi va, date un’occhiata a QUESTO POST che ho trovato su un blog… Credo che troverete il post e la mia risposta alquanto interessanti… E se qualcuna vuole aggiungere al mio il proprio commento… ^__^”
E perciò, Lucy May, questo post è per te.
Perché si arriva ad un punto in cui capisci che altro non puoi fare. Nient’altro, tranne continuare a combattere contro l’anoressia. Quello che dovevi dire l'hai detto. Veramente, anche quello che non dovevi dire. Ma, Lucy May, sbagliare è umano. E anche aver paura, sentirsi in ansia, pensare di non farcela… tutto questo fa parte del nostro percorso. Sono stata così felice di poter passare un po’ di tempo con te, anche se temo che tu abbia visto in me molto più di quella che io sento di essere. Ma forse è normale che sia così.
Non è mai facile avere a che fare con una persona che ha un DCA, e questo lo sai bene anche tu. Non è facile per gli “esterni”, e a volte neanche per chi l’ha vissuta sulla propria pelle. Ma volevo solo dirti che per me il tuo abbraccio e il tuo sorriso valevano più di quanto si possa esprimere a parole.
Ti penso. Ti scrivo. Condividiamo. Combattiamo insieme. A volte va meglio, altre va peggio, e ci sentiamo come se fosse tutto come prima. Ma in realtà qualcosa cambia sempre.
Sono stata davvero felice di poterti parlare faccia a faccia, di poterti tenere per mano. Sei veramente unica e meravigliosa per me. Ti svaluti un sacco, eppure sei sempre te, quella speciale. Impulsiva, sorridente, silenziosa, dolce, forte, fragile, semplice, sensibile, diretta, viva e coraggiosa. Sai vivere. Tu pensi di no, ma io ti dico di sì, sai vivere. Non so da chi l'hai imparato. Che non si decide di essere così. Hai quella capacità d'incantare con le tue parole e il tuo alone di mistero tipica delle persone speciali. Dovresti vederti quando parli, quando gesticoli. Sei fatta per attirare l'attenzione. Brilli. Credo che, in fondo in fondo, sia uno dei tuoi scopi, temuti ed agognati.
Mi hai detto che hai avuto la sensazione di poter imparare tante cose da me. Ma arrivate a questo punto, sono io quella che ha imparato di più da te. Sono felicissima ed orgogliosa di averti come amica. Non vedo l’ora di poterti riabbracciare. Ti voglio un bene dell'anima.
E per questo nuovo anno che sta per cominciare, ti auguro (e auguro a tutte voi, ragazze) sogni a non finire, e la voglia di mettercela tutta per realizzarne qualcuno. Auguro di amare ciò che si deve amare, e di dimenticare ciò che si deve dimenticare. Auguro forza, coraggio, passioni, silenzi, un raggio di sole al risveglio e un sorriso sincero sulle labbra. Auguro di resistere alle mille e poi mille difficoltà quotidiane, e di rialzarsi dopo ogni caduta. Auguro soprattutto di essere sempre e solo noi stesse…
P.S.= Se vi va, date un’occhiata a QUESTO POST che ho trovato su un blog… Credo che troverete il post e la mia risposta alquanto interessanti… E se qualcuna vuole aggiungere al mio il proprio commento… ^__^”
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venerdì 23 dicembre 2011
Natale: soprav/vivere
Come sopravvivere al Natale quando si ha un DCA? Che tu sia anoressica, bulimica, o che tu sia un genitore/fratello/sorella/amico/amica di qualcuno che ha un DCA, DCAmocelo chiaramente, il Natale può essere fonte di complicazioni e di stress. E lo stress tende a peggiorare il quadro di chi ha un DCA, sia da un punto di vista alimentare, sia in termini di relazioni con gli altri.
Per prima cosa, perciò, se avete un DCA, è importante cercare di allentare la presa, ed essere consapevoli del fatto che ci saranno momenti in cui ci si sentirà completamente incapaci di esercitare il benché minimo controllo. Attraversare il Natale significa molto spesso sentirsi obbligate a fare cose che non ci va di fare, perciò è importante pianificare in anticipo dei getaway, in modo da non sentirci con l’acqua alla gola.
Se si ha un DCA, il Natale può essere terrorizzante. Perché si potrebbe essere costretto a viverlo lontano da un contesto casalingo e, quindi, protetto. Oppure può essere ansiogeno anche l’avere tutto il parentado riunito, e il dover fingere di essere felici, l’ostentare falsi sorrisi, desiderando soltanto scappare veloce, lontano e da qualche altra parte.
L’ansia a Natale è in definitiva una costante per chi ha un DCA, ma non deve rovinare questa giornata. Bisogna sempre ricordare che la comunicazione – come in qualsiasi altro giorno dell’anno – può aiutare a ridurre lo stress. Perciò, circondatevi di persone cui volete bene e con cui state bene, affinché esse stesse possano aiutarvi a superare le vostre difficoltà.
Consigli per chi ha un DCA:
• Telefonare al Numero Verde SOS Disturbi Alimentari: 800180969 per parlare delle proprie difficoltà. (Vi ricordo che potete rimanere anche anonime, non vi è richiesto d’identificarvi, quindi sentitevi libere di parlare di tutti i vostri timori).
• Pianificate in anticipo. Identificate una persona supportiva che possa starvi vicino durante la giornata (vuoi fisicamente, vuoi telefonicamente), e che sapete essere pronta in ogni momento ad ascoltare le vostre ansie. Parlateci immediatamente, non appena sentite che le cose si stanno mettendo male.
• Parlate con i vostri familiari (o comunque con le persone con cui trascorrete la giornata natalizia) del vostro DCA, e spiegategli cosa dovrebbero fare, come dovrebbero comportarsi, per non farvi venire troppa ansia.
• Pianificate le visite a casa di familiari e amici, e provate ad immaginare cosa potrebbe succedere in questi contesti. Pensate a cosa potrebbero dirvi, e a quali risposte potreste dargli.
• Se trascorrete il Natale a casa, pianificate il momento in cui i vostri familiari e i vostri amici possono venire a farvi visita, così sarete psicologicamente preparate al loro arrivo, e minimizzerete lo stress relativo a questi incontri. Se dovete prendere parte a un “pranzo di famiglia”, pianificate quello che mangerete magari cucinandovelo in anticipo, e se vi fa sentire più tranquille, continuate a seguire il vostro “equilibrio alimentare”.
• Se siete a mangiare a casa di amici o parenti e non avete la possibilità di seguire l’ “equilibrio alimentare”, contattate la persona incaricata di preparare il pasto, e chiedetegli cosa cucinerà, affinché possiate poi telefonare alla vostra dietista e chiedere quali quantità di questi cibi mangiare. Altrimenti, portate qualcosa di preparato da voi, che vi sentite di mangiare senza avere troppa ansia.
• Ricordate che, a differenza di ciò che potete pensare, non è vero che tutti gli occhi sono puntati su di voi, pronti a controllare cosa/quanto mangiate. Per lo più la gente pensa a ciò che c’è sul proprio piatto, e a chiacchierare con gli altri.
• Se qualcuno si mette a fare commenti su cosa quanto mangiate, ricordate che quelle parole non sono affatto importanti: voi seguite il vostro “equilibrio alimentare” e perciò sapete che state mangiando quel che è giusto mangiare, dunque i commenti degli altri sono insignificanti.
• Trovatevi un po’ di tempo per voi stesse – ascoltate il vostro CD musicale preferito, telefonate alla vostra migliore amica, andate a fare una passeggiata, andate a fare un giro in auto. È importante che facciate qualcosa che vi faccia star bene e vi rilassi.
• Fate presente quelle che sono le vostre difficoltà in maniera tranquilla e serena, senza fare scenate che fanno poi stare peggio sia voi sia chi vi sta intorno.
• Datevi la possibilità di vivere le vostre emozioni per quello che sono. Ricordate che non avete l’obbligo di essere felici e sorridere per tutto il tempo – nessuno si aspetta questo da voi.
• Se anche esagerate col cibo… il Natale dura un giorno. Un giorno in cui si mangia di più, nel computo totale dell’alimentazione, non cambia assolutamente niente.
Consigli per chi ha a che fare con chi ha un DCA:
• Pianificate in anticipo. Informate i vostri parenti e chi sarà presente al pranzo di Natale, che vi partecipa anche una persona con un DCA, e aiutateli a capire cosa è meglio fare/non fare, e in cosa consiste veramente un DCA. Purtroppo queste patologie sono spesso minimizzate o trattate in maniera superficiale dai media, e ciò non aiuta certo chi sta male.
• La tensione che si viene a generare nel periodo natalizio reduce l’effettiva capacità di comunicare tra i membri di una famiglia. Consapevoli di questo, cercate di conservare la calma e di comunicare in maniera diretta con chi vi circonda. Considerate che una persona che ha un DCA è molto sensibile ai segnali subliminali, quindi parlate con tranquillità e chiarezza.
• Se siete voi che avete il compito di occuparvi del cibo, chiedete alla persona che ha un DCA cosa preferirebbe mangiare.
• Non riponete irrealistiche aspettative su ciò che mangerà la persona che ha un DCA. Cercate di ricordare che ognuno si relaziona con le situazioni, le emozioni e i sentimenti in maniera differente, e che una persona che ha un DCA tende a scaricare tutto sul cibo. Perciò, non pressatele con commenti sull’alimentazione, magari dicendo di mangiare un po’ di più. Non dovete “salvare” nessuno.
• Non parlate di cibo o di diete durante il pasto, e non fate commenti sull’aspetto fisico di nessuno dei partecipanti al pranzo. Viceversa, se si deve fare un commento su una persona che ha un DCA, è meglio orientarsi su cose come: “E’ bello che anche tu sia qui”, “sei forte perché ce la metti tutta”, “sembri più felice, ora” o “ci sei mancata”. Insomma, messaggi d’affetto… che è ciò di cui tutti (e chi ha un DCA in particolar modo) hanno bisogno. Critiche, falsi pietismi, e commenti sull’aspetto fisico o sul tipo di alimentazione sono assolutamente improduttivi, anzi, persino dannosi.
• Il Natale è un giorno come tutti gli altri, e se ve lo aspettate “perfetto”, andrete incontro a grosse delusioni. Una persona che ha un DCA non “guarisce” perché è Natale, anzi, per Natale avrà ancora più problemi col cibo. Siate consapevoli di questo, e cercate di essere più supportavi possibile: lei non sta cercando di rovinare il vostro Natale, sta cercando di sopravvivere al Natale.
• Non vi focalizzate sul cibo, su quanto la persona col DCA mangia o meno, cercate semplicemente di apprezzare il tempo che potete trascorrere insieme.
Consigli per tutti quanti:
• Ascoltate le sensazioni trasmesse dal vostro corpo – imparate a dire “no” se una cosa non vi va, e “sì” se invece volete mangiarla. Il corpo sa molto meglio della testa ciò di cui ha bisogno.
• Imparate a riconoscere i segnali che il vostro corpo vi manda – ascoltare voi stesse, e non agite solo per ciò che gli altri si aspettano da voi.
• Comunicate le vostre emozioni e i vostri sentimenti. Non tenetevi dentro cose che vi fanno stare male. Parlatene con qualcuno di cui avete fiducia. Tenete un diario o un blog in cui sfogarvi. Buttare fuori le emozioni significa non inchiodarle più sul proprio corpo…
• Non cercate la perfezione: siate semplicemente voi stesse. Siate fiere di quello che siete, non perdete tempo a cercare di essere perfette… non ci riuscireste comunque, ed in ogni caso non ne vale la pena. Datevi la possibilità di essere voi stesse, anche in un giorno difficile come il Natale. Non c’è niente di meglio al mondo.
P.S.= Buon Natale a tutte, ragazze...

(Click sull'immagine per ingrandirla)
Per prima cosa, perciò, se avete un DCA, è importante cercare di allentare la presa, ed essere consapevoli del fatto che ci saranno momenti in cui ci si sentirà completamente incapaci di esercitare il benché minimo controllo. Attraversare il Natale significa molto spesso sentirsi obbligate a fare cose che non ci va di fare, perciò è importante pianificare in anticipo dei getaway, in modo da non sentirci con l’acqua alla gola.
Se si ha un DCA, il Natale può essere terrorizzante. Perché si potrebbe essere costretto a viverlo lontano da un contesto casalingo e, quindi, protetto. Oppure può essere ansiogeno anche l’avere tutto il parentado riunito, e il dover fingere di essere felici, l’ostentare falsi sorrisi, desiderando soltanto scappare veloce, lontano e da qualche altra parte.
L’ansia a Natale è in definitiva una costante per chi ha un DCA, ma non deve rovinare questa giornata. Bisogna sempre ricordare che la comunicazione – come in qualsiasi altro giorno dell’anno – può aiutare a ridurre lo stress. Perciò, circondatevi di persone cui volete bene e con cui state bene, affinché esse stesse possano aiutarvi a superare le vostre difficoltà.
Consigli per chi ha un DCA:
• Telefonare al Numero Verde SOS Disturbi Alimentari: 800180969 per parlare delle proprie difficoltà. (Vi ricordo che potete rimanere anche anonime, non vi è richiesto d’identificarvi, quindi sentitevi libere di parlare di tutti i vostri timori).
• Pianificate in anticipo. Identificate una persona supportiva che possa starvi vicino durante la giornata (vuoi fisicamente, vuoi telefonicamente), e che sapete essere pronta in ogni momento ad ascoltare le vostre ansie. Parlateci immediatamente, non appena sentite che le cose si stanno mettendo male.
• Parlate con i vostri familiari (o comunque con le persone con cui trascorrete la giornata natalizia) del vostro DCA, e spiegategli cosa dovrebbero fare, come dovrebbero comportarsi, per non farvi venire troppa ansia.
• Pianificate le visite a casa di familiari e amici, e provate ad immaginare cosa potrebbe succedere in questi contesti. Pensate a cosa potrebbero dirvi, e a quali risposte potreste dargli.
• Se trascorrete il Natale a casa, pianificate il momento in cui i vostri familiari e i vostri amici possono venire a farvi visita, così sarete psicologicamente preparate al loro arrivo, e minimizzerete lo stress relativo a questi incontri. Se dovete prendere parte a un “pranzo di famiglia”, pianificate quello che mangerete magari cucinandovelo in anticipo, e se vi fa sentire più tranquille, continuate a seguire il vostro “equilibrio alimentare”.
• Se siete a mangiare a casa di amici o parenti e non avete la possibilità di seguire l’ “equilibrio alimentare”, contattate la persona incaricata di preparare il pasto, e chiedetegli cosa cucinerà, affinché possiate poi telefonare alla vostra dietista e chiedere quali quantità di questi cibi mangiare. Altrimenti, portate qualcosa di preparato da voi, che vi sentite di mangiare senza avere troppa ansia.
• Ricordate che, a differenza di ciò che potete pensare, non è vero che tutti gli occhi sono puntati su di voi, pronti a controllare cosa/quanto mangiate. Per lo più la gente pensa a ciò che c’è sul proprio piatto, e a chiacchierare con gli altri.
• Se qualcuno si mette a fare commenti su cosa quanto mangiate, ricordate che quelle parole non sono affatto importanti: voi seguite il vostro “equilibrio alimentare” e perciò sapete che state mangiando quel che è giusto mangiare, dunque i commenti degli altri sono insignificanti.
