venerdì 24 maggio 2013
"Quando tutto il resto fallisce, è colpa della paziente"
Oggi vorrei riportarvi un articolo che ho trovato su Internet, che mi ha lasciata piuttosto perplessa, e decisamente discorde.
Si tratta del risultato di un’inchiesta qui riportata, relativa ai casi di morte in giovani donne affette da anoressia, che fa sì che il medico esaminatore concluda:
In conseguenza di ciò che è successo, Mr Hinchliff afferma: “Lei [la paziente in questione affetta da anoressia - nda] non era mai stata completamente compliante alla terapia di rialimentazione, e questo ha causato ripercussioni negative sulla sua salute fisica, che l’hanno condotta alla morte.”
(mia traduzione)
Perchè, certo, è tutta e solo colpa della paziente se è morta, vero?!
Chi ha steso tali conclusioni non ha pensato che se la paziente non è stata compliante, è perchè non riusciva ad essere compliante. Quando sei sottopeso, malnutrita e con una mentalità che è ancora completamente in balia dell’anoressia, affrontare una cosa ansiogena come un regime alimentare regolare scandito da 5 pasti quotidiani è un qualcosa che più di una persona non sarebbe in grado di tollerare. Nella stragrande maggioranza dei casi, le ragazze affette da un DCA vorrebbero veramente stare meglio, solo che non riescono a tollerare l’ansia che il distaccarsi dall’anoressia comporta inevitabilmente. Il DCA, perciò, continua ad apparire preferibile di fronte dall’ansia innescata dall’idea di dover affrontare la vita senza mettere in atto questa strategia di coping.
Il problema è che purtroppo è ancora molto diffuso, “grazie” anche a quest’informazione a mio avviso scorretta derivante dai mass-media, il preconcetto che recuperare il peso perso significhi “guarire” dall’anoressia. Certamente la riabilitazione nutrizionale è fondamentale per fare passi avanti sulla strada del ricovero, ma il fatto che una paziente abbia recuperato il peso perso non significa che il DCA è svanito dalla sua mente, anzi, tutt’altro. È per questo che poi si hanno le ricadute, tante ricadute, e la gente che guarda dall’esterno pronta a dire che se non c’è compliance terapeutica non è possibile avere un aiuto. Mah.
Nella stragrande maggioranza dei casi, rimanere vincolate a un DCA anche dopo averne scoperti i lati negativi, non è una scelta. È una necessità di coping. Per cui la gente dovrebbe smetterla di aspettarsi che una paziente affetta da un DCA possa essere completamente compliante a seguire un regime alimentare equilibrato in ogni qualsiasi momento. L’abilità dei terapeuti che si relazionano con persone che hanno un DCA, secondo me, dovrebbe stare nella capacità di capire in quale particolare momento del percorso di ricovero si trova la ragazza, ed agire di conseguenza: giusto per fare un esempio, inutile dare una dieta ipercalorica a una ragazza che fino al giorno prima restringeva l’alimentazione da far paura, e pretendere che la segua per filo e per segno (etichettandola poi come “non compliante” se non lo fa). Meglio provvedere a graduali incrementi calorici, affinché la paziente possa abituarsi poco a poco, e non opporre eccessiva resistenza. È solo così che si possono avere pazienti complianti.
Non è – e non deve essere – un lavoro (e men che mai una colpa!) della paziente.
Voi cosa ne pensate?
Si tratta del risultato di un’inchiesta qui riportata, relativa ai casi di morte in giovani donne affette da anoressia, che fa sì che il medico esaminatore concluda:
In conseguenza di ciò che è successo, Mr Hinchliff afferma: “Lei [la paziente in questione affetta da anoressia - nda] non era mai stata completamente compliante alla terapia di rialimentazione, e questo ha causato ripercussioni negative sulla sua salute fisica, che l’hanno condotta alla morte.”
(mia traduzione)
Perchè, certo, è tutta e solo colpa della paziente se è morta, vero?!
Chi ha steso tali conclusioni non ha pensato che se la paziente non è stata compliante, è perchè non riusciva ad essere compliante. Quando sei sottopeso, malnutrita e con una mentalità che è ancora completamente in balia dell’anoressia, affrontare una cosa ansiogena come un regime alimentare regolare scandito da 5 pasti quotidiani è un qualcosa che più di una persona non sarebbe in grado di tollerare. Nella stragrande maggioranza dei casi, le ragazze affette da un DCA vorrebbero veramente stare meglio, solo che non riescono a tollerare l’ansia che il distaccarsi dall’anoressia comporta inevitabilmente. Il DCA, perciò, continua ad apparire preferibile di fronte dall’ansia innescata dall’idea di dover affrontare la vita senza mettere in atto questa strategia di coping.
Il problema è che purtroppo è ancora molto diffuso, “grazie” anche a quest’informazione a mio avviso scorretta derivante dai mass-media, il preconcetto che recuperare il peso perso significhi “guarire” dall’anoressia. Certamente la riabilitazione nutrizionale è fondamentale per fare passi avanti sulla strada del ricovero, ma il fatto che una paziente abbia recuperato il peso perso non significa che il DCA è svanito dalla sua mente, anzi, tutt’altro. È per questo che poi si hanno le ricadute, tante ricadute, e la gente che guarda dall’esterno pronta a dire che se non c’è compliance terapeutica non è possibile avere un aiuto. Mah.
Nella stragrande maggioranza dei casi, rimanere vincolate a un DCA anche dopo averne scoperti i lati negativi, non è una scelta. È una necessità di coping. Per cui la gente dovrebbe smetterla di aspettarsi che una paziente affetta da un DCA possa essere completamente compliante a seguire un regime alimentare equilibrato in ogni qualsiasi momento. L’abilità dei terapeuti che si relazionano con persone che hanno un DCA, secondo me, dovrebbe stare nella capacità di capire in quale particolare momento del percorso di ricovero si trova la ragazza, ed agire di conseguenza: giusto per fare un esempio, inutile dare una dieta ipercalorica a una ragazza che fino al giorno prima restringeva l’alimentazione da far paura, e pretendere che la segua per filo e per segno (etichettandola poi come “non compliante” se non lo fa). Meglio provvedere a graduali incrementi calorici, affinché la paziente possa abituarsi poco a poco, e non opporre eccessiva resistenza. È solo così che si possono avere pazienti complianti.
Non è – e non deve essere – un lavoro (e men che mai una colpa!) della paziente.
Voi cosa ne pensate?
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venerdì 17 maggio 2013
La strategia del derby perpetuo
[Premessa: Questo post, tra il serio (nella prima parte) e il faceto (nella seconda) si propone semplicemente d’ironizzare sulla difficoltà che quotidianamente incontra chi ha un DCA nel tentativo di sfuggire dai pettegolezzi della gente relativi alla propria malattia. Perché per combattere contro l’anoressia c’è bisogno anche di tanta (auto)ironia. Buona lettura, e… spero di riuscire a strapparvi almeno un sorriso.]
“Il cuore dei disturbi alimentari è il silenzio. Rompi il silenzio” – recita uno dei messaggi positivi che ho riportato nella colonnina di destra di questo blog. Sono in accordo con quest’affermazione, perché credo che il non tenersi tutto dentro sia il primo passo per spezzare il circolo vizioso del DCA, che si alimenta anche del nostro silenzio, dando a noi stesse il permesso di cominciare a combattere chiedendo aiuto. Rimanere in silenzio significa infatti cercare di negare a noi stesse per prime che abbiamo un problema, nella puerile auto-convinzione che i panni sporchi si lavino in casa, salvo poi scoprire che le macchie che l’anoressia/la bulimia lasciano nella nostra vita sono un qualcosa che va ben oltre le nostre capacità di operare un auto-sbiancamento. Penso perciò che sia importante, nonché grande atto di coraggio e responsabilità verso noi stesse, il riuscire a tirare fuori il DCA, cominciando così ad impedirgli di fungere da padrone incontrastato dei nostri pensieri.
Tuttavia, ritengo che questa frase debba anche essere opportunamente interpretata: rompere il silenzio, infatti, non deve essere inteso come sinonimo di prendere un megafono ed andare a spiattellare il nostro DCA in pubblica piazza. È ottimo il riuscire a parlarne con dietisti e psicoterapeuti, perché sono persone professionalmente preparate ed in grado di darci una mano in maniera concreta per combattere contro l’anoressia. Va benissimo anche il riuscire a parlarne con familiari e amici veramente fidati, perché credo che comunque un percorso di ricovero affrontato avendo accanto persone supportive possa essere almeno un pochino più facile. Sì, okay, “facile” per modo di dire, credo che sappiamo tutte benissimo quanto sia dura percorrere la strada del ricovero giorno dopo giorno, inutile che mi ripeta, però, a parità di lotta da sostenere, magari se ci affianca qualcuno che fa il tifo per noi e che tenta nel suo piccolo di darci una mano quando siamo più in difficoltà, male non fa.
Penso però che sia opportuno non allargare ulteriormente la cerchia. Soprattutto, penso sia importante non diffondere la notizia che abbiamo un DCA tra i nostri colleghi di lavoro/colleghi universitari/compagni di classe/compagne di squadra. Questo non perché il DCA sia un qualcosa di cui dobbiamo vergognarci, ma semplicemente perché, purtroppo, la maggior parte delle persone è estremamente disinformata e tenacemente ancorata ad una montagna di luoghi comuni quando si parla di disturbi alimentari. Per cui, se nel vostro ambiente lavorativo/universitario/scolastico/sportivo viene fuori che avete un DCA, sarete inesorabilmente vittime di un’etichettatura che non vi gioverà affatto. Sarete immediatamente schedate come la “Jessica l’anoressica” della scuola/dell’ufficio, vi sparleranno alle spalle, diventerete “quella matta”, infantile, viziata, a causa di tutti i luoghi comuni che girano sui DCA, e sarà molto difficile recuperare un briciolo di considerazione. Verrete ostracizzate e stigmatizzate. Lo dico sia per esperienza personale, sia per cose che mi sono state raccontate.
Ovviamente immagino che nessuna di voi abbia la benché minima intenzione di raccontare ai quattro venti del proprio DCA, tuttavia a volte la fisicità e i comportamenti che si tengono nei confronti del cibo sono tali per cui chiunque ci sta intorno capisce comunque che abbiamo un problema dell’alimentazione.
Se ripenso a me stessa quando facevo il 1° anno di Università, vedo uno scheletrino che a mensa mangiava a malapena un paio di bocconi di pasta, una sottiletta di carne, una mela e uno yogurt. Scontato che chiunque mi abbia vista in quel periodo abbia capito quale fosse il mio problema.
La gente non è cieca, certe cose sono talmente palesi che anche chi non è esperto in DCA le capisce. Se si è fortunate, le persone che hanno capito tutto si terranno per sé questa consapevolezza, e tireranno avanti facendo finta di niente. Se si è un po’ meno fortunate, le persone che hanno capito tutto si metteranno a starnazzare in giro relativamente al nostro DCA. Arriviamo dunque al punto di questo post: come mettere a tacere i colleghi/i compagni che hanno capito che abbiamo un DCA e sono pronti a diffondere la notizia in mondovisione? Scommetto che molte di voi stanno già rispondendo mentalmente con un qualcosa come: bisogna negare. Negare anche l’evidenza. Negare sempre, tutto e comunque. Okay, basilarmente è corretto. Solo che a volte non basta. Perché le rivelazioni dei nostri colleghi/compagni relativamente al fatto che noi abbiamo un DCA spesso e volentieri ci piombano addosso all’improvviso, quando meno ce l’aspettiamo, per esempio mentre stiamo facendo il riscaldamento con tutta la nostra squadra di [inserire sport] in attesa dell’allenamento, e allora, colte totalmente alla sprovvista, è difficile avere la freddezza di negare tutto come se niente fosse, e molto più probabilmente ci ritroveremo incerte a balbettare qualcosa come: “Ma, no, veramente io… bè, ultimamente mi è capitato qualche volta di mangiare un po’ meno, ma non vuol dire niente, è solo che avevo meno fame del solito… e poi non sono mica dimagrita, forse è la maglietta nera che mi snellisce…”. Mettere in piedi una difesa incerta così equivale al firmare la vostra condanna a morte. La persona che ha lanciato l’esca avrà la certezza che state nascondendo qualcosa, e non ci penserà due volte a diffondere lo scoop di cui è appena venuta a conoscenza.
Come riuscire dunque a gestire situazioni spinose di questo tipo?
A mio avviso, per pararsi il culo in maniera efficace quando qualcuno tira fuori l’alzata d’ingegno relativamente al fatto che noi potremmo avere un DCA, occorre mettere in atto quella tattica comunicativa che può essere definita come “teoria del derby perpetuo” o “strategia delle scimmie urlatrici”. È in effetti un qualcosa che tutte noi conosciamo molto bene, poiché è entrato a far parte del vivere quotidiano, in particolare tra i mass-media (TV in primis).
Vorrei quindi spiegarvi un po’ come funziona. Il meccanismo è semplicissimo: alzare immediatamente il livello dello scontro. Anzi, di fatto si fa ben più di questo: si rende impossibile lo scontro prendendo la realtà e rivoltandola come un calzino, usando toni eccessivi e sbalorditivi allo scopo di lasciare completamente interdetto il vostro interlocutore. È una tattica comunicativa ad oggi decisamente in auge.
Vi faccio un esempio che possa aiutarvi a comprendere meglio il meccanismo.
È l’ora di pranzo e tu, mia cara lettrice, sei seduta ad un tavolo della mensa universitaria/scolastica/lavorativa. “Grazie” al tuo DCA il tuo peso è decisamente molto basso, e tutto quello che hai nel tuo vassoietto è un’insalatina scondita ed uno yogurt magro. È un pasto assolutamente insufficiente rispetto al tuo fabbisogno, e tu lo sai benissimo (chiunque abbia un DCA sa benissimo che mangia in maniera scorretta, così come gli allenatori sanno benissimo quando la loro squadra ha fatto cagare), tuttavia non aggiungi altro al tuo pranzo, perché la voce dell’anoressia che ti rimbomba sempre in testa non te lo permette.
Poniamo che di fronte a te sia seduta la tua compagna/collega Pinca Pallina, che vede il tuo pallore cadaverico, il tuo fisico emaciato, il tuo vassoietto semivuoto, e ti faccia un’osservazione ponderata, diciamo più o meno sulla falsariga di: “Ma hai qualche problema? Ti vedo così deperita, e non mangi mai niente, anche oggi hai preso solo quest’insalata e lo yogurt, mi sembra un po’ pochino. Sono preoccupata, perché qualche tempo fa ho letto un articolo al riguardo, e mi viene da pensare che anche tu possa essere anoressica”. Le altre persone sedute allo stesso tavolo si girano e ti fissano, perché hanno subito captato il potenziale pettegolezzo. A questo punto, tu potresti rispondere in diversi modi – non ultimo, ringraziando Pinca Pallina per il suo interessamento, e cercando di spiegarle che è solo un periodo in cui non hai molto appetito – ma potresti anche risponderle così: “Ma te un mazzetto di cazzi tuoi non te li fai mai, eh?! Che diamine ne sai di anoressia e di articoli che parlano di anoressia, tu, che sei un’illetterata analfabeta, come tutte le terrone, del resto, perciò non mi sembra proprio il caso di accettare illazioni da chi in vita sua ha letto probabilmente soltanto la biografia di Francesco Totti e fa addirittura fatica a leggere la composizione chimica sul fustino del Dash le poche volte che sta seduta sul cesso senza aver vicino una copia di "Top Girl"”. Una risposta di una violenza verbale tale, contiene insulti gratuiti tanto fastidiosi e provocatori che rende impossibile una replica che non sia un’accorata, indignata – o magari persino sconcertata e balbettante – difesa.
Hai costretto Pinca Pallina ad incazzarsi per l’orrenda generalizzazione sui meridionali e, al contempo, la costringi anche a difendersi dall’accusa di leggere soltanto "Top Girl" e i fustini del Dash. Inoltre, se hai la possibilità di amplificare ulteriormente la tua invettiva coinvolgendo le altre persone che sono sedute al vostro stesso tavolo, puoi recitare la parte della vittima (“Pinca Pallina mi sta dando dell’anoressica solo perché lei non è riuscita a seguire la sua dieta!”) inducendo gli altri a schierarsi dalla tua parte, e ottenendo così il risultato desiderato: della tua presunta anoressia non parlerà più nessuno. Ci saranno i pro-Pinca Pallina e quelli che si schiereranno dalla tua parte, gli anti-terroni e i meridionali orgogliosi, e tutto finirebbe in una caciara facendo svanire completamente l’originale motivo del discutere.
Poi, in un secondo momento, puoi anche modificare la tua versione dei fatti. Puoi benissimo ritrattare la tua stupida frase sui meridionali. Ci si mette a posto la coscienza (in realtà no, diciamo che si sistemano eventuali pendenze future), ma intanto l’obiettivo è stato raggiunto. E le smentite, in questo Paese, stanno solitamente in un trafiletto a margine a pagina 25, mentre gli insulti e le diffamazioni occupano 9 colonne in prima.
Il meccanismo è semplice: prendete la realtà, stravolgetela il più possibile, usate toni offensivi e smaccatamente sopra le righe.
