Come gli alchimisti trasformavano il ferro in oro… voi potete trasformare l’oscurità in luce. Siete tutte benvenute.

venerdì 28 settembre 2012

(Evitare di) Confrontarsi con le altre

Scrivo questo post in risposta ad alcune di voi lettrici, che più volte mi hanno chiesto tramite e-mail come poter fare per cercare di non confrontarsi con le altre quando si è nel pieno con un DCA, e come riuscire a non stare male di fronte al confronto.

 So che questo è un qualcosa con cui molte di voi hanno quotidianamente a che fare, ed in effetti è molto difficile non confrontarci con le persone che ci stanno accanto, perché se viene meno il confronto non si ha la misura delle nostre capacità.

Perciò, voglio cogliere quest’opportunità per dire a ciascuna di voi: TU SEI UNICA. Tu sei meravigliosa. Tu sei bellissima. Tu hai un sacco di talenti, anche se ancora non te ne rendi conto, non li vedi in te stessa, e non sai quali possano essere. Tu hai un sacco di qualità positive, sei una bella persona, e ci sono un bel po’ di persone pronte a volerti bene se solo gli permetti di avvicinarsi a te.

Questi sono dati di fatto, queste sono verità, e non c’è alcuna ragione per cui queste affermazioni non possano rispondere a ciascuna di voi, proprio nessuna ragione.

So che leggere queste cose scritte da una ragazza che non conoscete nemmeno potrebbe farle suonare false, ma sono pronta a scommettere che accanto a voi c’è almeno una persona che vi conosce bene e sarebbe pronta a confermare tutto ciò che ho appena scritto. In ogni caso, quello che voglio dirvi è vero per ognuna di voi: ciascuna di noi ha un proprio enorme potenziale, ed è proprio l’espressione dello stesso che rende uniche e meravigliose come individui singoli.

Comunque, imparare ad accettare noi stesse per quello che siamo credo sia il primo passo per smettere di confrontarsi con le altre. Accettarsi per quello che siamo non significa in automatico smettere di fare raffronti con chi ci sta vicino, ma permette, nel momento in cui il confronto viene realizzato di razionalizzare pensieri quali: “Okay, io non sono come quella persona. Ma non sono come quella persona non perché sono più magra/grassa/alta/bassa/simpatica/antipatica, ma perchè ognuno ha i suoi pregi e i suoi difetti che ci rendono persone differenti e uniche”.

Poco a poco, vi renderete conto che confrontarvi con le altre non vi è d’aiuto, non vi fa stare serene, non è un modo piacevole per vivere la vostra vita. Inoltre, anche se voi non ci pensate, la persona con cui vi state confrontando si sta a sua volta molto probabilmente confrontando con voi, da un punto di vista fisico, intellettuale, emozionale, per il lavoro che fate, per la macchina che guidate, e così via.

Penso che sia naturale, da un certo punto vista confrontarsi con gli altri, e vedere in loro quello che noi non abbiamo, ed invidiare quello che vorremmo avere e che ci sembra gli altri abbiano: è una spinta che può servire per migliorarsi. Ma se nel vostro confronto focalizzate soltanto l’aspetto “ma quanto sono peggiore rispetto a lei”, questo non vi sarà d’aiuto in alcun modo. E non credo che nessuna di voi voglia vivere il resto della propria vita paragonandosi a qualcun altro e interrogandosi continuamente sul perché non possa essere come l’altro, poiché questo è un arrovellarsi che non porta a niente, in quanto è impossibile essere uguali a qualcun altro, siamo nate per essere differenti… e menomale. Sai che noia vivere in un mondo di cloni!

Quindi, detto tutto questo, credo sia arrivato il momento di provare a dare qualche suggerimento su come poter fare per evitare il confronto continuo con le altre.

Come premessa, occorre che tutte voi vi focalizziate sul fatto che, al mondo, ci sono millemila persone che per certi aspetti sono migliori di voi, e millemila persone che per i medesimi aspetti sono peggiori di voi. Però – guarda caso! – il confronto viene fatto sempre con quelle persone che voi ritenete migliori di voi. Non vi confrontate con quelle che ritenete peggiori, come se non esistessero, non le calcolate neanche.

Questo è un errore di focalizzazione. Per cui, per prima cosa, la prossima volta che vi trovate di fronte ad una persona che reputate migliore di voi sotto un certo aspetto – per fare un esempio tipico inerente i DCA, una persona che reputate essere più magra di voi – cercatene a breve raggio un'altra che, per quello stesso aspetto, consideriate indietro rispetto a voi. Vi accorgerete così che il mondo non è 100% - 0%, ma fifty-fifty. Certo, la vostra attenzione sarà sempre catturata, in prima battuta, da ciò che vi sembra migliore di voi, ma cercare anche quello che è peggiore aiuta a comprendere il fatto che non si sta così in basso come si crede. Aiuta a concretizzare il fatto che anche voi potete essere “migliori”, non solo le altre. Che non c’è solo del negativo in voi, ma anche del positivo.

Altra cosa che può essere utile, mettete per iscritto una lista dei vostri pregi e dei vostri difetti, fisici e caratteriali. Immagino che inizialmente vi verranno in mente molti più difetti che pregi, ma non importa. Scervellatevi e scrivete tutto ciò che vi balza in testa. Poi, rileggete quello che avete scritto. Certo, il primo impulso sarà quello di vedere il negativo, i difetti, che vi sembreranno molto più reali e convincenti dei pregi. Non importa. L’importante è che abbiate messo nero su bianco il fatto che avete anche dei pregi, non siete solo un coacervo di difetti. Dopodiché, data la lista dei vostri pregi, dovete pensare a come poter fare per valorizzarli e, viceversa, come poter smussare quelli che sono i difetti. Rifocalizzare la mente su quello che c’è di positivo quando questa vede solo il negativo, credo sia la strategia migliore per evitare i confronti e non rimanerne comunque troppo demoralizzate.

Inoltre, chiedete a chi vi sta intorno quali sono le vostre doti, le cose belle di voi. Il fatto che voi possiate adesso non vedere del positivo in voi, non significa che le persone che vi stanno intorno siano altrettanto cieche. E quando queste persone vi diranno quali sono i vostri punti di forza, scriveteveli e rileggeteveli più volte al giorno. Tenete positiva la vostra mentalità nei confronti di voi stesse. Già solo questo riduce la tendenza ai confronti. Potrà sembrarvi un po’ assurdo… ma non è forse altrettanto assurdo confrontarsi con chiunque ci passi accanto, e rovinarsi il resto della giornata rimuginando su quanto quelle persone fossero migliori di noi??!

Inoltre, tenete sempre conto del fatto che quando vi confrontate con una persona vi confrontate con quello che è il suo aspetto più esteriore. E’ un raffronto meramente basato sulle apparenze. Non sapete in realtà che tipo di persona sia veramente, se sia dunque davvero una persona da ammirare o meno. Pensate anche a questo. La copertina di un libro non dice niente su quanto possa essere o meno bello il suo contenuto, la storia che vi è racchiusa. Inoltre, pensate anche al fatto che chiunque nella vita ha i suoi problemi e le sue difficoltà, e la persona che invidiate, la persona che tanto ardentemente vorreste essere, non ha necessariamente una vita “perfetta”.

Ovvio, questa è solo la mia opinione. Però credo davvero che più vi comportate come scritto sopra, più aprirete la strada al cambiamento.

 Certo, anche a me talvolta capita, soprattutto in ambito universitario e lavorativo, di confrontarmi con chi mi sta intorno, ma quando questo mi succede, cerco di portarmi a pensare: “Okay, mi sto confrontando con questa persona e sto pensando che non sono in gamba come lei, non sono intelligente come lei, non sono vestita con stile come lei, non ho un buon carattere come lei, non ho quello che ha lei… ma anch’io ho delle doti, delle cose positive che molto probabilmente questa persona non ha, e devo essere contenta di quello che ho”.

La mente può anche istintivamente formulare il pensiero del confronto rispetto alla persona che avete di fronte. Ma è quello che decidete di fare del pensiero formulato che fa la differenza. Guardare agli aspetti negativi viene sicuramente più facile, viene più facile vedersi peggiori degli altri piuttosto che cercare di focalizzarci sui nostri aspetti positivi. In fin dei conti, per le persone che soffrono di OCD (Obsessive Cleaning Disorder) e che sono terrorizzate dalla presenza di batteri, è facilissimo guardare una qualsiasi superficie e poi partire in quarta a pulirla, perché è più facile supporre che quella superficie sia infetta piuttosto che razionalizzare il fatto che questo è un pensiero indotto dalla malattia, e utilizzare questo dato di fatto per combattere i pensieri irrazionali. E lo stesso vale per l’anoressia e per la bulimia: è più facile accettare i messaggi negativi relativi al proprio corpo e alla propria persona piuttosto che cercare gli aspetti positivi.

Perciò, se nel momento in cui vi accorgete che vi state confrontando con qualcuno che vi pare migliore di voi sotto tanti aspetti, pensate a quali sono le vostre doti, i vostri punti di forza, e cercate di valorizzarli, potrete impedire al confronto di rovinarvi la giornata.

venerdì 21 settembre 2012

Evoluzione / Metamorfosi


Ed ecco che questo blog, da un paio di settimane, è entrato nel suo quinto anno di vita.

Tutto il percorso, in realtà, cominciò all’inizio di Febbraio del 2007. All’inizio di Febbraio del 2007, una ragazza aprì un canale su YouTube. Non scrisse niente nel suo profilo, ci caricò soltanto alcuni video che avevano a tema l’anoressia, sospendendo però ogni giudizio di valore al riguardo. Questo era ben prima della nascita di questo blog, quando la ragazza era VeggieAny e non ancora Veggie. VeggieAny era anoressica restrittiva sottotipo 1 da quando aveva 14 - 15 anni, e nonostante fosse reduce da 4 ricoveri in un centro specializzato per DCA, non aveva ancora trovato una reale motivazione al cambiamento. Era ancora dentro all’anoressia.

In quello stesso anno ebbe una ricaduta che determinò un’ulteriore ricovero in quello stesso centro. Cominciava ad averne abbastanza dell’anoressia, sebbene si fosse appiccicata da sola addosso un’etichetta che non riusciva più a staccarsi. Tuttavia, una parte di lei continuava a pensare di aver bisogno dell’anoressia per andare avanti, e quindi non aveva ancora la vera spinta ad intraprendere un reale percorso di ricovero.

Poi successe qualcosa. Il 17 Maggio 2008 andò a vedere il concerto live delle t.A.T.u., le sue cantanti preferite. Quella sera VeggieAny intuì che anche in fondo al suo tunnel personale poteva esserci una luce. E stava solo a lei decidere se provare a raggiungerla.

Parlando – telefonicamente e via e-mail – con le altre ragazze che aveva conosciuto durante i suoi 5 ricoveri, si rese conto che molte oscillavano intorno ad un punto di svolta – cominciavano a contemplare effettivamente la possibilità di combattere attivamente contro l’anoressia, per la prima o per la milionesima volta. Non erano più le ragazze egosintonicamente legate al sintomo che si erano conosciute anni prima in una clinica per DCA.

Queste ragazze non erano più immerse nelle tenebre dell’anoressia. Erano… pronte a combattere contro l’anoressia.

Così VeggieAny pensò che avrebbe dovuto esistere un sito, un forum, un blog che potesse unire persone attivamente decise a combattere contro l’anoressia (e gli altri DCA). Avrebbe proprio dovuto esistere.

[Non che questo fosse sostitutivo del canale YouTube che, come molte di voi sapranno, esiste ancora, ma è molto evoluto e molto più ricco di video mirati rispetto all’inizio. Poi si sono aggiunti l’account su Twitter e quello su DeviantArt – ma questo è successo solo dopo.]

VeggieAny – che non aveva neanche un computer personale e solo ogni tanto aveva caricato o commentato video su YouTube – sapeva che avrebbe dovuto esserci on-line un posto dove lei e le altre ragazze che aveva conosciuto durante i suoi ricoveri, ragazze provenienti da tutt’Italia, potessero almeno virtualmente incontrarsi, e parlarsi, aiutarsi a combattere. Ma sapeva anche che doveva stare attenta, perché dopo tanti anni passati in balia dell’anoressia, queste ragazze avrebbero anche potuto finire per tirarsi giù di nuovo a vicenda.

Il 9 Settembre 2008, VeggieAny diventò semplicemente Veggie ed aprì “Anoressia: after dark”, un blog. Non era ancora sicura di quello che stava facendo, ma pensava comunque che la sua esperienza e la possibilità di condividere certe cose con lettrici che avevano vissuto e stavano vivendo lo stesso problema potesse essere utile al fine di garantire supporto reciproco.