• Trovatevi un po’ di tempo per voi stesse – ascoltate il vostro CD musicale preferito, telefonate alla vostra migliore amica, andate a fare una passeggiata, andate a fare un giro in auto. È importante che facciate qualcosa che vi faccia star bene e vi rilassi.
• Fate presente quelle che sono le vostre difficoltà in maniera tranquilla e serena, senza fare scenate che fanno poi stare peggio sia voi sia chi vi sta intorno.
• Datevi la possibilità di vivere le vostre emozioni per quello che sono. Ricordate che non avete l’obbligo di essere felici e sorridere per tutto il tempo – nessuno si aspetta questo da voi.
• Se anche esagerate col cibo… il Natale dura un giorno. Un giorno in cui si mangia di più, nel computo totale dell’alimentazione, non cambia assolutamente niente.
Consigli per chi ha a che fare con chi ha un DCA:
• Pianificate in anticipo. Informate i vostri parenti e chi sarà presente al pranzo di Natale, che vi partecipa anche una persona con un DCA, e aiutateli a capire cosa è meglio fare/non fare, e in cosa consiste veramente un DCA. Purtroppo queste patologie sono spesso minimizzate o trattate in maniera superficiale dai media, e ciò non aiuta certo chi sta male.
• La tensione che si viene a generare nel periodo natalizio reduce l’effettiva capacità di comunicare tra i membri di una famiglia. Consapevoli di questo, cercate di conservare la calma e di comunicare in maniera diretta con chi vi circonda. Considerate che una persona che ha un DCA è molto sensibile ai segnali subliminali, quindi parlate con tranquillità e chiarezza.
• Se siete voi che avete il compito di occuparvi del cibo, chiedete alla persona che ha un DCA cosa preferirebbe mangiare.
• Non riponete irrealistiche aspettative su ciò che mangerà la persona che ha un DCA. Cercate di ricordare che ognuno si relaziona con le situazioni, le emozioni e i sentimenti in maniera differente, e che una persona che ha un DCA tende a scaricare tutto sul cibo. Perciò, non pressatele con commenti sull’alimentazione, magari dicendo di mangiare un po’ di più. Non dovete “salvare” nessuno.
• Non parlate di cibo o di diete durante il pasto, e non fate commenti sull’aspetto fisico di nessuno dei partecipanti al pranzo. Viceversa, se si deve fare un commento su una persona che ha un DCA, è meglio orientarsi su cose come: “E’ bello che anche tu sia qui”, “sei forte perché ce la metti tutta”, “sembri più felice, ora” o “ci sei mancata”. Insomma, messaggi d’affetto… che è ciò di cui tutti (e chi ha un DCA in particolar modo) hanno bisogno. Critiche, falsi pietismi, e commenti sull’aspetto fisico o sul tipo di alimentazione sono assolutamente improduttivi, anzi, persino dannosi.
• Il Natale è un giorno come tutti gli altri, e se ve lo aspettate “perfetto”, andrete incontro a grosse delusioni. Una persona che ha un DCA non “guarisce” perché è Natale, anzi, per Natale avrà ancora più problemi col cibo. Siate consapevoli di questo, e cercate di essere più supportavi possibile: lei non sta cercando di rovinare il vostro Natale, sta cercando di sopravvivere al Natale.
• Non vi focalizzate sul cibo, su quanto la persona col DCA mangia o meno, cercate semplicemente di apprezzare il tempo che potete trascorrere insieme.
Consigli per tutti quanti:
• Ascoltate le sensazioni trasmesse dal vostro corpo – imparate a dire “no” se una cosa non vi va, e “sì” se invece volete mangiarla. Il corpo sa molto meglio della testa ciò di cui ha bisogno.
• Imparate a riconoscere i segnali che il vostro corpo vi manda – ascoltare voi stesse, e non agite solo per ciò che gli altri si aspettano da voi.
• Comunicate le vostre emozioni e i vostri sentimenti. Non tenetevi dentro cose che vi fanno stare male. Parlatene con qualcuno di cui avete fiducia. Tenete un diario o un blog in cui sfogarvi. Buttare fuori le emozioni significa non inchiodarle più sul proprio corpo…
• Non cercate la perfezione: siate semplicemente voi stesse. Siate fiere di quello che siete, non perdete tempo a cercare di essere perfette… non ci riuscireste comunque, ed in ogni caso non ne vale la pena. Datevi la possibilità di essere voi stesse, anche in un giorno difficile come il Natale. Non c’è niente di meglio al mondo.
P.S.= Buon Natale a tutte, ragazze...

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venerdì 16 dicembre 2011
Trauma e ricovero
Vorrei condividere con voi un discorso che ho letto in un mio libro universitario e che penso racchiuda grandi verità:
“Dopo un trauma, il corpo raggiunge la sua massima vulnerabilità. La tempestività dell’intervento è fondamentale: occorre immediatamente l’operato di medici, infermieri, specialisti, tecnici. L’intervento chirurgico è uno sport di squadra, tutti corrono per tagliare il medesimo traguardo, per guarire il paziente. Ma lo stesso intervento chirurgico è, di per sé, un trauma; e soltanto quando è terminato inizia realmente il processo di guarigione. È quel che viene propriamente definito ricovero”.
Leggendo questa frase, ecco ciò che ho pensato:
Il ricovero dall’anoressia non è uno sport di squadra. È una solitaria corsa di fondo. È lunga, maledettamente faticosa, estenuante, ed estremamente solitaria.
La lunghezza della strada del ricovero è determinata dall’estensione delle nostre ferrite interiori, e non si conclude sempre in un successo. Non conta quanto duramente possiamo lavorarci su, ci sono delle ferite che non si rimargineranno mai completamente. Dobbiamo perciò abituarci a un nuovo modo di vivere: è questo il percorrere la strada del ricovero. E man mano che si va avanti, ci si accorge che si cambia così radicalmente da non poter più tornare al punto di partenza. Talvolta, confrontando quello che siamo con quello che eravamo, si può arrivare persino a non riconoscersi. Perché un processo di ricovero ci cambia. E si diventa delle persone completamente nuove… con la possibilità di costruirci una vita totalmente nuova.
Ecco, io credo sia così.
Molto spesso si sente parlare del legame tra un trauma subìto durante la vita (prese in giro, divorzio dei genitori, morte di una persona cara, violenze, rapporti sbagliati coi genitori, etc…) e lo sviluppo di un DCA, più raro (ma secondo me più realistico ed importante) è il sentir parlare del DCA in qualità di trauma stesso. Certo, non sarà traumatico nello stesso modo in cui può esserlo uno stupro, ma è comunque estremamente traumatico. Un DCA distrugge l’autostima, le sicurezze, la fiducia, gli interessi, gli affetti… distrugge la vita. Il ricovero obbliga ad affrontare le proprie ferite. E questa è la cosa più terrorizzante. E non è un qualcosa da cui si può uscire senza essere cambiate interiormente.
Certamente ognuna di noi ha un background che non può essere cancellato né cambiato, per quanto possiamo provarci. Ma abbiamo comunque la possibilità e la capacità di guardare a quello che è stato in maniera costruttiva, per rimetterci in piedi ed andare avanti costruendo qualcosa di nuovo e di diverso. È difficile trovare un equilibrio tra la nostra naturale tendenza a rimpiangere quello che è stato quando eravamo nel pieno dell’anoressia, e l’impiegare le nostre energie per trovare quanto di positivo può esserci al di là dell’anoressia stessa; anche perché si ha paura che quello che ci aspetta al termine della strada del ricovero sia uguale a ciò da cui avevamo cercato di fuggire scegliendo l’anoressia, e che quindi, alla fine, la nostra vita si riveli solo e soltanto un colossale disastro… ma, allo stesso tempo, bisogna avere la consapevolezza che, per quanto duro, dopo un trauma è sempre necessario un ricovero per ricominciare a vivere.
P.S.= Venerdì prossimo pubblicherò un post con un po' di consigli su come soprav/vivere i/a-l Natale... Stay tuned, gals!
“Dopo un trauma, il corpo raggiunge la sua massima vulnerabilità. La tempestività dell’intervento è fondamentale: occorre immediatamente l’operato di medici, infermieri, specialisti, tecnici. L’intervento chirurgico è uno sport di squadra, tutti corrono per tagliare il medesimo traguardo, per guarire il paziente. Ma lo stesso intervento chirurgico è, di per sé, un trauma; e soltanto quando è terminato inizia realmente il processo di guarigione. È quel che viene propriamente definito ricovero”.
Leggendo questa frase, ecco ciò che ho pensato:
Il ricovero dall’anoressia non è uno sport di squadra. È una solitaria corsa di fondo. È lunga, maledettamente faticosa, estenuante, ed estremamente solitaria.
La lunghezza della strada del ricovero è determinata dall’estensione delle nostre ferrite interiori, e non si conclude sempre in un successo. Non conta quanto duramente possiamo lavorarci su, ci sono delle ferite che non si rimargineranno mai completamente. Dobbiamo perciò abituarci a un nuovo modo di vivere: è questo il percorrere la strada del ricovero. E man mano che si va avanti, ci si accorge che si cambia così radicalmente da non poter più tornare al punto di partenza. Talvolta, confrontando quello che siamo con quello che eravamo, si può arrivare persino a non riconoscersi. Perché un processo di ricovero ci cambia. E si diventa delle persone completamente nuove… con la possibilità di costruirci una vita totalmente nuova.
Ecco, io credo sia così.
Molto spesso si sente parlare del legame tra un trauma subìto durante la vita (prese in giro, divorzio dei genitori, morte di una persona cara, violenze, rapporti sbagliati coi genitori, etc…) e lo sviluppo di un DCA, più raro (ma secondo me più realistico ed importante) è il sentir parlare del DCA in qualità di trauma stesso. Certo, non sarà traumatico nello stesso modo in cui può esserlo uno stupro, ma è comunque estremamente traumatico. Un DCA distrugge l’autostima, le sicurezze, la fiducia, gli interessi, gli affetti… distrugge la vita. Il ricovero obbliga ad affrontare le proprie ferite. E questa è la cosa più terrorizzante. E non è un qualcosa da cui si può uscire senza essere cambiate interiormente.
Certamente ognuna di noi ha un background che non può essere cancellato né cambiato, per quanto possiamo provarci. Ma abbiamo comunque la possibilità e la capacità di guardare a quello che è stato in maniera costruttiva, per rimetterci in piedi ed andare avanti costruendo qualcosa di nuovo e di diverso. È difficile trovare un equilibrio tra la nostra naturale tendenza a rimpiangere quello che è stato quando eravamo nel pieno dell’anoressia, e l’impiegare le nostre energie per trovare quanto di positivo può esserci al di là dell’anoressia stessa; anche perché si ha paura che quello che ci aspetta al termine della strada del ricovero sia uguale a ciò da cui avevamo cercato di fuggire scegliendo l’anoressia, e che quindi, alla fine, la nostra vita si riveli solo e soltanto un colossale disastro… ma, allo stesso tempo, bisogna avere la consapevolezza che, per quanto duro, dopo un trauma è sempre necessario un ricovero per ricominciare a vivere.
P.S.= Venerdì prossimo pubblicherò un post con un po' di consigli su come soprav/vivere i/a-l Natale... Stay tuned, gals!
venerdì 9 dicembre 2011
Disaccordo, disobbedienza e diniego
Sto leggendo un libro intitolato “Life Without ED”, scritto da Jenni Schaefer, in cui l’autrice illustra 2 principali strategie per combattere i pensieri che un DCA ci mette in testa:
• Disaccordo: Se l’anoressia ci mette in testa che mangiare un gelato per merenda possa farci prendere peso, occorre contrastare questo pensiero con un altro come: Mangiare il gelato a merenda è una cosa perfettamente normale, e un gelato non cambierà certo il mio peso, inoltre ho fiducia nella mia dietista e nell’ “equilibrio alimentare” che mi ha dato: se c’è scritto che per merenda devo mangiare un gelato, vuol dire che è la cosa giusta da fare.
• Disobbedienza: Nel momento in cui l’anoressia ci dice di non mangiare quel gelato, noi lo mangiamo ugualmente, cazzo.
Le trovo entrambe ottime strategie. Il mio maestro di karate mi diceva sempre che non avrei mai potuto vincere un incontro fino a che non mi fossi decisa a combattere seriamente. Combattere contro noi stesse è estremamente difficile perché c’è un gap tra la nostra razionalità e la nostra emotività, ed è arduo far prevalere la logica.
Anche nel momento in cui si riescono a contrastare i pensieri che l’anoressia ci mette in testa, il lungo braccio di ferro tra la nostra parte sana e la nostra parte malata ci lascia esauste e un po’ demoralizzate: ma è davvero sempre così difficile e stancante?!...
Infatti, non dovrebbe esserlo.
File sottostante: Vittoria di Pirro, definizione di.
Perciò, personalmente ho elaborato un’altra “strategia D” per contrastare i pensieri che l’anoressia mette in testa: Diniego.
Perciò, quando la voce dell’anoressia si presenta nella mia testa e mi dice quello che dovrei fare o non fare, quando mi dice che senza di lei non valgo niente, io non controbatto. Dico solo: “Hmmm…” e fingo di non aver sentito la sua voce. Quando si deve prendere una decisione, non sempre il cervello arriva ad un’unica ed inequivocabile conclusione. Differenti parti del cervello forniscono diversi input, e non tutti questi input sono ugualmente importanti e rilevanti. Questo dobbiamo fare con i pensieri indotti dall’anoressia: siamo coscienti che sono pensieri irrazionali quindi quello che dobbiamo fare è cercare d’ignorarli.
E dato che sappiamo che i pensieri indotti dall’anoressia sono menzogneri, non vale la pena di sprecare il nostro tempo e le nostre energie per controbatterli. Combattere contro qualcosa significa che la riteniamo abbastanza importante da sprecarci le nostre energie. Il fatto è che i pensieri che il DCA ci mette in testa non sono davvero così importanti, proprio perché sono bugie. Per questo è importante cercare di allontanarci mentalmente dal casino di pensieri che l’anoressia ci mette in testa. Può essere più o meno funzionale, e certamente è tutt’altro che facile, ma sicuramente ci lascerà più energie e positività.
• Disaccordo: Se l’anoressia ci mette in testa che mangiare un gelato per merenda possa farci prendere peso, occorre contrastare questo pensiero con un altro come: Mangiare il gelato a merenda è una cosa perfettamente normale, e un gelato non cambierà certo il mio peso, inoltre ho fiducia nella mia dietista e nell’ “equilibrio alimentare” che mi ha dato: se c’è scritto che per merenda devo mangiare un gelato, vuol dire che è la cosa giusta da fare.
• Disobbedienza: Nel momento in cui l’anoressia ci dice di non mangiare quel gelato, noi lo mangiamo ugualmente, cazzo.
Le trovo entrambe ottime strategie. Il mio maestro di karate mi diceva sempre che non avrei mai potuto vincere un incontro fino a che non mi fossi decisa a combattere seriamente. Combattere contro noi stesse è estremamente difficile perché c’è un gap tra la nostra razionalità e la nostra emotività, ed è arduo far prevalere la logica.