Se qualcuno vi dice: “Mi sembri decisamente troppo magra”, tirategli un cazzotto da muratore in faccia all’improvviso. Se la volta successiva, invece di tirargli una cartella nei denti, gli dite soltanto: “Vaffanculo, demente”, quasi quasi vi ringrazierà.
Alzare i toni dello scontro per rendere il confronto e le spiegazioni impossibili.
Funziona.
(La nostra classe politica ne è il più fulgido esempio.)
“Il cuore dei disturbi alimentari è il silenzio. Rompi il silenzio” – recita uno dei messaggi positivi che ho riportato nella colonnina di destra di questo blog. Sono in accordo con quest’affermazione, perché credo che il non tenersi tutto dentro sia il primo passo per spezzare il circolo vizioso del DCA, che si alimenta anche del nostro silenzio, dando a noi stesse il permesso di cominciare a combattere chiedendo aiuto. Rimanere in silenzio significa infatti cercare di negare a noi stesse per prime che abbiamo un problema, nella puerile auto-convinzione che i panni sporchi si lavino in casa, salvo poi scoprire che le macchie che l’anoressia/la bulimia lasciano nella nostra vita sono un qualcosa che va ben oltre le nostre capacità di operare un auto-sbiancamento. Penso perciò che sia importante, nonché grande atto di coraggio e responsabilità verso noi stesse, il riuscire a tirare fuori il DCA, cominciando così ad impedirgli di fungere da padrone incontrastato dei nostri pensieri.
Tuttavia, ritengo che questa frase debba anche essere opportunamente interpretata: rompere il silenzio, infatti, non deve essere inteso come sinonimo di prendere un megafono ed andare a spiattellare il nostro DCA in pubblica piazza. È ottimo il riuscire a parlarne con dietisti e psicoterapeuti, perché sono persone professionalmente preparate ed in grado di darci una mano in maniera concreta per combattere contro l’anoressia. Va benissimo anche il riuscire a parlarne con familiari e amici veramente fidati, perché credo che comunque un percorso di ricovero affrontato avendo accanto persone supportive possa essere almeno un pochino più facile. Sì, okay, “facile” per modo di dire, credo che sappiamo tutte benissimo quanto sia dura percorrere la strada del ricovero giorno dopo giorno, inutile che mi ripeta, però, a parità di lotta da sostenere, magari se ci affianca qualcuno che fa il tifo per noi e che tenta nel suo piccolo di darci una mano quando siamo più in difficoltà, male non fa.
Penso però che sia opportuno non allargare ulteriormente la cerchia. Soprattutto, penso sia importante non diffondere la notizia che abbiamo un DCA tra i nostri colleghi di lavoro/colleghi universitari/compagni di classe/compagne di squadra. Questo non perché il DCA sia un qualcosa di cui dobbiamo vergognarci, ma semplicemente perché, purtroppo, la maggior parte delle persone è estremamente disinformata e tenacemente ancorata ad una montagna di luoghi comuni quando si parla di disturbi alimentari. Per cui, se nel vostro ambiente lavorativo/universitario/scolastico/sportivo viene fuori che avete un DCA, sarete inesorabilmente vittime di un’etichettatura che non vi gioverà affatto. Sarete immediatamente schedate come la “Jessica l’anoressica” della scuola/dell’ufficio, vi sparleranno alle spalle, diventerete “quella matta”, infantile, viziata, a causa di tutti i luoghi comuni che girano sui DCA, e sarà molto difficile recuperare un briciolo di considerazione. Verrete ostracizzate e stigmatizzate. Lo dico sia per esperienza personale, sia per cose che mi sono state raccontate.
Ovviamente immagino che nessuna di voi abbia la benché minima intenzione di raccontare ai quattro venti del proprio DCA, tuttavia a volte la fisicità e i comportamenti che si tengono nei confronti del cibo sono tali per cui chiunque ci sta intorno capisce comunque che abbiamo un problema dell’alimentazione.
Se ripenso a me stessa quando facevo il 1° anno di Università, vedo uno scheletrino che a mensa mangiava a malapena un paio di bocconi di pasta, una sottiletta di carne, una mela e uno yogurt. Scontato che chiunque mi abbia vista in quel periodo abbia capito quale fosse il mio problema.
La gente non è cieca, certe cose sono talmente palesi che anche chi non è esperto in DCA le capisce. Se si è fortunate, le persone che hanno capito tutto si terranno per sé questa consapevolezza, e tireranno avanti facendo finta di niente. Se si è un po’ meno fortunate, le persone che hanno capito tutto si metteranno a starnazzare in giro relativamente al nostro DCA. Arriviamo dunque al punto di questo post: come mettere a tacere i colleghi/i compagni che hanno capito che abbiamo un DCA e sono pronti a diffondere la notizia in mondovisione? Scommetto che molte di voi stanno già rispondendo mentalmente con un qualcosa come: bisogna negare. Negare anche l’evidenza. Negare sempre, tutto e comunque. Okay, basilarmente è corretto. Solo che a volte non basta. Perché le rivelazioni dei nostri colleghi/compagni relativamente al fatto che noi abbiamo un DCA spesso e volentieri ci piombano addosso all’improvviso, quando meno ce l’aspettiamo, per esempio mentre stiamo facendo il riscaldamento con tutta la nostra squadra di [inserire sport] in attesa dell’allenamento, e allora, colte totalmente alla sprovvista, è difficile avere la freddezza di negare tutto come se niente fosse, e molto più probabilmente ci ritroveremo incerte a balbettare qualcosa come: “Ma, no, veramente io… bè, ultimamente mi è capitato qualche volta di mangiare un po’ meno, ma non vuol dire niente, è solo che avevo meno fame del solito… e poi non sono mica dimagrita, forse è la maglietta nera che mi snellisce…”. Mettere in piedi una difesa incerta così equivale al firmare la vostra condanna a morte. La persona che ha lanciato l’esca avrà la certezza che state nascondendo qualcosa, e non ci penserà due volte a diffondere lo scoop di cui è appena venuta a conoscenza.
Come riuscire dunque a gestire situazioni spinose di questo tipo?
A mio avviso, per pararsi il culo in maniera efficace quando qualcuno tira fuori l’alzata d’ingegno relativamente al fatto che noi potremmo avere un DCA, occorre mettere in atto quella tattica comunicativa che può essere definita come “teoria del derby perpetuo” o “strategia delle scimmie urlatrici”. È in effetti un qualcosa che tutte noi conosciamo molto bene, poiché è entrato a far parte del vivere quotidiano, in particolare tra i mass-media (TV in primis).
Vorrei quindi spiegarvi un po’ come funziona. Il meccanismo è semplicissimo: alzare immediatamente il livello dello scontro. Anzi, di fatto si fa ben più di questo: si rende impossibile lo scontro prendendo la realtà e rivoltandola come un calzino, usando toni eccessivi e sbalorditivi allo scopo di lasciare completamente interdetto il vostro interlocutore. È una tattica comunicativa ad oggi decisamente in auge.
Vi faccio un esempio che possa aiutarvi a comprendere meglio il meccanismo.
È l’ora di pranzo e tu, mia cara lettrice, sei seduta ad un tavolo della mensa universitaria/scolastica/lavorativa. “Grazie” al tuo DCA il tuo peso è decisamente molto basso, e tutto quello che hai nel tuo vassoietto è un’insalatina scondita ed uno yogurt magro. È un pasto assolutamente insufficiente rispetto al tuo fabbisogno, e tu lo sai benissimo (chiunque abbia un DCA sa benissimo che mangia in maniera scorretta, così come gli allenatori sanno benissimo quando la loro squadra ha fatto cagare), tuttavia non aggiungi altro al tuo pranzo, perché la voce dell’anoressia che ti rimbomba sempre in testa non te lo permette.
Poniamo che di fronte a te sia seduta la tua compagna/collega Pinca Pallina, che vede il tuo pallore cadaverico, il tuo fisico emaciato, il tuo vassoietto semivuoto, e ti faccia un’osservazione ponderata, diciamo più o meno sulla falsariga di: “Ma hai qualche problema? Ti vedo così deperita, e non mangi mai niente, anche oggi hai preso solo quest’insalata e lo yogurt, mi sembra un po’ pochino. Sono preoccupata, perché qualche tempo fa ho letto un articolo al riguardo, e mi viene da pensare che anche tu possa essere anoressica”. Le altre persone sedute allo stesso tavolo si girano e ti fissano, perché hanno subito captato il potenziale pettegolezzo. A questo punto, tu potresti rispondere in diversi modi – non ultimo, ringraziando Pinca Pallina per il suo interessamento, e cercando di spiegarle che è solo un periodo in cui non hai molto appetito – ma potresti anche risponderle così: “Ma te un mazzetto di cazzi tuoi non te li fai mai, eh?! Che diamine ne sai di anoressia e di articoli che parlano di anoressia, tu, che sei un’illetterata analfabeta, come tutte le terrone, del resto, perciò non mi sembra proprio il caso di accettare illazioni da chi in vita sua ha letto probabilmente soltanto la biografia di Francesco Totti e fa addirittura fatica a leggere la composizione chimica sul fustino del Dash le poche volte che sta seduta sul cesso senza aver vicino una copia di "Top Girl"”. Una risposta di una violenza verbale tale, contiene insulti gratuiti tanto fastidiosi e provocatori che rende impossibile una replica che non sia un’accorata, indignata – o magari persino sconcertata e balbettante – difesa.
Hai costretto Pinca Pallina ad incazzarsi per l’orrenda generalizzazione sui meridionali e, al contempo, la costringi anche a difendersi dall’accusa di leggere soltanto "Top Girl" e i fustini del Dash. Inoltre, se hai la possibilità di amplificare ulteriormente la tua invettiva coinvolgendo le altre persone che sono sedute al vostro stesso tavolo, puoi recitare la parte della vittima (“Pinca Pallina mi sta dando dell’anoressica solo perché lei non è riuscita a seguire la sua dieta!”) inducendo gli altri a schierarsi dalla tua parte, e ottenendo così il risultato desiderato: della tua presunta anoressia non parlerà più nessuno. Ci saranno i pro-Pinca Pallina e quelli che si schiereranno dalla tua parte, gli anti-terroni e i meridionali orgogliosi, e tutto finirebbe in una caciara facendo svanire completamente l’originale motivo del discutere.
Poi, in un secondo momento, puoi anche modificare la tua versione dei fatti. Puoi benissimo ritrattare la tua stupida frase sui meridionali. Ci si mette a posto la coscienza (in realtà no, diciamo che si sistemano eventuali pendenze future), ma intanto l’obiettivo è stato raggiunto. E le smentite, in questo Paese, stanno solitamente in un trafiletto a margine a pagina 25, mentre gli insulti e le diffamazioni occupano 9 colonne in prima.
Il meccanismo è semplice: prendete la realtà, stravolgetela il più possibile, usate toni offensivi e smaccatamente sopra le righe.
Se qualcuno vi dice: “Mi sembri decisamente troppo magra”, tirategli un cazzotto da muratore in faccia all’improvviso. Se la volta successiva, invece di tirargli una cartella nei denti, gli dite soltanto: “Vaffanculo, demente”, quasi quasi vi ringrazierà.
Alzare i toni dello scontro per rendere il confronto e le spiegazioni impossibili.
Funziona.
(La nostra classe politica ne è il più fulgido esempio.)
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venerdì 10 maggio 2013
Il fenomeno "pro Ana" su Twitter
Non faro nomi qui. Non voglio dare soddisfazione. Ma ho letto su Internet un articolo in cui si diceva che una persona del mondo dello spettacolo americano ha aperto su Twitter un account dichiaratamente pro ana. Così sono andata a verificare se quanto riportato da questo articolo fosse vero ed ho scoperto che, purtroppo, lo è.
Insomma, secondo quanto riportato dall’articolo che ho letto, questa persona qualche settimana fa ha cambiato look del suo account di Twitter, e l’ha impostato sulla promozione della cosiddetta “size 0” (che, in italiano, corrisponderebbe alla 36), incoraggiando tutti i suoi followers a non mangiare, saltare i pasti, vomitarli e cercare di dimagrire quanto più possibile. La cosa che mi ha lasciata più allibita è che questa persona crede in quella che chiama “gestione dell’anoressia”. Ma su questo ci tornerò dopo.
Dunque, come dicevo, dopo aver letto l’articolo, sono andata a controllare su Twitter e, sì, effettivamente è tutto proprio come l’articolo lo descrive. Ora, io non ho la più pallida idea se questa persona crede effettivamente a tutte le cazzate che ha scritto, o se lo fa solo per fomentare il gossip (cose tipo “o bene o male, l’importante è che si parli di me, così rimango sulla cresta dell’onda”) e sentirsi al centro dell’attenzione. Non lo so e non è di questo che voglio parlare, anche perché probabilmente è proprio ciò che questa persona vuole – che si parli di lei – quindi mi limito semplicemente ad alcune osservazioni in merito al fatto, e ad esprimere la mia opinione personale.
La cosa che mi lascia più interdetta è che la sua “iniziativa” ha avuto un discreto successo. Quando ho dato un’occhiata per la prima volta al suo disgustoso account di Twitter, questa persona del mondo dello spettacolo statunitense aveva circa 10.000 followers. In meno di una settimana, il numero è pressoché raddoppiato. Io spero che la maggior parte di questi followers siano fake o siano comunque persone che ne sono state attratte semplicemente perché il suo nome è stato uno degli hashtag di maggior trend della scorsa settimana, e quindi si siano chieste: “Chi? Cosa? Perché?” e abbiano volute curiosare e seguire questa bizzarra vicenda. Purtroppo, dando una scorsa rapida ai profili dei followers, è innegabile che molti siano di ragazze giovani e vulnerabili a certi tipi di stimoli, persone che hanno già un DCA che viene senza dubbio alimentato e stimolato dalle thinspiration linkate da questa persona, persone che stanno cercando di combattere contro l’anoressia nelle quali leggere e vedere cose del genere può facilmente innescare una ricaduta. Ma non sono le sole persone malate, naturalmente. La cosa va oltre l’ovvio. Nessuno è soddisfatto al 100% del proprio aspetto fisico, ma questo non significa che svilupperà necessariamente un disturbo alimentare, e certo non sarà un account di Twitter pro ana a determinare il suo ingresso nella malattia. Ma immaginatevi un’adolescente insicura, insoddisfatta sia del proprio aspetto che della propria personalità, sulla quale magari già gravano fattori predisponenti allo sviluppo dell’anoressia… quale pensate possa essere l’effetto su una persona del genere di un tale account?
Giusto per darvi un’idea, ecco il contenuto di alcuni dei tweet pubblicati da questa persona (mia traduzione):
“Non ascoltare quello che ti dicono. Stanno solo cercando di farti ingrassare. Ti vogliono mandare in confusione, non cascarci. Rifiuta il cibo. Così sarai molto più felice.”
“[Nome], ciò che lo rende accettabile per le persone magre a livello globale è chiamare le persone grasse quello che sono: disgustose.”
“Tutte voi ragazze che non indossate ancora una taglia zero dovete tenere un diario alimentare, scrivendoci su tutto quello che mangiate & bevete – rileggetelo tutti i giorni per vedere quanto siete imperfette.”
Okay, mi sembra abbastanza.
Ora, sono consapevole che qualcuno può saltarmi addosso e dirmi che chi ascolta o prende atto di quello che dice è una persona che gioca al suo gioco, che la vede esattamente per come si vuol far vedere, e che quindi gli sto dando corda nel momento in cui scrivo questo post. Se solo fosse così facile da ignorare. Se siete una di quelle persone che non riescono a capire come questa persona potrebbe essere dannosa, piuttosto che commentare dicendo che chiunque si lasci traviare da una persona del genere è debole e stupida, per favore, siatene semplicemente grati.
A prescindere da che questa persona creda o meno in ciò che scrive, quello che fa è stupido, irresponsabile e, soprattutto, potenzialmente pericoloso. Questa persona fa passare l’idea che la taglia zero sia l’unica cosa veramente positiva, e che l’avere una taglia superiore significhi essere grasse e, conseguentemente, inaccettabili. In uno dei suoi tweet afferma che mangiare è un segno di debolezza. Dice che l’anoressia è ciò a cui si dovrebbe puntare – e, tra l’altro, GESTIRLA. Immagino che con il termine “gestire”, questa persona intendesse “controllare”. Okay, lasciate che vi dica che questo è assolutamente l’opposto di ciò che è l’anoressia. Certo, inizialmente la restrizione alimentare trasmette un incredibile senso di controllo… ma, a poco a poco, è l’anoressia che incomincia a controllare spietatamente la vita di chi ne è affetta. L’anoressia non può essere gestita, lei stessa ti porta alla fine fuori controllo, non è un qualcosa di maneggevole, ma un qualcosa che ti porta via tutto quello che prima faceva parte della tua vita… e, in certi casi, anche la vita stessa. Una persona che dice che l’anoressia si può gestire è dunque, a tutti gli effetti, una persona che sta promuovendo un comportamento assolutamente dannoso per la salute e la sopravvivenza.