Veggie desiderava davvero che tutte le ragazze che aveva conosciuto nella clinica in cui era stata ricoverata potessero tornare in salute ed essere serene. Pensava: ci sono un sacco di persone estremamente intelligenti e meravigliose che si dibattono in un DCA. Se venisse loro permesso di darsi una mano in vista del raggiungimento di un obiettivo comune come la lotta contro l’anoressia, si verrebbe a creare un ottimo team di cervelli. Veggie sapeva bene, per esperienza personale, come fosse difficile pensare da sola, quando il cervello è esaurito da una severa restrizione alimentare. Tutto viene ad essere distorto. Non è vivere – è sopravvivere.

Dopo aver aperto questo blog, negli anni, Veggie è venuta a contatto con un sacco di persone. E le ha viste cadere e rialzarsi, rifiorire, fare delle loro vite delle cose meravigliose, cose che quando erano nel pieno del DCA non avrebbero mai neanche pensato di poter fare. Hanno cominciato a credere in se stesse. E anche Veggie ha fatto dei passi avanti, perché ha finalmente interiorizzato la necessità, l’importanza di combattere contro l’anoressia. Combattere contro l’anoressia è diventato il suo “lavoro”!

Veggie riteneva fosse molto importante creare un circuito di blog che si sostenessero nella lotta contro l’anoressia – un circuito di sostegno reciproco senza lasciarsi attirare di nuovo dalla malattia e dalla sua distruttività. E, notando come, nello stesso tempo, si stessero propagando i blog cosiddetti “pro-ana/mia”, pensava fosse importante pure impostare la situazione allo stesso modo, ma dalla sponda opposta. Era il momento di finirla di cercare di risolvere i problemi altrui allo scopo di non vedere i propri problemi. Era il momento di uscire dalla distruttiva “comfort zone” proposta dall’anoressia. Perché, altrimenti, si finisce per rimanere imprigionate nel limbo dell’anoressia per sempre.

Il gruppo è un qualcosa di potente, inutile negarlo. Si vuole sempre essere parte di un gruppo, cercare di fare ciò che fanno gli altri membri del gruppo. Se tutte le tue amiche sono fissate col cibo, col corpo, con la dieta, con le thinspo, e tu stai attraversando un momento di vulnerabilità, verrai trascinata giù, toccherai il fondo. Ma se stai toccando il fondo e sei circondata da persone che stanno attivamente cercando di percorrere la strada del ricovero, di lottare contro l’anoressia, queste ti aiuteranno a rialzarti e ad essere forte.

Anziché scambiare trucchi fasulli su come perdere peso o su come vomitare meglio o su come non mangiare, questo blog è il posto per scambiarci consigli su come combattere, su come essere forti, sane, non mollare, incoraggiarci a vicenda nella lotta contro l’anoressia.

È arrivato il momento di percorrere la strada del ricovero, e di restituire il morso all’anoressia.

Dopo 5 anni, come prima, come sempre.

E’ arrivato il momento di preferire l’etica all’estetica. È arrivato il momento di combattere, qui, tutte insieme!

venerdì 14 settembre 2012

Precisazioni

Alcuni giorni fa ho ricevuto una e-mail. Ho provato a rispondere alla mittente, ma il server non ha voluto saperne di recapitare la mia missiva avvertendomi che l’indirizzo e-mail a cui cercavo di mandare il mio messaggio è inesistente. Come faccia un indirizzo da cui ho ricevuto una mail ad essere inesistente è un qualcosa che le mie scarse conoscenze in materia d’informatica non mi permettono di comprendere; tuttavia, dato che il blog è l’unica sede in cui ho pubblicato il mio indirizzo di posta elettronica, suppongo che la mittente della mail in questione sia una mia, quantomeno occasionale, lettrice. Perciò, dato che non riesco a risponderle direttamente, non posso fare altro che utilizzare il blog per comunicare con lei, sperando che abbia modo di passare da qui a leggere.

La mail cui mi riferisco è la seguente:

Oggetto: Ciao sono Mel :) e vorrei diventare pro ana 
Testo: Ciao! Ho visto il tuo sito. La penso come te: essere pro ana è la cosa migliore al mondo! Vorrei incominciare anch'io ma non so come fare... mi daresti dei consigli :)? grazie mille ^:^

Ora, prima di pubblicare la risposta che ho cercato inutilmente di inviarle via e-mail, vorrei fare una piccola precisazione… e-ehm, non so se qualcuna di voi, così, casualmente, se ne fosse accorta ma… QUESTO NON E’ UN BLOG PRO-ANA.
Cioè, no, perché allora c’è qualcosa che io non capisco. Quindi, voi che mi leggete da più o meno tempo, rispondete a questa mia domanda: da quale/quali post di questo blog si deduce che io sia pro-ana e che reputi l’esserlo la cosa migliore al mondo?
No, ditemelo perché se esce fuori una cosa del genere mi sa che ho un problema. Tipo una doppia personalità che mi ha rubato la password.

In ogni caso, per chi come l’autrice della sovrariportata mail non l’avesse ancora capito, preciso che io non sono pro-ana. (Ma dai?!) Per sapere come la penso riguardo al fenomeno pro-ana/mia, se non l’avete già fatto v’invito a leggere la serie di post che ho raccolto sulla colonnina di destra di questo blog e che vanno sotto il nome di “Anatomia Pro-Ana”. Per sapere qual è l’obiettivo di questo blog, leggete il primo post in assoluto. Per sapere a grandi linee qual è stato il mio percorso in merito all’anoressia, leggere i post-chiave “About Me” che ho pure linkato sulla colonnina di destra. Per avere un’ulteriore delucidazione, fare caso al fatto che, tra le etichette di ogni mio post, ce n’è sempre presente una che recita “NO pro-ana”. Se dopo aver letto tutto questo nutrite ancora dei dubbi sul fatto che io possa essere pro-ana, il problema ce l’avete voi.

Precisato questo, la mia risposta per Mel:

Oggetto: Ciao sono Veggie :) e mi farei friggere i coglioni prima di diventare pro ana 
Testo: Ciao Mel, scusa, ma credo che tu abbia commesso un errore nell’inviare la tua mail… Il mio sito è:
http://anoressiabulimiaafterdark.blogspot.com 
ed è un sito di lotta contro l’anoressia
Non ti consiglio certo di diventare pro-ana, se tu al termine “pro-ana” associ la malattia “anoressia”, visto che so per esperienza personale che l’anoressia è una cosa che ti devasta la vita… Perché mai pensi che “la cosa migliore al mondo” sia auto-distruggerti? Non ti consiglio di cominciare a fare un bel niente: so che adesso sei arrabbiata e che le mie parole probabilmente ti irriteranno di più, ma ti ricordo che la tua rabbia puoi sfogarla su te stessa o all'esterno, trasformandola in un'emozione più sana e creativa. Sono certa che sei una ragazza sensibile e intelligente, e stai perdendo tempo prezioso per ricercare una perfezione ed un benessere inesistenti, tempo che potresti usare invece per fare qualcosa di piacevole e positivo per te stessa. Piuttosto, se il tuo desiderio è quello di diventare pro-ana, ti consiglio di andare a parlare con una psicoterapeuta, che possa darti una mano per risolvere i tuoi problemi relativamente alla tua fisicità, ma anche e soprattutto quelli che possono essere i tuoi problemi e le tue difficoltà più profonde…
Ti abbraccio…
Veggie

Evidentemente solo chi non ha vissuto l’anoressia in prima persona e non ha la più pallida idea di cosa significhi, può permettersi di inneggiare ad Ana. E questo è quanto ho da dire sulle pro-ana.

Dato che ci sono, approfitto di questo post per fare qualche altra precisazione. Precisazioni che forse per la maggior parte di voi saranno scontate e palesi, ma considerato il contenuto di alcune delle e-mail che mi capita occasionalmente di ricevere, evidentemente non per il 100% delle persone che mi leggono certe cose sono così ovvie. Per cui, mi sembra corretto specificare.

Ringrazio innanzitutto infinitamente tutte coloro che mi scrivono e-mail col desiderio di confrontarsi e di consigliarsi relativamente alla lotta contro i DCA. Mi fa veramente molto piacere poter leggere le vostre missive, ed avere l’occasione di dialogare con chiunque abbia voglia di scrivermi. Perciò, ringrazio di cuore chi mi ha scritto e chi mi scriverà: ogni vostra singola e-mail è preziosa per me.

Tuttavia, ci tengo a precisare che: non sono una dietista né una psicologa. Di conseguenza, anche se me lo chiedete, non sono in grado di suggerirvi schemi alimentari da seguire, non vi so dire quale programma alimentare seguire per perdere/prendere peso, non sono in grado di dirvi cosa e quanto mangiare… io stessa sono seguita da una dietista, e se avete dubbi strettamente legati alla vostra alimentazione e al vostro peso, vi posso solo consigliare di rivolgervi anche voi ad una professionista. Io non lo sono, perciò sappiate che è inutile chiedermi consigli di questo tipo: non posso darvi suggerimenti prettamente dietetici perché non sono professionalmente preparata al riguardo. Posso darvi, che so, dei suggerimenti per far meno fatica a finire l’ “equilibrio alimentare”, o per far fronte al recupero del peso, ma più di questo non posso.

Allo stesso modo, non sono una psicologa. Sono felice di poter condividere con voi strategie di auto-aiuto che col tempo ho maturato durante la mia battaglia, quelle strategie che spesso riporto anche qui sul blog, perché penso che nel loro piccolo possano dare una mano… ma non vogliono in alcun modo sostituire l’aiuto che vi può dare una psicoterapia fatta con una persona competente. Diciamo che sono delle appendici a quello che si può fare con una psicoterapia. Ergo, questo mio blog NON è in alcun modo sostitutivo del lavoro individuale che ciascuna può fare tramite la psicoterapia (e dell’aiuto che può dare una dietista/nutrizionista). E ritengo che un’adeguata psicoterapia sia di basilare importanza per imparare a combattere come si deve contro l’anoressia. Questo blog serve semplicemente come auto-aiuto e come punto di condivisione per capire che nessuna di noi è sola e che è possibile darci una mano a vicenda, ma l’aiuto concreto poi ve lo danno gli specialisti che vi seguono nella vita di tutti i giorni.

Inoltre, voglio precisare che sono più che disposta a discutere con tutte voi che mi scrivete privatamente di tutto ciò che riguarda l'anoressia, anche parlando della mia esperienza personale. Ma non fatemi domande personali relative ai numeri (quanto peso, quanto sono alta, qual è il mio B.M.I., qual è stato il mio peso più basso, etc...) perchè questo è l'unico genere di domanda relativo al mio DCA cui NON rispondo. Ritengo deleterio parlare di numeri all'interno di una malattia in cui i numeri rappresentano per molte una delle fisse, nonché comunque trigger. Non scrivo mai di numeri qui sul blog per lo stesso motivo, e non intendo farlo neanche privatamente, onde evitare paragoni e confronti tipici di chi ha un DCA, nonché non permettere che chiunque non sia ancora del tutto convinta di voler combattere contro l'anoressia, leggendo determinati dati numerici, possa avere il tipico pensiero disturbato: "Se lei è arrivata a TOT allora io posso scendere di più", reiterando così ancora di più il loop distruttivo.

Infine, ultima precisazione, I’m not Superman.
Ebbene mi piacerebbe, ma no, non lo sono. Non sono una persona guarita dall’anoressia che scrive qui per svelarvi il magico segreto della guarigione dal vostro disturbo alimentare; non sono in grado di “far guarire dall’anoressia” nessuno. Posso supportarvi, posso condividere con voi quelle strategie che mi sono state utili per fare passi avanti, posso cercare di darvi dei consigli, ed è certamente quello che faccio e che ho intenzione di continuare a fare, ma non ho la capacità di “salvare” nessuna. Per il semplice fatto che la “salvezza” da un DCA è un qualcosa d’individuale, che ciascuna può conquistare soltanto lavorando su se stessa, con tanta introspezione e olio di gomito.
Perciò, se anche via e-mail mi scrivete chiedendomi come si fa a guarire, io questo non lo so, sia perché la strada e diversa per ciascuna di noi, sia perchè io per prima non sono propriamente “guarita”. Sono sicuramente fuori dalla fase peggiore dell’anoressia, ma so di non potermi considerare “guarita”. Del resto, come ho già scritto altrove, trovo la parola “guarigione” inappropriata per malattie come i DCA, indicando con il termine “guarigione” (in senso strettamente medico) la completa remissione di tutti i segni e i sintomi, sia fisici che psicologici, inerenti una determinata malattia. La mia personale opinione è che non si possa guarire da un DCA nel senso proprio del termine: per quanto il peso corretto possa essere recuperato, rimarrà sempre in noi qualcosa di questa malattia, una vocina nella testa, un approccio non proprio spontaneo al cibo, una tentazione.