Anche nel momento in cui si riescono a contrastare i pensieri che l’anoressia ci mette in testa, il lungo braccio di ferro tra la nostra parte sana e la nostra parte malata ci lascia esauste e un po’ demoralizzate: ma è davvero sempre così difficile e stancante?!...
Infatti, non dovrebbe esserlo.
File sottostante: Vittoria di Pirro, definizione di.
Perciò, personalmente ho elaborato un’altra “strategia D” per contrastare i pensieri che l’anoressia mette in testa: Diniego.
Perciò, quando la voce dell’anoressia si presenta nella mia testa e mi dice quello che dovrei fare o non fare, quando mi dice che senza di lei non valgo niente, io non controbatto. Dico solo: “Hmmm…” e fingo di non aver sentito la sua voce. Quando si deve prendere una decisione, non sempre il cervello arriva ad un’unica ed inequivocabile conclusione. Differenti parti del cervello forniscono diversi input, e non tutti questi input sono ugualmente importanti e rilevanti. Questo dobbiamo fare con i pensieri indotti dall’anoressia: siamo coscienti che sono pensieri irrazionali quindi quello che dobbiamo fare è cercare d’ignorarli.
E dato che sappiamo che i pensieri indotti dall’anoressia sono menzogneri, non vale la pena di sprecare il nostro tempo e le nostre energie per controbatterli. Combattere contro qualcosa significa che la riteniamo abbastanza importante da sprecarci le nostre energie. Il fatto è che i pensieri che il DCA ci mette in testa non sono davvero così importanti, proprio perché sono bugie. Per questo è importante cercare di allontanarci mentalmente dal casino di pensieri che l’anoressia ci mette in testa. Può essere più o meno funzionale, e certamente è tutt’altro che facile, ma sicuramente ci lascerà più energie e positività.
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venerdì 2 dicembre 2011
Possiamo farcela!
Ne avete abbastanza dell’anoressia? Ne avete abbastanza della restrizione alimentare? Ne avete abbastanza di trascorrere giornate fatte di ossessione e di vuoto? Ne avete abbastanza di tutte le sue bugie?
Bè, allora a questo punto c’è un’altra cosa che avete: una scelta. La scelta d’iniziare a percorrere la strada del ricovero.
L’anoressia vale VERAMENTE la pena? Provate a rispondere a questa domanda, e siate sincere con voi stesse. Indubbiamente l’anoressia trasmette una gran quantità di sensazioni positive e fantastiche nell’immediato… ma a lungo andare? Bisogna aprire gli occhi. Bisogna svegliarsi. Perché la devastazione che alla fine l’anoressia inevitabilmente produce, non vale la pena. Fa stare da dio, ma non vale tutta la merda che ne consegue. E lo dico con tutto il dolore del mondo, ma per lo meno adesso riesco a dirlo.
Lo so che è difficile crederci, ma vi assicuro che ci sono momenti in cui la cosa migliore da fare è arrendersi. Non resistere, non resistere a niente, mollare la presa. La presa dell’anoressia.
Ci vuole molta forza, molto coraggio e molta determinazione per scegliere la dura strada del ricovero… ma noi possiamo farcela!
Purtroppo c’è qualcosa nella psiche umana che fa confusione tra il concetto di “bellezza” e il diritto di essere amate per quello che siamo, ed impasta le due cose anche se in realtà si tratta di cose totalmente differenti: perché, ragazze, ognuna di voi merita di essere amata nonostante le sue imperfezioni. Anzi, di più: ognuna di voi merita di essere amata anche per le sue imperfezioni, che sono proprio quelle che vi rendono belle sotto ogni punto di vista. Siate una SU un milione, non una IN un milione: siate voi stesse.
Scegliete la strada del ricovero, datevi una possibilità, provate a correre il rischio (non il rischio di sbagliare, ma il ben più arduo rischio di farcela): in fin dei conti, non avete niente da perdere e tutto da guadagnare, ed è proprio quando si rischia tutto che non si rischia niente.
Tutto quel che dobbiamo fare è imparare ad ascoltarci, ad accettarci, ad apprezzarci, a farci respirare.
Fino a qualche anno fa pensavo che l’anoressia fosse tutta la mia vita, ma fortunatamente mi sbagliavo. Quindi, se anche voi lo state pensando, sappiate che questa non è che l’ennesima delle bugie che l’anoressia racconta. Lo so che talvolta percorrere la strada del ricovero sembra impossibile… ma non lo è. Dobbiamo farlo per noi stesse e per nessun altro. E noi possiamo farcela!
Se scegliete la strada del ricovero, ragazze, sorridete: è la giusta strada.
Bè, allora a questo punto c’è un’altra cosa che avete: una scelta. La scelta d’iniziare a percorrere la strada del ricovero.
L’anoressia vale VERAMENTE la pena? Provate a rispondere a questa domanda, e siate sincere con voi stesse. Indubbiamente l’anoressia trasmette una gran quantità di sensazioni positive e fantastiche nell’immediato… ma a lungo andare? Bisogna aprire gli occhi. Bisogna svegliarsi. Perché la devastazione che alla fine l’anoressia inevitabilmente produce, non vale la pena. Fa stare da dio, ma non vale tutta la merda che ne consegue. E lo dico con tutto il dolore del mondo, ma per lo meno adesso riesco a dirlo.
Lo so che è difficile crederci, ma vi assicuro che ci sono momenti in cui la cosa migliore da fare è arrendersi. Non resistere, non resistere a niente, mollare la presa. La presa dell’anoressia.
Ci vuole molta forza, molto coraggio e molta determinazione per scegliere la dura strada del ricovero… ma noi possiamo farcela!
Purtroppo c’è qualcosa nella psiche umana che fa confusione tra il concetto di “bellezza” e il diritto di essere amate per quello che siamo, ed impasta le due cose anche se in realtà si tratta di cose totalmente differenti: perché, ragazze, ognuna di voi merita di essere amata nonostante le sue imperfezioni. Anzi, di più: ognuna di voi merita di essere amata anche per le sue imperfezioni, che sono proprio quelle che vi rendono belle sotto ogni punto di vista. Siate una SU un milione, non una IN un milione: siate voi stesse.
Scegliete la strada del ricovero, datevi una possibilità, provate a correre il rischio (non il rischio di sbagliare, ma il ben più arduo rischio di farcela): in fin dei conti, non avete niente da perdere e tutto da guadagnare, ed è proprio quando si rischia tutto che non si rischia niente.
Tutto quel che dobbiamo fare è imparare ad ascoltarci, ad accettarci, ad apprezzarci, a farci respirare.
Fino a qualche anno fa pensavo che l’anoressia fosse tutta la mia vita, ma fortunatamente mi sbagliavo. Quindi, se anche voi lo state pensando, sappiate che questa non è che l’ennesima delle bugie che l’anoressia racconta. Lo so che talvolta percorrere la strada del ricovero sembra impossibile… ma non lo è. Dobbiamo farlo per noi stesse e per nessun altro. E noi possiamo farcela!
Se scegliete la strada del ricovero, ragazze, sorridete: è la giusta strada.
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venerdì 25 novembre 2011
"F**king Perfect"
Per tutte voi, ragazze.
Traduzione delle canzone - da cui prende il titolo questo post - che fa da soundtrack del video...
FOTTUTAMENTE PERFETTA
Prendere la decisione sbagliata una o due volte
Scoprire la mia strada attraverso sangue e fuoco
Scelte errate sono all’ordine del giorno
benvenuti nella mia stupida vita.
Scansata, fuoriluogo, incompresa,
La signorina “Nessun problema, va sempre tutto bene”.
Niente riuscirà ad abbattermi
Sbagliata, sempre incapace di prevedere le conseguenze, sottovalutata
Ehi, guardate, sono ancora qui
Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.
Sei così severa quando parli di te stessa, ma ti sbagli
Cancella quella vocina che ti critica nella tua testa, insegnale a piacerti
È così difficile, ma ce la puoi fare alla grande,
Per molto tempo ti sei odiata così tanto… è un gioco a perdere
Non ne hai abbastanza?!! Io ho fatto tutto quello che potevo
Per scovare e sconfiggere tutti i miei demoni, e vedo che tu stai facendo lo stesso
Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.
Tutto il mondo sta a guardare mentre cerchiamo di ingoiare la paura
tutto quello che dovremmo bere è un gelido thé freddo
Così brave a mentire, e proviamo proviamo proviamo,
ma questi strenui tentativi sono solo una perdita di tempo
Bisogna ignorare le critiche, perchè ci piovono addosso da ogni direzione
Non gli piacciono i nostri jeans, non approvano la nostra pettinatura
Cercare di cambiare noi stesse in funzione degli altri
è quello che facciamo in continuazione.
Perché lo facciamo?
Perché lo faccio?
Perché lo faccio…?
Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.
Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta…
Traduzione delle canzone - da cui prende il titolo questo post - che fa da soundtrack del video...
FOTTUTAMENTE PERFETTA
Prendere la decisione sbagliata una o due volte
Scoprire la mia strada attraverso sangue e fuoco
Scelte errate sono all’ordine del giorno
benvenuti nella mia stupida vita.
Scansata, fuoriluogo, incompresa,
La signorina “Nessun problema, va sempre tutto bene”.
Niente riuscirà ad abbattermi
Sbagliata, sempre incapace di prevedere le conseguenze, sottovalutata
Ehi, guardate, sono ancora qui
Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.
Sei così severa quando parli di te stessa, ma ti sbagli
Cancella quella vocina che ti critica nella tua testa, insegnale a piacerti
È così difficile, ma ce la puoi fare alla grande,
Per molto tempo ti sei odiata così tanto… è un gioco a perdere
Non ne hai abbastanza?!! Io ho fatto tutto quello che potevo
Per scovare e sconfiggere tutti i miei demoni, e vedo che tu stai facendo lo stesso
Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.
Tutto il mondo sta a guardare mentre cerchiamo di ingoiare la paura
tutto quello che dovremmo bere è un gelido thé freddo
Così brave a mentire, e proviamo proviamo proviamo,
ma questi strenui tentativi sono solo una perdita di tempo
Bisogna ignorare le critiche, perchè ci piovono addosso da ogni direzione
Non gli piacciono i nostri jeans, non approvano la nostra pettinatura
Cercare di cambiare noi stesse in funzione degli altri
è quello che facciamo in continuazione.
Perché lo facciamo?
Perché lo faccio?
Perché lo faccio…?
Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta.
Stellina, stellina, per favore, non sentirti mai
come se tu fossi qualcosa di meno che fottutamente perfetta
Stellina, stellina, per favore, se dovessi sentirti come se non valessi niente
sappi che per me sei fottutamente perfetta…
venerdì 18 novembre 2011
Paura del fallimento
L’altro giorno stavo parlando al telefono con una ragazza che ho conosciuto durante uno dei miei ricoveri in clinica specializzata per DCA, e si discuteva di alcuni aspetti del percorso di ricovero che entrambe ci siamo ritrovate a dover fronteggiare. Uno degli argomenti che abbiamo messo in campo è stata la possibilità di fallire nel momento in cui si sceglie d’intraprendere la strada del ricovero.
Una delle cose che c’intrappola nell’anoressia, infatti, è la sensazione che questa sia un qualcosa in cui riusciamo molto bene, che la restrizione alimentare sia un qualcosa che ci viene davvero bene. Certo, magari gli altri ci dicono che siamo brave anche in molte altre cose, ma la differenza sta nel fatto che, con l’anoressia, siamo noi le prime a dirci che siamo brave, e non temiamo, come succede per tutte le altre cose, che gli altri stiano solo facendo complimenti senza pensare davvero quello che dicono. Non abbiamo bisogno di nessuno che ci dica quanto siamo brave nel restringere l’alimentazione: è una certezza che abbiamo. Sappiamo che possiamo continuare a restringere l’alimentazione anche qualora ogni altro aspetto della nostra vita dovesse andare a puttane.
La strada del ricovero, d’altro canto, è un qualcosa di totalmente diverso. Sappiamo perfettamente come perdere peso, è molto semplice: basta mangiare di meno e fare più attività fisica. Così facendo, non si può certamente fallire. Il ricovero non è così semplice. Restringere l’alimentazione è molto più facile che mangiare seguendo l’ “equilibrio alimentare” che ci dà la dietista. Parafrasando: percorrere la strada dell’anoressia è come buttarsi giù da un dirupo. E’ facile, perché ci aiuta la forza di gravità. Percorrere la strada del ricovero, invece, è come risalire da quel dirupo. È difficile, perché bisogna contrastare la forza di gravità.
Questo è il punto: tutte abbiamo paura del fallimento. Molta, molta paura. E intraprendere la strada del ricovero mette in campo la possibilità di poter fallire. E il fare qualcosa sulle cui possibilità di successo non siamo del tutto sicure, mette addosso sempre certo una grande ansia. È lo stesso motivo per cui a volte rifiutiamo delle sfide – in ambito scolastico, lavorativo, o sportivo. Perché si ha paura del fallimento.
È anche per questo che è più facile rimanere nell’anoressia: è una cosa nella quale, indubbiamente, abbiamo dimostrato di essere estremamente abili nell’avere successo. E a causa di ciò, non siamo abituate al fallimento. Per questo è così difficile relazionarsi con un qualcosa che apre la possibilità al fallimento stesso. E poiché il fallimento non ci piace, preferiamo evitare le situazioni che potrebbero determinarlo. Ecco un altro motivo per cui è così dura intraprendere la strada del ricovero.
Ecco perchè si è così caute, ecco perchè si esita così tanto prima d’intraprendere la strada del ricovero. Perché non si sa come la cosa potrà evolvere. Perchè non siamo sicure che potremo farcela. Perchè, in fin dei conti, spesso all’inizio non siamo neanche sicure che vorremo farcela.
Questo è uno scoglio che bisogna superare per fare progressi. La paura del fallimento, in realtà, ci frena soltanto dal tentare di fare nuove esperienze, dal lasciare la strada vecchia per la nuova. Ci intrappola. Ovviamente, ci vuole la consapevolezza che se si decide d’intraprendere la strada del ricovero non ci saranno solo rose e fiori, anzi, sarà estremamente probabile andare incontro a delle ricadute. Non tutti i tentativi che faremo avranno successo. Ma se ci rifiutiamo di fare tentativi fino a che non siamo sicure al 100% che questi andranno a segno, allora non faremo mai niente. Del resto, non c’è modo di capire veramente se un tentativo possa avere successo o meno, fino a che non ci decidiamo a metterlo in pratica.
Paradossalmente, è proprio sbagliando che s’impara. E questo vale anche per la strada del ricovero. E per l’anoressia.
Una delle cose che c’intrappola nell’anoressia, infatti, è la sensazione che questa sia un qualcosa in cui riusciamo molto bene, che la restrizione alimentare sia un qualcosa che ci viene davvero bene. Certo, magari gli altri ci dicono che siamo brave anche in molte altre cose, ma la differenza sta nel fatto che, con l’anoressia, siamo noi le prime a dirci che siamo brave, e non temiamo, come succede per tutte le altre cose, che gli altri stiano solo facendo complimenti senza pensare davvero quello che dicono. Non abbiamo bisogno di nessuno che ci dica quanto siamo brave nel restringere l’alimentazione: è una certezza che abbiamo. Sappiamo che possiamo continuare a restringere l’alimentazione anche qualora ogni altro aspetto della nostra vita dovesse andare a puttane.