Comunque, tornando all’articolo che ho letto e che mi ha fatto scoprire questa cosa…
Cos’è successo dopo? Che molti utenti di Twitter, sdegnati per questa cosa, hanno fatto una petizione sul social network stesso, per far sapere agli amministratori cosa stava succedendo. La petizione è stata “firmata” da migliaia di utenti, che hanno rapidamente creato hashtags quali #IsWhatsInsideThatCounts e #CurvesAreSexy. Anche alcune celebrità come Rihanna e Simon Cowell si sono uniti a questo “movimento anti-pro ana su Twitter”. Questo, però, ha creato anche tanto clamore intorno al suo nome, che presumibilmente è ciò che la persona in questione voleva sin dall’inizio – ha vinto il premio “chi-attira-di-più-l’attenzione”, il suo piano del cazzo ha funzionato. Questo l’ha sottolineato anche in alcuni dei suoi tweet. Per questo motivo all’inizio, dopo aver finito di leggere l’articolo, pensavo di non parlarne affatto. Il punto è che adesso, nonostante abbia già destato una massiva attenzione, continua a scrivere i suoi dannosi messaggini. E mi fa rabbia stare qui a leggere e non poter fare niente di concreto, e vedere che nessuno fa niente per fermarla. Certo, so perfettamente che anche questo mio post è fine a se stesso e non cambierà niente. Però non posso stare con le mani in mano, a vedere qualcuno che fa cose dannose consapevolmente, senza dire neanche niente.
Io sono dell’idea che, nella propria quotidianità, ogni singola persona è liberissima di scegliere cosa fare/non fare della propria vita. Se decide di rovinarsela inneggiando ad un’anoressia che desidera solo perché non la conosce, o osannando l’emesi violenta come forma di dimagrimento, sono affari suoi. Non sarà una gran perdita per nessuno, se non per se stessa. Quel che non mi piace, è quando le proprie paturnie vengono gettate in pubblica piazza, alla mercè di chiunque passi di lì. Anche di persone che non sono psicologicamente in grado di rispondere in maniera adeguata a certe sollecitazioni. Perché se una si vuole rovinare la vita di per sé, okay, sono fatti suoi. Ma che eviti di cercare di coinvolgere altre persone nella medesima dannazione, perché questo lo ritengo per lo meno di cattivo gusto (per non usare un’altra parola che inizia per S e finisce per tronzo).
Per cui, ciò che vorrei dire a questa persona del mondo dello spettacolo made in U.S.A. è: Vuoi essere un mostro anoressico, bruciare tutti i tuoi problemi in una fiamma di folle autocontrollo malindirizzato che potenzialmente, nella migliore delle ipotesi, rischia di farti morire, e nella peggiore rischia di farti continuare a vivere per il resto dei tuoi giorni in balìa di un DCA? Se sei così stupida da non capire che quello di cui hai bisogno è uno psicologo, e così ignorante da non capire i principi della nutrizione del corpo umano, e non hai nessuno vicino che possa darti una svegliata allora mi dispiace per te, non posso certo essere io la persona che ti farà cambiare idea, non sarò mica la prima idiota che ci prova… ed evidentemente non funziona. Ma dannati per conto tuo, chiudi questo account disgustoso e evita di impressionare ragazzine a disagio con se stesse, invischiate in chissà quali problemi familiari/scolastici/relazionali, che a 13 - 14 anni finiscono qui e per colpa tua credono di essere grasse e finiscono come te: in questo limbo di disperazione e di ossessione.
Io sono dell’idea che ciascuno debba avere il libero arbitrio sulla propria vita, senza però coinvolgere gli altri nelle proprie scelte.
Infine, avrei qualcosa da dire anche agli admin di Twitter, chiunque essi siano.
Sono consapevole dell’esistenza della libertà di pensiero e di parola, e trovo che sia un diritto di tutti. Ma anche quando questa libertà viene utilizzata per arrecare danno agli altri? E se questo account desse la spinta finale ad una persona che è già sull’orlo dell’abisso dell’anoressia?... E se anziché essere pro ana questo account fosse stato pro-autolesionismo?... O se ci fossero stati scritti consigli per suicidarsi? Avreste comunque evitato di oscurare l’account, in nome della libertà d’espressione? Perché, no, tra l’altro, se non l’aveste notato, incitare le persone a saltare pasti su pasti è una forma di autolesionismo e può, eventualmente, portare alla morte. Permettere a una persona del genere di continuare a scrivere questi tweet non vi sembra un po’ irresponsabile, da parte vostra? Un account del genere è irrispettoso nei confronti delle persone “sovrappeso”, e spinge verso una malattia. È giusto permettere l’esistenza di cose di questo tipo, in nome della cosiddetta “libertà di parola”, pur non potendone negare l’eventuale potenziale nocivo? Posso sembrare eccessiva, lo so. Ma basta un solo account per far sì che ne nascano molti altri sulla falsariga. Perché molto probabilmente la persona in questione non se ne rende conto, ma di anoressia si può morire. Si può morire anche ben prima di essere riuscite a raggiungere un peso da taglia zero, semplicemente perché i nostri corpi non sono progettati per andare avanti senza cibo. Se solo questa persona avesse vissuto un DCA sulla sua pelle, si renderebbe ben conto dell’entità della stronzata che sta facendo… ma dubito fortemente che una persona che fa una cosa del genere abbia la benché minima conoscenza di ciò che è l’anoressia, e men che meno abbia un paio di neuroni dentro quella cosa che c’ha piazzata sopra il collo, ma che probabilmente gli serve solo per controbilanciare il culo.
Voi come la pensate?
P.S.= Per chi ancora mi chiede se io sono su Twitter, sì, ci sono, e mi trovate QUI.
Insomma, secondo quanto riportato dall’articolo che ho letto, questa persona qualche settimana fa ha cambiato look del suo account di Twitter, e l’ha impostato sulla promozione della cosiddetta “size 0” (che, in italiano, corrisponderebbe alla 36), incoraggiando tutti i suoi followers a non mangiare, saltare i pasti, vomitarli e cercare di dimagrire quanto più possibile. La cosa che mi ha lasciata più allibita è che questa persona crede in quella che chiama “gestione dell’anoressia”. Ma su questo ci tornerò dopo.
Dunque, come dicevo, dopo aver letto l’articolo, sono andata a controllare su Twitter e, sì, effettivamente è tutto proprio come l’articolo lo descrive. Ora, io non ho la più pallida idea se questa persona crede effettivamente a tutte le cazzate che ha scritto, o se lo fa solo per fomentare il gossip (cose tipo “o bene o male, l’importante è che si parli di me, così rimango sulla cresta dell’onda”) e sentirsi al centro dell’attenzione. Non lo so e non è di questo che voglio parlare, anche perché probabilmente è proprio ciò che questa persona vuole – che si parli di lei – quindi mi limito semplicemente ad alcune osservazioni in merito al fatto, e ad esprimere la mia opinione personale.
La cosa che mi lascia più interdetta è che la sua “iniziativa” ha avuto un discreto successo. Quando ho dato un’occhiata per la prima volta al suo disgustoso account di Twitter, questa persona del mondo dello spettacolo statunitense aveva circa 10.000 followers. In meno di una settimana, il numero è pressoché raddoppiato. Io spero che la maggior parte di questi followers siano fake o siano comunque persone che ne sono state attratte semplicemente perché il suo nome è stato uno degli hashtag di maggior trend della scorsa settimana, e quindi si siano chieste: “Chi? Cosa? Perché?” e abbiano volute curiosare e seguire questa bizzarra vicenda. Purtroppo, dando una scorsa rapida ai profili dei followers, è innegabile che molti siano di ragazze giovani e vulnerabili a certi tipi di stimoli, persone che hanno già un DCA che viene senza dubbio alimentato e stimolato dalle thinspiration linkate da questa persona, persone che stanno cercando di combattere contro l’anoressia nelle quali leggere e vedere cose del genere può facilmente innescare una ricaduta. Ma non sono le sole persone malate, naturalmente. La cosa va oltre l’ovvio. Nessuno è soddisfatto al 100% del proprio aspetto fisico, ma questo non significa che svilupperà necessariamente un disturbo alimentare, e certo non sarà un account di Twitter pro ana a determinare il suo ingresso nella malattia. Ma immaginatevi un’adolescente insicura, insoddisfatta sia del proprio aspetto che della propria personalità, sulla quale magari già gravano fattori predisponenti allo sviluppo dell’anoressia… quale pensate possa essere l’effetto su una persona del genere di un tale account?
Giusto per darvi un’idea, ecco il contenuto di alcuni dei tweet pubblicati da questa persona (mia traduzione):
“Non ascoltare quello che ti dicono. Stanno solo cercando di farti ingrassare. Ti vogliono mandare in confusione, non cascarci. Rifiuta il cibo. Così sarai molto più felice.”
“[Nome], ciò che lo rende accettabile per le persone magre a livello globale è chiamare le persone grasse quello che sono: disgustose.”
“Tutte voi ragazze che non indossate ancora una taglia zero dovete tenere un diario alimentare, scrivendoci su tutto quello che mangiate & bevete – rileggetelo tutti i giorni per vedere quanto siete imperfette.”
Okay, mi sembra abbastanza.
Ora, sono consapevole che qualcuno può saltarmi addosso e dirmi che chi ascolta o prende atto di quello che dice è una persona che gioca al suo gioco, che la vede esattamente per come si vuol far vedere, e che quindi gli sto dando corda nel momento in cui scrivo questo post. Se solo fosse così facile da ignorare. Se siete una di quelle persone che non riescono a capire come questa persona potrebbe essere dannosa, piuttosto che commentare dicendo che chiunque si lasci traviare da una persona del genere è debole e stupida, per favore, siatene semplicemente grati.
A prescindere da che questa persona creda o meno in ciò che scrive, quello che fa è stupido, irresponsabile e, soprattutto, potenzialmente pericoloso. Questa persona fa passare l’idea che la taglia zero sia l’unica cosa veramente positiva, e che l’avere una taglia superiore significhi essere grasse e, conseguentemente, inaccettabili. In uno dei suoi tweet afferma che mangiare è un segno di debolezza. Dice che l’anoressia è ciò a cui si dovrebbe puntare – e, tra l’altro, GESTIRLA. Immagino che con il termine “gestire”, questa persona intendesse “controllare”. Okay, lasciate che vi dica che questo è assolutamente l’opposto di ciò che è l’anoressia. Certo, inizialmente la restrizione alimentare trasmette un incredibile senso di controllo… ma, a poco a poco, è l’anoressia che incomincia a controllare spietatamente la vita di chi ne è affetta. L’anoressia non può essere gestita, lei stessa ti porta alla fine fuori controllo, non è un qualcosa di maneggevole, ma un qualcosa che ti porta via tutto quello che prima faceva parte della tua vita… e, in certi casi, anche la vita stessa. Una persona che dice che l’anoressia si può gestire è dunque, a tutti gli effetti, una persona che sta promuovendo un comportamento assolutamente dannoso per la salute e la sopravvivenza.
Comunque, tornando all’articolo che ho letto e che mi ha fatto scoprire questa cosa…
Cos’è successo dopo? Che molti utenti di Twitter, sdegnati per questa cosa, hanno fatto una petizione sul social network stesso, per far sapere agli amministratori cosa stava succedendo. La petizione è stata “firmata” da migliaia di utenti, che hanno rapidamente creato hashtags quali #IsWhatsInsideThatCounts e #CurvesAreSexy. Anche alcune celebrità come Rihanna e Simon Cowell si sono uniti a questo “movimento anti-pro ana su Twitter”. Questo, però, ha creato anche tanto clamore intorno al suo nome, che presumibilmente è ciò che la persona in questione voleva sin dall’inizio – ha vinto il premio “chi-attira-di-più-l’attenzione”, il suo piano del cazzo ha funzionato. Questo l’ha sottolineato anche in alcuni dei suoi tweet. Per questo motivo all’inizio, dopo aver finito di leggere l’articolo, pensavo di non parlarne affatto. Il punto è che adesso, nonostante abbia già destato una massiva attenzione, continua a scrivere i suoi dannosi messaggini. E mi fa rabbia stare qui a leggere e non poter fare niente di concreto, e vedere che nessuno fa niente per fermarla. Certo, so perfettamente che anche questo mio post è fine a se stesso e non cambierà niente. Però non posso stare con le mani in mano, a vedere qualcuno che fa cose dannose consapevolmente, senza dire neanche niente.
Io sono dell’idea che, nella propria quotidianità, ogni singola persona è liberissima di scegliere cosa fare/non fare della propria vita. Se decide di rovinarsela inneggiando ad un’anoressia che desidera solo perché non la conosce, o osannando l’emesi violenta come forma di dimagrimento, sono affari suoi. Non sarà una gran perdita per nessuno, se non per se stessa. Quel che non mi piace, è quando le proprie paturnie vengono gettate in pubblica piazza, alla mercè di chiunque passi di lì. Anche di persone che non sono psicologicamente in grado di rispondere in maniera adeguata a certe sollecitazioni. Perché se una si vuole rovinare la vita di per sé, okay, sono fatti suoi. Ma che eviti di cercare di coinvolgere altre persone nella medesima dannazione, perché questo lo ritengo per lo meno di cattivo gusto (per non usare un’altra parola che inizia per S e finisce per tronzo).
Per cui, ciò che vorrei dire a questa persona del mondo dello spettacolo made in U.S.A. è: Vuoi essere un mostro anoressico, bruciare tutti i tuoi problemi in una fiamma di folle autocontrollo malindirizzato che potenzialmente, nella migliore delle ipotesi, rischia di farti morire, e nella peggiore rischia di farti continuare a vivere per il resto dei tuoi giorni in balìa di un DCA? Se sei così stupida da non capire che quello di cui hai bisogno è uno psicologo, e così ignorante da non capire i principi della nutrizione del corpo umano, e non hai nessuno vicino che possa darti una svegliata allora mi dispiace per te, non posso certo essere io la persona che ti farà cambiare idea, non sarò mica la prima idiota che ci prova… ed evidentemente non funziona. Ma dannati per conto tuo, chiudi questo account disgustoso e evita di impressionare ragazzine a disagio con se stesse, invischiate in chissà quali problemi familiari/scolastici/relazionali, che a 13 - 14 anni finiscono qui e per colpa tua credono di essere grasse e finiscono come te: in questo limbo di disperazione e di ossessione.
Io sono dell’idea che ciascuno debba avere il libero arbitrio sulla propria vita, senza però coinvolgere gli altri nelle proprie scelte.
Infine, avrei qualcosa da dire anche agli admin di Twitter, chiunque essi siano.
Sono consapevole dell’esistenza della libertà di pensiero e di parola, e trovo che sia un diritto di tutti. Ma anche quando questa libertà viene utilizzata per arrecare danno agli altri? E se questo account desse la spinta finale ad una persona che è già sull’orlo dell’abisso dell’anoressia?... E se anziché essere pro ana questo account fosse stato pro-autolesionismo?... O se ci fossero stati scritti consigli per suicidarsi? Avreste comunque evitato di oscurare l’account, in nome della libertà d’espressione? Perché, no, tra l’altro, se non l’aveste notato, incitare le persone a saltare pasti su pasti è una forma di autolesionismo e può, eventualmente, portare alla morte. Permettere a una persona del genere di continuare a scrivere questi tweet non vi sembra un po’ irresponsabile, da parte vostra? Un account del genere è irrispettoso nei confronti delle persone “sovrappeso”, e spinge verso una malattia. È giusto permettere l’esistenza di cose di questo tipo, in nome della cosiddetta “libertà di parola”, pur non potendone negare l’eventuale potenziale nocivo? Posso sembrare eccessiva, lo so. Ma basta un solo account per far sì che ne nascano molti altri sulla falsariga. Perché molto probabilmente la persona in questione non se ne rende conto, ma di anoressia si può morire. Si può morire anche ben prima di essere riuscite a raggiungere un peso da taglia zero, semplicemente perché i nostri corpi non sono progettati per andare avanti senza cibo. Se solo questa persona avesse vissuto un DCA sulla sua pelle, si renderebbe ben conto dell’entità della stronzata che sta facendo… ma dubito fortemente che una persona che fa una cosa del genere abbia la benché minima conoscenza di ciò che è l’anoressia, e men che meno abbia un paio di neuroni dentro quella cosa che c’ha piazzata sopra il collo, ma che probabilmente gli serve solo per controbilanciare il culo.
Voi come la pensate?
P.S.= Per chi ancora mi chiede se io sono su Twitter, sì, ci sono, e mi trovate QUI.
venerdì 3 maggio 2013
Focalizzare il denominatore
Recentemente ho scoperto una pubblicazione on-line inerente i disturbi alimentari che trovo davvero interessante. Mi riferisco all’ “International Journal of Eating Disorders”. Così, anche ieri mi sono messa a spulciare le novità pubblicate sull’ultima edizione.
Quello che mi ha colpito di più nell’edizione di questo mese è stato uno studio in particolare, non semplicemente per lo studio in sè, ma anche e soprattutto per i commenti che esso ha suscitato in chi lo ha letto, e che sono stati pubblicati dai rispettivi autori.