Tuttavia, credo fermamente nel fatto che sia assolutamente possibile avere una remissione dell’anoressia. Avere una remissione significa che la voce dell’anoressia è sempre presente da qualche parte dentro di noi, e parla… ma che noi decidiamo scientemente, giorno dopo giorno, di non assecondarla, seguendo uno stile alimentare e uno stile di vita regolari. Essere consce della presenza interiore dell’anoressia, ma avere un corpo sano ed utilizzare strategie di coping differenti dalla restrizione alimentare: ecco cos’è la remissione… ed è un traguardo cui credo fermamente possiamo arrivare tutte quante, nessuna eccezione. Un traguardo per cui dobbiamo continuare a lottare.

Quindi, in conclusione: non sono fuori dall’anoressia, ma ho fatto dei passi avanti. Non sono qui per essere presuntuosamente presa a modello di “persona guarita dall’anoressia”, ma sono qui semplicemente per dirvi che all’anoressia c’è un’alternativa. Un’alternativa decisamente migliore. Che si può combattere, perché è quello che sto facendo. Che questo combattere porta oltre, perché è dove sto andando.

Non idealizzatemi come talvolta mi sembra facciate nelle bellissime e-mail piene di complimenti per il mio percorso che mi scrivete... mi fa piacere, per carità, non lo nego (e a chi non fa piacere ricevere dei complimenti??!), ma non è un’immagine di me rispondente alla realtà.

Io non sono Superman, sono una ragazza comunissima: questo è ciò che voglio comunicarvi. Perché il pensiero che spero vi si accenda quando leggete il mio blog è: “Ah, okay, allora se lei che è una come tante ha fatto questi passi avanti, questi progressi, non c’è alcuna ragione per cui non li possa fare anch’io”. Ed è la verità.

Tutto il mio amore,

Veggie

venerdì 7 settembre 2012

Cose da fare e da non fare

Sempre più spesso, di recente, ricevo e-mail da parte di genitori le cui figlie hanno un DCA, che mi chiedono consigli su come gestire la situazione. Questo post, perciò, è pensato per tutti i genitori (ma anche i parenti, gli amici, e così via) che hanno quotidianamente a che fare con una figlia che ha un DCA. Qualche dritta su cosa potrebbe essere più opportuno fare/non fare.

Cose da fare: 

1. Dite a vostra figlia che le volete bene per quella che è. Ditele che siete preoccupati per lei, che ci tenete a lei, e che siete disposti a fare qualsiasi cosa per darle una mano, se solo ve lo chiede. Perché è la verità.

2. Validate i sentimenti e le percezioni di vostra figlia, anche se non siete d’accordo con lei. Per quanto si possa trattare di pensieri indotti dalla malattia, questi pensieri sono la realtà attuale di vostra figlia, e la fanno soffrire. Incoraggiatela (e dico “incoraggiatela”, non “pressatela”!!) a parlarne con lo psicoterapeuta che la sta seguendo (o, se non è ancora seguita, incoraggiatela ad andare a parlare con uno psicoterapeuta), stimolandola ad essere sincera con lui riguardo ai suoi pensieri e sentimenti.

3. Fatevi un esame di coscienza relativamente alle vostre attitudini e alle vostre credenze in merito al cibo, all’alimentazione, all’immagine corporea, all’apparenza esteriore, e valutate quali messaggi potreste trasmettere, anche non volendo, a vostra figlia.

4. Incoraggiate vostra figlia nella sua scelta di cambiare la situazione – non soltanto per quel che riguarda strettamente l’aspetto alimentare, ma anche e soprattutto per quanto riguarda le scelte della vita. Spesso una persona che ha un DCA tende a fare delle scelte solo per far piacere agli altri o comunque solo per rispondere alle aspettative altrui. Incoraggiatela invece a indagare su quelle che sono le sue capacità e i suoi punti di forza, e a prendere decisioni unicamente per se stessa.

5. Siate consapevoli del fatto che un DCA è una malattia grave che mette a repentaglio la vita di vostra figlia. Non è un capriccio, né un modo per richiamare l’attenzione su di sè, né una fase passeggera, né un atto di opposizione a voi. È una malattia seria che deve essere trattata in maniera opportuna.

Cose da NON fare:

1. Non vi mettete a discutere il peso di vostra figlia, quanto mangia, o come mangia. Non vi focalizzate sugli aspetti superficiali, sull’apparenza, su quello che dovrebbero mangiare o su come dovrebbero essere fisicamente. Provate a parlare di tutt’altro rispetto al cibo, al peso, alle calorie, all’attività fisica. Provare a parlare di come vostra figlia SI SENTE. Inoltre, non parlate della fisicità di altre persone (inclusi voi stessi) – questo potrebbe essere preso sul personale, anche se l’intenzione non era questa.

2. Non fate commenti (nè complimenti) su eventuale perdita/recupero del peso. “Stai proprio bene, adesso!” o “Finalmente sembri in salute!” potrebbero suonarvi come un qualcosa di positivo, ma chi ha un DCA potrebbe interpretare queste frasi vuoi come “Accidenti, allora si vede che sono ingrassata”, vuoi come (cosa ancora peggiore) “Allora non pensavi che stessi bene prima… Cavolo, è proprio vero che è l’apparenza l’unica cosa che conta!”.

3. Non chiedete a vostra figlia ogni giorno cosa ha mangiato, e quali sono stati i suoi sintomi da un punto di vista alimentare. Piuttosto, chiedetele: “Com’è andata la giornata?”, al fine di avere una risposta che v’informa su ciò che hanno fatto e come si sono sentite, senza metterle a disagio, cosa che accadrebbe invece centrando il discorso sull’alimentazione.

4. Non fatela sentire in colpa e non accusatela di tutto ciò che va storto nel vostro rapporto sottointendendo che la causa di ciò è il suo erroneo comportamento alimentare che continua a portare avanti. Siate consapevoli che le bugie che vostra figlia vi ha detto, che il modo in cui si è comportata, che le resistenze ad abbandonare l’anoressia sono conseguenza di una malattia che è molto più totalizzante di quel che potreste immaginare.

5. Non fate pressione psicologica sui risultati attesi. Mi spiego. Tendenzialmente, ogni volta che una persona affetta da un DCA fa un ricovero, o va da una dietista, o inizia una nuova psicoterapia, gravano su di lei forti aspettative: il DCA viene spesso ed erroneamente considerato alla stregua di una malattia fisica, quindi c’è l’aspettativa che, una volta che vostra figlia è tornata a casa dopo quei 3 mesi di ricovero, o una volta fatte TOT sedute di psicoterapia, in lei ci possa essere un cambiamento sostanziale. Non è così. Un ricovero, una psicoterapia… sono solo tentativi. Possono andar bene come fallire. E anche se vanno bene, possono volerci anni per muovere un piccolo passo in avanti. Quindi, non fate troppa pressione psicologica su vostra figlia e non vogliate “tutto e subito” nel vedere dei risultati di miglioramento. Anzi, più una persona si sente pressata in tale direzione, più sale l’ansia e quindi più è difficile andare effettivamente in quella direzione. Un percorso di ricovero richiede i suoi tempi, e sono tempi ben lunghi, perciò, genitori (ma anche parenti ed amici)… relax!

6. Ci sono tante cose che un genitore può fare nei confronti di una figlia che ha un DCA. Posso solo immaginare quanto sia frustrante per un genitore sentirsi impotente di fronte all’anoressia/bulimia della propria figlia. Ma è controproducente che voi cerchiate di forzarla a mangiare in maniera “normale”. Fare questo non sarà d’aiuto e non funzionerà. Il vostro compito è quello di essere un supporto emotivo per vostra figlia, non la “polizia del cibo”. Poi ci sono i professionisti (dietisti, nutrizionisti) che potranno occuparsi dell’aspetto più strettamente alimentare, e i professionisti (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti) che si occuperanno dell’aspetto mentale.

Voi dovete semplicemente starle vicino, ascoltarla e supportarla nei momenti di difficoltà… e, magari, se ne avete l’occasione, cercate su Internet per vedere se nella vostra città/zona vengono organizzati gruppi di supporto e di aiuto per genitori di ragazze che hanno un DCA.

Comunque – e qui mi rivolgo a voi, ragazze… se vi viene in mente qualche altra cosa che pensate i genitori dovrebbero fare/non fare, aggiungetela nei commenti, così rendiamo l’elenco più completo, okay??!

venerdì 31 agosto 2012

La forza della volontà

(post liberamente ispirato ad un articolo di giornale che ho recentemente letto) 

“C’è una forza motrice più potente del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la volontà. Lo diceva Albert Einstein, e a ragione: la forza di volontà è quella che ci consente di raggiungere i risultati maggiori nella vita e, nella fattispecie, è quella che ci consente di combattere l’anoressia giorno dopo giorno. Eppure a volte tenere duro, seguire l’ “equilibrio alimentare”, fare di tutto per evitare le ricadute, sembra così difficile… come dunque riuscirci?

Io credo che la forza di volontà sia come un muscolo: può essere rinforzata con l’allenamento. Ecco perché in questo post voglio provare a suggerirvi alcune strategie per potenziarla ed aiutare quindi il mantenimento della lotta contro l’anoressia.

1. Prendete un impegno preciso. Diversi studi scientifici dimostrano che quando le persone fissano un programma su ciò che intendono fare – dove, come e quando – hanno una probabilità 3 volte superiore di realizzare i loro propositi. Quindi, per fare un esempio semplice, fissare un “equilibrio alimentare” da seguire alla lettera funziona meglio che ripromettersi in modo generico di mangiare tutti i giorni un po’ di carboidrati, proteine, lipidi, fibre e vitamine. La progettazione può trasformare anche un compito difficile in una più maneggevole abitudine.

2. Iniziate dalle cose facili. Per allenare la vostra forza di volontà nel combattere contro l’anoressia, cominciate dagli impegni meno gravosi. Uno studio compiuto da Roy Baumeister (Florida State University), si basava sul chiedere a un gruppo di persone di concentrarsi sulla propria postura per 2 settimane: dovevano stare dritti e composti. In poco tempo, le loro prestazioni tendevano a migliorare. Quindi, allenare la forza di volontà può avere un impatto positivo: meglio partire con progetti semplici (come cercare di seguire l’ “equilibrio alimentare”) per poi passare a propositi molto faticosi (come lavorare duramente su noi stesse nella psicoterapia, per risolvere i veri problemi personali che stanno veramente alla base del proprio malessere che è sfociato nell’anoressia).

3. Procedete per gradi. Il primo passo è ovviamente sempre quello di stabilire un traguardo chiaro. Ma come raggiungerlo? Occorre porsi obiettivi graduali: è poco pratico puntare subito a un traguardo ambizioso, meglio dividere il percorso in varie tappe e porsi mete intermedie più facili da raggiungere. Così ci possiamo sentire da subito più capaci di guidare noi stesse. E non scoraggiatevi se non ci riuscite al primo tentativo: siamo umane…

4. Registrate i progressi. Appendete nella vostra cameretta un cartellone su cui annotare i vostri successi giornalieri, cioè tutti i piccoli passi avanti che siete riuscite a fare… Questo vi darà concretezza e fiducia in voi stesse. Se siete riuscite a fare qualcosa contro l’anoressia quel giorno, lo potrete fare ancora, perché vi siete dimostrate che siete capaci di farlo. Monitorare i progressi e i risultati positivi rinsalda la forza di volontà e dà una spinta positiva per continuare sulla medesima strada.

5. Non scoraggiatevi se le cose non vanno come vorreste. Degli inciampi possono capitare, sono assolutamente normali. Ciò non significa che si è incapaci di combattere contro l’anoressia, e men che meno sono sinonimo di fallimento. Anzi, dopo un inciampo è necessario rialzarsi quanto più rapidamente possibile e riprendere a combattere con più forza e determinazione di prima.