La strada del ricovero, d’altro canto, è un qualcosa di totalmente diverso. Sappiamo perfettamente come perdere peso, è molto semplice: basta mangiare di meno e fare più attività fisica. Così facendo, non si può certamente fallire. Il ricovero non è così semplice. Restringere l’alimentazione è molto più facile che mangiare seguendo l’ “equilibrio alimentare” che ci dà la dietista. Parafrasando: percorrere la strada dell’anoressia è come buttarsi giù da un dirupo. E’ facile, perché ci aiuta la forza di gravità. Percorrere la strada del ricovero, invece, è come risalire da quel dirupo. È difficile, perché bisogna contrastare la forza di gravità.
Questo è il punto: tutte abbiamo paura del fallimento. Molta, molta paura. E intraprendere la strada del ricovero mette in campo la possibilità di poter fallire. E il fare qualcosa sulle cui possibilità di successo non siamo del tutto sicure, mette addosso sempre certo una grande ansia. È lo stesso motivo per cui a volte rifiutiamo delle sfide – in ambito scolastico, lavorativo, o sportivo. Perché si ha paura del fallimento.
È anche per questo che è più facile rimanere nell’anoressia: è una cosa nella quale, indubbiamente, abbiamo dimostrato di essere estremamente abili nell’avere successo. E a causa di ciò, non siamo abituate al fallimento. Per questo è così difficile relazionarsi con un qualcosa che apre la possibilità al fallimento stesso. E poiché il fallimento non ci piace, preferiamo evitare le situazioni che potrebbero determinarlo. Ecco un altro motivo per cui è così dura intraprendere la strada del ricovero.
Ecco perchè si è così caute, ecco perchè si esita così tanto prima d’intraprendere la strada del ricovero. Perché non si sa come la cosa potrà evolvere. Perchè non siamo sicure che potremo farcela. Perchè, in fin dei conti, spesso all’inizio non siamo neanche sicure che vorremo farcela.
Questo è uno scoglio che bisogna superare per fare progressi. La paura del fallimento, in realtà, ci frena soltanto dal tentare di fare nuove esperienze, dal lasciare la strada vecchia per la nuova. Ci intrappola. Ovviamente, ci vuole la consapevolezza che se si decide d’intraprendere la strada del ricovero non ci saranno solo rose e fiori, anzi, sarà estremamente probabile andare incontro a delle ricadute. Non tutti i tentativi che faremo avranno successo. Ma se ci rifiutiamo di fare tentativi fino a che non siamo sicure al 100% che questi andranno a segno, allora non faremo mai niente. Del resto, non c’è modo di capire veramente se un tentativo possa avere successo o meno, fino a che non ci decidiamo a metterlo in pratica.
Paradossalmente, è proprio sbagliando che s’impara. E questo vale anche per la strada del ricovero. E per l’anoressia.
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venerdì 11 novembre 2011
Mentre il tempo continua a scorrere
Mentre il tempo continua a scorrere, noi continuiamo a combattere contro l’anoressia. Ci sono giorni migliori, giorni in cui le cose vanno un po’ meglio, in cui lottare sembra più facile, in cui ci pare di riuscire a vedere una luce in fondo al tunnel e in cui ci sembra di sapere quello che stiamo facendo e perché; e giorni più difficili, giorni neri, giorni in cui sembra che il mondo ci crolli addosso, e allora si ha paura ad andare avanti perché si teme di non essere forti abbastanza per sopportare quello che ci attende.
Quando eravamo nell’anoressia, tutto quello che volevamo era sentirci in controllo, forti, soddisfatte, sicure di noi stesse… in una parola, onnipotenti. Ma adesso sappiamo che questa è solo un’illusione. Che quella dell’anoressia non è l’autostrada che prometteva di essere, ma soltanto un vicolo cieco, che ha come unico destino quello di farci sbattere contro un muro.
Bugie svelate, quindi. Abbiamo così iniziato a percorrere la dura e difficile strada del ricovero. E il tempo continua a scorrere. Il sole sorge ogni mattina. Le tempeste arrivano e passano via. Le battaglie continuiamo a combatterle giorno dopo giorno. Le lacrime scorrono e si asciugano. E noi continuiamo ad andare avanti. E dove c’è movimento sulla strada della luce, c’è speranza.
Ragazze, finché continueremo a combattere, l’anoressia non vincerà! Chi vince è perché non si è arreso, e chi si arrende all’anoressia non potrà mai vincere.
Tutte voi, ragazze, siete come delle stelle preziose, brillanti ed uniche. Non abbiate timore nel mostrare la vostra luce. Mentre il tempo continua a scorrere, potete illuminare la vostra vita e la strada del ricovero.
Quando eravamo nell’anoressia, tutto quello che volevamo era sentirci in controllo, forti, soddisfatte, sicure di noi stesse… in una parola, onnipotenti. Ma adesso sappiamo che questa è solo un’illusione. Che quella dell’anoressia non è l’autostrada che prometteva di essere, ma soltanto un vicolo cieco, che ha come unico destino quello di farci sbattere contro un muro.
Bugie svelate, quindi. Abbiamo così iniziato a percorrere la dura e difficile strada del ricovero. E il tempo continua a scorrere. Il sole sorge ogni mattina. Le tempeste arrivano e passano via. Le battaglie continuiamo a combatterle giorno dopo giorno. Le lacrime scorrono e si asciugano. E noi continuiamo ad andare avanti. E dove c’è movimento sulla strada della luce, c’è speranza.
Ragazze, finché continueremo a combattere, l’anoressia non vincerà! Chi vince è perché non si è arreso, e chi si arrende all’anoressia non potrà mai vincere.
Tutte voi, ragazze, siete come delle stelle preziose, brillanti ed uniche. Non abbiate timore nel mostrare la vostra luce. Mentre il tempo continua a scorrere, potete illuminare la vostra vita e la strada del ricovero.
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venerdì 4 novembre 2011
Amare il nostro corpo
Quando sono entrata nella spirale discendente dell’anoressia avevo solo 14 – 15 anni. Successivamente, si è aggiunto l’autolesionismo. Ho lottato a lungo col mio corpo, lo sto facendo tuttora. Sono arrivata a pesare XX Kg, come una bambina, ma adesso ho recuperato e il mio peso è XX Kg. Tuttavia ho imparato che non sono le dimensioni del mio corpo, il suo peso, la taglia ad essere importanti. Sono una persona valida a prescindere da quanto peso o dalla taglia dei miei jeans. E lo stesso vale per ciascuna di voi, ragazze.
Non è facile amare il nostro corpo, lo so, anzi, per lo più è estremamente difficile, ma dobbiamo sempre ricordare che noi siamo molto più del semplice nostro corpo! Siamo persone con una testa, un carattere, delle idee, delle passioni, degli interessi.
Perciò, nel momento in cui vi capiterà di odiare particolarmente il vostro corpo, cercate di focalizzarvi su quelle che sono le cose che contano veramente nella vita:
L’amicizia.
Le passioni.
L’aiuto reciproco.
La salute.
La strenua lotta che combattiamo contro il nostro corpo non vale la pena. Credo che ormai tutte voi sappiate benissimo che non sono 10 Kg in più o in meno a cambiarci la vita, a darci veramente quello che desideriamo e a farci essere quel che realmente vorremo essere. La verità è che essere 30 Kg o essere 80 Kg non cambierà la persona che siamo, non ci renderà una persona migliore/peggiore. Non ci renderà più desiderabili, più simpatiche o più intelligenti.
L’unica cosa di noi che il nostro peso – sottopeso – dimostra, è che siamo capaci di controllare cosa entra nella nostra bocca. Ma penso che siano altre le cose che vale davvero la pena di riuscire a controllare… e per poterlo fare, abbiamo bisogno che il nostro corpo sia in salute, perciò cerchiamo di averne cura. Anche nei momenti in cui vi sentite più giù, cercate di pensare al vostro corpo come al risultato del lavoro di un artista: chi desidererebbe distruggere il lavoro di un artista?
Il nostro corpo non ci definisce. La nostra immagine corporea non ha realmente tutta questa importanza, ma solo quella che le attribuiamo noi. L’unica immagine cui dobbiamo cercare di aderire, semmai, è l’immagine di un corpo in salute. Perchè è questo ciò che veramente ci serve.
La trasformazione del nostro corpo che con l’anoressia abbiamo cercato di operare, non è altro che una strategia di coping. Ma adesso è arrivato il momento di guardare i problemi dritti in faccia e di affrontarli, senza più rimanere nella stretta dolce e soffocante del DCA. Sfidiamo noi stesse a cambiare il nostro punto di vista: è possibile. Difficile, tremendamente difficile, ma possibile. Cerchiamo di canalizzare le nostre energie in una direzione positiva, cominciando a fare qualcosa per noi stesse, e iniziando e continuando a percorrere la strada del ricovero.
Cominciamo ad inseguire i nostri sogni. E, da tener sempre bene a mente: il ricovero è un PROCESSO, non un EVENTO. Sta a noi costruirlo giorno dopo giorno.
Non è facile amare il nostro corpo, lo so, anzi, per lo più è estremamente difficile, ma dobbiamo sempre ricordare che noi siamo molto più del semplice nostro corpo! Siamo persone con una testa, un carattere, delle idee, delle passioni, degli interessi.
Perciò, nel momento in cui vi capiterà di odiare particolarmente il vostro corpo, cercate di focalizzarvi su quelle che sono le cose che contano veramente nella vita:
L’amicizia.
Le passioni.
L’aiuto reciproco.
La salute.
La strenua lotta che combattiamo contro il nostro corpo non vale la pena. Credo che ormai tutte voi sappiate benissimo che non sono 10 Kg in più o in meno a cambiarci la vita, a darci veramente quello che desideriamo e a farci essere quel che realmente vorremo essere. La verità è che essere 30 Kg o essere 80 Kg non cambierà la persona che siamo, non ci renderà una persona migliore/peggiore. Non ci renderà più desiderabili, più simpatiche o più intelligenti.
L’unica cosa di noi che il nostro peso – sottopeso – dimostra, è che siamo capaci di controllare cosa entra nella nostra bocca. Ma penso che siano altre le cose che vale davvero la pena di riuscire a controllare… e per poterlo fare, abbiamo bisogno che il nostro corpo sia in salute, perciò cerchiamo di averne cura. Anche nei momenti in cui vi sentite più giù, cercate di pensare al vostro corpo come al risultato del lavoro di un artista: chi desidererebbe distruggere il lavoro di un artista?
Il nostro corpo non ci definisce. La nostra immagine corporea non ha realmente tutta questa importanza, ma solo quella che le attribuiamo noi. L’unica immagine cui dobbiamo cercare di aderire, semmai, è l’immagine di un corpo in salute. Perchè è questo ciò che veramente ci serve.
La trasformazione del nostro corpo che con l’anoressia abbiamo cercato di operare, non è altro che una strategia di coping. Ma adesso è arrivato il momento di guardare i problemi dritti in faccia e di affrontarli, senza più rimanere nella stretta dolce e soffocante del DCA. Sfidiamo noi stesse a cambiare il nostro punto di vista: è possibile. Difficile, tremendamente difficile, ma possibile. Cerchiamo di canalizzare le nostre energie in una direzione positiva, cominciando a fare qualcosa per noi stesse, e iniziando e continuando a percorrere la strada del ricovero.
Cominciamo ad inseguire i nostri sogni. E, da tener sempre bene a mente: il ricovero è un PROCESSO, non un EVENTO. Sta a noi costruirlo giorno dopo giorno.
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venerdì 28 ottobre 2011
Faking it or making it?
Non siete mai sole nella lotta contro l’anoressia. Io sto combattendo insieme a voi.
Percorro la strada del ricovero, ma certi giorni è talmente difficile che non so nemmeno dove sto andando. L’anoressia ha riempito così tanti anni della mia vita, mi ha rubato così tante cose, è stata l’unica cosa che mi ha definita, rassicurata e resa felice, che a volte temo di abbandonare questa strada e fare inversione di marcia. Non sono sempre motivata e convinta al 100% che la scelta del ricovero sia quella giusta… so soltanto che quella dell’anoressia è la scelta sbagliata.
Scegliere la strada del ricovero è decidere di darsi una possibilità. In fin dei conti, provate a pensare che non avete nulla da perdere nel fare un tentativo. Non è molto, lo so, ma è abbastanza. Dovete solo trovare una ragione per intraprendere questo percorso, e rinnovare giorno dopo giorno la vostra motivazione.
La strada del ricovero è in salita: dura e difficile. Chiunque vi dica il contrario vi sta mentendo. Ma, come si suol dire, “Fake it until you make it!”. (Che, tra l’altro, è la new entry tra le frasi scritte sui Post-It che ho applicato sull’armadio della mia camera). In altre parole, capiterà inevitabilmente di cadere. Bene, quello che dobbiamo fare è rialzarci dopo ogni caduta, e ripartire, riprovare, continuare a camminare fino a meta. Osare ricominciare a sognare. E sarete stupite nel vedere come il rialzarsi dopo ogni caduta fa aumentare il coraggio, la forza e la speranza.
FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!
(Giusto per tenerlo ben presente)
E arriverà il giorno in cui non avrete più bisogno di rialzarvi, perché sarete abbastanza salde sulle vostre gambe da non cadere più.
Non preoccupatevi per eventuali ricadute, e soprattutto non deprimetevi, non sentitevi delle fallite, non rimproveratevi se ce ne sono: sono assolutamente naturali nel percorso del ricovero. Tenete solo a mente che non c’è ricaduta così terribile da non potersi rialzare. Che avete tutta la forza per potervi rialzare. E che se state percorrendo la strada del ricovero, qualsiasi siano i vostri tempi o il numero delle vostre ricadute, state andando BENE.
FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!
(Ripetere e ripetere e ripetere)
E un giorno ce la farete. Perché quando avete capito questo, avete capito tutto: la ricaduta è parte integrante e fondamentale del percorso di ricovero. Serve per imparare a non ripetere gli stessi errori. Un giorno vi guarderete indietro, e rimarrete meravigliate di quanta strada avrete percorso tra uno scivolone e l’altro.
FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!!!
Percorro la strada del ricovero, ma certi giorni è talmente difficile che non so nemmeno dove sto andando. L’anoressia ha riempito così tanti anni della mia vita, mi ha rubato così tante cose, è stata l’unica cosa che mi ha definita, rassicurata e resa felice, che a volte temo di abbandonare questa strada e fare inversione di marcia. Non sono sempre motivata e convinta al 100% che la scelta del ricovero sia quella giusta… so soltanto che quella dell’anoressia è la scelta sbagliata.
Scegliere la strada del ricovero è decidere di darsi una possibilità. In fin dei conti, provate a pensare che non avete nulla da perdere nel fare un tentativo. Non è molto, lo so, ma è abbastanza. Dovete solo trovare una ragione per intraprendere questo percorso, e rinnovare giorno dopo giorno la vostra motivazione.