Cos’è venuto fuori da questo studio
I ricercatori (un gruppo di ricercatori degli U.S.A.) hanno valutato una serie di 942 adolescenti (età compresa tra i 14 e i 18 anni) che hanno afferito all’infermieria della scuola per varie ragioni (eh sì, non è solo una cosa dei telefilm, nelle scuole americane ci sono davvero delle infermierie!). A questi/e adolescenti è stato dato un questionario standardizzato, mirante a valutare (tra le altre cose) se questi/e ragazzi/e potessero avere o meno un qualsiasi disturbo alimentare. Il test cui mi riferisco è il questionario SCOFF, che vi riporto qua sotto. Rispondere “SI” a 2 o più domande è considerato diagnostico della presenza di un disturbo alimentare.
I ricercatori hanno anche valutato il BMI dei/delle ragazzi/e in questione, e se avessero problemi di alcool, droga, o se fossero fumatori. Interessante notare come il BMI fosse associato alla presenza di un qualche DCA, ma forse non nel modo che vi aspettereste: i/le ragazzi/e con BMI > 28 erano quelli/le che risultavano più frequentemente positivi/e al test – per la precisione, 3.2 volte più frequentemente associate alla presenza di comportamenti tipici da DCA rispetto agli adolescenti di cosiddetto “peso normale”.
Soprattutto, i ricercatori hanno osservato che ben il 16% delle persone mostrava segni della presenza di un DCA, e di questi circa il 30% erano maschi. Francamente, penso che questi numeri siano stati un po’ “pompati”, poiché a mio avviso il questionario SCOFF valuta più che altro le difficoltà che le persone possono avere nei confronti del proprio corpo e dell’alimentazione, non tanto la presenza di un DCA conclamato – ma questo esula da ciò che volevo dire in questo post.
Ma qual è il denominatore?
E questa domanda ci riporta ai commenti sottostanti l’articolo che ho letto. Uno in particolare mi ha colpito, ed è quello che dice:
“Trovo molto interessante questo studio relativo alla prevalenza dei DCA tra gli adolescenti di 14 – 18 anni che accedono all’infermieria scolastica. È per me sorprendente vedere che in uno screening di quasi 1000 persone, ben il 16% sono risultate positive per un DCA, perchè a quanto ne sapevo finora, avevo letto dappertutto che l’anoressia interessa circa l’1% della popolazione, la bulimia circa il 3%, e i DCAnas circa il 4%. Dunque, l’incidenza di queste malattie è marcatamente in aumento!!! Inoltre, è assolutamente inatteso per me il vedere che ben il 30% di queste persone sono ragazzi, quando il luogo comune è che i DCA interessino solo lo 0.1% della popolazione maschile. Grazie a questo articolo mi rendo invece conto che anche gli uomini hanno un elevato rischio di sviluppare un DCA.”
(mia traduzione)
Okay, qual è il punto. Il punto è che la popolazione sottoposta a screening non è, a mio avviso, sufficientemente eterogenea da rendere questo studio valido. Pensateci. Sono state screenate SOLO le persone che accedevano all’infermieria. Il che non significa che il 16% degli adolescenti abbia un DCA… significa soltanto che il 16% delle persone che sono finite in infermieria hanno risposto “SI” ad almeno 2 delle 5 domande del questionario SCOFF.
Ripeto: questo studio NON dimostra che il 16% degli adolescenti ha un DCA.
Anche se l’autore del commento che vi ho riportato non lo dice direttamente, in quello che scrive è implicito che crede che il 16% dei/delle ragazzi/e tra i 14 e i 18 anni abbia un DCA. Il fatto è che i ragazzi screenati erano solo quelli che accedevano all’infermieria… e in questa piccola popolazione selettiva e relativamente omogenea, pare abbastanza ovvio che chi va in infermieria possa avere un DCA, dati gli elevati livelli di co-morbidità che un disturbo alimentare comporta, sia da un punto di vista fisico che psichico. Oggettivamente, è molto più facile che finisca in infermieria una ragazza con un DCA piuttosto che una ragazza che si alimenta correttamente; il che rende ragione degli alti numeri riportati in questo studio.
Pertanto, secondo me non c’è alcuna dimostrazione che l’incidenza dei DCA sia vertiginosamente in aumento. Non credo che in precedenza siano mai stati fatti altri studi relativi alla percentuale di adolescenti con un effettivo DCA che si recavano nell’infermieria della scuola, quindi è impossibile dire se i numeri siano in aumento o in decremento rispetto al passato. Inoltre, il campione analizzato conta meno di 1000 persone, non è un lavoro fatto su grandi numeri, quindi mi chiedo come da un campione così numericamente limitato si possano estrapolare conclusioni di una qualche validità scientifica. Io immagino che ad oggi ci sia più informazione in merito ai DCA che non in passato, per cui le persone che ne sono affette sono più inclini a cercare aiuto (o vengono mandate dai genitori da qualche terapeuta, da qualsiasi parte si voglia vedere la cosa) ma, di nuovo, questo non significa che i DCA siano più frequenti che in passato.
Quando si legge un qualsiasi studio scientifico, credo sia sempre molto importante focalizzare qual è il denominatore dello stesso, ovvero la porzione, la “fetta” di popolazione che i ricercatori stanno effettivamente esaminando. Qui, la “popolazione” è quella degli adolescenti che si recano in infermieria. Se il questionario SCOFF fosse stato fatto compilare a pazienti ricoverate in un centro specializzato per il trattamento dei DCA, credo proprio che avremmo trovato il 100% di prevalenza all’interno di quella specifica popolazione... ma questo non significa che tutta la gente del mondo abbia un DCA. Perciò, qualora vi capitasse di leggere questo studio, niente allarmismi sul fatto che così tanti/e ragazzi/e abbiano un DCA, considerate le caratteristiche della popolazione che è stata sondata.
Questo studio lo reputo comunque importante perchè mostra che anche le infermierie scolastiche possono avere un ruolo importante nell’identificare una potenziale persona con DCA. Certo, probabilmente avranno millemila altre cose di cui occuparsi e preoccuparsi, ma è comunque utile saperlo, perché è possibile agire in questa direzione. Tra l’altro, a me non piace il questionario SCOFF (non mi piacciono i questionari in generale, perché penso siano riduttivi quantomeno in campo medico) ma ha per lo meno il pregio di essere rapido e diretto, quindi capisco perché possa essere stato deciso di utilizzarlo per uno studio del genere.
Quindi, penso che certamente questo studio abbia la sua utilità, ma stiamo sempre molto attente quando leggiamo gli studi relativi ai DCA, e siamo sempre molto caute nell’interpretarli, perché occorre prima valutare bene le circostanze che hanno portato a certi risultati.
Quello che mi ha colpito di più nell’edizione di questo mese è stato uno studio in particolare, non semplicemente per lo studio in sè, ma anche e soprattutto per i commenti che esso ha suscitato in chi lo ha letto, e che sono stati pubblicati dai rispettivi autori.
Cos’è venuto fuori da questo studio
I ricercatori (un gruppo di ricercatori degli U.S.A.) hanno valutato una serie di 942 adolescenti (età compresa tra i 14 e i 18 anni) che hanno afferito all’infermieria della scuola per varie ragioni (eh sì, non è solo una cosa dei telefilm, nelle scuole americane ci sono davvero delle infermierie!). A questi/e adolescenti è stato dato un questionario standardizzato, mirante a valutare (tra le altre cose) se questi/e ragazzi/e potessero avere o meno un qualsiasi disturbo alimentare. Il test cui mi riferisco è il questionario SCOFF, che vi riporto qua sotto. Rispondere “SI” a 2 o più domande è considerato diagnostico della presenza di un disturbo alimentare.
I ricercatori hanno anche valutato il BMI dei/delle ragazzi/e in questione, e se avessero problemi di alcool, droga, o se fossero fumatori. Interessante notare come il BMI fosse associato alla presenza di un qualche DCA, ma forse non nel modo che vi aspettereste: i/le ragazzi/e con BMI > 28 erano quelli/le che risultavano più frequentemente positivi/e al test – per la precisione, 3.2 volte più frequentemente associate alla presenza di comportamenti tipici da DCA rispetto agli adolescenti di cosiddetto “peso normale”.
Soprattutto, i ricercatori hanno osservato che ben il 16% delle persone mostrava segni della presenza di un DCA, e di questi circa il 30% erano maschi. Francamente, penso che questi numeri siano stati un po’ “pompati”, poiché a mio avviso il questionario SCOFF valuta più che altro le difficoltà che le persone possono avere nei confronti del proprio corpo e dell’alimentazione, non tanto la presenza di un DCA conclamato – ma questo esula da ciò che volevo dire in questo post.
Ma qual è il denominatore?
E questa domanda ci riporta ai commenti sottostanti l’articolo che ho letto. Uno in particolare mi ha colpito, ed è quello che dice:
“Trovo molto interessante questo studio relativo alla prevalenza dei DCA tra gli adolescenti di 14 – 18 anni che accedono all’infermieria scolastica. È per me sorprendente vedere che in uno screening di quasi 1000 persone, ben il 16% sono risultate positive per un DCA, perchè a quanto ne sapevo finora, avevo letto dappertutto che l’anoressia interessa circa l’1% della popolazione, la bulimia circa il 3%, e i DCAnas circa il 4%. Dunque, l’incidenza di queste malattie è marcatamente in aumento!!! Inoltre, è assolutamente inatteso per me il vedere che ben il 30% di queste persone sono ragazzi, quando il luogo comune è che i DCA interessino solo lo 0.1% della popolazione maschile. Grazie a questo articolo mi rendo invece conto che anche gli uomini hanno un elevato rischio di sviluppare un DCA.”
(mia traduzione)
Okay, qual è il punto. Il punto è che la popolazione sottoposta a screening non è, a mio avviso, sufficientemente eterogenea da rendere questo studio valido. Pensateci. Sono state screenate SOLO le persone che accedevano all’infermieria. Il che non significa che il 16% degli adolescenti abbia un DCA… significa soltanto che il 16% delle persone che sono finite in infermieria hanno risposto “SI” ad almeno 2 delle 5 domande del questionario SCOFF.
Ripeto: questo studio NON dimostra che il 16% degli adolescenti ha un DCA.
Anche se l’autore del commento che vi ho riportato non lo dice direttamente, in quello che scrive è implicito che crede che il 16% dei/delle ragazzi/e tra i 14 e i 18 anni abbia un DCA. Il fatto è che i ragazzi screenati erano solo quelli che accedevano all’infermieria… e in questa piccola popolazione selettiva e relativamente omogenea, pare abbastanza ovvio che chi va in infermieria possa avere un DCA, dati gli elevati livelli di co-morbidità che un disturbo alimentare comporta, sia da un punto di vista fisico che psichico. Oggettivamente, è molto più facile che finisca in infermieria una ragazza con un DCA piuttosto che una ragazza che si alimenta correttamente; il che rende ragione degli alti numeri riportati in questo studio.
Pertanto, secondo me non c’è alcuna dimostrazione che l’incidenza dei DCA sia vertiginosamente in aumento. Non credo che in precedenza siano mai stati fatti altri studi relativi alla percentuale di adolescenti con un effettivo DCA che si recavano nell’infermieria della scuola, quindi è impossibile dire se i numeri siano in aumento o in decremento rispetto al passato. Inoltre, il campione analizzato conta meno di 1000 persone, non è un lavoro fatto su grandi numeri, quindi mi chiedo come da un campione così numericamente limitato si possano estrapolare conclusioni di una qualche validità scientifica. Io immagino che ad oggi ci sia più informazione in merito ai DCA che non in passato, per cui le persone che ne sono affette sono più inclini a cercare aiuto (o vengono mandate dai genitori da qualche terapeuta, da qualsiasi parte si voglia vedere la cosa) ma, di nuovo, questo non significa che i DCA siano più frequenti che in passato.
Quando si legge un qualsiasi studio scientifico, credo sia sempre molto importante focalizzare qual è il denominatore dello stesso, ovvero la porzione, la “fetta” di popolazione che i ricercatori stanno effettivamente esaminando. Qui, la “popolazione” è quella degli adolescenti che si recano in infermieria. Se il questionario SCOFF fosse stato fatto compilare a pazienti ricoverate in un centro specializzato per il trattamento dei DCA, credo proprio che avremmo trovato il 100% di prevalenza all’interno di quella specifica popolazione... ma questo non significa che tutta la gente del mondo abbia un DCA. Perciò, qualora vi capitasse di leggere questo studio, niente allarmismi sul fatto che così tanti/e ragazzi/e abbiano un DCA, considerate le caratteristiche della popolazione che è stata sondata.
Questo studio lo reputo comunque importante perchè mostra che anche le infermierie scolastiche possono avere un ruolo importante nell’identificare una potenziale persona con DCA. Certo, probabilmente avranno millemila altre cose di cui occuparsi e preoccuparsi, ma è comunque utile saperlo, perché è possibile agire in questa direzione. Tra l’altro, a me non piace il questionario SCOFF (non mi piacciono i questionari in generale, perché penso siano riduttivi quantomeno in campo medico) ma ha per lo meno il pregio di essere rapido e diretto, quindi capisco perché possa essere stato deciso di utilizzarlo per uno studio del genere.
Quindi, penso che certamente questo studio abbia la sua utilità, ma stiamo sempre molto attente quando leggiamo gli studi relativi ai DCA, e siamo sempre molto caute nell’interpretarli, perché occorre prima valutare bene le circostanze che hanno portato a certi risultati.
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venerdì 26 aprile 2013
Ansia, cibo e necessità di controllo
Recentemente ho letto un articolo inerente la relazione che intercorre tra fobie e la necessità di controllo. Una delle componenti-chiave della fobia è l’ansia, la paura di perdere il controllo. Cosa potrebbe succedere se fossi chiusa dentro uno spazio molto ristretto e non potessi uscire? – si chiede la persona claustrofobica. O, nel caso dell’anoressia: cosa potrebbe succedere se io non restringessi sistematicamente l’alimentazione? Cosa potrebbe succedere se non facessi sempre la stessa attività fisica tutti i giorni?, e così via…
Il controllo è in realtà un sentimento qualitativo, sì, ma attraverso il DCA lo trasformiamo in un qualcosa di quantitativo: dose di cibo assunto, entità di attività fisica svolta, B.M.I., taglia dei vestiti… Il punto è che, in realtà, la nostra spasmodica ricerca di controllo è strettamente connessa alla ricerca di un sollievo dall’ansia. Il pensiero di base è: se riesco a controllare alla perfezione tutto ciò che riguarda il cibo e l’attività fisica, allora mi sentirò come se tutto nella vita potesse andare bene.
Salvo poi ovviamente il rendersi conto che questo “andare tutto bene” è un’utopia, e che le cose non vanno dritte a prescindere dal nostro comportamento alimentare. Ma la sensazione di controllo che l’anoressia comunque c’infonde è tale che continuiamo ad ancorarci ad essa anche quando sappiamo quanto possa essere deleteria per noi.
Io penso – per quella che è stata la mia esperienza personale, si capisce, lungi da me il voler fare di tutta l’erba un fascio – che l’aspetto fondamentale di un DCA sia proprio la mania di avere il controllo. La necessità di avere la sensazione di avere il controllo, vero o illusorio che sia, è la base di tutto. Ma non è tutto, ovviamente. Perché spesso l’anoressia non nasce soltanto come un qualcosa che si sente il bisogno di controllare, ma anche come un modo per provare a sentirci più a nostro agio con noi stesse. Il tutto diventa poi un serpente che si morde la coda: più andiamo avanti nella malattia, più sentiamo che il controllo ci sfugge, più strettamente cerchiamo di controllare l’alimentazione per evitare di essere soverchiate dall’ansia.
L’ansia è un altro elemento molto importante nel contesto di un DCA. Non è tanto correlata al cibo in sé, quanto a tutto il resto: alla vita stessa, così ansiogena che bisogna per forza ricorrere ad una strategia di coping. Occorre inoltre sempre tener presente il fatto che i DCA hanno un effetto sia psicologico, sia neurochimico: il ridurre l’introito alimentare limita la produzione di quei neurotrasmettitori che fomentano l’ansia, e i comportamenti rituali di checkup danno l’illusione di avere il pieno controllo su ogni singolo aspetto della propria vita.
Paradossalmente, più ci s’inoltra nell’anoressia, più la vita diventa difficile. Questo ci spinge a impegnarci ancora di più in questa via distruttiva per mantenere il senso di controllo che il DCA ci dà. L’avere un senso di controllo riduce lo stress.
Una delle cose che più stressa le persone è sentire di non avere il controllo. Quando perdiamo il controllo, attuiamo elaborate ginnastiche mentali per auto-convincerci che abbiamo il controllo, o per evitare di compiere azioni che potrebbero portarci a perdere il controllo. Molte di queste sono ascrivibili al “pensiero magico”: se vado sulla cyclette per mezz’ora, andrà tutto bene. Manterrò il controllo, il mio peso rimarrà stabile, e sarà tutto okay. Oppure: se riesco a restringere l'alimentazione in questo modo, posso controllare tutto e quindi niente mi coglierà impreparata. Cose del genere diventano mantra inconsci che ci ripetiamo più e più volte, arrivando ad organizzare sempre di più la nostra vita in funzione delle stesse.