6. Stabilite priorità. Se si è deciso di combattere contro l’anoressia, non è il momento più adatto per cercare di smettere di fumare. Sicuramente fumare fa male ed è pericoloso per la salute, questo lo sanno anche i criceti morti di microcitoma, e sarà necessario smettere di farlo prima o poi… ma può essere opportuno rimandare se in questo momento state combattendo duramente contro l’anoressia, soprattutto se siete all’inizio del vostro percorso di ricovero. La forza di volontà è una risorsa limitata, perciò dev’essere utilizzata in maniera oculata: i grandi sforzi di volontà richiedono tanta energia, e questo rende più facile il cadere in tentazione. Per questo è importante stabilire delle priorità. E ora la nostra priorità è combattere contro l’anoressia.

7. Premiatevi. Quando vi accorgete di aver mosso un passo avanti, anche piccolo, concedetevi una ricompensa. “Se oggi evito di fare checking, mi comprerò quelle scarpe che mi piacciono tanto”. E’ bene stabilire un equilibrio tra fatica nel combattere contro l’anoressia e gratificazioni: se si associa a questa dura lotta qualcosa di piacevole, si renderà l’impegno un po’ meno duro.

8. Cambiate abitudini. Basta eseguire ripetutamente un comportamento per farlo diventare un’abitudine. Philippa Lally (London University College) ha chiesto ad un gruppo di volontari di mangiare sempre una mela a fine pasto, per cinque mesi di fila. Al termine del periodo, il comportamento era diventato automatico e non richiedeva più alcuno sforzo. Questo vale anche per la lotta contro l’anoressia: se si è abituate a fare, per esempio, un’eccessiva attività fisica, bisogna spezzare quest’abitudine e crearne una nuova: per esempio, impiegare il tempo normalmente dedicato all’attività fisica per guardarsi un film o per leggere un libro.

9. Pensate positivo. Concentrarsi su un obiettivo positivo funziona meglio che focalizzarsi su un risultato negativo da evitare. E’ preferibile mirare a vincere, piuttosto che temere di perdere. E’ più utile concentrarsi sulla volontà di andare verso un determinato scopo, cioè sulla motivazione di raggiungere i traguardi che noi stesse vogliamo e abbiamo deciso. Dobbiamo vedere anche ciò che inizialmente facciamo contro-voglia non come un’imposizione, ma come una tappa intermedia per raggiungere i nostri obiettivi.

10. Fate un elenco. Compilate un elenco con i vostri obiettivi nella lotta contro l’anoressia: pochi, chiari e non in conflitto tra loro. E poi passate all’azione, facendo separatamente una cosa dopo l’altra. Ma non datevi dei tempi in cui “dovete riuscire a fare quelle cose”, perché sennò se poi non ci riuscite ci starete male al pensiero degli intenti non realizzati. Viceversa, prendetevi tutto il tempo di cui sentite d’aver bisogno. Non si può pretendere di scalare una montagna in 5 minuti, ci vuole tutto il tempo necessario.

11. Coinvolgete gli altri. Gli altri esercitano innegabilmente un’influenza su di noi. Comunicare agli altri (ovviamente solo alle persone di cui vi fidate di più) la battaglia che state facendo contro l’anoressia, e chiedere loro aiuto quando siete in difficoltà, e sapere di poter contare sul loro supporto, può dare una grossa mano.

12. Non combattete i pensieri: agite. Inutile sforzarsi di non pensare a una cosa: quella ci tornerà comunque in mente. Daniel Wegner (Harvard University) l’ha dimostrato con un noto esperimento: chiese a dei volontari di non pensare ad un orso bianco… ma proprio per questo divieto nessuno riusciva a smettere di pensarci. Accidenti, mi direte allora voi, e dunque come faccio a scollarmi dalla testa tutti i pensieri che mi mette l’anoressia/la bulimia? Una soluzione c’è: se non possiamo controllare i pensieri, possiamo controllare le azioni. Se non riusciamo ad impedirci di pensare alla restrizione alimentare, possiamo almeno bloccare l’azione del restringere, ossia imporci di mangiare seguendo l’ “equilibrio alimentare”.

13. Mai dire mai. Non pensate di non potercela fare. Neanche se avete una ricaduta. Una mentalità negativa è la vostra peggiore avversaria. Non sarà oggi, non sarà domani o tra un mese o tra un anno, ma tutte – e dico tutte – abbiamo la possibilità di farcela assolutamente.

14. Fate ordine. Sembra una sciocchezza, lo so, ma provate a fare ordine. Ordine nella scrivania, in casa, nei cassetti… è più facile esercitare la nostra forza di volontà in ambienti ordinati. Se ci pensate, vale anche al computer: si lavora meglio e con più lena se i nostri files sono ordinati e ben catalogati. Il disordine può influenzare a livello subliminale il cervello e può svilire la forza di volontà.

15. Non pensate “Tanto ormai…”. Dopo una ricaduta, si è portate a mollare i propositi. Parlando, sia durante i miei ricoveri in clinica sia tramite e-mail, con ragazze affette da bulimia, mi è stato da queste spiegato che dopo uno strappo alle proprie regole alimentari, uno strappo anche piccolo (per esempio l’aver mangiato 5 biscotti anziché 3), è facile cadere nell’abbuffata, perché il pensiero che balza in testa è: “Tanto ormai ho sgarrato, quindi per oggi posso anche abbuffarmi”. Sbagliato. L’abbuffata fa più danno della trasgressione iniziale. Lo stesso vale per l’anoressia: più volte sono ricaduta proprio seguendo questo pattern erroneo. Restringevo l’alimentazione ad un pasto, e pensavo: “Tanto ormai ho ristretto, quindi tanto vale che per oggi faccia la cresta a tutto”. Sbagliato pure. Non è la singola restrizione occasionale il problema, è persistere nella restrizione che riporta indietro. Ergo: è meglio non pensare che basti un’infrazione per far fallire la nostra battaglia. Al contrario, ogni passo, anche piccolo, è la misura del nostro successo.

16. Giocate d’anticipo. Prendere una decisione in anticipo potenzia la forza di volontà e non fa trovare impreparati (e, quindi, maggiormente a rischio ricaduta). Per esempio, prima di andare ad una cena di lavoro (o ad una cena con i vostri compagni di classe, se siete ancora studentesse) è bene ripetersi frasi del tipo: “Io mangerò in maniera equilibrata, cercando di ricalcare quanto più possibile il mio “equilibrio alimentare”, a prescindere da quello che sarà servito o da quello che mangeranno gli altri”.

venerdì 24 agosto 2012

Dire "SI" contro le resistenze interiori

Qualche giorno fa ho ricevuto la mail di una ragazza che sul momento era piuttosto spaventata: mi ha scritto che aveva appena mangiato cinque biscotti al cioccolato che non erano compresi nel suo “equilibrio alimentare”, che sul momento le era sembrava una buona idea, ma che adesso le era salita l’ansia e si sentiva in colpa, non tanto perché avesse mangiato qualcosa in più, quanto piuttosto perché aveva rotto una “regola”, si era lasciata sfuggire il controllo della situazione.

Le ho scritto una mail di risposta piuttosto lunga e, tra le varie cose che le ho detto, c’è una frase che vorrei condividere con tutte voi: “Occorre imparare a dire “si” contro le resistenze interiori”.

Penso che questo sia stato il punto focale di tutta l’e-mail che le ho scritto.

È difficile per chiunque confrontarsi con le proprie resistenze interiori, perchè queste tendono ad essere dannatamente forti. Alla base di queste resistenze interiori, c’è l’ansia. Scegliere la strada del ricovero significa che dobbiamo confrontarci con queste resistenze sostanzialmente in ogni ambito della nostra vita. Alcune di queste resistenze hanno a che fare con il cibo, ma la maggior parte delle altre, nonchè le più importanti, no. Per superarle tutte – per superarne almeno alcune – occorre imparare a dire di “sì” contro le resistenze interiori. Occorre imparare a dire di sì al condire con l’olio. Occorre imparare a dire di sì alla consapevolezza che non si può controllare tutto. Occorre imparare a dire di sì al ridurre l’attività fisica eccessiva. Occorre imparare a dire di sì all’uscire con gli amici. Alle responsabilità che la vita ci pone di fronte. All’andare a fare shopping. Al rilassarsi. A tutto quello che crea tremendi conflitti interiori.

Cambiare o non cambiare, questo è il problema.

Avere delle resistenze interiori non è ovviamente una cosa del tutto negativa. Ci preserva dal fare cose veramente pericolose. Ma nel momento in cui decidiamo di combattere l’anoressia affrontando le nostre paure e i nostri problemi, dobbiamo accettare il fatto che ci scontreremo contro queste resistenze interiori. Ed imparare a gestirle. Ed imparare a superarle.

Una delle frasi positive più pro-ricovero che io abbia mai sentito, è di Elanor Roosevelt: “Do one thing everyday that scares you”. (“Fai ogni giorno una cosa che ti fa paura”).

Forse l’avrete sentita così tante volte che alcune di voi la considereranno una sorta di clichè. Magari lo è, ma lo è perché quel che dice è assolutamente vero: imparare a dire di “sì” contro le resistenze interiori è analogo al cercare di fare ogni giorno una cosa che temiamo.

Occorre imparare a sentire quali sono le nostre resistenze interiori. Identificarle. Comprenderle. E, infine, lasciarle andare…

venerdì 17 agosto 2012

Un paio di conti


(click sull'immagine per ingrandire)

venerdì 10 agosto 2012

Lotta tra mente e corpo

Molto del materiale che si trova scritto a proposito dell’anoressia è espresso in termini di mente VS corpo. Forse questo è parte della natura intrinseca dei DCA, forse è il nostro concetto di ciò che può essere un DCA. Se il corpo manda segnali di appetito, la testa ribatte che non è importante, e comunque si può resistere. Restringere l’alimentazione, è una guerra in campo aperto contro il corpo, e la mente è determinata a vincere.

Questo è uno dei motive per cui è difficile intraprendere la strada del ricovero: esso viene percepito come una capitolazione. Come un arrendersi. Okay, stupido corpo, hai vinto. Sventolo bandiera bianca. Non posso vincere contro il mio corpo, quindi tanto vale che cominci a rialimentarmi normalmente.

Sappiamo che il nostro corpo ha bisogno di questo per guarire. Basti pensare ai danni che l’anoressia determina a carico del cuore, del fegato, dei reni, delle ossa e così via.

Ma poi l’anoressia c’inganna, ed ecco che si comincia a preoccuparci della nostra testa: come posso stare mentalmente ed emotivamente bene se non restringo l’alimentazione? È questo il demone che deve essere esorcizzato, perché anche se si è consapevoli del danno cui il nostro corpo va incontro con la restrizione alimentare, lo stesso reiterare la restrizione alimentare riduce le preoccupazioni e le ossessioni.

Per cui, arrivate a questo punto, pare proprio che la restrizione alimentare sia buona per la nostra testa e dannosa per il nostro corpo. Il che ci riporta dritte al punto di partenza. In realtà, la restrizione alimentare, se protratta molto a lungo, è dannosa anche per la nostra testa, ma l’ansia istantanea non contempla traguardi a lungo termine. Certo, in un certo senso il pensiero è costantemente rivolto al futuro, ma quando si è nel bel mezzo dell’ansia, tutto quello che la testa pensa è a come farla cessare ADESSO. Il lungo termine può andare a farsi fottere, per il momento. Perché l’anoressia ci fa pensare che non arriveremo al lungo termine se non riusiamo a placare l’ansia attuale – o, comunque non ci arriveremo mentalmente sane.

Per questo è importante trovare qualcosa che riesca a lenire l’ansia che non sia la restrizione alimentare (o l’esercizio fisico eccessivo, o l’abbuffata, o il vomito auto-indotto). Per esempio, Mercoledì qui è stata una giornata particolarmente soleggiata. “L’ideale”, ho pensato, “per andare a fare una corsa in bicicletta”. Eccetto il fatto che, avendo l’allenamento di karate, non era il caso che io facessi ulteriore esercizio fisico. Perciò sono rimasta a casa e, per scollarmi il pensiero della bici dalla testa, ho ascoltato le mie canzoni preferite mentre disegnavo, ed ho giocato all’Xbox, e look at me working on this motherf*cking project like a good little girl. Woo woo (da dire con la voce di Ih-Oh).