La strada del ricovero è in salita: dura e difficile. Chiunque vi dica il contrario vi sta mentendo. Ma, come si suol dire, “Fake it until you make it!”. (Che, tra l’altro, è la new entry tra le frasi scritte sui Post-It che ho applicato sull’armadio della mia camera). In altre parole, capiterà inevitabilmente di cadere. Bene, quello che dobbiamo fare è rialzarci dopo ogni caduta, e ripartire, riprovare, continuare a camminare fino a meta. Osare ricominciare a sognare. E sarete stupite nel vedere come il rialzarsi dopo ogni caduta fa aumentare il coraggio, la forza e la speranza.
FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!
(Giusto per tenerlo ben presente)
E arriverà il giorno in cui non avrete più bisogno di rialzarvi, perché sarete abbastanza salde sulle vostre gambe da non cadere più.
Non preoccupatevi per eventuali ricadute, e soprattutto non deprimetevi, non sentitevi delle fallite, non rimproveratevi se ce ne sono: sono assolutamente naturali nel percorso del ricovero. Tenete solo a mente che non c’è ricaduta così terribile da non potersi rialzare. Che avete tutta la forza per potervi rialzare. E che se state percorrendo la strada del ricovero, qualsiasi siano i vostri tempi o il numero delle vostre ricadute, state andando BENE.
FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!
(Ripetere e ripetere e ripetere)
E un giorno ce la farete. Perché quando avete capito questo, avete capito tutto: la ricaduta è parte integrante e fondamentale del percorso di ricovero. Serve per imparare a non ripetere gli stessi errori. Un giorno vi guarderete indietro, e rimarrete meravigliate di quanta strada avrete percorso tra uno scivolone e l’altro.
FAKE IT UNTIL YOU MAKE IT!!!
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venerdì 21 ottobre 2011
"Running far away from anorexia"
Questa è una poesia che ho scritto qualche anno fa, quando per la prima volta ho deciso d’impegnarmi seriamente a percorrere la strada del ricovero, facendolo per me stessa e per nessun altro. Spero che le mie parole possano significare qualcosa anche per noi, che vi prendano per mano e vi accompagnino durante il vostro percorso di ricovero.
RUNNING FAR AWAY FROM ANOREXIA
Making the run.
I’m breaking out of here
I refuse to let myself disappear
So sick of your words and promises
They never got me anywhere.
I guess it’s time for me to run away from here
You thought you had me in your control
But I refuse to loose it all
I’m jumping in
Just watch me, watch me.
In life I have one chance to find
The one thing I don’t want to miss
I can’t wait no more
So here I go…
I refuse to relapse fully
Even if I have to fight for the rest of my life
And – yes – your power terrifies me
But you won’t take me back
I can’t take it anymore
I don’t want to be dead, but breathing
For once I want to be good enough for myself.
You make me fall apart
Yet I crawl back to you
So sick of playing the game I will never win
So sick of it, I’m off to find
A way to bring you down.
I make for it
I’m gone, I’m going
I’m so over you
I’ll no longer do what you tell me to.
And I won’t look back because I know
If I do I won’t make it.
No matter how hard you make it
I’m going to get my life back
I won’t look back no more
And I will find myself.
[Decidere di correre./Sto rompendo questo circolo vizioso/mi rifiuto di scomparire/sono stanca delle tue parole e delle tue promesse/non mi portano da nessuna parte./Penso che sia arrivato per me il momento di correre via da te/pensavi di tenermi sotto controllo/ma io rifiuto di perdere il mio controllo/sto saltando via/guardami, guardami/In questa vita ho solo un possibilità di trovare/l’unica cosa che non voglio perdere/non posso più aspettare/perciò, adesso parto…/Mi rifiuto di ricaderci/anche se dovrò combattere per il resto della mia vita/e – sì – il tuo potere mi terrorizza/ma non mi riavrai/non posso più averti/non voglio morire dentro, ma respirare/per una volta voglio andare bene per me stessa./Mi hai fatto andare in pezzi/eppure già mi sento nuovamente attratta da te/ma sono stanca di giocare al gioco che non vinco mai/stanca, adesso sto cercando/un modo per avere la meglio su di te./Ce la farò/sono andata, sto andando/ti supererò/non farò più quel che mi dici di fare./E non voglio voltarmi indietro perché so/che se lo facessi non riuscirei a combatterti./Non m’importa quanto sarà dura/mi riprenderò la mia vita/non mi guarderò indietro/e troverò la vera me stessa.]
RUNNING FAR AWAY FROM ANOREXIA
Making the run.
I’m breaking out of here
I refuse to let myself disappear
So sick of your words and promises
They never got me anywhere.
I guess it’s time for me to run away from here
You thought you had me in your control
But I refuse to loose it all
I’m jumping in
Just watch me, watch me.
In life I have one chance to find
The one thing I don’t want to miss
I can’t wait no more
So here I go…
I refuse to relapse fully
Even if I have to fight for the rest of my life
And – yes – your power terrifies me
But you won’t take me back
I can’t take it anymore
I don’t want to be dead, but breathing
For once I want to be good enough for myself.
You make me fall apart
Yet I crawl back to you
So sick of playing the game I will never win
So sick of it, I’m off to find
A way to bring you down.
I make for it
I’m gone, I’m going
I’m so over you
I’ll no longer do what you tell me to.
And I won’t look back because I know
If I do I won’t make it.
No matter how hard you make it
I’m going to get my life back
I won’t look back no more
And I will find myself.
[Decidere di correre./Sto rompendo questo circolo vizioso/mi rifiuto di scomparire/sono stanca delle tue parole e delle tue promesse/non mi portano da nessuna parte./Penso che sia arrivato per me il momento di correre via da te/pensavi di tenermi sotto controllo/ma io rifiuto di perdere il mio controllo/sto saltando via/guardami, guardami/In questa vita ho solo un possibilità di trovare/l’unica cosa che non voglio perdere/non posso più aspettare/perciò, adesso parto…/Mi rifiuto di ricaderci/anche se dovrò combattere per il resto della mia vita/e – sì – il tuo potere mi terrorizza/ma non mi riavrai/non posso più averti/non voglio morire dentro, ma respirare/per una volta voglio andare bene per me stessa./Mi hai fatto andare in pezzi/eppure già mi sento nuovamente attratta da te/ma sono stanca di giocare al gioco che non vinco mai/stanca, adesso sto cercando/un modo per avere la meglio su di te./Ce la farò/sono andata, sto andando/ti supererò/non farò più quel che mi dici di fare./E non voglio voltarmi indietro perché so/che se lo facessi non riuscirei a combatterti./Non m’importa quanto sarà dura/mi riprenderò la mia vita/non mi guarderò indietro/e troverò la vera me stessa.]
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venerdì 14 ottobre 2011
Il coraggio di sorridere
Ci vuole coraggio per sorridere. Soprattutto quando siamo preda dell’anoressia, momento in cui ci si dimentica cosa sorridere significhi veramente, e ci si appiccica sulle labbra un qualcosa di artificioso che s’incolla e non vuole più andarsene.
Tornare a sorridere veramente non è un passo semplice. Sembra impossibile distaccarsi da quel sorriso falso che funge da barriera contro il resto del mondo, un mondo che non ha vissuto un DCA in prima persona e che quindi non può capire, un mondo contro cui bisogna proteggersi mediante un sorriso di circostanza.
Come possiamo riappropriarci del nostro vero sorriso? Possiamo iniziare cercando, giorno dopo giorno, anche solo una piccola cosa ma che ci renda felici per noi stesse, senza che gli altri neanche lo sappiano, e per la quale sentiamo che vale la pena di sorridere. Magari adesso vi sembra impossibile, ma io sono certa che ognuna di voi ha ancora solo una minuscola cosa che la fa essere veramente felice, che le dà una ragione per andare avanti giorno dopo giorno.
Quando si è nel pieno dell’anoressia e si sorride falsamente ripetendo agli altri che “va tutto bene”, sembra che loro credano in questa bugia e non indagano oltre. Sembra che ritengano reale il nostro sorriso artificioso. E questo, lo so, questa loro cecità fa veramente arrabbiare. Ma io lo so che molto spesso dietro ai vostri sorrisi ci sono le lacrime. Lo so che spesso il vostro sorriso è una diga che serve ad arginare il vostro dolore. Sappiate che questo vostro dolore non è inespresso: io lo sento, perché l’ho vissuto e lo vivo in prima persona. E sappiate anche che se oggi riuscirete a sorridere, anche solo per un attimo, ma unicamente per voi stesse, io sarò fiera di voi.
So quant’è difficile sorridere davvero per il semplice fatto che anch’io sto combattendo questa battaglia contro l’anoressia giorno dopo giorno insieme a voi. Perciò, se state ricercando un sorriso sincero, sappiate che vi ammiro per la vostra tenacia, la vostra perseveranza e la vostra forza. Avete un coraggio incredibile. E lo so perché per combattere contro l’anoressia giorno dopo giorno ce ne vuole. Questo stesso coraggio potete utilizzarlo anche per riscoprire il piacere di un sorriso sincero.
Forse chi non ha mai vissuto un DCA non si accorgerà mai di questo vostro enorme coraggio, ma io lo vedo ogni giorno. E sapere che, anche se a distanza, ci sono tante ragazze che stanno combattendo la mia stessa battaglia contro l’anoressia e stanno cercando di sorridere veramente, mi fa sentire più forte e rende meno dura la giornata, perché mi fa sentire che non sono l’unica a cercare di fare qualcosa che sembra essere impossibile.
Perciò, se oggi non riuscite a trovare un sorriso sincero e vi sentite costrette ad indossare la maschera di falsa compiacenza indotta dal vostro DCA, continuate comunque a cercare nella vostra vita quelle piccole cose che possano strapparvi un vero sorriso. Perché non siete sole. Perché siamo in tante a provarci. Il vostro sorriso può essere reale, nonostante le avversità chela vita ci ha posto, ci pone e ci porrà di fronte. Il vostro sorriso può essere genuino. Voi potete riuscirci.
Sorridete… il sorriso è il vostro vestito perfetto: non ha taglia, e vi calza meravigliosamente.
Tornare a sorridere veramente non è un passo semplice. Sembra impossibile distaccarsi da quel sorriso falso che funge da barriera contro il resto del mondo, un mondo che non ha vissuto un DCA in prima persona e che quindi non può capire, un mondo contro cui bisogna proteggersi mediante un sorriso di circostanza.
Come possiamo riappropriarci del nostro vero sorriso? Possiamo iniziare cercando, giorno dopo giorno, anche solo una piccola cosa ma che ci renda felici per noi stesse, senza che gli altri neanche lo sappiano, e per la quale sentiamo che vale la pena di sorridere. Magari adesso vi sembra impossibile, ma io sono certa che ognuna di voi ha ancora solo una minuscola cosa che la fa essere veramente felice, che le dà una ragione per andare avanti giorno dopo giorno.
Quando si è nel pieno dell’anoressia e si sorride falsamente ripetendo agli altri che “va tutto bene”, sembra che loro credano in questa bugia e non indagano oltre. Sembra che ritengano reale il nostro sorriso artificioso. E questo, lo so, questa loro cecità fa veramente arrabbiare. Ma io lo so che molto spesso dietro ai vostri sorrisi ci sono le lacrime. Lo so che spesso il vostro sorriso è una diga che serve ad arginare il vostro dolore. Sappiate che questo vostro dolore non è inespresso: io lo sento, perché l’ho vissuto e lo vivo in prima persona. E sappiate anche che se oggi riuscirete a sorridere, anche solo per un attimo, ma unicamente per voi stesse, io sarò fiera di voi.
So quant’è difficile sorridere davvero per il semplice fatto che anch’io sto combattendo questa battaglia contro l’anoressia giorno dopo giorno insieme a voi. Perciò, se state ricercando un sorriso sincero, sappiate che vi ammiro per la vostra tenacia, la vostra perseveranza e la vostra forza. Avete un coraggio incredibile. E lo so perché per combattere contro l’anoressia giorno dopo giorno ce ne vuole. Questo stesso coraggio potete utilizzarlo anche per riscoprire il piacere di un sorriso sincero.
Forse chi non ha mai vissuto un DCA non si accorgerà mai di questo vostro enorme coraggio, ma io lo vedo ogni giorno. E sapere che, anche se a distanza, ci sono tante ragazze che stanno combattendo la mia stessa battaglia contro l’anoressia e stanno cercando di sorridere veramente, mi fa sentire più forte e rende meno dura la giornata, perché mi fa sentire che non sono l’unica a cercare di fare qualcosa che sembra essere impossibile.
Perciò, se oggi non riuscite a trovare un sorriso sincero e vi sentite costrette ad indossare la maschera di falsa compiacenza indotta dal vostro DCA, continuate comunque a cercare nella vostra vita quelle piccole cose che possano strapparvi un vero sorriso. Perché non siete sole. Perché siamo in tante a provarci. Il vostro sorriso può essere reale, nonostante le avversità chela vita ci ha posto, ci pone e ci porrà di fronte. Il vostro sorriso può essere genuino. Voi potete riuscirci.
Sorridete… il sorriso è il vostro vestito perfetto: non ha taglia, e vi calza meravigliosamente.
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venerdì 7 ottobre 2011
Analysis Paralysis
Qualche giorno fa, all’Università, io ed i miei colleghi del 5° anno di Medicina, abbiamo avuto una lezione molto interessante.
La parte più interessante di detta lezione è stata quella indicata come “Chi è Chi nel Cervello?”, che si occupava di spiegarci quali siano le malfunzioni cui va incontro la rete neurale nel momento in cui una persona sviluppa un disturbo ossessivo-compulsivo… e, come tutte voi già saprete, anche l’anoressia e la bulimia rientrano nella famiglia dei DOC. Ora, cercare di riassumere il contenuto della lezione, soprattutto considerato che molte di voi non hanno conoscenze di Medicina, sarebbe assurdo e vi farebbe immediatamente smettere di leggere questo post. Tuttavia, voglio provare ad illustrarvi in modo semplice la parte interattiva della lezione, che ritengo sia stata tra l’altro la più interessante. (Chiedo scusa ad eventuali medici e studenti di Medicina che leggono questo blog per l’estrema semplificazione ed approssimazione di ciò che segue… vorrei però che fosse comprensibile a tutti). Fondamentalmente, i 2 professori che tenevano la lezione ci hanno divisi in gruppi, e ad ognuno di questi gruppi è stato assegnato il ruolo di un gruppo neuronale: dal nucleo accumbens (il centro del piacere) alla corteccia prefrontale (CPF, il centro “esecutivo”, ovvero la parte del cervello deputata a prendere decisioni).
Il compito che ci hanno assegnato era quello di provare a decidere dove incontrarci per andare a pranzare. Ogni gruppo doveva comportarsi come la parte del cervello che gli era stata assegnata (io appartenevo al gruppo dei gangli basali, che sono coinvolti nel movimento/esercizio fisico, precisione, e anche le malfunzioni che vengono fuori durante un DOC… un ruolo che mi calzava a pennello, insomma…) nel decidere dove incontrarci per andare a pranzare. In quanto ganglio basale, dunque, io dovevo conoscere alla perfezione quando e dove incontrarci – come se avessi avuto un GPS che mi dava le coordinate – le persone presenti, e quanto si sarebbe dovuto spendere. Un po’ nevrotico, se vogliamo, ma ero determinata ad acquisire tutte queste informazioni con un buon margine di anticipo.