Quel che dovremo fare, perciò, è imparare ad affrontare face-to-face i nostri veri problemi. Soltanto confrontandoci con quello che ci mette ansia e ci spaventa, possiamo renderci conto che il controllo è sopravvalutato. Inoltre, ironicamente, dato tutto il controllo che abbiamo dato prova di possedere con l’anoressia, possiamo utilizzare lo stesso per mantenerci dritte sulla strada del ricovero: non abbiamo forse dimostrato di avere un controllo così forte da permetterci di fare tutto ciò che vogliamo??!...
Dunque, in conclusione, l’anoressia non è una malattia del cibo, è una malattia del controllo. È anche una malattia dell’ansia, della paura, dello stress, di tutti i problemi assolutamente individuali e personali che ognuna di noi ha e che momentaneamente non riesce ad affrontare se non con quest’erronea strategia di coping. Un DCA è un insieme di tante cose, in fondo, per cui penso che l’unico semplice modo per spiegare cos’è un DCA sia il dire che è… complicato.
Il controllo è in realtà un sentimento qualitativo, sì, ma attraverso il DCA lo trasformiamo in un qualcosa di quantitativo: dose di cibo assunto, entità di attività fisica svolta, B.M.I., taglia dei vestiti… Il punto è che, in realtà, la nostra spasmodica ricerca di controllo è strettamente connessa alla ricerca di un sollievo dall’ansia. Il pensiero di base è: se riesco a controllare alla perfezione tutto ciò che riguarda il cibo e l’attività fisica, allora mi sentirò come se tutto nella vita potesse andare bene.
Salvo poi ovviamente il rendersi conto che questo “andare tutto bene” è un’utopia, e che le cose non vanno dritte a prescindere dal nostro comportamento alimentare. Ma la sensazione di controllo che l’anoressia comunque c’infonde è tale che continuiamo ad ancorarci ad essa anche quando sappiamo quanto possa essere deleteria per noi.
Io penso – per quella che è stata la mia esperienza personale, si capisce, lungi da me il voler fare di tutta l’erba un fascio – che l’aspetto fondamentale di un DCA sia proprio la mania di avere il controllo. La necessità di avere la sensazione di avere il controllo, vero o illusorio che sia, è la base di tutto. Ma non è tutto, ovviamente. Perché spesso l’anoressia non nasce soltanto come un qualcosa che si sente il bisogno di controllare, ma anche come un modo per provare a sentirci più a nostro agio con noi stesse. Il tutto diventa poi un serpente che si morde la coda: più andiamo avanti nella malattia, più sentiamo che il controllo ci sfugge, più strettamente cerchiamo di controllare l’alimentazione per evitare di essere soverchiate dall’ansia.
L’ansia è un altro elemento molto importante nel contesto di un DCA. Non è tanto correlata al cibo in sé, quanto a tutto il resto: alla vita stessa, così ansiogena che bisogna per forza ricorrere ad una strategia di coping. Occorre inoltre sempre tener presente il fatto che i DCA hanno un effetto sia psicologico, sia neurochimico: il ridurre l’introito alimentare limita la produzione di quei neurotrasmettitori che fomentano l’ansia, e i comportamenti rituali di checkup danno l’illusione di avere il pieno controllo su ogni singolo aspetto della propria vita.
Paradossalmente, più ci s’inoltra nell’anoressia, più la vita diventa difficile. Questo ci spinge a impegnarci ancora di più in questa via distruttiva per mantenere il senso di controllo che il DCA ci dà. L’avere un senso di controllo riduce lo stress.
Una delle cose che più stressa le persone è sentire di non avere il controllo. Quando perdiamo il controllo, attuiamo elaborate ginnastiche mentali per auto-convincerci che abbiamo il controllo, o per evitare di compiere azioni che potrebbero portarci a perdere il controllo. Molte di queste sono ascrivibili al “pensiero magico”: se vado sulla cyclette per mezz’ora, andrà tutto bene. Manterrò il controllo, il mio peso rimarrà stabile, e sarà tutto okay. Oppure: se riesco a restringere l'alimentazione in questo modo, posso controllare tutto e quindi niente mi coglierà impreparata. Cose del genere diventano mantra inconsci che ci ripetiamo più e più volte, arrivando ad organizzare sempre di più la nostra vita in funzione delle stesse.
Quel che dovremo fare, perciò, è imparare ad affrontare face-to-face i nostri veri problemi. Soltanto confrontandoci con quello che ci mette ansia e ci spaventa, possiamo renderci conto che il controllo è sopravvalutato. Inoltre, ironicamente, dato tutto il controllo che abbiamo dato prova di possedere con l’anoressia, possiamo utilizzare lo stesso per mantenerci dritte sulla strada del ricovero: non abbiamo forse dimostrato di avere un controllo così forte da permetterci di fare tutto ciò che vogliamo??!...
Dunque, in conclusione, l’anoressia non è una malattia del cibo, è una malattia del controllo. È anche una malattia dell’ansia, della paura, dello stress, di tutti i problemi assolutamente individuali e personali che ognuna di noi ha e che momentaneamente non riesce ad affrontare se non con quest’erronea strategia di coping. Un DCA è un insieme di tante cose, in fondo, per cui penso che l’unico semplice modo per spiegare cos’è un DCA sia il dire che è… complicato.
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venerdì 19 aprile 2013
Ritornando sulla prevenzione dei DCA
Prevenzione dei DCA. Ne ho già parlato in passato, in effetti, ma in questo post voglio focalizzarmi soprattutto su quello che credo tutti dovrebbero conoscere a proposito degli interventi di prevenzione per quanto, si sa, essendo i DCA delle malattie mentali, la copertura preventiva non può per forza di cose essere efficace come quella che si può mettere in atto nei confronti di una malattia fisica.
Per chi non avesse tempo di leggersi tutto questo post che, ve lo anticipo, sarà piuttosto lungo perchè ho in mente un sacco di cose, lasciate che riassuma quello che ad oggi sappiamo in merito alla prevenzione dei DCA in due parole: non molto.
Per chi vuole invece addentrarsi nel tema della prevenzione, parlando come un’epidemiologa, potrei innanzitutto dire che utilizzare il termine “prevenzione” senza alcuna specifica mi sembra quantomeno improprio. Esistono, in effetti, 3 principali tipologie di prevenzione, ovvero:
• Prevenzione Primaria: è la forma classica e principale di prevenzione, focalizzata sull'adozione di interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre l'insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole.
> Le campagne messe in atto da “Love Your Body” sono un buon esempio di prevenzione primaria.
• Prevenzione Secondaria: si tratta di una definizione tecnica che si riferisce alla diagnosi precoce di una patologia, permettendo così di intervenire precocemente sulla stessa, ma non evitando o riducendone la comparsa. La precocità di intervento aumenta le opportunità terapeutiche, migliorandone la progressione e riducendo gli effetti negativi.
> Trattare i disturbi alimentari subclinici o alle prime avvisaglie è un buon esempio di prevenzione secondaria.
• Prevenzione Terziaria: è un termine tecnico relativo non tanto alla prevenzione della malattia in sé, quanto dei suoi esiti più complessi. La prevenzione in questo caso è quella delle complicanze, delle probabilità di recidive e della morte.
> Tutti gli sforzi mirati ad incoraggiare parenti e pazienti a trattare il DCA quanto più rapidamente possibile è un buon esempio di prevenzione terziaria.
(Grazie mille a Wikipedia, dalla quale ho preso queste definizioni!)
La maggior parte della prevenzione che si può fare su anoressia/bulimia è prevenzione primaria. La campagna attuata da “Love Your Body” ne è un fantastico esempio. Il problema che secondo me però nasce quando si cerca di attuare una prevenzione primaria sui DCA, è che esiste un solo metodo basato sull’evidenza di prevenzione primaria (del quale parlerò dopo più approfonditamente) e non affronta tutti i fattori di rischio per lo sviluppo di un DCA di cui siamo ad oggi a conoscenza. L’altro problema è che, semplicemente, non se ne sa ancora abbastanza di quali siano le vere cause che portano all’insorgenza di un DCA, per poter estendere e generalizzare la prevenzione a livello di popolazione.
Se ne sa certamente di più rispetto all’importanza di affrontare e trattare i DCA quanto più precocemente possibile, e dal momento che la data odierna mi permette di rimanere in tema, do sfogo alla mia vena nerd di epidemiologia e approfondisco un po’ l’argomento.
Prevenzione Primaria
Quando ho dato un’occhiata alla letteratura in merito alla prevenzione dei DCA per poter scrivere questo post, ho scoperto che il 95% di essa è basata sulla prevenzione dell’adozione di stili alimentari scorretti, nonché sulla valorizzazione della propria immagine corporea. Ora, chi legge questo blog da un po’ di tempo, saprà benissimo che io credo che condotte alimentari erronee e distorsione dell’immagine corporea NON sono DCA. Per di più, il 100% della letteratura si focalizza su cose come l’influenza dei mass-media e l’importanza di amare il proprio corpo.
Prima di andare avanti, una precisazione: non ho niente in contrario al dare un limitato spazio all’influenza dei mass-media. Di certo questi fomentano un “mercato” dei DCA, poiché il mercato dell’'anoressia/bulimia rende moltissimo: sulle sue tragedie ingrassano enormi settori economici, da quello alimentare a quello degli integratori, a quello dei cibi ipocalorici, delle chewing-gum senza zucchero e delle Coca Cola Light, a quello delle riviste di moda e di stile e dell'inarrestabile dilagare di bisogni falsi che ne derivano, e relative pubblicità ossessive - con gli immani movimenti di denaro che tutto questo muove senza sosta. Ritengo che sarebbe certamente opportuno spiegare alle bambine (e anche a quelle che sono un po’ cresciute…) che un corpo in salute più avere taglie e forme differenti, e che l’importante è prendersi cura di sé nutrendosi propriamente e facendo cose che fanno stare bene. Tuttavia, resto dell’idea che questo tipo di messaggi non serva ad un granché nella prevenzione dell’anoressia.
Nel 2008, Eric Stice ha pubblicato i primi risultati di uno studio (Stice et al., 2008) relativo ad un programma di prevenzione dei disturbi alimentari. In breve, in questo studio sono state prese 481 ragazze adolescenti con problemi relativi alla propria immagine corporea, che sono state divise in 3 gruppi: il primo prendeva in esame rischi, costi e realtà dell’ideale di magrezza, il secondo era un gruppo sulla promozione di un peso corporeo sano, e il terzo (gruppo di controllo) un gruppo di scrittura espressiva. Le ragazze appartenenti ai 3 gruppi avevano 3 ore di tempo per svolgere l’incarico che era stato loro assegnato. In un follow-up eseguito negli anni successivi, gli autori dello studio hanno identificato 3 nuovi casi di anoressia sottosoglia, un nuovo caso di bulimia conclamata, 23 nuovi casi di bulimia sottosoglia, 1 nuovo caso di binge e 12 nuovi casi di binge sublinico. (Le ragazze che avevano già un DCA erano state escluse dallo studio). Rispetto alle ragazze inserite nel gruppo di controllo, le persone nel gruppo di decostruzione dell’ideale di magrezza hanno mostrato una riduzione del 60% della comparsa di “patologie dell’alimentazione” (6% VS 15%).
Tuttavia, nel follow-up svolto nel 2011 la discrepanza si era significativamente ridotta. Le ragazze del gruppo della decostruzione dell’ideale di magrezza mostravano una riduzione dei livelli di sintomi di DCA, ma non una riduzione della comparsa di nuovi casi di DCA. Evidentemente, dunque, l’insoddisfazione per la propria immagine corporea, a lungo termine, non è il vero motore che sostiene l’anoressia.
Il problema degli interventi di prevenzione primaria, a mio avviso, è che essi danno per scontato che i DCA siano primariamente una “malattia sociale”, senza tener conto del fatto che invece sono essenzialmente malattie psichiche. L’anoressia non è il tentativo di raggiungere un’ideale di magrezza, e il pensare che invece essa sia semplicemente legata alla voglia di dimagrire eccessivamente per aderire ad un’ideale di magrezza proposto dalla società rivela una completa ignoranza in materia. Ma se questa è l’idea che viene fatta passare dai mass-media, non posso fare a meno di pensare che non c’è da meravigliarsi che la maggior parte della gente (che non ha vissuto questa malattia sulla propria pelle) percepisca l’anoressia come una malattia legata solo al cibo e al peso, nonché come un capriccio di ragazzine vanitose, e che tenti di prevenirla al più con la settimana “Love Your Body”.
Allo stesso tempo, tralasciando la vera natura dell’anoressia, ovvero quella psicologica, non si va a mirare la prevenzione su quelle che sono le condizioni caratteriali e i backgrounds che potrebbero portare una persona a sviluppare un DCA, interventi che invece penso potrebbero essere utili ad alcuni sottoinsiemi di persone potenzialmente a rischio di sviluppare un DCA. Penso quindi che concentrarsi troppo sulla prevenzione mirata unicamente sulla fisicità, sia un qualcosa di sostanzialmente inutile.
Prevenzione Secondaria
Malgrado quanto ultimamente i mass-media abbiano detto a proposito delle bambine che cominciano a stare a dieta già dall’età di 9 – 10 anni, non tutte queste bambine hanno il medesimo rischio di ammalarsi di anoressia. In effetti, la stragrande maggioranza di queste bambine che fanno la dieta non svilupperà un DCA. Allo stesso tempo, credo che individuare tra queste bambine quelle che sono effettivamente a rischio di sviluppare un DCA, sia pressoché impossibile. Ci sono certamente dei “fattori di rischio” più generali, ma dato che poi ogni persona ha il suo carattere e il suo modo di rapportarsi agli eventi, è di fatto impossibile prevedere la possibile evoluzione di un DCA.
Alcuni anni fa, dei ricercatori dell’Università di Stanford randomizzarono 480 studentesse universitarie sovrappeso e con problemi relativi alla propria immagine corporea, con un gruppo di controllo per 8 settimane, durante le quali queste ragazze seguirono un corso CBT (Cognitive Behavioural Therapy – Terapia Cognitivo-Comportamentale) on-line con un gruppo di discussione ovviamente monitorato dai ricercatori (Taylor et al., 2006).
Queste donne vennero seguite per 2 anni, e venne data loro la possibilità di continuare a partecipare alla CBT anche al termine del periodo di follow-up. In sintesi, i ricercatori non rilevarono alcuna significativa differenza tra gruppo di controllo e gruppo di trattamento. Tuttavia, guardando ai sottogruppi di partecipanti, i ricercatori notarono che le ragazze con un BMI > 25 e quelle che mettevano in atto comportamenti di compenso, avevano tratto notevoli benefici dal seguire il programma di CBT. Mentre l’11,9% delle donne con BMI > 25 nel gruppo di controllo aveva sviluppato un DCA subclinico durante i 2 anni di follow-up, non lo aveva fatto nessuna del gruppo CBT.
Certo, i numeri su cui si basa questo studio sono piccoli, e non credo proprio che i ricercatori abbiano pensato di fare delle analisi dei sottogruppi primo e/o dopo aver testato i 2 grandi gruppi in toto. Fare statistiche è certamente complicato, ma costruire a posteriori dei sottogruppi perché i risultati ottenuti non dicono quello che si vuole sentir dire, è fin troppo semplice e matematicamente non significativo. In effetti, i ricercatori hanno iniziato a parlare di sottogruppi solo dopo aver considerato i 2 grandi gruppi in toto, ed aver visto che c’erano delle differenze tra le componenti dei singoli gruppi.
Per quanto ne so, uno studio del genere non è mai stato ripetuto, il che costituisce il maggior punto debole dello studio succitato, e anche di quello di Stice. Mi piacerebbe molto che i ricercatori (che sicuramente staranno tutti leggendo il mio blog… ^__^”) improntassero i loro prossimi studi focalizzandosi su un gruppo costituito da “adolescenti medie”, ovvero ragazze che, al momento dello studio, non hanno niente a che vedere con problemi relativi alla propria immagine corporea, e non abbiamo problemi psichici rilevanti di sorta.
Prevenzione Terziaria
La prevenzione terziaria è inerente il sospetto diagnostico precoce, la diagnosi precoce, e il trattamento precoce. A tal proposito, è stato creato un programma on-line rivolto ai genitori/familiari di quelle ragazze che aderiscono ai “criteri di rischio” per l’anoressia (Jones et al., 2012): i genitori ricevono per 6 settimane informazioni, la possibilità di chattare con gli altri genitori che consultano il programma, video, quiz, notazioni comportamentali, e sono seguiti per un anno. Delle 19 famiglie che hanno partecipato, il follow-up mostra che molte di esse hanno avuto una riduzione dei “criteri di rischio” per anoressia dopo un anno. Al solito, però, i piccoli numeri tradiscono lo studio: sui piccoli numeri non si può fare statistica.