Curare il nostro corpo cercando di tornare a mangiare normalmente significa curare la nostra mente. Se diciamo ad un mucchio di neuroni stremati dall’anoressia che restringere l’alimentazione è la cosa giusta da fare, saremo le prime a crederci. Ma nel momento in cui ricominciamo ad alimentarci normalmente e si ristabiliscono le corrette interconnessioni neuronali, balle del genere verranno riconosciute sempre più rapidamente in quanto tali, false e non credibili. I nostri neuroni cominceranno a bersi sempre di meno le bugie che l’anoressia ci racconta. Per questo è importante combattere non più contro noi stesse, ma PER noi stesse. Perché mente e corpo non devono essere più avversari, ma possono lavorare in perfetta sinergia per farci stare bene.

venerdì 3 agosto 2012

Fatica decisionale

Ogni giorno siamo messe di fronte a milioni di decisioni da prendere, e nella maggior parte dei casi non siamo affatto sicure di ciò che scegliamo. Scarpe da ginnastica o ballerine? Calzini bianchi o rossi? Vetro o plastica? E così via. Non tutte queste decisioni sono ovviamente vere e proprie decisioni – il nostro cervello ama prendere scorciatoie. Se è nevicato, sicuramente metteremo le scarpe da ginnastica piuttosto che le ballerine. Non c’è bisogno di compiere una vera e propria scelta. Queste scorciatoie sono indispensabili per risparmiare energie – il nostro cervello è una risorsa limitata. Può pensare solo fino ad un certo punto. Dunque, per risparmiare tempo (ed energie) ciascuna di noi ha le proprie abitudini, i propri pattern. Utilizziamo sempre la stessa strada per andare al lavoro. Apparecchiamo la tavola sempre nello stesso ordine. Scegliamo più o meno sempre gli stessi gusti di gelato. Perché le decisioni sono difficili da prendere.
Ecco perché, in definitiva, siamo creature abitudinarie. Semplicemente perché è più facile.

Alcuni scienziati hanno dato un nome al perchè si è così stanche dopo aver preso una decisione importante: fatica decisionale. Che, peraltro, è stata oggetto anche di un articolo sul New York Times che ho reperito su Internet:

"[…] La fatica decisionale ci spiega perchè ordinariamente le persone sensibili si arrabbino con familiari e colleghi, ci mettano tanto a decidere come vestirsi, comprino cibo-spazzatura al supermercato, e non riescano a resistere alle offerte speciali. Non conta quanto un soggetto possa essere razionale ed intelligente, non si possono prendere decisioni su decisioni senza pagare un prezzo in termini biologici. È diverso dalla normale fatica psichica – quando non si è coscienti dell’affaticamento stesso – c’è piuttosto un abbassamento dell’energia mentale. Più scelte si fanno durante la giornata, più diventa difficile per il cervello farne di ulteriori, per cui esso cerca di ricorrere a scorciatoie che possono essere usate in due differenti modi. La prima modalità consiste nel diventare imprudenti: comportarsi impulsivamente piuttosto che spendere energie per pensare alle conseguenze delle proprie azioni. (Ma certo, adesso posto questa foto su FaceBook! Che cosa mai potrebbe andare storto, in fin dei conti?). La seconda modalità consiste nell’estremo risparmio energetico: non decidere. Non fare niente. Anzichè agonizzare nell’indecisione, evitare di prendere la decisione. Evitare di prendere una decisione in un determinato momento, spesso genera grossi problemi a lungo termine, ma per il momento allevia la stanchezza mentale. Si comincia a resistere ad ogni possibilità di cambiamento, ed il rischio di reiterare errori commessi per la mancata presa di decisione aumenta. […]"

(La traduzione ed il grassetto sono miei) 

Questo articolo descrive bene un meccanismo di default comune a tutti: quando si è stressate, quando la nostra energia mentale declina, si shifta in ansiosi rituali d’indecisione. L’anoressia è un modo per evitare ogni scelta. Se si ha un DCA non si ha bisogno da fare una scelta: tutto è ritualizzato, noto. Quando s’inizia a restringere l’alimentazione, la discesa continua. Niente che viene dall’esterno può cambiare il pattern che abbiamo adottato.

L’anoressia inoltre, secondo me, è anche un modo per evitare la fatica decisionale. Quando si è nel pieno della restrizione alimentare, le decisioni da prendere sono estremamente limitate. Cercare di ridurre poco a poco l’apporto di cibo è l’unica opzione. Dire di “no”. Pesarsi frequentemente (o non pesarsi affatto). E fare tutto questo di nuovo, giorno dopo giorno, reiterando il circolo vizioso. Nessuna decisione da prendere – solo direttive da seguire. Si è messo il pilota automatico, e questo limita sicuramente la fatica decisionale.

Non c’è più da affrontare l’ansia nel decidere cosa e quando mangiare, perchè tanto l’unica cosa che conta è restringere. Non bisogna più decidere in che posto andare a mangiare, perché tanto si può mangiare solo a casa propria. Non bisogna più decidere con chi andare a mangiare, perché tanto si può mangiare solo da sole. Ecco che la vita diventa prescritta e circoscritta dall’anoressia. È una vita del cavolo, una vita estremamente limitata… ma, indubbiamente, è una vita semplice.

Ancor prima di essere faticose, infatti, le decisioni da prendere sono ansiogene. Certo, alcune di esse sono relativamente semplici: se anche si indossassero un paio di calze che fanno a pugni col colore delle scarpe, tutt’al più sembreremmo buffe, ma questo non ci scompone più di tanto. Il problema delle decisioni – di quelle decisioni che mettono ansia, intendo – è che rappresentano un punto di svolta. Nel momento in cui si è acquistato un’automobile e la si è pagata, è difficile tornare indietro. Nel momento in cui si è deciso di traslocare e si è preparato tutti i bagagli, è difficile decidere di restare.

L’anoressia è, in definitiva, una non-decisione. Permette di evitare tutto. Certo, sul momento risparmia dall’ansia di prendere una decisione, ma anche questo ha un suo costo non indifferente. Intraprendere la strada del ricovero significa affrontare l’ansia connessa al prendere decisioni e accettarla come parte di una vita normale. Io credo che molte di noi reiterino comportamenti anoressici proprio per evitare l’ansia (e la presa di decisioni), ma la nostra vita è molto più di questo schema che preclude ogni possibilità stessa di vivere.

Vi è mai capitato di cadere in simili trabocchetti a causa del vostro DCA? Qualcuna di voi ha elaborato strategie per combattere la fatica decisionale? Fatemi sapere nei commenti!

venerdì 27 luglio 2012

25 ragioni per cui il "ricovero" è meraviglioso

Nell’ultimo post di questo blog ho rivolto a tutte voi la medesima domanda: qual è la ragione per cui reputate positivo il percorso di ricovero dall’anoressia che state facendo? Niente goals stratosferici, solo piccoli e semplici obiettivi nella vita di tutti i giorni. 

L’obiettivo di questa domanda posta in termini così semplici e “materiali”, come certamente avrete capito, è quella di illustrare i vantaggi immediati dell’intraprendere un percorso di ricovero, non gli obiettivi a lungo termine che sembrano irraggiungibili da chi muove i suoi primi passi, ma quei traguardi che si possono raggiungere in tempo relativamente breve e che hanno ricadute positive sulla vita quotidiana.

Ringrazio perciò tutte coloro che hanno risposto tramite blog e tramite e-mail. Alcune di voi mi hanno mandato mail piuttosto lunghe, quindi ho dovuto tagliare cercando di riassumere il pensiero di ciascuna in una frase. Spero di aver centrato quello che intendevate dire.

Il risultato delle vostre risposte? Questo post.

25 RAGIONI PER CUI IL "RICOVERO" E' MERAVIGLIOSO 

1. Posso vivere con meno ansia, scoprire, fare ciò che mi passa per la testa, uscire dalla “comfort zone” del DCA (Hellie)

2. Mi permette di alleggerirmi dalle mie paure, errate convinzioni e sofferenze: via la gabbia e le catene della malattia! (M.M.) 

3. Riesco a fare un pasto decente senza masticare ogni boccone dalle 15 alle 55 volte prima di deglutire. (Signorina Anarchia) 

4. Posso concedermi di fare un errore senza pensare di essere un errore. (Ilaria) 

5. Posso uscire con gli amici, mangiare una pizza, partire senza pensare a cosa/quanto/come mangerò, andare dai parenti senza pensare a come compensare il pranzo stratosferico, partecipare alle feste come il Natale o Pasqua senza ansia a partire da una settimana prima. (Sonnen Blume) 

6. Ogni giorno che passa sembro sempre meno malata. (Comy)

7. Ho di nuovo la mia 4^ di reggiseno. Ed è sexy! (Kia) 

8. Ci sono più capelli sulla mia testa che sulla mia spazzola. (Jade)

9. Mi sento parte della mia vita: la vivo e non più la sopravvivo. Tengo i piedi a terra, ho il vento tra i capelli, e non ne ho mai abbastanza. (Sere) 

10. La mia pelle è liscia e idratata anche senza bisogno di creme. (Mirabelle-Lety) 

11. Quando mi sveglio la mattina, non è il cibo la prima cosa cui penso. (Vale) 

12. Non mi sento più in colpa se mangio più di quanto mi ero auto-imposta. (Sandy) 

13. Posso mangiare quando ho fame (ovviamente, senza esagerare…!) (Anna) 

14. Mi sono accorta che posso andare a mangiare fuori con i miei amici anche senza essere sopraffatta dall’ansia. (Milly) 

15. La mia temperatura corporea è rientrata nella norma grazie al ripristino del metabolismo: niente più mani perennemente gelide e maniche lunghe anche d’Agosto! (C.)

16. Posso trascorrere momenti meravigliosi con le persone cui voglio bene: si può andare a fare shopping, si può andare a mangiare una pizza, o qualsiasi cosa, senza che le ossessioni del DCA mi impediscano di fare tutto questo. (Wolfie) 

17. Energia! Senza bisogno di bere litri di caffè! (Shiva) 

18. Per quella che è stata la mia esperienza, mi sembra che il peso recuperato e il miglioramento delle mie prestazioni in ogni campo della mia vita siano strettamente correlati. So che qualcuno ha anche fatto uno studio su questo… pensateci. (Connie) 

19. Miglioramento della funzione ormonale --> Pubertà (2° round) -->; Frivolezza da ragazzina quattordicenne con in testa sporcaccionate da maschiaccio. E, cazzo sì, questa è veramente una buona cosa. (Jonny) 

20. La mia testa riesce a CONCENTRARSI, ad ANALIZZARE, e a CREARE di nuovo. Sentirsi meglio ed essere produttiva è quanto di più potente per rialzare l’autostima. (Stella) 

21. Dire SI al cibo consumato in maniera normale, senza più abbuffate e sensi di colpa, è come dire SI a tutte le cose belle della vita. (Elena)

22. Restringere l’alimentazione ed evitare solo certi cibi è, alla lunga, noioso e deprimente. E fa perdere un sacco di occasioni di divertimento fuori con gli amici. (Sam) 

23. Esco nuovamente di casa e posso andare in giro senza sentire gli occhi di tutti puntati su di me, posso andare al cinema, posso andare in discoteca e non sentirmi una merda mentre lo faccio. “Un altro po’ di pop corn?” “Oh, sì, perché no… se paghi tu!” (Charlie)

24. Posso indossare di nuovo una taglia normale, e i vestiti mi cadono bene e non sembra più che vada in giro portando tende da circo. (Chloe) 

25. (Perché anch’io voglio dire la mia, eh…!) Ho imparato che la vita non è solo bianco e nero, buono o cattivo, meravigliosa o terribile, e che vivere nelle aree di grigio è normale, salutare e – posso osare dirlo? – decisamente elettrizzante.

Se qualcun’altra volesse aggiungersi nel commenti… Quali sono le vostre ragioni per cui percorrere la strada del ricovero combattendo contro l'anoressia vale la pena?

venerdì 20 luglio 2012

Metadone per l'anoressia?

Stamattina, mentre ero in bagno, pensavo (e pensare è in genere, per me, un fenomeno pericoloso, soprattutto quando non ho molto da fare come, appunto, quando vado in bagno la mattina). I tossicodipendenti possono prendere il Metadone. Questo farmaco è un oppiaceo sintetico che, una volta assunto, viene metabolizzato nel fegato e trasformato in una sostanza che può essere usata dall’organismo. Detta sostanza si lega a dei recettori, con azione di tipo agonista, ed espleta i suoi effetti. Il Metadone non toglie l’assuefazione psicologica né la capacità di drogarsi, tuttavia riduce l’assuefazione fisica, rende spiacevole l’assunzione di droghe, e ridimensiona perciò la probabilità di ricorrere a sostanze stupefacenti. E dunque, pensavo che sarebbe estremamente bello avere qualcosa del genere anche per l’anoressia. Qualcosa che riducesse il bisogno fisico di restringere l’alimentazione o di fare attività fisica eccessiva, e che lo rendesse spiacevole. Qualcosa che impedisse di formulare pensieri come: “Ma se restringo l’alimentazione mi sentirò molto meglio…”.