I membri degli altri gruppi hanno aggiunto i loro feedback, il gruppo dell’insula ha riferito tutti i nostri messaggi al gruppo della corteccia prefrontale, che ha preso la decisione finale: ci saremo incontrati tutti quanti davanti al Bar del Cubo alle 12.50 per prendere un panino e qualcosa da bere. Ta-dah! Decisione presa.
Adesso dovevamo ripetere il tutto fingendo di essere un cervello malfunzionante a causa della presenza di un DOC. “Casualmente” ho proposto di utilizzare come DOC di riferimento l’anoressia, e quindi abbiamo iniziato a fingere di essere i gruppi neuronali del cervello di una ragazza anoressica. In quanto ganglio basale, non sono riuscita a trovare il bar “perfetto” o la compagnia “perfetta”, né ad essere sicura che gli altri membri del mio gruppo sarebbero stati d’accordo. La corteccia prefrontale, anch’essa malfunzionante, non ha fatto altro che non prendere alcuna decisione, e quindi lasciare che tra le altre parti del cervello (gli altri gruppi) regnasse l’anarchia. L’insula ha semplicemente smesso di trasmettere i vari messaggi, cosicché le altre parti del cervello non potevano comunicare tra loro senza la sua mediazione.
La nostra decisione?
Saltare il pranzo. In tutta la stanza, i vari gruppi hanno elaborato lo stesso verdetto: nessun pranzo. Se il cervello non funziona bene a causa della presenza di un DOC e le varie parti del cervello non sono in grado di comunicare adeguatamente tra loro, prendere una decisione diventa estremamente complicato, perciò semplicemente le reti neuronali vanno in stand-by, e di default il cervello “sceglie” di non mangiare.
Il mio gruppo ha deciso che, durante la pausa pranzo, saremmo andati a provarci con l’infermiera (l’avevamo presa sullo scherzoso in quel momento – e l’abbiamo trovato estremamente divertente, anche se non molto professionale, in effetti). Un altro gruppo ha deciso di impiegare la pausa pranzo andando in palestra. La maggior parte degli altri gruppi ha deciso di tornare a casa e di evitare il contatto con altre persone rimanendo chiusi nella propria stanza a leggere o a guardare la TV, o comunque isolandosi dal resto del mondo.
Vi suona familiare?
I nostri 2 professori che tenevano la lezione hanno definito questa situazione – un infinito vociare delle varie parti del cervello mentre la corteccia frontale se ne lavava le mani e l’insula scrollava le spalle – come “analysis paralysis”. Questa definizione la potete trovare anche su Wikipedia:
"Over-analyzing (or over-thinking) a situation, so that a decision or action is never taken, in effect paralyzing the outcome. A decision can be treated as over-complicated, with too many detailed options, so that a choice is never made, rather than try something and change if a major problem arises. A person might be seeking the optimal or "perfect" solution upfront, and fear making any decision which could lead to erroneous results, when on the way to a better solution."
[Analizzare eccessivamente (o pensare eccessivamente, arrovellarsi eccessivamente) una situazione, perciò, alla fine, nessuna decisione o azione viene compiuta, paralizzando ogni possibile risultato. Una decisione che viene percepita come estremamente complicata da prendere, con troppi dettagli o troppe opzioni, non viene in effetti semplicemente mai presa, anziché fare un tentativo e cambiarla qualora dovesse sorgere un problema maggiore. La persona può anche essere in grado di trovare la soluzione “perfetta” da raggiungere, ed essere perciò assalito dalla paura di prendere una decisione che possa portare a risultati erronei, cercando di raggiungere una soluzione migliore.](traduzione mia)
Decidere dove andare a pranzare sembra una decisione abbastanza facile da prendere. Non è certo come decidere dove traslocare, se cambiare lavoro, o quale investimento fare sui titoli azionari. È semplicemente un pranzo. Tuttavia, la procedura neurale che porta a prendere anche questa decisione, che pure avviene in maniera estremamente rapida, è comunque molto complessa. Se le varie parti del cervello non sono in grado di comunicare correttamente tra loro – se l’insula non lavora adeguatamente e non permette questa comunicazione – il cervello si blocca anche sulle decisioni più semplici, diventa incapace di prenderle, un po’ come quando su un CD c’è una pista rovinata e la canzone si “incanta” e non va più avanti.
È ad oggi noto che l’insula è malfunzionante in chi è anoressica. La restrizione alimentare, tra le altre cose, riduce anche il flusso ematico al cervello, il che a sua volta comporta la riduzione della funzionalità di numerose altre aree cerebrali. Ovvio che, pertanto, anche la più semplice decisione paralizza il cervello che dà la sua risposta di default: NO. Ho già magiato. Non ho fame. Ho da fare. No, grazie. Meglio di no. No. No. No.
È il nostro modo per evitare di andare incontro ad una analysis paralysis. “Il nostro cervello”, ha detto uno dei professori, “è un po’ come una lezione frontale qui all’Università. Un sacco di domande, necessita di andare avanti e indietro con le spiegazioni, e se non ci fosse un insegnante competente che tiene le redini del tutto, non arriveremmo alla fine di una singola lezione”. Ecco, lo stesso vale per l’anoressia: se l’insula non lavora bene, tutto il cervello ne risente, e si va inevitabilmente incontro ad una situazione di analysis paralysis.
La soluzione che in una situazione di questo tipo può essere fornita dall’esterno – dai genitori, dagli amici, dai medici, dai dietisti, dagli psicoterapeuti – è che queste persone si comportino come l’insula e la corteccia prefrontale di chi, avendo un DCA, non riesce a far funzionare correttamente I propri. Per esempio, per chi ha un DCA, anche se decide d’intraprendere un percorso di ricovero, è estremamente difficile decidere quando e cosa mangiare, per questo è importante l’aiuto di un dietista/nutrizionista che dia un “equilibrio alimentare” che “scelga” al posto nostro come gestire l’alimentazione. Poi, gradualmente, recuperando il peso perso, il cervello riesce a riacquisire una funzionalità tale da riconquistare un’autonomia decisionale, ed essere capaci di prendere facilmente decisioni da sole è uno dei segnali più importanti che ci dice che stiamo davvero percorrendo la strada del ricovero.
La parte più interessante di detta lezione è stata quella indicata come “Chi è Chi nel Cervello?”, che si occupava di spiegarci quali siano le malfunzioni cui va incontro la rete neurale nel momento in cui una persona sviluppa un disturbo ossessivo-compulsivo… e, come tutte voi già saprete, anche l’anoressia e la bulimia rientrano nella famiglia dei DOC. Ora, cercare di riassumere il contenuto della lezione, soprattutto considerato che molte di voi non hanno conoscenze di Medicina, sarebbe assurdo e vi farebbe immediatamente smettere di leggere questo post. Tuttavia, voglio provare ad illustrarvi in modo semplice la parte interattiva della lezione, che ritengo sia stata tra l’altro la più interessante. (Chiedo scusa ad eventuali medici e studenti di Medicina che leggono questo blog per l’estrema semplificazione ed approssimazione di ciò che segue… vorrei però che fosse comprensibile a tutti). Fondamentalmente, i 2 professori che tenevano la lezione ci hanno divisi in gruppi, e ad ognuno di questi gruppi è stato assegnato il ruolo di un gruppo neuronale: dal nucleo accumbens (il centro del piacere) alla corteccia prefrontale (CPF, il centro “esecutivo”, ovvero la parte del cervello deputata a prendere decisioni).
Il compito che ci hanno assegnato era quello di provare a decidere dove incontrarci per andare a pranzare. Ogni gruppo doveva comportarsi come la parte del cervello che gli era stata assegnata (io appartenevo al gruppo dei gangli basali, che sono coinvolti nel movimento/esercizio fisico, precisione, e anche le malfunzioni che vengono fuori durante un DOC… un ruolo che mi calzava a pennello, insomma…) nel decidere dove incontrarci per andare a pranzare. In quanto ganglio basale, dunque, io dovevo conoscere alla perfezione quando e dove incontrarci – come se avessi avuto un GPS che mi dava le coordinate – le persone presenti, e quanto si sarebbe dovuto spendere. Un po’ nevrotico, se vogliamo, ma ero determinata ad acquisire tutte queste informazioni con un buon margine di anticipo.
I membri degli altri gruppi hanno aggiunto i loro feedback, il gruppo dell’insula ha riferito tutti i nostri messaggi al gruppo della corteccia prefrontale, che ha preso la decisione finale: ci saremo incontrati tutti quanti davanti al Bar del Cubo alle 12.50 per prendere un panino e qualcosa da bere. Ta-dah! Decisione presa.
Adesso dovevamo ripetere il tutto fingendo di essere un cervello malfunzionante a causa della presenza di un DOC. “Casualmente” ho proposto di utilizzare come DOC di riferimento l’anoressia, e quindi abbiamo iniziato a fingere di essere i gruppi neuronali del cervello di una ragazza anoressica. In quanto ganglio basale, non sono riuscita a trovare il bar “perfetto” o la compagnia “perfetta”, né ad essere sicura che gli altri membri del mio gruppo sarebbero stati d’accordo. La corteccia prefrontale, anch’essa malfunzionante, non ha fatto altro che non prendere alcuna decisione, e quindi lasciare che tra le altre parti del cervello (gli altri gruppi) regnasse l’anarchia. L’insula ha semplicemente smesso di trasmettere i vari messaggi, cosicché le altre parti del cervello non potevano comunicare tra loro senza la sua mediazione.
La nostra decisione?
Saltare il pranzo. In tutta la stanza, i vari gruppi hanno elaborato lo stesso verdetto: nessun pranzo. Se il cervello non funziona bene a causa della presenza di un DOC e le varie parti del cervello non sono in grado di comunicare adeguatamente tra loro, prendere una decisione diventa estremamente complicato, perciò semplicemente le reti neuronali vanno in stand-by, e di default il cervello “sceglie” di non mangiare.
Il mio gruppo ha deciso che, durante la pausa pranzo, saremmo andati a provarci con l’infermiera (l’avevamo presa sullo scherzoso in quel momento – e l’abbiamo trovato estremamente divertente, anche se non molto professionale, in effetti). Un altro gruppo ha deciso di impiegare la pausa pranzo andando in palestra. La maggior parte degli altri gruppi ha deciso di tornare a casa e di evitare il contatto con altre persone rimanendo chiusi nella propria stanza a leggere o a guardare la TV, o comunque isolandosi dal resto del mondo.
Vi suona familiare?
I nostri 2 professori che tenevano la lezione hanno definito questa situazione – un infinito vociare delle varie parti del cervello mentre la corteccia frontale se ne lavava le mani e l’insula scrollava le spalle – come “analysis paralysis”. Questa definizione la potete trovare anche su Wikipedia:
"Over-analyzing (or over-thinking) a situation, so that a decision or action is never taken, in effect paralyzing the outcome. A decision can be treated as over-complicated, with too many detailed options, so that a choice is never made, rather than try something and change if a major problem arises. A person might be seeking the optimal or "perfect" solution upfront, and fear making any decision which could lead to erroneous results, when on the way to a better solution."
[Analizzare eccessivamente (o pensare eccessivamente, arrovellarsi eccessivamente) una situazione, perciò, alla fine, nessuna decisione o azione viene compiuta, paralizzando ogni possibile risultato. Una decisione che viene percepita come estremamente complicata da prendere, con troppi dettagli o troppe opzioni, non viene in effetti semplicemente mai presa, anziché fare un tentativo e cambiarla qualora dovesse sorgere un problema maggiore. La persona può anche essere in grado di trovare la soluzione “perfetta” da raggiungere, ed essere perciò assalito dalla paura di prendere una decisione che possa portare a risultati erronei, cercando di raggiungere una soluzione migliore.](traduzione mia)
Decidere dove andare a pranzare sembra una decisione abbastanza facile da prendere. Non è certo come decidere dove traslocare, se cambiare lavoro, o quale investimento fare sui titoli azionari. È semplicemente un pranzo. Tuttavia, la procedura neurale che porta a prendere anche questa decisione, che pure avviene in maniera estremamente rapida, è comunque molto complessa. Se le varie parti del cervello non sono in grado di comunicare correttamente tra loro – se l’insula non lavora adeguatamente e non permette questa comunicazione – il cervello si blocca anche sulle decisioni più semplici, diventa incapace di prenderle, un po’ come quando su un CD c’è una pista rovinata e la canzone si “incanta” e non va più avanti.
È ad oggi noto che l’insula è malfunzionante in chi è anoressica. La restrizione alimentare, tra le altre cose, riduce anche il flusso ematico al cervello, il che a sua volta comporta la riduzione della funzionalità di numerose altre aree cerebrali. Ovvio che, pertanto, anche la più semplice decisione paralizza il cervello che dà la sua risposta di default: NO. Ho già magiato. Non ho fame. Ho da fare. No, grazie. Meglio di no. No. No. No.
È il nostro modo per evitare di andare incontro ad una analysis paralysis. “Il nostro cervello”, ha detto uno dei professori, “è un po’ come una lezione frontale qui all’Università. Un sacco di domande, necessita di andare avanti e indietro con le spiegazioni, e se non ci fosse un insegnante competente che tiene le redini del tutto, non arriveremmo alla fine di una singola lezione”. Ecco, lo stesso vale per l’anoressia: se l’insula non lavora bene, tutto il cervello ne risente, e si va inevitabilmente incontro ad una situazione di analysis paralysis.
La soluzione che in una situazione di questo tipo può essere fornita dall’esterno – dai genitori, dagli amici, dai medici, dai dietisti, dagli psicoterapeuti – è che queste persone si comportino come l’insula e la corteccia prefrontale di chi, avendo un DCA, non riesce a far funzionare correttamente I propri. Per esempio, per chi ha un DCA, anche se decide d’intraprendere un percorso di ricovero, è estremamente difficile decidere quando e cosa mangiare, per questo è importante l’aiuto di un dietista/nutrizionista che dia un “equilibrio alimentare” che “scelga” al posto nostro come gestire l’alimentazione. Poi, gradualmente, recuperando il peso perso, il cervello riesce a riacquisire una funzionalità tale da riconquistare un’autonomia decisionale, ed essere capaci di prendere facilmente decisioni da sole è uno dei segnali più importanti che ci dice che stiamo davvero percorrendo la strada del ricovero.
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venerdì 30 settembre 2011
Trovare la radice
Non è mai facile capire da che cosa sia determinata e causata l’anoressia.
Trattandosi di un sintomo multifattoriale, in effetti, le cause determinanti sono molteplici, e per la maggior parte sommerse. Occorre un lungo e duro lavoro d’introspezione su noi stesse per risalire all’origine di un DCA, e questo può essere estremamente difficile e logorante, poiché ci pone di fronte ad aspetti del nostro passato e della nostra personalità che non vogliamo vedere ed accettare, e che sviluppare l’anoressia ci ha per l’appunto permesso di coprire.
Eppure, penso che sia un “percorso a ritroso” parimenti necessario per andare avanti nella strada del ricovero. Proprio così, ragazze: tornare indietro per poter andare avanti. Perché tornare indietro ci permetterà di prendere la rincorsa. Del resto, è noto che per capire le ragioni del male bisogna ritornare all’origine.