Soprattutto, il problema con la prevenzione terziaria sta nel fatto che, ad oggi, non si sa cosa effettivamente funzioni, sia utile. È per questo che non viene sostanzialmente fatto niente al riguardo, e i DCA vengono per lo più riconosciuti quando sono conclamati. Anche i medici spesso inizialmente non riconoscono un DCA e dicono: “Non stai poi così male” o “Le cose non vanno poi così male” o “Bè, in fondo non sei [inserire qui i luoghi comuni che vi siete sentite dire millemila volte]". Ho peraltro saputo che ci sono alcune cliniche in cui viene accettato il ricovero solo se la persona ha perso un certo TOT di peso, o vomita un TOT di volte al giorno (AAAAARGH!!!!). E i genitori tendono a negare la malattia fino a che non è conclamata. Tutto questo dovrebbe essere diverso, ovviamente, perché tutto questo riduce la possibilità che una persona malata di DCA possa ricevere l’aiuto di cui necessita e incrementa la mortalità legata a queste malattie… ma tutto questo rimane così perché alla fine nessuno sa veramente come agire.
Eppure, l’importanza del trattamento quanto più precoce possibile nei DCA è sottolineato in un articolo pubblicato già nel 2003:
“[…] C’è una forte evidenza del fatto che più a lungo dura un disturbo alimentare, più è difficile uscirne. I DCA necessitano di una diagnosi precoce al fine di renderne il trattamento più efficace possibile. Tuttavia, ad oggi, nel tempo che occorre per formulare la diagnosi, la persona malata incorre in problemi biopsicosociali rilevanti. L’intervento terapeutico dovrebbe essere messo in atto alle prime avvisaglie, ai primi sintomi di anomalie nell’alimentazione. Dovrebbe essere posta più attenzione su questo punto. Un riconoscimento precoce della malattia da parte di genitori, familiari, amici, insegnanti, allenatori potrebbe facilitare e sveltire l’inizio dei trattamenti terapeutici. La popolazione dovrebbe essere sensibilizzata in merito alla problematica dei disturbi alimentari, e dovrebbe essere impartita un’educazione atta a permettere di riconoscere i sintomi dei DCA quanto più precocemente possibile. Se s’interviene precocemente, s’impedisce la consolidazione di pattern mentali caratteristici di queste malattie, che sono quelli che portano al perpetrarsi del disturbo. […]”
(mia traduzione)
Per chi non avesse tempo di leggersi tutto questo post che, ve lo anticipo, sarà piuttosto lungo perchè ho in mente un sacco di cose, lasciate che riassuma quello che ad oggi sappiamo in merito alla prevenzione dei DCA in due parole: non molto.
Per chi vuole invece addentrarsi nel tema della prevenzione, parlando come un’epidemiologa, potrei innanzitutto dire che utilizzare il termine “prevenzione” senza alcuna specifica mi sembra quantomeno improprio. Esistono, in effetti, 3 principali tipologie di prevenzione, ovvero:
• Prevenzione Primaria: è la forma classica e principale di prevenzione, focalizzata sull'adozione di interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre l'insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole.
> Le campagne messe in atto da “Love Your Body” sono un buon esempio di prevenzione primaria.
• Prevenzione Secondaria: si tratta di una definizione tecnica che si riferisce alla diagnosi precoce di una patologia, permettendo così di intervenire precocemente sulla stessa, ma non evitando o riducendone la comparsa. La precocità di intervento aumenta le opportunità terapeutiche, migliorandone la progressione e riducendo gli effetti negativi.
> Trattare i disturbi alimentari subclinici o alle prime avvisaglie è un buon esempio di prevenzione secondaria.
• Prevenzione Terziaria: è un termine tecnico relativo non tanto alla prevenzione della malattia in sé, quanto dei suoi esiti più complessi. La prevenzione in questo caso è quella delle complicanze, delle probabilità di recidive e della morte.
> Tutti gli sforzi mirati ad incoraggiare parenti e pazienti a trattare il DCA quanto più rapidamente possibile è un buon esempio di prevenzione terziaria.
(Grazie mille a Wikipedia, dalla quale ho preso queste definizioni!)
La maggior parte della prevenzione che si può fare su anoressia/bulimia è prevenzione primaria. La campagna attuata da “Love Your Body” ne è un fantastico esempio. Il problema che secondo me però nasce quando si cerca di attuare una prevenzione primaria sui DCA, è che esiste un solo metodo basato sull’evidenza di prevenzione primaria (del quale parlerò dopo più approfonditamente) e non affronta tutti i fattori di rischio per lo sviluppo di un DCA di cui siamo ad oggi a conoscenza. L’altro problema è che, semplicemente, non se ne sa ancora abbastanza di quali siano le vere cause che portano all’insorgenza di un DCA, per poter estendere e generalizzare la prevenzione a livello di popolazione.
Se ne sa certamente di più rispetto all’importanza di affrontare e trattare i DCA quanto più precocemente possibile, e dal momento che la data odierna mi permette di rimanere in tema, do sfogo alla mia vena nerd di epidemiologia e approfondisco un po’ l’argomento.
Prevenzione Primaria
Quando ho dato un’occhiata alla letteratura in merito alla prevenzione dei DCA per poter scrivere questo post, ho scoperto che il 95% di essa è basata sulla prevenzione dell’adozione di stili alimentari scorretti, nonché sulla valorizzazione della propria immagine corporea. Ora, chi legge questo blog da un po’ di tempo, saprà benissimo che io credo che condotte alimentari erronee e distorsione dell’immagine corporea NON sono DCA. Per di più, il 100% della letteratura si focalizza su cose come l’influenza dei mass-media e l’importanza di amare il proprio corpo.
Prima di andare avanti, una precisazione: non ho niente in contrario al dare un limitato spazio all’influenza dei mass-media. Di certo questi fomentano un “mercato” dei DCA, poiché il mercato dell’'anoressia/bulimia rende moltissimo: sulle sue tragedie ingrassano enormi settori economici, da quello alimentare a quello degli integratori, a quello dei cibi ipocalorici, delle chewing-gum senza zucchero e delle Coca Cola Light, a quello delle riviste di moda e di stile e dell'inarrestabile dilagare di bisogni falsi che ne derivano, e relative pubblicità ossessive - con gli immani movimenti di denaro che tutto questo muove senza sosta. Ritengo che sarebbe certamente opportuno spiegare alle bambine (e anche a quelle che sono un po’ cresciute…) che un corpo in salute più avere taglie e forme differenti, e che l’importante è prendersi cura di sé nutrendosi propriamente e facendo cose che fanno stare bene. Tuttavia, resto dell’idea che questo tipo di messaggi non serva ad un granché nella prevenzione dell’anoressia.
Nel 2008, Eric Stice ha pubblicato i primi risultati di uno studio (Stice et al., 2008) relativo ad un programma di prevenzione dei disturbi alimentari. In breve, in questo studio sono state prese 481 ragazze adolescenti con problemi relativi alla propria immagine corporea, che sono state divise in 3 gruppi: il primo prendeva in esame rischi, costi e realtà dell’ideale di magrezza, il secondo era un gruppo sulla promozione di un peso corporeo sano, e il terzo (gruppo di controllo) un gruppo di scrittura espressiva. Le ragazze appartenenti ai 3 gruppi avevano 3 ore di tempo per svolgere l’incarico che era stato loro assegnato. In un follow-up eseguito negli anni successivi, gli autori dello studio hanno identificato 3 nuovi casi di anoressia sottosoglia, un nuovo caso di bulimia conclamata, 23 nuovi casi di bulimia sottosoglia, 1 nuovo caso di binge e 12 nuovi casi di binge sublinico. (Le ragazze che avevano già un DCA erano state escluse dallo studio). Rispetto alle ragazze inserite nel gruppo di controllo, le persone nel gruppo di decostruzione dell’ideale di magrezza hanno mostrato una riduzione del 60% della comparsa di “patologie dell’alimentazione” (6% VS 15%).
Tuttavia, nel follow-up svolto nel 2011 la discrepanza si era significativamente ridotta. Le ragazze del gruppo della decostruzione dell’ideale di magrezza mostravano una riduzione dei livelli di sintomi di DCA, ma non una riduzione della comparsa di nuovi casi di DCA. Evidentemente, dunque, l’insoddisfazione per la propria immagine corporea, a lungo termine, non è il vero motore che sostiene l’anoressia.
Il problema degli interventi di prevenzione primaria, a mio avviso, è che essi danno per scontato che i DCA siano primariamente una “malattia sociale”, senza tener conto del fatto che invece sono essenzialmente malattie psichiche. L’anoressia non è il tentativo di raggiungere un’ideale di magrezza, e il pensare che invece essa sia semplicemente legata alla voglia di dimagrire eccessivamente per aderire ad un’ideale di magrezza proposto dalla società rivela una completa ignoranza in materia. Ma se questa è l’idea che viene fatta passare dai mass-media, non posso fare a meno di pensare che non c’è da meravigliarsi che la maggior parte della gente (che non ha vissuto questa malattia sulla propria pelle) percepisca l’anoressia come una malattia legata solo al cibo e al peso, nonché come un capriccio di ragazzine vanitose, e che tenti di prevenirla al più con la settimana “Love Your Body”.
Allo stesso tempo, tralasciando la vera natura dell’anoressia, ovvero quella psicologica, non si va a mirare la prevenzione su quelle che sono le condizioni caratteriali e i backgrounds che potrebbero portare una persona a sviluppare un DCA, interventi che invece penso potrebbero essere utili ad alcuni sottoinsiemi di persone potenzialmente a rischio di sviluppare un DCA. Penso quindi che concentrarsi troppo sulla prevenzione mirata unicamente sulla fisicità, sia un qualcosa di sostanzialmente inutile.
Prevenzione Secondaria
Malgrado quanto ultimamente i mass-media abbiano detto a proposito delle bambine che cominciano a stare a dieta già dall’età di 9 – 10 anni, non tutte queste bambine hanno il medesimo rischio di ammalarsi di anoressia. In effetti, la stragrande maggioranza di queste bambine che fanno la dieta non svilupperà un DCA. Allo stesso tempo, credo che individuare tra queste bambine quelle che sono effettivamente a rischio di sviluppare un DCA, sia pressoché impossibile. Ci sono certamente dei “fattori di rischio” più generali, ma dato che poi ogni persona ha il suo carattere e il suo modo di rapportarsi agli eventi, è di fatto impossibile prevedere la possibile evoluzione di un DCA.
Alcuni anni fa, dei ricercatori dell’Università di Stanford randomizzarono 480 studentesse universitarie sovrappeso e con problemi relativi alla propria immagine corporea, con un gruppo di controllo per 8 settimane, durante le quali queste ragazze seguirono un corso CBT (Cognitive Behavioural Therapy – Terapia Cognitivo-Comportamentale) on-line con un gruppo di discussione ovviamente monitorato dai ricercatori (Taylor et al., 2006).
Queste donne vennero seguite per 2 anni, e venne data loro la possibilità di continuare a partecipare alla CBT anche al termine del periodo di follow-up. In sintesi, i ricercatori non rilevarono alcuna significativa differenza tra gruppo di controllo e gruppo di trattamento. Tuttavia, guardando ai sottogruppi di partecipanti, i ricercatori notarono che le ragazze con un BMI > 25 e quelle che mettevano in atto comportamenti di compenso, avevano tratto notevoli benefici dal seguire il programma di CBT. Mentre l’11,9% delle donne con BMI > 25 nel gruppo di controllo aveva sviluppato un DCA subclinico durante i 2 anni di follow-up, non lo aveva fatto nessuna del gruppo CBT.
Certo, i numeri su cui si basa questo studio sono piccoli, e non credo proprio che i ricercatori abbiano pensato di fare delle analisi dei sottogruppi primo e/o dopo aver testato i 2 grandi gruppi in toto. Fare statistiche è certamente complicato, ma costruire a posteriori dei sottogruppi perché i risultati ottenuti non dicono quello che si vuole sentir dire, è fin troppo semplice e matematicamente non significativo. In effetti, i ricercatori hanno iniziato a parlare di sottogruppi solo dopo aver considerato i 2 grandi gruppi in toto, ed aver visto che c’erano delle differenze tra le componenti dei singoli gruppi.
Per quanto ne so, uno studio del genere non è mai stato ripetuto, il che costituisce il maggior punto debole dello studio succitato, e anche di quello di Stice. Mi piacerebbe molto che i ricercatori (che sicuramente staranno tutti leggendo il mio blog… ^__^”) improntassero i loro prossimi studi focalizzandosi su un gruppo costituito da “adolescenti medie”, ovvero ragazze che, al momento dello studio, non hanno niente a che vedere con problemi relativi alla propria immagine corporea, e non abbiamo problemi psichici rilevanti di sorta.
Prevenzione Terziaria
La prevenzione terziaria è inerente il sospetto diagnostico precoce, la diagnosi precoce, e il trattamento precoce. A tal proposito, è stato creato un programma on-line rivolto ai genitori/familiari di quelle ragazze che aderiscono ai “criteri di rischio” per l’anoressia (Jones et al., 2012): i genitori ricevono per 6 settimane informazioni, la possibilità di chattare con gli altri genitori che consultano il programma, video, quiz, notazioni comportamentali, e sono seguiti per un anno. Delle 19 famiglie che hanno partecipato, il follow-up mostra che molte di esse hanno avuto una riduzione dei “criteri di rischio” per anoressia dopo un anno. Al solito, però, i piccoli numeri tradiscono lo studio: sui piccoli numeri non si può fare statistica.
Soprattutto, il problema con la prevenzione terziaria sta nel fatto che, ad oggi, non si sa cosa effettivamente funzioni, sia utile. È per questo che non viene sostanzialmente fatto niente al riguardo, e i DCA vengono per lo più riconosciuti quando sono conclamati. Anche i medici spesso inizialmente non riconoscono un DCA e dicono: “Non stai poi così male” o “Le cose non vanno poi così male” o “Bè, in fondo non sei [inserire qui i luoghi comuni che vi siete sentite dire millemila volte]". Ho peraltro saputo che ci sono alcune cliniche in cui viene accettato il ricovero solo se la persona ha perso un certo TOT di peso, o vomita un TOT di volte al giorno (AAAAARGH!!!!). E i genitori tendono a negare la malattia fino a che non è conclamata. Tutto questo dovrebbe essere diverso, ovviamente, perché tutto questo riduce la possibilità che una persona malata di DCA possa ricevere l’aiuto di cui necessita e incrementa la mortalità legata a queste malattie… ma tutto questo rimane così perché alla fine nessuno sa veramente come agire.
Eppure, l’importanza del trattamento quanto più precoce possibile nei DCA è sottolineato in un articolo pubblicato già nel 2003:
“[…] C’è una forte evidenza del fatto che più a lungo dura un disturbo alimentare, più è difficile uscirne. I DCA necessitano di una diagnosi precoce al fine di renderne il trattamento più efficace possibile. Tuttavia, ad oggi, nel tempo che occorre per formulare la diagnosi, la persona malata incorre in problemi biopsicosociali rilevanti. L’intervento terapeutico dovrebbe essere messo in atto alle prime avvisaglie, ai primi sintomi di anomalie nell’alimentazione. Dovrebbe essere posta più attenzione su questo punto. Un riconoscimento precoce della malattia da parte di genitori, familiari, amici, insegnanti, allenatori potrebbe facilitare e sveltire l’inizio dei trattamenti terapeutici. La popolazione dovrebbe essere sensibilizzata in merito alla problematica dei disturbi alimentari, e dovrebbe essere impartita un’educazione atta a permettere di riconoscere i sintomi dei DCA quanto più precocemente possibile. Se s’interviene precocemente, s’impedisce la consolidazione di pattern mentali caratteristici di queste malattie, che sono quelli che portano al perpetrarsi del disturbo. […]”
(mia traduzione)
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venerdì 12 aprile 2013
Anoressia & Microbioma: Sentimenti viscerali
Immaginate un esperimento del genere:
Infilate una persona in un frullatore (e, dato che è tutto ipotetico, immaginate d’infilarci una persona che vi sta sul cazzo. Vi sentite meglio? Immagino di sì!). Poi, contate il numero totale di cellule che avete ottenuto. Solo una su 10 di queste cellule è una cellula umana. Il restante 90%? Tutti microbi. Se poi vi mettete a contare il numero totale di geni nel vostro frullato umano (NON lo troverete a breve nei vostri supermercati di fiducia), i numeri saranno ancora più sbilanciati: solo 1 gene su 100 è umano. Il resto sono, analogamente, geni batterici. L’insieme dei batteri che vive nel e sul nostro corpo prende il nome di microbioma.
L’idea ovviamente non è quella di capire chi è germofoba tra voi lettrici del mio blog, ma ammettiamolo: siamo tanto batteriche quanto umane. Molti di questi microbi vivono sulla nostra pelle, nei nostri polmoni, e nelle vie genitourinarie. Ma la maggior parte di essi, tuttavia, vive nei nostri visceri. La loro importanza è cruciale per estrarre energia dal cibo, e questi microbi sono estremamente sensibili a ciò che mangiamo. “Far digiunare dei topi anche solo per un giorno altera drammaticamente la composizione dei loro microbi viscerali. Specificatamente, si riduce drasticamente il numero di un tipo di batteri conosciuti come Firmicutes. Quando i ricercatori hanno trapiantato Firmicutes nelle viscere di topi magri, questi hanno rapidamente guadagnato peso.” (mia traduzione) (Crawford et al., 2009)
Quando si parla di anoressia, non c’è un granché da dire a proposito dei microbi. C’è uno studio più unico che raro condotto dal ricercatore Sergej Fetissov, che tratta della potenziale risposta autoimmune che si verifica nelle persone che hanno un DCA, e qualche sporadico lavoro in merito alla relazione tra PANDAS (Disordini Neuropsichiatrici Autoimmuni in Pediatria Associati con Infezione Streptococcica) e anoressia, ma, in generale, i ricercatori non hanno prestato molto attenzione al ruolo che il microbioma potrebbe avere nell’innescare o nel perpetrare un DCA.