Ovviamente, se un tossicodipendente vuole continuare a drogarsi, eviterà di assumere Metadone. Ma avrà comunque la possibilità di prenderlo nel momento in cui lo deciderà.

Sappiamo tutte che, a lunga gittata, l’anoressia non ci farà sentire molto meglio. Ma il pensiero che il cervello concepisce è che restringere l’alimentazione ci farà sentire meglio sul momento, per questo è così difficile rompere gli schemi. Perché il “lungo termine” è un qualcosa di cognitivo, il “sul momento” è un qualcosa di emotivo. Ed è molto difficile opporre la razionalità all’emotività. Questo ha un senso da un punto di vista evolutivo: quando c’è un reale pericolo, non occorre mettersi a pensare, ma si agisce d’istinto. Il problema in questo è che il cervello non riesce a capire bene quando siamo realmente in pericolo (situazioni tipo: miseriaccia-questo-leone-sta-per-sbranarmi) e quando non lo siamo. Di nuovo, un meccanismo di selezione naturale: opera su tutto ciò che ci serve per sopravvivere e riprodurci, e non entra in funzione quando tutto è tranquillo.

Il che fa sorgere la seguente domanda: forse, in un DCA, il problema non sta propriamente in quello che facciamo, ma nella nostra percezione del pericolo. Questa considerazione può suonare abbastanza terrorizzante. Cosa si fa quando ci sentiamo costantemente sull’orlo di un precipizio? Quando non si sa che cosa ci farà bene e che cosa ci farà male e quindi, per sicurezza, si decide di trattare tutto come se fosse un leone pronto a sbranarci?

Penso che sia un qualcosa su cui è importante riflettere. C’è una confusione di base, perché si percepisce la restrizione alimentare, che alla lunga può provocare severi danni fisici, come un qualcosa di non pericoloso, mentre, viceversa, si percepisce il mangiare di più come un qualcosa di pericoloso. Sono cose alle quali dobbiamo, rispettivamente, sensibilizzarci/desensibilizzarci. Contrastare una tossicodipendenza è, per certi aspetti, relativamente più semplice, perchè si ha qualcosa di concreto su cui lavorare: la droga. In un DCA il problema non è tanto il cibo in sé, ma i problemi che vi nascondiamo dietro, quel costante “cosa succederebbe se” che risuona come voce di fondo nella nostra testa.

Ma anche un DCA, come una tossicodipendenza, può essere superato: poichè è possibile imparare a conviverci in maniera non lesiva per noi stesse, senza più adottare comportamenti disfunzionali, contrastando i pensieri che l'anoressia stessa mette in testa. E ognuna di noi deve capire qual è il suo modo per farlo.

P.S.= Vi propongo un’iniziativa… Mi piacerebbe che voi rispondeste a questa domanda: qual è la ragione per cui reputate positivo il percorso di ricovero dall’anoressia che state facendo? Niente goals stratosferici, solo piccoli e semplici obiettivi nella vita di tutti i giorni (Esempio: "Finalmente posso mangiare di nuovo la pizza senza morire dall'ansia"). Potete lasciarli nei commenti a questo post, oppure inviarmeli tramite e-mail (veggie.any@gmail.com). Nel prossimo post riunirò le vostre risposte…

venerdì 13 luglio 2012

Gli outcomes dell'anoressia

Perché a volte non c’è bisogno di post chilometrici, ma di una semplice immagine che ho trovato e che volevo condividere con voi. Il sito da cui l’ho tratta lo potete trovare sull’immagine stessa, che mi è piaciuta immediatamente, non appena l’ho vista. È un’immagine estremamente semplice, ma spiega tutto con totale chiarezza, come millemila parole non riuscirebbero mai a fare. Tutte noi abbiamo delle opzioni, tutte noi abbiamo la possibilità di fare delle scelte. Ma una di queste scelte è molto migliore di tutte le altre. Non dimenticatelo mai.





P.S.= Una cosa carina che volevo condividere con voi…

Il mio primo intervento: nefrectomia per etp.

Ingresso…


…preparazione…
(in questa foto non indosso ancora i guanti sterili, ovviamente, perché quelli vanno infilati solo un attimo prima di mettere le mani sul paziente) 


…pezzo operatorio.


(click sulle singole foto per ingrandire) 

Il dialogo migliore del pre-operatorio…
Io: Posso imprecare se sbaglio qualcosa?
Dott. M.P.: No, non puoi.
Io: Non posso imprecare o non posso sbagliare?
Dott. M.P.: Non puoi fare nessuna delle due cose.
Io: Ma la paziente è sotto anestesia totale… se anche tiro un moccolo non sente niente!
Dott. M.P.: Ti ho detto che non puoi, cazzo!!
Io: Okay… grazie per avermi dato il buon esempio.

Sebbene non sappiano neanche dell’esistenza di questo blog, volevo comunque ringraziare il medico chirurgo, il dottor P. C., e il medico anestesista, il dottor M. P.! Grazie per avermi aiutata dal primo all’ultimo minuto, non sarei riuscita a combinare niente senza di voi! Siete stati gentilissimi, vi ringrazio infinitamente!! E’ stato emozionante, lo rifacciamo??!... (La paziente mi odierebbe per questo… anche perchè se lo rifacciamo rimane a corto di reni...)

venerdì 6 luglio 2012

"The slender trap"

Come avete visto, nello scorso post ho lanciato l'idea che mi aveva proposto Good: creare nella colonnina di destra del blog un box dedicato ai libri suggeriti da voi inerenti la tematica dei DCA. Dai commenti a suddetto post, le opinioni sono state contrastanti: alcune di voi hanno suggerito dei titoli, altre hanno fatto (a mio avviso giustamente) notare come leggere i libri sui DCA possa rappresentare un fattore di trigger che rinforza il legame al DCA stesso, soprattutto in cui muove i suoi primi passi nella strada del ricovero. Dunque, per cercare di far fronte a queste 2 "correnti di pensiero" senza scontentare nessuno, ho pensato di fare così: il box dei libri non ci sarà (questo a protezione delle persone che incappano nel mio blog magari essendo in pieno DCA, e che leggendo autobiografie di persone che hanno a loro volta un DCA, possano avere l'idea d'imitarne i comportamenti), però i commenti dello scorso post rimangono tutti, quindi potete attingere da quelli se v'interessano dei libri sui DCA.

Inoltre, rimando ai blog di Sonnen Blume e di *Free_destruction*, che hanno scritto dei post recensendo alcuni libri che parlano di anoressia e bulimia, e che potete leggere, rispettivamente, agli URL:

http://www.sonnenblume-ilpesodellavaligia.blogspot.it/2012/07/i-miei-libri-sullanoressia.html 

http://littlefreefly.blogspot.it/2012/07/i-nostri-libri-sui-disturbi-alimentari.html 

Infine, voglio proporvi anch'io un libro. Per la precisione, un libro di auto-aiuto inerente i disturbi alimentari, l’immagine corporea e il cibo. Il libro in questione s’intitola “The Slender Trap”, scritto da Lauren Lazar Stern, che ho acquistato su Amazon (www.amazon.com).

 Ho letto diversi libri di auto-aiuto sui DCA, ma “The Slender Trap” è sicuramente il più creativo in cui mi sia mai imbattuta. Perciò, vorrei condividere con voi i passi di questa lettura che mi sono piaciuti di più. Pensate che quando sono arrivata alla fine del libro, avevo riempito un mucchio di Post-It ricopiando le frasi migliori che vi ho trovato: è per questo che ritengo che Lauren Lazar Stern abbia fatto un gran bel lavoro.

La prima parola che mi è saltata in mente leggendo “The Slender Trap” è: CREATIVO. È molto diverso rispetto agli altri libri di auto-aiuto che ho letto sinora. Si focalizza sulle attività/esercizi da svolgere in una maniera che non sembra affatto infantile, e il taglio è tale che anche chi non si sente una persona “creativa” è comunque invogliata a fare un tentativo. In questo libro c’è un sacco da fare per le lettrici – così tanto che, in effetti, ci si sente attivamente partecipi anche solo nella lettura. E penso che possa essere d’aiuto a tutte.

 Questo libro si compone di 12 capitoli che sono allo stesso tempo introspettivi, illuminanti, pratici e – posso azzardarmi a dirlo? – anche divertenti. Riesco facilmente ad immaginare adolescenti lavorare sul proprio DCA grazie all’aiuto di questo libro, ma credo che anche chi è più grandicella possa trarre tanto da questa lettura. Il bello di questo libro è che è tagliato a misura della lettrice. Il libro è la fabbrica, la materia prima. TU sei colei che vi lavora.

Soprattutto, è un libro che può essere diretto ad un ampio target di persone con disturbi alimentari: anoressia (sottotipi 1 e 2), bulimia, DCAnas, binge, ortoressia… diretto anche a tutte quelle persone che, pur non avendo un DCA conclamato/diagnosticato sul piano clinico, hanno comunque problemi di ridotta autostima. È un mezzo per imparare qualcosa di più su noi stesse, per lavorare sui nostri vissuti, sul nostro background, e per muovere qualche passo avanti sulla strada del ricovero, cercando d’imparare ad accettare un po’ di più il nostro corpo ed il cibo, quale che sia il DCA nella fattispecie.

I vari capitoli sono molto utili e piuttosto diversi tra loro: se un capitolo non rispecchia il vostro vissuto in merito al disturbo alimentare, o le vostre idee in merito alla vostra immagine corporea, un altro lo farà di sicuro. Quando scrivo “molto utile” intendo dire che le attività proposte sono realmente applicabili nella vita quotidiana, non rimangono soltanto belle idee in testa.

Alla fine del 4° capitolo, dal titolo “Body Image and Societal Pressure”, Lauren Lazarus Stern sfida le lettrici:

“Vestitevi in un modo che vi piace, che piace a voi, non per compiacere qualcun altro. Scegliete un capo che vi piace, e indossatelo nella vostra prossima uscita. Fate un disegno di voi stesse con quel vestito addosso. Scrivete come vi fa sentire l’aver compito una scelta solo e soltanto per voi stesse.” 

Certo, alcune parti di questo libro all’inizio possono sembrare difficili da seguire, ma se fate per esempio questo esercizio vi accorgerete che i risultati sono sorprendenti… in maniera positiva. Questo libro dà veramente da pensare.

Nel 5° capitolo, intitolato “Food Traps & Plans”, c’è un esercizio chiamato “The Food Plate”. Richiede sia il disegnare sia lo scrivere e personalmente l’ho trovato… ganzo. Parlando con alcune ragazze che ho conosciuto quando ero ricoverata in clinica specializzata per persone con DCA, mi sono infatti resa conto che molte ragazze con un disturbo alimentare è difficile fare i conti con le varie tipologie di cibo, con i nutrienti, con le quantità nel momento in cui viene intrapreso un percorso di ricovero, e che tutto ciò produce molta ansia. Pertanto, quest’esercizio suggerisce di disegnare sulle pagine (e sui piatti, nelle tazze, etc…) di cui il libro è provvisto, ogni pasto. È tutto lì, ma si perde la rigidità con cui chi ha un DCA (soprattutto anoressia) deve sempre fare i conti. Così si può avere un’idea di cosa si mangia, senza dover ricorrere all’ansiogeno (e in alcuni casi dannoso – nota personale) diario alimentare.

Sempre in questo capitolo, c’è un esercizio che si chiama “Draw Your Traps”, con relative istruzioni:

“Visualizzate quelle che sono le trappole prodotte dal DCA, disegnate cosa vi può portare ad alimentarvi in maniera scorretta. Forse vi sentite intrappolate dai vostri pensieri, paure, o qualcos’altro. Lasciate che il disegno sia la vostra guida.”

Più Avanti, sempre nello stesso capitolo, c’è un altro esercizio chiamato “Getting Out Of My Trap”:

“Ora che hai disegnato e descritto le trappole del tuo DCA, è il momento di pianificare un modo per uscirne”. 

E nella pagina ci sono dei riquadri in cui disegnare le vostre strategie per uscirne. È forte!