Come riuscire dunque a capire quali sono state le cause e gli eventi scatenanti l’anoressia? Ovviamente non esiste un libretto delle istruzioni, anche perché ogni persona (ed ogni anoressia) è una storia a sé, tuttavia voglio provare ad offrivi delle semplici strategie, nella speranza che queste possano servirvi come spunto di riflessione per rielaborare il passato e cercare d’individuare quello che può stare alla base dell’anoressia.
1) Parlatene. Parlate con qualcuno del vostro DCA. Che sia uno psicoterapeuta, un dietista, un’amica, i vostri genitori… chiunque. Se è una persona di cui sapete di potervi fidare, va bene chiunque. Non tenete i vostri pensieri chiusi dentro di voi, ma esternateli. Raccontate la vostra storia e la vostra interiorità. Questo vi darà modo di rielaborare la vostra esperienza e di vedere più a fondo, magari anche grazie agli input che la persona con cui state conversando sarà in grado di restituirvi.
2) Scrivetene. Va bene un diario, un quaderno, un documento Word su un computer. Ogni qualvolta vi viene in mente qualche pensiero relativo al vostro DCA, mettetelo nero su bianco. Questo vi aiuterà a fare introspezione e ad essere sincere con voi stesse riguardo al vostro vissuto e ai vostri sentimenti. Poi, qualche giorno più tardi, rileggete quello che avete scritto e provate a ragionarci su.
3) Ricordate. Cercate di aprire le porte che in passato vi siete chiuse alle spalle per il timore di quello che vi stava dietro. Aprite quelle porte e cercate di ricordare senza farvi travolgere dal ricordo. Ispezionate, scandagliate il vostro passato alla luce della vostra attuale esperienza e consapevolezza. Vedrete che sarete capaci di trovare utili tracce.
4) Lasciate andare la paura. La paura è controproducente, induce a piangersi addosso, chiude in se stesse e non permette di arrivare da nessuna parte. Ricordatevi che non avete niente da temere, perché nel momento in cui avete deciso di combattere l’anoressia, siete già sulla strada della vittoria.
5) Non fissatevi. Non andate a ricercare qualcosa in particolare, e non aspettatevi di trovare tracce in maniera rapida e semplice. L’introspezione è tutto un lavoro di gomito. Bisogna sudare, ma bisogna anche capire quando è il momento di tirare il freno e pensare ad altro. Questo non annulla il lavoro che avete in precedenza compiuto: una volta recuperate le energie, potrete riprendere a lavorare su ciò che avevate lasciato in stand-by.
6) Trovare la radice dell’anoressia è importante, ma non dimenticate che è molto più importante concentrarvi sulla vostra battaglia quotidiana. Quello che potete fare per voi stesse e che vi proietterà nel futuro, è quello che fate oggi.
7) Non sottovalutatevi. Non sottostimate le vostre capacità. Non pensate di non essere in grado di vederci chiaro o di ragionare. Potete arrivare al cuore di tutto, se solo riuscite a tirare fuori abbastanza determinazione per continuare a scavare e abbastanza coraggio per affrontare il vostro passato.
8) Siate consapevoli che quello che troverete nel vostro percorso d’introspezione alla ricerca delle radici dell’anoressia, molto spesso non vi piacerà affatto. Ma affrontare quello che è stato è l’unica cosa che vi permetterà e vi aiuterà ad andare avanti nella strada del ricovero.
Trattandosi di un sintomo multifattoriale, in effetti, le cause determinanti sono molteplici, e per la maggior parte sommerse. Occorre un lungo e duro lavoro d’introspezione su noi stesse per risalire all’origine di un DCA, e questo può essere estremamente difficile e logorante, poiché ci pone di fronte ad aspetti del nostro passato e della nostra personalità che non vogliamo vedere ed accettare, e che sviluppare l’anoressia ci ha per l’appunto permesso di coprire.
Eppure, penso che sia un “percorso a ritroso” parimenti necessario per andare avanti nella strada del ricovero. Proprio così, ragazze: tornare indietro per poter andare avanti. Perché tornare indietro ci permetterà di prendere la rincorsa. Del resto, è noto che per capire le ragioni del male bisogna ritornare all’origine.
Come riuscire dunque a capire quali sono state le cause e gli eventi scatenanti l’anoressia? Ovviamente non esiste un libretto delle istruzioni, anche perché ogni persona (ed ogni anoressia) è una storia a sé, tuttavia voglio provare ad offrivi delle semplici strategie, nella speranza che queste possano servirvi come spunto di riflessione per rielaborare il passato e cercare d’individuare quello che può stare alla base dell’anoressia.
1) Parlatene. Parlate con qualcuno del vostro DCA. Che sia uno psicoterapeuta, un dietista, un’amica, i vostri genitori… chiunque. Se è una persona di cui sapete di potervi fidare, va bene chiunque. Non tenete i vostri pensieri chiusi dentro di voi, ma esternateli. Raccontate la vostra storia e la vostra interiorità. Questo vi darà modo di rielaborare la vostra esperienza e di vedere più a fondo, magari anche grazie agli input che la persona con cui state conversando sarà in grado di restituirvi.
2) Scrivetene. Va bene un diario, un quaderno, un documento Word su un computer. Ogni qualvolta vi viene in mente qualche pensiero relativo al vostro DCA, mettetelo nero su bianco. Questo vi aiuterà a fare introspezione e ad essere sincere con voi stesse riguardo al vostro vissuto e ai vostri sentimenti. Poi, qualche giorno più tardi, rileggete quello che avete scritto e provate a ragionarci su.
3) Ricordate. Cercate di aprire le porte che in passato vi siete chiuse alle spalle per il timore di quello che vi stava dietro. Aprite quelle porte e cercate di ricordare senza farvi travolgere dal ricordo. Ispezionate, scandagliate il vostro passato alla luce della vostra attuale esperienza e consapevolezza. Vedrete che sarete capaci di trovare utili tracce.
4) Lasciate andare la paura. La paura è controproducente, induce a piangersi addosso, chiude in se stesse e non permette di arrivare da nessuna parte. Ricordatevi che non avete niente da temere, perché nel momento in cui avete deciso di combattere l’anoressia, siete già sulla strada della vittoria.
5) Non fissatevi. Non andate a ricercare qualcosa in particolare, e non aspettatevi di trovare tracce in maniera rapida e semplice. L’introspezione è tutto un lavoro di gomito. Bisogna sudare, ma bisogna anche capire quando è il momento di tirare il freno e pensare ad altro. Questo non annulla il lavoro che avete in precedenza compiuto: una volta recuperate le energie, potrete riprendere a lavorare su ciò che avevate lasciato in stand-by.
6) Trovare la radice dell’anoressia è importante, ma non dimenticate che è molto più importante concentrarvi sulla vostra battaglia quotidiana. Quello che potete fare per voi stesse e che vi proietterà nel futuro, è quello che fate oggi.
7) Non sottovalutatevi. Non sottostimate le vostre capacità. Non pensate di non essere in grado di vederci chiaro o di ragionare. Potete arrivare al cuore di tutto, se solo riuscite a tirare fuori abbastanza determinazione per continuare a scavare e abbastanza coraggio per affrontare il vostro passato.
8) Siate consapevoli che quello che troverete nel vostro percorso d’introspezione alla ricerca delle radici dell’anoressia, molto spesso non vi piacerà affatto. Ma affrontare quello che è stato è l’unica cosa che vi permetterà e vi aiuterà ad andare avanti nella strada del ricovero.
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venerdì 23 settembre 2011
Anoressia - What is left of the body
Quello che voglio proporvi oggi è uno dei primi video che ho realizzato, come si potrà facilmente notare dalla scarsa qualità tecnica. Eppure, nonostante sia un po’ datato, penso che molte di voi potranno comunque rispecchiarcisi.
Quando l’ho realizzato ero ancora abbastanza dentro all’anoressia, ma già avevo mosso i miei primi passi in avanti sulla strada della luce, come la frase di speranza che il video alla fine lascia.
Tutte possiamo fare dei passi avanti, nessuna esclusa. Basta solo volerlo veramente.
Testo della canzone che fa da “soundtrack” al video + traduzione…
I'm so tired of being here, suppressed by all my childish fears
And if you have to leave, I wish that you would just leave
Your presence still lingers here and it won't leave me alone
RIT1: [These wounds won't seem to heal, this pain is just too real
There's just too much that time cannot erase]
RIT2: [When you cried, I'd wipe away all of your tears
When you'd scream, I'd fight away all of your fears
And I held your hand through all of these years
But you still have all of me]
You used to captivate me by your resonating light
Now, I'm bound by the life you left behind
Your face it haunts my once pleasant dreams
Your voice it chased away all the sanity in me
RIT1: [These wounds…]
RIT2: [When you cried…]
I've tried so hard to tell myself that you're gone
But though you're still with me, I've been alone all along
RIT2: [When you cried…]
(Sono così stanca di stare qui / Oppressa da tutte le mie paure infantili / E se proprio devi andartene / Vorrei che tu te ne andassi e basta / Perchè la tua presenza ancora indugia qui / E non vuole lasciarmi sola / RIT1: [Queste ferite sembrano non voler guarire / Questo dolore è troppo così reale / C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare.] / RIT2: [Quando piangevi, ho asciugato tutte le tue lacrime / Quando urlavi, ho combattuto tutte le tue paure / E ti ho tenuta per mano durante tutti questi anni / Ma tu hai ancora tutto di me.] / Mi hai attratta con la tua luce che sembrava così ragionevole, convincente / Adesso sono legata alla vita che hai lasciato indietro, distrutta / La tua immagine ossessiona / I miei sogni, una volta piacevoli / La tua voce ha cacciato via / Tutto quel che c’era di sano in me. / RIT1: [Queste ferite…] / RIT2: [Quando piangevi…] / Ho provato così tanto a dirmi che te ne sei andata / Ma sebbene tu sia ancora con me / Io sono stata sola fin dall’inizio. / RIT2: [Quando piangevi…])
Quando l’ho realizzato ero ancora abbastanza dentro all’anoressia, ma già avevo mosso i miei primi passi in avanti sulla strada della luce, come la frase di speranza che il video alla fine lascia.
Tutte possiamo fare dei passi avanti, nessuna esclusa. Basta solo volerlo veramente.
Testo della canzone che fa da “soundtrack” al video + traduzione…
I'm so tired of being here, suppressed by all my childish fears
And if you have to leave, I wish that you would just leave
Your presence still lingers here and it won't leave me alone
RIT1: [These wounds won't seem to heal, this pain is just too real
There's just too much that time cannot erase]
RIT2: [When you cried, I'd wipe away all of your tears
When you'd scream, I'd fight away all of your fears
And I held your hand through all of these years
But you still have all of me]
You used to captivate me by your resonating light
Now, I'm bound by the life you left behind
Your face it haunts my once pleasant dreams
Your voice it chased away all the sanity in me
RIT1: [These wounds…]
RIT2: [When you cried…]
I've tried so hard to tell myself that you're gone
But though you're still with me, I've been alone all along
RIT2: [When you cried…]
(Sono così stanca di stare qui / Oppressa da tutte le mie paure infantili / E se proprio devi andartene / Vorrei che tu te ne andassi e basta / Perchè la tua presenza ancora indugia qui / E non vuole lasciarmi sola / RIT1: [Queste ferite sembrano non voler guarire / Questo dolore è troppo così reale / C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare.] / RIT2: [Quando piangevi, ho asciugato tutte le tue lacrime / Quando urlavi, ho combattuto tutte le tue paure / E ti ho tenuta per mano durante tutti questi anni / Ma tu hai ancora tutto di me.] / Mi hai attratta con la tua luce che sembrava così ragionevole, convincente / Adesso sono legata alla vita che hai lasciato indietro, distrutta / La tua immagine ossessiona / I miei sogni, una volta piacevoli / La tua voce ha cacciato via / Tutto quel che c’era di sano in me. / RIT1: [Queste ferite…] / RIT2: [Quando piangevi…] / Ho provato così tanto a dirmi che te ne sei andata / Ma sebbene tu sia ancora con me / Io sono stata sola fin dall’inizio. / RIT2: [Quando piangevi…])
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venerdì 16 settembre 2011
Continuare a combattere
Una cosa che dovremo fare ogni giorno della nostra vita è continuare a combattere contro l’anoressia, continuare a percorrere la strada del ricovero.
Perché farlo? Per tantissime ragioni, ragioni che possono essere differenti per ognuna di noi, ma che dimostrano comunque che questa è una battaglia che vale la pena di combattere.
Dunque, per rinforzare la nostra motivazione giornaliera, oggi voglio proporvi 9 ragioni per continuare a combattere.
9 – L’anoressia ci fa perdere energia, vitalità, voglia di fare, e cambia la nostra personalità. Scegliendo la strada del ricovero, possiamo ricominciare a brillare.
8 – Mi sono accorta che nel momento in cui mi do attivamente da fare contro l’anoressia mi sento meglio con me stessa e riesco a fare tante piccole cose in grado di cambiare positivamente la mia vita.
7 – L’industria dei prodotti dietetici cerca di convincere le donne che se lavorano abbastanza duro, se seguono determinate diete, potranno indossare qualsiasi taglia ed assumere qualsiasi corporatura. In realtà, questo è totalmente falso. La corporatura che avete al vostro set-point di peso è la corporatura che il vostro corpo necessita di avere per essere in salute. Combattere per mantenere il vostro corpo ad una forma innaturale è stancante e pericoloso.
6 – Il cibo è un qualcosa con cui dobbiamo avere ogni giorno necessariamente a che fare. Avere una relazione erronea con il cibo porta ad ansia e isolamento, impedendoci di vivere situazioni che potrebbero essere altrimenti molto divertenti.
5 – L’anoressia finisce ben presto per riempire ogni ambito della nostra vita. Tutto quello che facciamo è subordinato all’anoressia. Le ossessioni aumentano a dismisura. Quello che pensavamo di controllare finisce per controllarci. Ma io penso che la vita, la vita quella vera, intendo, sia ben altro oltre questo.
4 – TUTTE VOI avete il potenziale di rendere la vostra vita esattamente quello che volete che sia. Vivere implica crescere, cambiare, fare nuove esperienze, mettersi alla prova, assumersi la responsabilità delle proprie scelte e dei propri errori, lottare contro quello che ci fa stare male. Percorrere la strada del ricovero può essere ben più che una lotta, può sembrare un inferno, ma quando sarete sopravvissute a quelle fiamme vi riscoprirete più temperate.
3 – L’anoressia danneggia mentalmente, e fisicamente il corpo, molto spesso in maniera irreversibile.
2 – Quando non mangiamo abbastanza e solo una ristretta gamma di cibi, non si fornisce al corpo il giusto apporto di nutrienti. Di questo ne risente anche il cervello, a causa della mancata capacità di sintesi di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina. Il che comporta un mantenimento del DCA e può portare a sviluppare anche altri problemi collaterali.
1 – Ma soprattutto: l’anoressia ruba il nostro tempo. Ci frega facendoci credere di essere un vantaggio, di essere tutto ciò che possiamo desiderare dalla vita, tutto ciò che ci fa sentire bene. Ruba anni ed anni della nostra vita chiudendoci in un circolo vizioso che alla fine risulta essere completamente futile. Ragazze, il nostro tempo è limitato, e la nostra vita è troppo preziosa per sciuparla così.