Ben di più è stato fatto in merito alle ricerche relative all’obesità. Molti ricercatori hanno dimostrato che le persone con B.M.I. > 30 hanno microbi intestinali diversi rispetto alle persone che hanno un B.M.I. nel range di norma. Anche la chirurgia bariatrica cambia significativamente i microbi viscerali affinché le persone possano perdere peso, rendendoli più simili a quelli che sono i profili batterici delle persone normopeso. Uno studio più recente pubblicato in “The ISME Journal” propone una “dieta del microbioma”: mangiare cibi in grado di eliminare un tipo di batteri chiamati Enterobacter aiuta una persona ad avere una drastica perdita di peso in un lasso di tempo relaztivamente breve. (Fei & Zhao, 2012)
Dunque, com’è che questi microbi sono coinvolti nell’anoressia? Ad oggi, in realtà, nessuno lo sa. Ho letto che Cindy Bulik ha iniziato uno studio alla ricerca di queste relazioni, ma ancora non è pervenuta ad alcun risultato utile. Basandosi sugli studi che ho precedentemente citato, è ragionevole pensare che i comportamenti tipici dei DCA (restrizione alimentare, binge, vomito autoindotto…) abbiano un impatto significativo sul microbioma degli individui. È solo una mia idea, niente di dimostrato, ma sono pronta a scommetterci. Comunque, la domanda è: cos’hanno a che fare questi cambiamenti della flora micorbica con I sintomi dei DCA?
È stato osservato che squilibri nella flora microbica intestinale nei topi e nei ratti alterano i normali pattern di assunzione di rischi e comportamenti ansiosi - cosa che, in un certo senso, avviene anche nelle persone con un DCA. Questi potrebbero anche, forse, spiegare la perdita di peso non controllabile che si verifica nell’anoressia e nei DCAnas. Forse l’iniziare una restrizione alimentare induce un significativo cambiamento della flora microbica viscerale, il che va ad amplificare gli effetti della malnutrizione. Forse viene meno un gruppo di microbi che produce importanti ormoni implicati nella regolazione delle sensazioni di fame/sazietà (Leptina, Grelina, Colecistochinina, etc…). Ad oggi, nessuno lo sa veramente.
Un suggerimento in merito al potenziale ruolo del microbioma nei DCA viene da uno studio pubblicato lo scorso 30 Gennaio sulla rivista “Science” e condotto da Smith et al.
I ricercatori hanno condotto studi a proposito della relazione tra flora microbica viscerale e kwashiorkor, una forma di severa malnutrizione che si verifica quando una persona non ingerisce sufficienti proteine. Delle 317 coppie di gemelli del Malawi che i ricercatori hanno monitorato per 3 anni, la metà è andata incontro a severa malnutrizione, e il 7% ha sviluppato segni e sintomi di kwashiorkor. Ovviamente, una carenza proteica è cruciale per lo sviluppo di questa malattia, ma non è il solo fattore, visto che non tutti i gemelli con un severo deficit proteico hanno sviluppato il kwashiorkor. Quindi, dev’esserci anche qualche altra cosa.
Per prima cosa, i ricercatori hanno trattato le coppie di gemelli discordanti per il kwashiorkor (voglio dire che uno dei due gemelli si era ammalato, mentre l’altro no) con “cibo terapeutico” – basilarmente, burro di arachidi con steroidi. Il gemello con kwashiorkor ha ottenuto significative differenze rispetto all’altro gemello che aveva seguito la sua stessa dieta. I ricercatori hanno trovato significative differenze nei microbi viscerali dei bambini malati che erano stati trattati col “cibo terapeutico”. Interrompere la somministrazione del “cibo terapeutico” ha provocato una regressione nelle funzioni dei microbi viscerali.
Il punto è: quando i ricercatori inoculavano negli intestini dei topi microbi estratti dai visceri di bambini Malawiani malnutriti, questi topi perdevano rapidamente peso e sviluppavano anche loro il kwashiorkor. Questo succedeva nonostante detti topi fossero nutriti in maniera corretta, con dieta ricca e variata, e adeguato apporto calorico. Pertanto, una delle ragioni per cui i ricercatori credono che il “cibo terapeutico” sia così efficace nel trattamento dello kwashiorkor è che esso aiuta a ripristinare la normale flora batterica intestinale.
Quale effetto sortisca il ripristinare una normale flora batterica intestinale, grazie ad una dieta corretta, sui sintomi fisici e mentali dell’anoressia, rimane ancora da scoprire. I probiotici sono un tema caldo, ma gran parte della ricerca a tal proposito è abbastanza esagerata. Sicuramente questa è una strada che presenta un potenziale, una strada che merita di essere percorsa, poiché è necessario saperne di più riguardo a quale popolazione di persone con un DCA può trarre benefici dal ripristino di una normale flora batterica, e quale no. Ma mi pare un’idea interessante, e penso che dovremmo saperne di più a proposito del ruolo del microbioma nello sviluppo e nella perpetuazione di un DCA.
Per concludere, la citazione del ricercatore John Rawls in una sua intervista rilasciata allo “Scientific American” (mia traduzione):
“Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione della nostra capacità di descrivere la composizione e il potenziale fisiologico di queste comunità batteriche. […] Quello su cui possiamo iniziare a speculare, comunque, sono i diversi tipi di relazione che possono esserci. Sappiamo che il microbioma viscerale incremente la nostra capacità di estrarre calorie dai carboidrati complessi, e questa è chiaramente una relazione mutualmente benefica. Ma si sa che tutti i vertebrati hanno la capacità di digerire e assorbire autonomamente anche altri tipi di nutrienti, quali lipidi, proteine e carboidrati semplici, perciò non è perfettamente chiaro quale sia la relazione mutualmente benefica tra organismo e batteri relativamente a questi nutrienti…”
Infilate una persona in un frullatore (e, dato che è tutto ipotetico, immaginate d’infilarci una persona che vi sta sul cazzo. Vi sentite meglio? Immagino di sì!). Poi, contate il numero totale di cellule che avete ottenuto. Solo una su 10 di queste cellule è una cellula umana. Il restante 90%? Tutti microbi. Se poi vi mettete a contare il numero totale di geni nel vostro frullato umano (NON lo troverete a breve nei vostri supermercati di fiducia), i numeri saranno ancora più sbilanciati: solo 1 gene su 100 è umano. Il resto sono, analogamente, geni batterici. L’insieme dei batteri che vive nel e sul nostro corpo prende il nome di microbioma.
L’idea ovviamente non è quella di capire chi è germofoba tra voi lettrici del mio blog, ma ammettiamolo: siamo tanto batteriche quanto umane. Molti di questi microbi vivono sulla nostra pelle, nei nostri polmoni, e nelle vie genitourinarie. Ma la maggior parte di essi, tuttavia, vive nei nostri visceri. La loro importanza è cruciale per estrarre energia dal cibo, e questi microbi sono estremamente sensibili a ciò che mangiamo. “Far digiunare dei topi anche solo per un giorno altera drammaticamente la composizione dei loro microbi viscerali. Specificatamente, si riduce drasticamente il numero di un tipo di batteri conosciuti come Firmicutes. Quando i ricercatori hanno trapiantato Firmicutes nelle viscere di topi magri, questi hanno rapidamente guadagnato peso.” (mia traduzione) (Crawford et al., 2009)
Quando si parla di anoressia, non c’è un granché da dire a proposito dei microbi. C’è uno studio più unico che raro condotto dal ricercatore Sergej Fetissov, che tratta della potenziale risposta autoimmune che si verifica nelle persone che hanno un DCA, e qualche sporadico lavoro in merito alla relazione tra PANDAS (Disordini Neuropsichiatrici Autoimmuni in Pediatria Associati con Infezione Streptococcica) e anoressia, ma, in generale, i ricercatori non hanno prestato molto attenzione al ruolo che il microbioma potrebbe avere nell’innescare o nel perpetrare un DCA.
Ben di più è stato fatto in merito alle ricerche relative all’obesità. Molti ricercatori hanno dimostrato che le persone con B.M.I. > 30 hanno microbi intestinali diversi rispetto alle persone che hanno un B.M.I. nel range di norma. Anche la chirurgia bariatrica cambia significativamente i microbi viscerali affinché le persone possano perdere peso, rendendoli più simili a quelli che sono i profili batterici delle persone normopeso. Uno studio più recente pubblicato in “The ISME Journal” propone una “dieta del microbioma”: mangiare cibi in grado di eliminare un tipo di batteri chiamati Enterobacter aiuta una persona ad avere una drastica perdita di peso in un lasso di tempo relaztivamente breve. (Fei & Zhao, 2012)
Dunque, com’è che questi microbi sono coinvolti nell’anoressia? Ad oggi, in realtà, nessuno lo sa. Ho letto che Cindy Bulik ha iniziato uno studio alla ricerca di queste relazioni, ma ancora non è pervenuta ad alcun risultato utile. Basandosi sugli studi che ho precedentemente citato, è ragionevole pensare che i comportamenti tipici dei DCA (restrizione alimentare, binge, vomito autoindotto…) abbiano un impatto significativo sul microbioma degli individui. È solo una mia idea, niente di dimostrato, ma sono pronta a scommetterci. Comunque, la domanda è: cos’hanno a che fare questi cambiamenti della flora micorbica con I sintomi dei DCA?
È stato osservato che squilibri nella flora microbica intestinale nei topi e nei ratti alterano i normali pattern di assunzione di rischi e comportamenti ansiosi - cosa che, in un certo senso, avviene anche nelle persone con un DCA. Questi potrebbero anche, forse, spiegare la perdita di peso non controllabile che si verifica nell’anoressia e nei DCAnas. Forse l’iniziare una restrizione alimentare induce un significativo cambiamento della flora microbica viscerale, il che va ad amplificare gli effetti della malnutrizione. Forse viene meno un gruppo di microbi che produce importanti ormoni implicati nella regolazione delle sensazioni di fame/sazietà (Leptina, Grelina, Colecistochinina, etc…). Ad oggi, nessuno lo sa veramente.
Un suggerimento in merito al potenziale ruolo del microbioma nei DCA viene da uno studio pubblicato lo scorso 30 Gennaio sulla rivista “Science” e condotto da Smith et al.
I ricercatori hanno condotto studi a proposito della relazione tra flora microbica viscerale e kwashiorkor, una forma di severa malnutrizione che si verifica quando una persona non ingerisce sufficienti proteine. Delle 317 coppie di gemelli del Malawi che i ricercatori hanno monitorato per 3 anni, la metà è andata incontro a severa malnutrizione, e il 7% ha sviluppato segni e sintomi di kwashiorkor. Ovviamente, una carenza proteica è cruciale per lo sviluppo di questa malattia, ma non è il solo fattore, visto che non tutti i gemelli con un severo deficit proteico hanno sviluppato il kwashiorkor. Quindi, dev’esserci anche qualche altra cosa.
Per prima cosa, i ricercatori hanno trattato le coppie di gemelli discordanti per il kwashiorkor (voglio dire che uno dei due gemelli si era ammalato, mentre l’altro no) con “cibo terapeutico” – basilarmente, burro di arachidi con steroidi. Il gemello con kwashiorkor ha ottenuto significative differenze rispetto all’altro gemello che aveva seguito la sua stessa dieta. I ricercatori hanno trovato significative differenze nei microbi viscerali dei bambini malati che erano stati trattati col “cibo terapeutico”. Interrompere la somministrazione del “cibo terapeutico” ha provocato una regressione nelle funzioni dei microbi viscerali.
Il punto è: quando i ricercatori inoculavano negli intestini dei topi microbi estratti dai visceri di bambini Malawiani malnutriti, questi topi perdevano rapidamente peso e sviluppavano anche loro il kwashiorkor. Questo succedeva nonostante detti topi fossero nutriti in maniera corretta, con dieta ricca e variata, e adeguato apporto calorico. Pertanto, una delle ragioni per cui i ricercatori credono che il “cibo terapeutico” sia così efficace nel trattamento dello kwashiorkor è che esso aiuta a ripristinare la normale flora batterica intestinale.
Quale effetto sortisca il ripristinare una normale flora batterica intestinale, grazie ad una dieta corretta, sui sintomi fisici e mentali dell’anoressia, rimane ancora da scoprire. I probiotici sono un tema caldo, ma gran parte della ricerca a tal proposito è abbastanza esagerata. Sicuramente questa è una strada che presenta un potenziale, una strada che merita di essere percorsa, poiché è necessario saperne di più riguardo a quale popolazione di persone con un DCA può trarre benefici dal ripristino di una normale flora batterica, e quale no. Ma mi pare un’idea interessante, e penso che dovremmo saperne di più a proposito del ruolo del microbioma nello sviluppo e nella perpetuazione di un DCA.
Per concludere, la citazione del ricercatore John Rawls in una sua intervista rilasciata allo “Scientific American” (mia traduzione):
“Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione della nostra capacità di descrivere la composizione e il potenziale fisiologico di queste comunità batteriche. […] Quello su cui possiamo iniziare a speculare, comunque, sono i diversi tipi di relazione che possono esserci. Sappiamo che il microbioma viscerale incremente la nostra capacità di estrarre calorie dai carboidrati complessi, e questa è chiaramente una relazione mutualmente benefica. Ma si sa che tutti i vertebrati hanno la capacità di digerire e assorbire autonomamente anche altri tipi di nutrienti, quali lipidi, proteine e carboidrati semplici, perciò non è perfettamente chiaro quale sia la relazione mutualmente benefica tra organismo e batteri relativamente a questi nutrienti…”
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venerdì 5 aprile 2013
I mass-media devono fare il loro lavoro
Non tanto spesso quanto sarebbe, a mio avviso, necessario, i mass media si degnano di parlare di DCA. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, l’immagine che passa attraverso la TV o attraverso i giornali delle persone che hanno un DCA è talmente fuorviante che mi verrebbe voglia di prendere a capocciate il televisore per sfogare tutta la mia frustrazione.
Il caso di specie:
Anoressia e Bulimia sono drammaticamente in aumento
Tratto da una storia pubblicata on-line dal giornale “The Independent” relativa ad una psicologa che attraverso il suo articolo cerca di parlare ai genitori in merito al come crescere figlie adolescenti. (Dateci una lettura per farvi un'idea di dove andrò a parare, poi tornate qui a leggere quel che segue...)
"Anche l’anoressia e la bulimia sono drammaticamente in aumento: le statistiche prodotte in merito ai ricoveri ospedalieri di ragazze affette da disturbi alimentari ammontava, lo scorso Ottobre, al 16% di tutti i ricoveri, e di questi il 10% era relativo a ragazze di non più di 15 anni.
“Questa è un’ informazione molto interessante” – afferma Biddulph – “Chiunque abbia una figlia adolescente adesso penserà a questo, guardandola”. Le figure da rimproverare, afferma anche, sono soprattutto i mass-media, e la società attuale. “Stanno distorcendo la sensibilità delle ragazze, le fanno sentire come se avessero una fisicità inadeguata. Ma è tutta una strategia di marketing”. "
(mia traduzione)
L’articolo parla anche dell’“epidemia” di autolesionismo nella medesima popolazione adolescenziale. Sebbene non sappia molto sulla prevalenza dell’autolesionismo, posso con ragionevole certezza affermare che la valutazione dell’incremento del numero dei ricoveri ospedalieri di persone affette da DCA non ci dice nient’altro che il fatto che ci sia stato un aumento del numero dei ricoveri per DCA.
Quello che invece NON ci dice:
(in grassetto + corsivo, quello che afferma l'articolo. A seguito, il mio commento)
• C’è stato un aumento dei casi di DCA. No. Il numero COMPLESSIVO delle persone affette da un DCA può essere pure rimasto inalterato o diminuito. Non lo sappiamo, in realtà. L’aumento del numero dei ricoveri può essere dovuto al fatto che ci sono stati dei casi più severi di malattia, o che i DCA vengono diagnosticati più di frequente e questo comporta una più frequente ospedalizzazione. Non ci dice affatto quanti sono i casi di persone con DCA che non sono attualmente ospedalizzate.
• Un aumento del numero di ospedalizzazioni è una cosa drammatica. Se più persone affette da DCA accedono ad ospedali (o a strutture specializzate), significa che più persone ricevono le cure di cui necessitano. Mi sembra una cosa positiva.
• Le 15enni sono maggiormente a rischio DCA. Considerato che l’età di maggior incidenza dell’anoressia è quella compresa tra i 12 e i 18 anni, non sorprende che un elevato numero di persone ospedalizzate siano 15enni. Anche la persona che ha scritto l’articolo non lo troverebbe scioccante né sorprendente, se si fosse documentato un po’ al riguardo, prima di scrivere.