Un’altra parte ganza sta nel 6° capitolo, ed è quella intitolata “Full Of Feelings”. C’è un esercizio simile a un video che ho realizzato (e che potete trovare sul mio canale YouTube oltre che qui sul blog) che riguarda il distruggere la bilancia – ma in forma figurata, sulle pagine del libro. Penso che siano piccole cose, ma anche utili: distruggere un bilancia può essere un passo enorme e terrificante per un sacco di persone che hanno un disturbo alimentare. Ci vuole molto tempo per sentirsi “pronte” ad un atto simile, e prepararcisi disegnando la sua distruzione sul libro è proprio una bella idea. L’esercizio mira anche ad aiutare a venire a patti con i sentimenti che la distruzione della bilancia potrebbe suscitare.

Un’ultima cosa a proposito del capitolo 9, intitolato “The New Me”: c’è un esercizio che si chiama “A Party To Celebrate The New Me” e vi è scritto:

“Sulla scheda di pianificazione della festa alla pagina successive, organizzate una festa per celebrare il vostro duro lavoro. Invita tutta la gente che vuoi. Mangia quello che vuoi. Crea l’invitato dei tuoi sogni. Usa la tua immaginazione. Ricorda che questa festa è solo ed esclusivamente per te”.
Quant’è meraviglioso?!...

E questi sono solo alcuni esempi degli esercizi e delle sfide che potete trovare su “The Slender Trap”. Aggiungerei ancora molto altro, ma se voleste comprare il libro vi toglierei la sorpresa, perciò chiudo qui. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, e che non vediate l’ora di leggere 240 pagine di “meravigliosezza”. ^__^”

Vorrei ringraziare l’autrice per aver scritto un libro del genere, che mi ha dato molto da pensare… e da fare. Se volete saperne di più su di lei, visitate il suo sito: http://www.laurenlazarstern.com

P.S.= Tutte le citazioni tratte dal libro, che è in Inglese, sono una mia traduzione. Chiedo venia per le eventuali inesattezze.

venerdì 29 giugno 2012

Definendo la "comorbidità"

Mercoledì mi è capitato sottomano un articolo in Inglese inerente i DCA, del quale voglio riportarvi, traducendola, una parte.

“[…] Una cosa di cui molto spesso si discute nel momento in cui ad una persona viene diagnosticato un DCA, è l’eventuale presenza di comorbidità. In effetti, diverse persone anoressiche, bulimiche o con un altro DCA hanno allo stesso tempo problemi di depressione, ansia, autolesionismo, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo di personalità borderline, bipolarismo, etc. Io sono d’accordo con questo, perché numerosi studi supportano quest’ipotesi. Ma adesso le più recenti ricerche stanno dimostrando che i disordini alimentari, e fattori come la bassa autostima e l’estrema sensibilità possono avere anche radici biologiche. In altre parole, possiamo essere pre-disposti a sviluppare un DCA, ed essere predisposti ad avere quei fattori che comunemente causano lo sviluppo di un DCA (sebbene ci siano molti altri fattori strettamente individuali). C’è tuttavia una cosa su cui sono in disaccordo, ed è il fatto che i medici specializzati nel trattamento del DCA separano il vissuto del disturbo alimentare da quello di depressione, ansia, autolesionismo, DOC, etc… Da qui il termine “comorbidità”. Vorrei lanciare l’ipotesi che l’anoressia e la bulimia possano insorgere nel contesto di altre psicopatologie già presenti, in un soggetto che non è naturalmente predisposto alle stesse. Un DCA può addirittura esasperare la patologia di base, in individui che sono predisposti a sviluppare patologie mentali. Penso che le varie malattie mentali possano essere strettamente interconnesse, e che quest’ipotesi possa essere ulteriormente acclarata quando si scopriranno le basi biologiche di queste malattie. […]” 

Basilarmente, sono d’accordo.

Ci sono parecchie ricerche che correlano la personalità individuale ai DCA, e i loro risultati sembrano indicare che molti degli affetti da malattie psichiatriche hanno diversi tratti di personalità che li predispongono a sviluppare un DCA. I principali cluster di personalità che ben correlano con la comparsa di un disturbo alimentare sono le personalità iper-controllanti, ossessive, e perfezioniste per quanto riguarda l’anoressia e, dall’altra parte, impulsive, ansiose, e con scarsa autostima per quel che riguarda la bulimia. Nessuna sorpresa che queste tipologie di personalità siano anche predisponenti allo sviluppo di patologie quali depressione, autolesionismo, DOC, etc…

Io stessa sono prova del fatto che esistono persone che hanno questo tipo di comorbidità. Ho problemi di autolesionismo, e una personalità basilarmente iper-controllante. E questo al di là dell’anoressia. Ma l’anoressia ha sicuramente esasperato anche queste altre 2 condizioni, la mia ossessività, le mie manie di controllo, e non in un modo positivo. Allo stesso modo, penso che una corretta alimentazione possa aiutare non solo a migliorare sul versante del DCA, ma anche a ridurre le altre patologie, proprio per quella che è la loro stretta correlazione.

La verità è che ancora non sappiamo se affezioni come i DOC o la depressione o il disturbo bipolare siano parte di un DCA come causa o come conseguenza, o se le cose siano completamente scisse. Un esempio sciocco ma che rende l’idea: capelli castani e occhi marroni. Anche se molto spesso questi 2 tratti appaiono insieme, ci sono un sacco di persone coi capelli marroni che hanno gli occhi azzurri, o verdi, o grigi. E ci sono persone con gli occhi marroni che sono bionde, o more, o rosse.

Allo stesso modo, non si sa con esattezza quando questi tratti di personalità diventano patologici, a che punto cessano di essere semplicemente dei comportamenti un po’ spinti, e diventano comportamenti per i quali è necessario un trattamento medico. Nessuno ancora lo sa veramente.

È un qualcosa cui mi piacerebbe che più psicoterapeuti e ricercatori dedicassero tempo per studiarla e scoprirla.


P.S.= Vorrei girarvi un’idea che mi ha proposto tramite e-mail una lettrice di questo blog, Good (ricordate la ragazza del giorno 22 nel nostro calendario del 2011?... Sì, proprio lei!). L’idea consiste nel suggerirci a vicenda delle letture, dei libri, che trattino dell’argomento DCA. Perciò, se qualcuna di voi ha letto un qualche libro inerente questa tematica, e lo ha trovato particolarmente utile per il suo percorso di ricovero, fatemelo sapere nei commenti o tramite e-mail (veggie.any@gmail.com): man mano che mi arriveranno i vostri titoli, li riunirò in una lista sulla colonnina di destra del blog!

venerdì 22 giugno 2012

Proprio di fronte a me

Dato che all’inizio di Settembre 2011 mi sono trasferita in un nuovo appartamento, ho una nuova cameretta le cui pareti sono state a lungo completamente bianche. Così ho deciso di decorarla appendendoci dei poster. La mia brillante idea era quella mettere sulle pareti i poster delle t.A.T.u. (le mie cantanti preferite) che nel corso degli anni ho acquistato, fermandoli agli angoli con dello scotch colorato.

 Così sono andata in una cartoleria ad acquistare lo scotch colorato e il nastro biadesivo, in modo che i poster potessero aderire per bene e non si sciupassero. Fatto tutto ciò, si è presentato un problemuccio: non riuscivo a trovare i poster.

Sapevo di averli messi all’interno di una qualche cartellina, perchè tengo sempre nelle cartelline tutto il mio materiale cartaceo, dalle dispense per l’università ai miei disegni, e sapevo di non aver gettato quei poster… oh, insomma, speravo di non averli gettati via nel trasloco. Non ne avevo idea. Una cosa che mi faceva uscire scema. Ho cercato dappertutto, anche in posti dove mai sarebbe stato possibile mettere dei poster, e non ho trovato nulla.
Quei poster non volevano essere proprio trovati.

Ma ieri, mentre stavo rimettendo a posto appunti, slides e dispense di Ortopedia (esame che ho da poco dato), mi è scivolato lo sguardo su una cartellina rossa. Piazzata proprio su una mensola della mia camera. Sopra la scrivania. Proprio di fronte a me. Precisamente all’altezza dei miei occhi.

Ho aperto la cartellina
sfogliato alcune pagine
ed ecco che ho tirato fuori
i miei poster delle t.A.T.u.



Ero talmente convinta che quei poster fossero rintanati in qualche pertugio inesplorabile – in fin dei conti, li avevo cercati così a lungo – che non potevano trovarsi in un posto così ovvio. Avrebbero dovuto essere in una scatola, in un qualche contenitore, potevo averli usati quando avevo finito la carta igienica… e invece, erano piazzati in una cartellina ben evidente su una mensola.

Ecco vale lo stesso anche quando si percorre la strada del ricovero dall’anoressia. Si cercano e si ricercano informazioni, insights, si scandagliano backgrounds, e non riusciamo a trovarli. Si cercano strategie per rendere la strada del ricovero un po’ meno pesante e faticosa da percorrere. E, paradossalmente, molto spesso è proprio nel momento in cui smettiamo di rimuginare su tutto questo che troviamo la soluzione che per tanto tempo avevamo inutilmente cercato. Che capiamo quali sono le cose veramente importanti: le più semplici. Mangiare tutti i pasti principali e gli spuntini – e mangiare tutto. Essere sincere con gli psicoterapeuti e con i dietisti. Sfogarci non più su noi stesse, ma riversando all’esterno il nostro malessere. Rialzarci dopo ogni ricaduta e ricominciare a combattere. Spesso si tende a pensare che tutte queste “rivelazioni” siano nascoste sotto cumuli di vissuto, ma spesso quel che stiamo cercando è proprio dritto di fronte a noi.

 Per vederlo, occorre solo decidere di aprire gli occhi.

venerdì 15 giugno 2012

Anoressica VS avere l'anoressia

Proprio ieri ho letto il post di una ragazza che scrive "Io non sono bipolare, ho un disturbo bipolare". E già questa frase verissima di per sè si commenta da sola: noi non siamo una malattia, perchè la malattia è solo un aspetto della nostra vita.

Questa ragazza scrive:

"Per quelle di noi che hanno una malattia mentale cronica che ci accompagnerà per tutta la vita, io credo sia necessario prendere delle decisioni in qualità di individui, di persone, e non in qualità di bipolari, o depressi, o borderline. Bisogna sempre tenere a mente la diagnosi, ovviamente, per quelle che saranno le nostre relazioni e le nostre esperienze future; e questo perchè bisogna circondarci di persone in grado di supportarci e di aiutarci nel nostro opporci alla malattia, ma non bisogna focalizzarci unicamente sulla definizione clinica". 

E questo io credo che sia uno degli aspetti - focalizzarsi sulla definizione clinica, intendo - che è più difficile da gestire. Le etichette, in fin dei conti, sotto certi aspetti, sono così rassicuranti... Ci dicono quello che siamo, e chi ha un DCA può trovarlo confortante, per certi versi: almeno ha una definizione, "anoressica", “bulimica”, invece di essere disorientata senza sapere chi è nè cosa vuole dalla sua vita. Però arriva un momento in cui l'etichetta inizia ad andare troppo stretta. Un momento in cui ci si stanca dell'ossessione su cibo-corpo-peso, ci si stanca di sentirci costrette a fare una certa quantità di attività fisica quotidianamente, ci si stanca di non poter andare da nessuna parte senza portarci dietro il cibo prescritto dall' "equilibrio alimentare". Si vuole dimenticare tutto questo. Ma bisogna anche rimanere concentrate sul fatto che si ha un DCA, che si è da poco iniziato a percorrere la strada del ricovero, e che ad andare su un binario così stretto è facile deragliare.

Il fatto che si debba seguire un "equilibrio alimentare", però, non significa che tutto quello che noi siamo è una definizione clinica e una serie di regole da seguire. Noi siamo molto più di un'etichetta, tutto un mondo interiore che dobbiamo trovare il coraggio di tirare fuori. Noi ABBIAMO un DCA, ma NON SIAMO un DCA. Io ho l'anoressia, ma non sono un'anoressica. L'etichetta può servire ai medici per sapere come relazionarsi con me, quale iter terapeutico intraprendere, ma non dice niente di me come persona. Io sono la Veggie che ha l'anoressia, ma sono anche un'istruttrice ed arbitro di karate, una studentessa universitaria, una a cui piace disegnare, e così via.

La cosa che spesso si avverte è che in molti casi l'avere un DCA è visto come un qualcosa che costituisce la propria identità. Cioè spesse volte la persona affetta da anoressia dice: "Io sono anoressica". Si descrive usando la malattia. Cosa che, se ci pensate, non è comunissima. Quante persone affette da reflusso gastro-esofageo dicono: "Io sono un reflussore"? Quante persone affette da enfisema dicono: "Io sono un enfisematoso"? Non succede. La spiegazione che ne do io è che nelle malattie fisiche si avverte la dissociazione del corpo dal proprio "io"; nelle malattie psichiche no.