Scegliete la strada del ricovero. Scegliete di lottare contro l’anoressia. Fatelo ogni giorno. Ne vale la pena. Riprendetevi il vostro tempo. Riprendetevi la vostra vita. Quella vera.
Perché farlo? Per tantissime ragioni, ragioni che possono essere differenti per ognuna di noi, ma che dimostrano comunque che questa è una battaglia che vale la pena di combattere.
Dunque, per rinforzare la nostra motivazione giornaliera, oggi voglio proporvi 9 ragioni per continuare a combattere.
9 – L’anoressia ci fa perdere energia, vitalità, voglia di fare, e cambia la nostra personalità. Scegliendo la strada del ricovero, possiamo ricominciare a brillare.
8 – Mi sono accorta che nel momento in cui mi do attivamente da fare contro l’anoressia mi sento meglio con me stessa e riesco a fare tante piccole cose in grado di cambiare positivamente la mia vita.
7 – L’industria dei prodotti dietetici cerca di convincere le donne che se lavorano abbastanza duro, se seguono determinate diete, potranno indossare qualsiasi taglia ed assumere qualsiasi corporatura. In realtà, questo è totalmente falso. La corporatura che avete al vostro set-point di peso è la corporatura che il vostro corpo necessita di avere per essere in salute. Combattere per mantenere il vostro corpo ad una forma innaturale è stancante e pericoloso.
6 – Il cibo è un qualcosa con cui dobbiamo avere ogni giorno necessariamente a che fare. Avere una relazione erronea con il cibo porta ad ansia e isolamento, impedendoci di vivere situazioni che potrebbero essere altrimenti molto divertenti.
5 – L’anoressia finisce ben presto per riempire ogni ambito della nostra vita. Tutto quello che facciamo è subordinato all’anoressia. Le ossessioni aumentano a dismisura. Quello che pensavamo di controllare finisce per controllarci. Ma io penso che la vita, la vita quella vera, intendo, sia ben altro oltre questo.
4 – TUTTE VOI avete il potenziale di rendere la vostra vita esattamente quello che volete che sia. Vivere implica crescere, cambiare, fare nuove esperienze, mettersi alla prova, assumersi la responsabilità delle proprie scelte e dei propri errori, lottare contro quello che ci fa stare male. Percorrere la strada del ricovero può essere ben più che una lotta, può sembrare un inferno, ma quando sarete sopravvissute a quelle fiamme vi riscoprirete più temperate.
3 – L’anoressia danneggia mentalmente, e fisicamente il corpo, molto spesso in maniera irreversibile.
2 – Quando non mangiamo abbastanza e solo una ristretta gamma di cibi, non si fornisce al corpo il giusto apporto di nutrienti. Di questo ne risente anche il cervello, a causa della mancata capacità di sintesi di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina. Il che comporta un mantenimento del DCA e può portare a sviluppare anche altri problemi collaterali.
1 – Ma soprattutto: l’anoressia ruba il nostro tempo. Ci frega facendoci credere di essere un vantaggio, di essere tutto ciò che possiamo desiderare dalla vita, tutto ciò che ci fa sentire bene. Ruba anni ed anni della nostra vita chiudendoci in un circolo vizioso che alla fine risulta essere completamente futile. Ragazze, il nostro tempo è limitato, e la nostra vita è troppo preziosa per sciuparla così.
Scegliete la strada del ricovero. Scegliete di lottare contro l’anoressia. Fatelo ogni giorno. Ne vale la pena. Riprendetevi il vostro tempo. Riprendetevi la vostra vita. Quella vera.
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venerdì 9 settembre 2011
Questione di standard
E dunque, non ho mai ristretto l’alimentazione oggi: ho seguito con scrupolosa attenzione l’ “equilibrio alimentare”! Non sono forse stata bravissima??!
Penso che, come ricompensa, mi concederò di mangiare un po’ meno stasera a cena.
Lo so che c'è chi bisbiglia che sono un’anoressica. La dottoressa mi ha detto che potrei morire per questo, ma i miei organi non hanno ancora dato segni evidenti di cedimento, perciò penso che posso andare avanti ancora per un po’.
E comunque, non è che io restringa sempre l’alimentazione. Cerco di togliere qualcosa a colazione, ed infine qualcosa a cena. Dormo meglio se vado a letto più leggera, sapete?
Alcuni dei miei colleghi di lavoro hanno notato che sono un po’ pallida e smagrita, ma questo potrebbe dipendere da un sacco di cose, non vuol dire niente. Non sono certo l’unica pallida, in questa palestra. In fin dei conti, non faccio mica del male a nessuno, non do mica noia a nessuno. Non è come se mi mettessi ubriaca al volante e rischiassi di investire qualcuno, non faccio niente di pericoloso.
Questo pomeriggio devo andare a farmi le analisi del sangue. Non penso di averne bisogno, comunque, anche se l’ha detto il dottore. Sono anch’io una studentessa di Medicina, me ne accorgerei se fossi davvero malata. E anche se sono un po’ dimagrita, perciò, so per certo che ora come ora non sono abbastanza malata da averne bisogno. Ho solo fatto la cresta alla colazione, allo spuntino e al pranzo, non è che abbia saltato un pasto in toto, quindi non ho ristretto un granché.
So che dovrei ripensare a come mi sono comportata nei confronti del cibo nei giorni scorsi, ma è difficile. La vita è difficile quando non restringo l’alimentazione, e oggi devo andare all’università e fare tirocinio. Sì, ho decisamente bisogno di restringere un po’ a colazione. Il pranzo me lo porterò dietro da casa, così non dovrò andare a mensa, e gli altri penseranno che comunque mangio qualcosa. Qualche volta potrò avere un piccolo svenimento, ma sarà colpa del caldo, mi riprenderò subito. Se non dovessi riprendermi subito, il tirocinio comunque lo faccio in un Pronto Soccorso. Per cui non potrebbe succedermi niente di male.
Fintanto che mi limito a ridurre le dosi di quello che dovrei mangiare, ci può stare. Non è come se saltassi completamente un pasto. E quindi, non è che io sia proprio malata. Non sono una di quelle donne tutte pelle-e-ossa che si vedono sui libri di medicina sotto la voce “anoressia” e che sembrano proprio giunte ad uno stadio terminale. Non faccio chissà quale attività fisica forsennata per perdere ulteriore peso. Non vomito, e non prendo diuretici né lassativi. Perciò, io non ho veramente un problema.
Ho solo bisogno di mangiare qualcosina di meno, adesso. E non sto facendo nulla di male a nessuno. In fin dei conti, vado a letto ogni sera e mi sveglio ogni mattina. Può capitare che mi senta un po’ debole, ogni tanto, ma che sarà mai prendersi una giornata di ferie da lavoro? Tutti possono stancarsi.
Posso contare solo su me stessa. Quelli che dicevano di essere miei amici si sono tutti allontanati. Va bene, tanto non avrebbero potuto capirmi, avrebbero solo continuato a dirmi che dovevo mangiare un po’ di più. Meglio se non esco più con loro, meglio se sto da sola: così nessuno potrà più fare alcuna osservazione sulla mia alimentazione. Figuriamoci che alcuni di loro erano così preoccupati che mi hanno detto che dovrei parlare con un dottore… non capsico proprio perché. Non sono eccessivamente emaciata, non mi cadono montagne di capelli, la mia pelle non è eccessivamente disidratata, e i miei organi non danno evidenti segni di cedimento. Dunque non sono certo malata abbastanza da aver bisogno di ricorrere ad un medico!
Non svengo in continuazione. Certo, qualche giorno capita, ma solo una volta ho avuto bisogno di andare al Pronto Soccorso. In ogni caso, ho visto ragazze che stanno molto peggio di me: passano giornate in cui mangiano solo una mela e uno yogurt magro, fanno ore ed ore di cyclette, sono in amenorrea da anni, indossano vestiti con taglie da bambine, sembrano scheletri ambulanti, e hanno attacchi di bradicardia tutti i giorni. A me non capita molto spesso di avere bradicardia, il che significa che sto comunque bene. È una perdita di tempo andare dal dottore, perché non sono malata come quelle altre ragazze, me ne preoccuperò se mai dovessi raggiungere quello stadio.
O-ops, sto restringendo l’alimentazione anche stasera a cena. Meglio ridurre solo un pochino, adesso, e poi magari semmai toglierò qualche altra cosina domani. Ma va tutto bene, perché so quello che sto facendo, è tutto sotto controllo e sto bene. Non capisco perché le persone si preoccupino. Non sto mangiando esageratamente poco, va bene anche se mangio così, e comunque ho visto che se mangio così ce la faccio a tirare avanti per tutta la giornata, quindi posso farlo anche domani.
Okay…
Ovviamente stavo scherzando. Questo voleva essere un post ironico, un’estremizzazione.
Ma avete capito qual è il punto?
Immagino che la maggior parte di voi l’avessero già capito. Però, perché quando siamo alle prese con l’anoressia facciamo continuamente discorsi del genere, e ci sembrano normali? Perchè lasciamo che la malattia alteri il nostro standard di ciò che è accettabile/sano e ciò che non lo è? Perché tentiamo di giustificarla, di normalizzarla, e di provare ad essere ancora più malate?
La trappola peggiore dell’anoressia è proprio questa: che ci fa credere di andare bene, di essere normale, ci illude della sua stessa bugia di finzione.
“Non sono malata abbastanza”. Questa frase credo sia storia per ognuna di noi. Certo, ci sarà sempre qualcuna più malata di noi. E quelle persone saranno morte.
Penso che, come ricompensa, mi concederò di mangiare un po’ meno stasera a cena.
Lo so che c'è chi bisbiglia che sono un’anoressica. La dottoressa mi ha detto che potrei morire per questo, ma i miei organi non hanno ancora dato segni evidenti di cedimento, perciò penso che posso andare avanti ancora per un po’.
E comunque, non è che io restringa sempre l’alimentazione. Cerco di togliere qualcosa a colazione, ed infine qualcosa a cena. Dormo meglio se vado a letto più leggera, sapete?
Alcuni dei miei colleghi di lavoro hanno notato che sono un po’ pallida e smagrita, ma questo potrebbe dipendere da un sacco di cose, non vuol dire niente. Non sono certo l’unica pallida, in questa palestra. In fin dei conti, non faccio mica del male a nessuno, non do mica noia a nessuno. Non è come se mi mettessi ubriaca al volante e rischiassi di investire qualcuno, non faccio niente di pericoloso.
Questo pomeriggio devo andare a farmi le analisi del sangue. Non penso di averne bisogno, comunque, anche se l’ha detto il dottore. Sono anch’io una studentessa di Medicina, me ne accorgerei se fossi davvero malata. E anche se sono un po’ dimagrita, perciò, so per certo che ora come ora non sono abbastanza malata da averne bisogno. Ho solo fatto la cresta alla colazione, allo spuntino e al pranzo, non è che abbia saltato un pasto in toto, quindi non ho ristretto un granché.
So che dovrei ripensare a come mi sono comportata nei confronti del cibo nei giorni scorsi, ma è difficile. La vita è difficile quando non restringo l’alimentazione, e oggi devo andare all’università e fare tirocinio. Sì, ho decisamente bisogno di restringere un po’ a colazione. Il pranzo me lo porterò dietro da casa, così non dovrò andare a mensa, e gli altri penseranno che comunque mangio qualcosa. Qualche volta potrò avere un piccolo svenimento, ma sarà colpa del caldo, mi riprenderò subito. Se non dovessi riprendermi subito, il tirocinio comunque lo faccio in un Pronto Soccorso. Per cui non potrebbe succedermi niente di male.
Fintanto che mi limito a ridurre le dosi di quello che dovrei mangiare, ci può stare. Non è come se saltassi completamente un pasto. E quindi, non è che io sia proprio malata. Non sono una di quelle donne tutte pelle-e-ossa che si vedono sui libri di medicina sotto la voce “anoressia” e che sembrano proprio giunte ad uno stadio terminale. Non faccio chissà quale attività fisica forsennata per perdere ulteriore peso. Non vomito, e non prendo diuretici né lassativi. Perciò, io non ho veramente un problema.
Ho solo bisogno di mangiare qualcosina di meno, adesso. E non sto facendo nulla di male a nessuno. In fin dei conti, vado a letto ogni sera e mi sveglio ogni mattina. Può capitare che mi senta un po’ debole, ogni tanto, ma che sarà mai prendersi una giornata di ferie da lavoro? Tutti possono stancarsi.
Posso contare solo su me stessa. Quelli che dicevano di essere miei amici si sono tutti allontanati. Va bene, tanto non avrebbero potuto capirmi, avrebbero solo continuato a dirmi che dovevo mangiare un po’ di più. Meglio se non esco più con loro, meglio se sto da sola: così nessuno potrà più fare alcuna osservazione sulla mia alimentazione. Figuriamoci che alcuni di loro erano così preoccupati che mi hanno detto che dovrei parlare con un dottore… non capsico proprio perché. Non sono eccessivamente emaciata, non mi cadono montagne di capelli, la mia pelle non è eccessivamente disidratata, e i miei organi non danno evidenti segni di cedimento. Dunque non sono certo malata abbastanza da aver bisogno di ricorrere ad un medico!
Non svengo in continuazione. Certo, qualche giorno capita, ma solo una volta ho avuto bisogno di andare al Pronto Soccorso. In ogni caso, ho visto ragazze che stanno molto peggio di me: passano giornate in cui mangiano solo una mela e uno yogurt magro, fanno ore ed ore di cyclette, sono in amenorrea da anni, indossano vestiti con taglie da bambine, sembrano scheletri ambulanti, e hanno attacchi di bradicardia tutti i giorni. A me non capita molto spesso di avere bradicardia, il che significa che sto comunque bene. È una perdita di tempo andare dal dottore, perché non sono malata come quelle altre ragazze, me ne preoccuperò se mai dovessi raggiungere quello stadio.
O-ops, sto restringendo l’alimentazione anche stasera a cena. Meglio ridurre solo un pochino, adesso, e poi magari semmai toglierò qualche altra cosina domani. Ma va tutto bene, perché so quello che sto facendo, è tutto sotto controllo e sto bene. Non capisco perché le persone si preoccupino. Non sto mangiando esageratamente poco, va bene anche se mangio così, e comunque ho visto che se mangio così ce la faccio a tirare avanti per tutta la giornata, quindi posso farlo anche domani.
Okay…
Ovviamente stavo scherzando. Questo voleva essere un post ironico, un’estremizzazione.
Ma avete capito qual è il punto?
Immagino che la maggior parte di voi l’avessero già capito. Però, perché quando siamo alle prese con l’anoressia facciamo continuamente discorsi del genere, e ci sembrano normali? Perchè lasciamo che la malattia alteri il nostro standard di ciò che è accettabile/sano e ciò che non lo è? Perché tentiamo di giustificarla, di normalizzarla, e di provare ad essere ancora più malate?
La trappola peggiore dell’anoressia è proprio questa: che ci fa credere di andare bene, di essere normale, ci illude della sua stessa bugia di finzione.
“Non sono malata abbastanza”. Questa frase credo sia storia per ognuna di noi. Certo, ci sarà sempre qualcuna più malata di noi. E quelle persone saranno morte.
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