Mi spiego meglio: quando va tutto bene, e il corpo sta bene, non ci accorgiamo che esiste. Non ci accorgiamo di avere delle braccia, delle gambe, uno stomaco. Ci sentiamo un tutt'uno, il corpo aderisce perfettamente a noi stesse - ed è noi stesse.

Quando abbiamo una malattia organica, per esmpio ci facciamo male a un braccio, all'improvviso la parte dolorante non fa più parte di noi: ci dissociamo da lei. Si dice spesso: "Mi fa male un braccio", più che "sento male al braccio", come a sottolineare questa cosa. Nelle malattie psichiatriche invece è il cervello che è "malato", per cui non avviene questa dissociazione - è come se la malattia facesse parte di noi. Ed ecco che diventa un'identità.

La cosa più difficile è trovare un equilibrio tra il non etichettare coi stesse come "anoressiche" e, al contempo, non dimenticare le limitazioni che la diagnosi c'impone. Di solito, si flippa da un estremo all'altro, perchè del resto la dicotomia è un aspetto tipico dell'anoressia: è tutto bianco o tutto nero. Invece, come nella stragrande maggioranza delle cose della vita, bisogna a poco a poco prendere consapevolezza del fatto che il giusto equilibrio sta nel punto di mezzo: accettare la diagnosi, ma non lasciare che un'etichetta ci definisca, perchè noi siamo molto più di una definizione da manuale.

venerdì 8 giugno 2012

Ingiusto?

Oh, la giustizia è una gran bella cosa. Le persone buone dovrebbero ottenere cose belle, e le persone cattive dovrebbero finire in tutta la merda che meritano. Ma così non va la vita. La vita non guarda in faccia nessuno, se ne frega di che tipo di persona sei, e la maggior parte delle cose belle che accadono nella vita sono per lo più il mero risultato di una botta di culo. Detto questo, ognuna è libera di fare quel che vuole, ma è estremamente difficile che succedano cose belle semplicemente perchè sei stata buona.

Magari è un po’ infantile, ma non è forse vero che si ha la sensazione che molti aspetti del nostro percorso di ricovero siano ingiusti??! Per esempio: non è irritante dover prendere qualche altro chilo, quando all’apice dell’anoressia pesavamo molto meno rispetto a quanto pesiamo adesso? Sembra ingiusto che possiamo mantenere il peso soltanto quando raggiungiamo un BMI (IMC) di 18, quando ci sono persone che, senza avere un DCA, hanno comunque fisiologicamente un BMI inferiore a 18, e nessuno gli dice nulla.

Okay, questo è un pensiero tipicamente indotto dall’anoressia, ma c’è del vero alla base dello stesso.

Ed ecco quel che ho trovato al proposito leggendo un libro di Judith Beck, una psicoterapeuta, che scrive:  

"[…] Pensieri sabotanti? “E’ così ingiusto che io non possa essere magra come vorrei!”. Questo pensiero rattrista molto chiunque soffra di un DCA. Inoltre spesso chi ha un DCA è gravata da un forte senso d’ingiustizia. Invece di essere soddisfatte della loro capacità di perdere peso e mantenere il loro sottopeso, sentono di vivere una grande ingiustizia: “Mi sono impegnata così tanto, eppure devo continuare a lavorare per mantenere questo peso, che è per me comunque insoddisfacente”. Ed è triste vedere tutta questa loro negatività, quando perdere peso è una tale soddisfazione. 

Spesso dico loro: “Sì, hai ragione. È ingiusto, ma a me sembra che, in realtà, per te la più grande ingiustizia sia continuare a soffrire giorno dopo giorno schiacciata dall’idea che devi dimagrire ancora – un’idea che ti ossessiona, che non ti fa sentire a tuo agio con te stessa, che ti apporta negatività, che non ti fa sentire in pace con te stessa”. 

Spesso propongo loro la seguente analogia: è come se una persona che è brava a correre si dicesse: “Io devo per forza partecipare alle Olimpiadi”. Così comincerà ad ossessionarsi con la corsa, non sarà felice dei suoi risultati non all’altezza degli elevatissimi standard che si è auto-imposta, non avrà più la sua pace mentale, e così via. Forse è una brava persona e non meriterebbe questa sofferenza, ma sta male perché ha realisticamente l’aspettativa di poter diventare tanto brava nella corsa da poter partecipare alle Olimpiadi. E quel che è peggio, anziché accettare il fatto che, per quanto brava possa essere nella corsa, non possiede comunque quella capacità tale da essere al livello di un’Olimpiade, si sentirà appressa dall’idea che questo sia ingiusto, il che la farà sentire ancora peggio, amareggiata, e apporterà negatività al suo modo di guardare alla vita. 

Ovviamente, ci sarebbe molto altro da dire riguardo a ciò che può essere giusto/ingiusto. (Tanto per fare un esempio in tema, molte persone che per dimagrire si rivolgono fin da subito ad una dietista, hanno una vita che sembra essere, per chi ha un DCA da molti anni, ingiustamente positiva). Ma questa discussione iniziale, che implica che chi ha un DCA ha un certo controllo sulla propria sofferenza, in funzione della sua impostazione mentale, è un importante punto di partenza. […]” 

Ora, se devo essere del tutto sincera, io personalmente non sono una grande fan di Judith Beck. La premessa del suo ultimo libro (che ti insegna a “pensare come una persona magra”) mi sembra semplicemente ridicola, tant’è che ho abbandonato la lettura dopo le prime pagine. Non credo proprio che le persone magre pensino diversamente dalle persone sovrappeso. A parte questo, tuttavia, penso che dalle sue parole (estratte da un altro suo libro) che ho riportato in questo post, si possa trarre un qualche insegnamento.

Dover percorrere la strada del ricovero può sembrare profondamente ingiusto. E questo è il punto: non dovrebbe esserlo. Talvolta mi viene pure da pensare che sia ingiusto il fatto che sia sopravvissuta abbastanza a lungo da dover iniziare ad intraprendere un percorso di ricovero. Ma ci sono un sacco di cose ingiuste nella vita, e perciò quando si pensa che dover abbandonare l’anoressia e doverci lavorare su per farlo sia ingiusto, pensiamo anche a questo sia ancora più ingiusto farci rovinare la vita dall’anoressia stessa.

Questo ovviamente non significa che si faccia magicamente pace con il nostro corpo, il nostro peso e le nostre ossessioni. Non è così. Ma si può cominciare a provare a fare pace con la consapevolezza di quello che è giusto che sia per la nostra salute fisica e mentale.

venerdì 1 giugno 2012

"Come se non avessi altre alternative"

Mi sono imbattuta in questa storia leggendo su Internet un articolo tratto dall’ “UK’s Daily Mail”, quando ho notato un pezzo intitolato: “Ashley’s mother told her she wasn’t welcome at home while she was anorexic” (“La madre di Ashley le ha detto che non sarebbe stata la benvenuta a casa fintanto che fosse rimasta anoressica”), e questo mi ha dato veramente di che pensare. Il nocciolo dell’articolo è che la madre di Ashley le dice che la sua anoressia non accettata nella sua casa. La madre di Ashley dice che non ne può più, e che le ha provate tutte e non sa più che fare con la figlia. La maggior parte dei commenti lasciati da altri lettori in merito a quest’articolo sono per lo più accuse nei confronti di questa madre che viene etichettata come un “mostro”, come una che non si cura del fatto che sia figlia abbia una malattia mentale, e così via. Ma non è questo che personalmente m’interessa. Quello che mi ha colpita è stata sopratto la risposta di Ashley all’ultimatum postole dalla madre.

Sebbene con le parole della madre che le rimbombavano in testa, sebbene circondata da amici preoccupati per la sua eccessiva magrezza, e sebbene abbia deciso di ricoverarsi in una clinica specializzata in DCA, Ashley afferma comunque:

“Non riesco a capire come sia possibile vivere altrimenti, senza l’anoressia. Mi sento come se non avessi altre alternative”. 

Ed è stata proprio quell’ultima frase, “Mi sento come se non avessi altre alternative”, che mi ha particolarmente colpita. Questo perché penso che sentirsi alle strette, avere la sensazione di non avere altre alternative all’anoressia, sia proprio ciò che spinge ad intraprendere un percorso di ricovero: io ho iniziato a combattere seriamente solo quando mi sono accorta che non avevo più nulla da perdere, proprio perché si era presa tutto l’anoressia. Studio, lavoro, sport, hobby… tutto risucchiato nel vortice dell’ossessione. L’anoressia non aveva mantenuto le sue promesse: non mi aveva dato tutto quello che cercavo e che mi sembrava con lei avrei potuto ottenere. Soprattutto, sapevo che veramente non c’era più niente da perdere, ma proprio più niente. Negli anni precedenti, fintanto che mi sembrava di avere comunque qualcosa, fintanto che m’illudevo che l’anoressia mi fornisse ancora uno spiraglio per respirare, non riuscivo a combattere davvero. In certi momenti riuscivo più o meno a seguire l’ “equilibrio alimentare”, ma dopo poco avevo inevitabili ricadute verso la restrizione alimentare, e conseguenti perdite di peso. Sono stata ricoverata, ho fatto day-hospital, psicoterapia su psicoterapia, incontri con la dietista ogni settimana, strategie di auto-aiuto reperite sui libri o su Internet… ma niente era duraturo. Prima o poi finivo sempre per ricadere nell’anoressia. Perché pensavo comunque, dentro di me, di averci qualcosa da guadagnare. Ci sono stati momenti in cui ero stufa di tutto il tran-tran medico, momenti in cui mi sono chiesta se non fosse meglio abbracciare l’anoressia e mandare a puttane tutto il resto, momenti in cui l’ho fatto. Ma alla fine, la realizzazione che ha fermato la mia rovinosa caduta e che mi ha permesso di virare verso la strada del ricovero è stato il fatto che mi sono resa conto che non potevo avere sia la vita che avrei voluto, sia l’anoressia. Che non avevo più nulla da perdere. Che ormai l’anoressia l’avevo vissuta fino in fondo, e che non mi avrebbe mai dato la vita che avrei voluto.

Nel Maggio del 2008, le mie possibilità erano veramente limitate: continuare la strada dell’anoressia fino a morirne, o intraprendere seriamente la strada del ricovero e provare a metterci una pezza.

Il coraggio di fare una scelta. Il coraggio di scegliere fra le alternative.
Mi ricordo che inizialmente il mio “equilibrio alimentare” prevedeva, per lo spuntino di metà mattina, succo di frutta alla pera, all'albicocca o alla pesca. Potevo scegliere. Se non facevo nessuna scelta, dovevo chiudere gli occhi, afferrarne a caso uno dal frigorifero e berlo, qualsiasi fosse stato il suo gusto. Così, ho cominciato a fare delle scelte. Il mio percorso di ricovero è stato, ed è tuttora, in un certo senso, estremamente simile: una scelta tra le alternative. Cosa mi era rimasto? Niente. Perchè l’anoressia si era già portata via tutto. Non era rimasto niente, tranne la possibilità di rialzarmi e riprendere in mano la mia vita. Non era rimasto niente, tranne il coraggio di fare una scelta. Per me stessa, e non più contro me stessa.

Questa non è stata la lampadina che si accende, la rivelazione, l’epifania, il momento “Eureka!”. In effetti, non me ne sono resa conto per molto tempo. Dopo la spinta iniziale, ho comunque dovuto affrontare momenti difficili durante il mio percorso di ricovero, e a tutt’oggi parte delle difficoltà permangono. Ci sono stati periodi in cui mi sentivo scoraggiata e demoralizzata: mi sembrava di aver fallito su entrambi i fronti, tanto quello della vita quanto quello dell’anoressia. Non ero stata capace di morire, ma adesso non ero nemmeno capace di vivere. Eppure, la sensazione di non avere più niente da perdere è quella che mi ha sempre spinto a fare un passo in avanti.

La cosa ironica è che la scarsità di alternative cui sono stata posta a fronte, mi ha successivamente aperto tante nuove alternative. Ho deciso di aprire questo blog, ho deciso di mettere video su YouTube, di condividere pensieri positivi su Twitter, di tornare a studiare, a lavorare, a fare sport, a coltivare i miei hobby ed i miei interessi. E, soprattutto, mi ha permesso di vedere che è possibile vivere anche senza la costante presenza dell’anoressia. Anzi, è possibile vivere SOLO senza la costante presenza dell’anoressia.
 
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