• C’è un epidemia di DCA. Da definizione tecnica, “Si definisce epidemia (dal greco επί + δήμος, lett.: sopra il popolo ) una malattia che colpisca quasi simultaneamente una collettività di individui con una ben delimitata diffusione nello spazio e nel tempo, e che causi un numero dei casi in aumento rispetto ai valori attesi.” (grazie, Wikipedia!) Ecco il punto: non abbiamo alcuna informazione relativamente al numero complessivo delle persone che attualmente hanno un DCA in una determinata popolazione, per cui NON POSSIAMO dire che il numero dei casi sia superiore a quelli che ci saremmo aspettati. Perché, quanti casi ci saremmo aspettati? Dire che c’è un’epidemia di DCA è gettare fumo negli occhi. Per quel che ne sappiamo, NON c’è un’epidemia di DCA, attualmente.
I DCA esistono da ben prima dell’avvento dei mass-media. E non mi risulta – consultando studi pubblicati su PubMed – che ultimamente vi sia stato un chissà quale incremento di anoressia e bulimia, e che questo presunto fatto sia ascrivibile ai mass-media. Ascoltiamo pure quello che ci viene detto in TV… ma poi documentiamoci attraverso fonti più scientifiche, perché solo così possiamo arrivare a reali conclusioni, senza farci imbonire.
Il caso di specie:
Anoressia e Bulimia sono drammaticamente in aumento
Tratto da una storia pubblicata on-line dal giornale “The Independent” relativa ad una psicologa che attraverso il suo articolo cerca di parlare ai genitori in merito al come crescere figlie adolescenti. (Dateci una lettura per farvi un'idea di dove andrò a parare, poi tornate qui a leggere quel che segue...)
"Anche l’anoressia e la bulimia sono drammaticamente in aumento: le statistiche prodotte in merito ai ricoveri ospedalieri di ragazze affette da disturbi alimentari ammontava, lo scorso Ottobre, al 16% di tutti i ricoveri, e di questi il 10% era relativo a ragazze di non più di 15 anni.
“Questa è un’ informazione molto interessante” – afferma Biddulph – “Chiunque abbia una figlia adolescente adesso penserà a questo, guardandola”. Le figure da rimproverare, afferma anche, sono soprattutto i mass-media, e la società attuale. “Stanno distorcendo la sensibilità delle ragazze, le fanno sentire come se avessero una fisicità inadeguata. Ma è tutta una strategia di marketing”. "
(mia traduzione)
L’articolo parla anche dell’“epidemia” di autolesionismo nella medesima popolazione adolescenziale. Sebbene non sappia molto sulla prevalenza dell’autolesionismo, posso con ragionevole certezza affermare che la valutazione dell’incremento del numero dei ricoveri ospedalieri di persone affette da DCA non ci dice nient’altro che il fatto che ci sia stato un aumento del numero dei ricoveri per DCA.
Quello che invece NON ci dice:
(in grassetto + corsivo, quello che afferma l'articolo. A seguito, il mio commento)
• C’è stato un aumento dei casi di DCA. No. Il numero COMPLESSIVO delle persone affette da un DCA può essere pure rimasto inalterato o diminuito. Non lo sappiamo, in realtà. L’aumento del numero dei ricoveri può essere dovuto al fatto che ci sono stati dei casi più severi di malattia, o che i DCA vengono diagnosticati più di frequente e questo comporta una più frequente ospedalizzazione. Non ci dice affatto quanti sono i casi di persone con DCA che non sono attualmente ospedalizzate.
• Un aumento del numero di ospedalizzazioni è una cosa drammatica. Se più persone affette da DCA accedono ad ospedali (o a strutture specializzate), significa che più persone ricevono le cure di cui necessitano. Mi sembra una cosa positiva.
• Le 15enni sono maggiormente a rischio DCA. Considerato che l’età di maggior incidenza dell’anoressia è quella compresa tra i 12 e i 18 anni, non sorprende che un elevato numero di persone ospedalizzate siano 15enni. Anche la persona che ha scritto l’articolo non lo troverebbe scioccante né sorprendente, se si fosse documentato un po’ al riguardo, prima di scrivere.
• C’è un epidemia di DCA. Da definizione tecnica, “Si definisce epidemia (dal greco επί + δήμος, lett.: sopra il popolo ) una malattia che colpisca quasi simultaneamente una collettività di individui con una ben delimitata diffusione nello spazio e nel tempo, e che causi un numero dei casi in aumento rispetto ai valori attesi.” (grazie, Wikipedia!) Ecco il punto: non abbiamo alcuna informazione relativamente al numero complessivo delle persone che attualmente hanno un DCA in una determinata popolazione, per cui NON POSSIAMO dire che il numero dei casi sia superiore a quelli che ci saremmo aspettati. Perché, quanti casi ci saremmo aspettati? Dire che c’è un’epidemia di DCA è gettare fumo negli occhi. Per quel che ne sappiamo, NON c’è un’epidemia di DCA, attualmente.
I DCA esistono da ben prima dell’avvento dei mass-media. E non mi risulta – consultando studi pubblicati su PubMed – che ultimamente vi sia stato un chissà quale incremento di anoressia e bulimia, e che questo presunto fatto sia ascrivibile ai mass-media. Ascoltiamo pure quello che ci viene detto in TV… ma poi documentiamoci attraverso fonti più scientifiche, perché solo così possiamo arrivare a reali conclusioni, senza farci imbonire.
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venerdì 29 marzo 2013
Suggerimenti per rendere più facile lo shopping
Talora non è facile, per chi sta combattendo contro un DCA, relazionarsi al fatto che il progressivo recupero del peso comporti il dover andare a fare shopping per compare dei vestiti che siano adatti ad un peso più salutare.
Come fare, dunque, per rendere il momento dello shopping meno difficile?
Step 1: Trovate un’amica con cui andare a fare shopping. Qualcuna che abbia la sensibilità di aiutarvi a combattere contro il vostro DCA, ovviamente.
Step 2: Prendetevi tutto il tempo di cui sentite di avere bisogno. Anche tutto il pomeriggio o tutta la giornata, se è ciò che vi occorre.
Step 3: Scegliete un negozio grande dove ci sia una grande varietà di capi d’abbigliamento. (I grandi magazzini vanno benissimo, per intenderci.)
Step 4: Pianificate un’attività divertente che tu e la tua amica potrete fare quando lo shopping si sarà concluso. (Un’attività che non preveda in alcun modo la presenza del cibo.)
• Comprate una palla e andate a giocare a calcio ai giardini pubblici.
• Andate a vedere un film divertente al cinema.
• Comprate una confezione di bolle di sapone e soffiatele mentre il vento le porta via.
• Cantate a tutto volume (e, possibilmente stonando il più possibile) mente fate un giro in macchina tenendo I finestrini aperti.
• Dipingetevi le unghie con millemila smalti colorati.
• Giocate a chi fa fare più rimbalzi ai sassi lanciati sull’acqua del fiume/lago che c’è nel vostro paese/città.
• Rotolatevi nelle pozze fangose dopo che è piovuto.
• Etc…
Okay, e adesso la cosa più importante: QUANDO STATE FACENDO SHOPPING, NON DOVETE IN ALCUN MODO GUARDARE LA TAGLIA DEI CAPI D’ABBIGLIAMENTO CHE VI PROVATE. Dovete prometterlo alla vostra amica, e MANTENERE la promessa.
Andate a fare shopping per trovare vestiti che vi piacciono e che vi stanno bene addosso, valorizzando gli aspetti positivi del vostro fisico, la taglia che hanno non è importante!
************************************************************************
Attenzione: Amica
Questa è la tua parte nel piano:
• Sii molto paziente. Ricorda che fare shopping per una persona che ha un DCA è ansiogeno.
• Accompagna la tua amica nel negozio in cui ha scelto di andare a fare acquisti.
• Se la tua amica ha rispettato le sue consegne, dovrebbe prometterti di non guardare le taglie dei capi d’abbigliamento che indosserà, e se è corretta, rispetterà la sua promessa. Ma non preoccuparti se non dovesse farlo, perché ho un piano B che potrai comunque attuare.
• PIANO B. Chiedi alla tua amica di darti le spalle dopo che ha scelto un capo d’abbigliamento che le piace, prendi differenti taglie di quel capo d’abbigliamento, e approssimagliele addosso mentre lei ti sta dando le spalle, per capire più o meno quale taglia potrebbe andarle bene.
• Ricordale che i primi capi che deve provare sono quelli che le risultano più ansiogeni. (Prima il dovere, poi il piacere!)
• Nel momento in cui la vostra amica ha scelto, per esempio, il tipo di jeans che le piacciono, prendete diverse taglie di quel tipo di jeans. (Ecco perchè è meglio andare in un negozio grande, dove c’è molto assortimento.)
• Prendete i Post-It che vi eravate portate dietro, e attaccateli sopra l’etichetta dei jeans che riporta la taglia.
• Fate entrare la vostra amica nel camerino di prova, poi passatele i jeans un paio alla volta, facendovi restituire il paio già provato quando le passate il successivo.
MOLTO IMPORTANTE: Il primo paio di jeans che dovete passare alla vostra amica nel camerino di prova è quello con la taglia MAGGIORE! Sarà così più facile per la vostra amica passare ad una taglia inferiore… mentre sarebbe molto frustrante vedere che quel paio di jeans non le sta ed ha bisogno di una taglia più alta.
• Dopo aver scelto i capi d’abbigliamento più ansiogeni, passate alle cose più easy e rilassanti, tipo le scarpe, i cerchietti per capelli, etc…
• Dopo aver completato gli acquisti ed essere uscite dal negozio… tagliate le etichette delle taglie dei capi acquistati. E gettatele via.
Bene, adesso siete pronte per divertirvi andando a soffiare bolle di sapone o rotolandovi in delle meravigliose pozze piene di fango. ^__-
Come fare, dunque, per rendere il momento dello shopping meno difficile?
Step 1: Trovate un’amica con cui andare a fare shopping. Qualcuna che abbia la sensibilità di aiutarvi a combattere contro il vostro DCA, ovviamente.
Step 2: Prendetevi tutto il tempo di cui sentite di avere bisogno. Anche tutto il pomeriggio o tutta la giornata, se è ciò che vi occorre.
Step 3: Scegliete un negozio grande dove ci sia una grande varietà di capi d’abbigliamento. (I grandi magazzini vanno benissimo, per intenderci.)
Step 4: Pianificate un’attività divertente che tu e la tua amica potrete fare quando lo shopping si sarà concluso. (Un’attività che non preveda in alcun modo la presenza del cibo.)
• Comprate una palla e andate a giocare a calcio ai giardini pubblici.
• Andate a vedere un film divertente al cinema.
• Comprate una confezione di bolle di sapone e soffiatele mentre il vento le porta via.
• Cantate a tutto volume (e, possibilmente stonando il più possibile) mente fate un giro in macchina tenendo I finestrini aperti.
• Dipingetevi le unghie con millemila smalti colorati.
• Giocate a chi fa fare più rimbalzi ai sassi lanciati sull’acqua del fiume/lago che c’è nel vostro paese/città.
• Rotolatevi nelle pozze fangose dopo che è piovuto.
• Etc…
Okay, e adesso la cosa più importante: QUANDO STATE FACENDO SHOPPING, NON DOVETE IN ALCUN MODO GUARDARE LA TAGLIA DEI CAPI D’ABBIGLIAMENTO CHE VI PROVATE. Dovete prometterlo alla vostra amica, e MANTENERE la promessa.
Andate a fare shopping per trovare vestiti che vi piacciono e che vi stanno bene addosso, valorizzando gli aspetti positivi del vostro fisico, la taglia che hanno non è importante!
************************************************************************
Attenzione: Amica
Questa è la tua parte nel piano:
• Sii molto paziente. Ricorda che fare shopping per una persona che ha un DCA è ansiogeno.
• Accompagna la tua amica nel negozio in cui ha scelto di andare a fare acquisti.
• Se la tua amica ha rispettato le sue consegne, dovrebbe prometterti di non guardare le taglie dei capi d’abbigliamento che indosserà, e se è corretta, rispetterà la sua promessa. Ma non preoccuparti se non dovesse farlo, perché ho un piano B che potrai comunque attuare.
• PIANO B. Chiedi alla tua amica di darti le spalle dopo che ha scelto un capo d’abbigliamento che le piace, prendi differenti taglie di quel capo d’abbigliamento, e approssimagliele addosso mentre lei ti sta dando le spalle, per capire più o meno quale taglia potrebbe andarle bene.
• Ricordale che i primi capi che deve provare sono quelli che le risultano più ansiogeni. (Prima il dovere, poi il piacere!)
• Nel momento in cui la vostra amica ha scelto, per esempio, il tipo di jeans che le piacciono, prendete diverse taglie di quel tipo di jeans. (Ecco perchè è meglio andare in un negozio grande, dove c’è molto assortimento.)
• Prendete i Post-It che vi eravate portate dietro, e attaccateli sopra l’etichetta dei jeans che riporta la taglia.
• Fate entrare la vostra amica nel camerino di prova, poi passatele i jeans un paio alla volta, facendovi restituire il paio già provato quando le passate il successivo.
MOLTO IMPORTANTE: Il primo paio di jeans che dovete passare alla vostra amica nel camerino di prova è quello con la taglia MAGGIORE! Sarà così più facile per la vostra amica passare ad una taglia inferiore… mentre sarebbe molto frustrante vedere che quel paio di jeans non le sta ed ha bisogno di una taglia più alta.
• Dopo aver scelto i capi d’abbigliamento più ansiogeni, passate alle cose più easy e rilassanti, tipo le scarpe, i cerchietti per capelli, etc…
• Dopo aver completato gli acquisti ed essere uscite dal negozio… tagliate le etichette delle taglie dei capi acquistati. E gettatele via.
Bene, adesso siete pronte per divertirvi andando a soffiare bolle di sapone o rotolandovi in delle meravigliose pozze piene di fango. ^__-
venerdì 22 marzo 2013
Lasciate che ve lo ripeta: i mass-media non causano l'anoressia
Per l’ennesima volta, ho ricevuto un’e-mail da parte di una persona che ha attribuito la colpa della comparsa dei disturbi alimentari soprattutto tra le adolescenti, alla cattiva influenza che i modelli di bellezza associata ad un’eccessiva magrezza proposti dai mass-media avrebbero sulle ragazze.
Io non sono d’accordo, e ne ho già parlato. Ma, visto che ci siamo, ne approfitto per ribadire il concetto, per come la penso io. Mi farebbe piacere se, nei commenti, mi diceste come la vedete voi.
Tutto è cominciato con gli adesivi.
Un pomeriggio del mio terzo ricovero in una clinica specializzata nel trattamento per DCA, durante il gruppo di “Immagine Corporea”, ad ogni ragazza erano stati dati due fogli con degli adesivi, delle riviste per adolescenti e delle fotografie di persone comuni. Su uno dei fogli c’erano adesivi con su scritto: “Questa promuove un’immagine corporea sana!” e con associato uno smile. Gli adesivi sull’altro foglio invece recitavano: “Questa promuove un disturbo alimentare” accompagnati da una faccina triste. Noi ragazze dovevamo associare questi adesivi alle donne delle immagini che avevamo a disposizione. L’idea di base credo fosse quella di far associare il primo foglio di adesivi alle immagini delle donne comuni, e il secondo alle immagini delle modelle pubblicate sulle riviste, al fine di dimostrare come le immagini proposte dalla stampa potessero essere causa del DCA.
Ora, l’idea che le immagini proposte dai mass-media possano spingere le ragazze verso lo sviluppo di un DCA, è un’idea che va decisamente di moda, un’idea che da anni viene propagandata come verità, ma che secondo me non lo è. L’ho sempre pensato, anche ovviamente sulla base della mia esperienza personale. Nel pomeriggio di cui vi parlavo, mi rifiutai di eseguire il compito proposto dalla psicoterapeuta. Le dissi che non era realistico, perché io credo che tutte sappiano che la stragrande maggioranza delle fotografie di modelle è fotoritoccata, e che i loro corpi – i loro corpi reali, voglio dire – non sono così “perfetti” come vengono ritratti sulle pagine patinate delle riviste.
Nei miei lunghi anni in cui sono stata nel pieno dell’anoressia, fortunatamente non ho comunque sofferto di dismorfofobia, quindi vedevo benissimo che ero così magra da essere arrivata ben oltre la definizione sociale e mediatica di “magrezza”. Ma non l’ho mai fatto per imitare le modelle, che non mi hanno benché minimamente influenzata – sono sempre stata una sportiva piuttosto che una fashionist – anzi, ero perfettamente cosciente del fatto che, quando pesavo XX chili, ero tutt’altro che attraente… ma non m’importava. Pur riconoscendo che così magra ero pure più brutta del solito, avevo comunque bisogno di continuare a restringere l’alimentazione perché questo mi faceva sentire in controllo. E quel controllo per me era tutto, era l’unica cosa che mi appagava, l’unica cosa che mi faceva sentire forte e completamente soddisfatta di me stessa, quindi per me era necessario portarlo avanti a tutti i costi, per le sensazioni positive che lì per lì mi faceva provare. L’idea di voler somigliare alle modelle non mi è mai passata neanche per l’anticamera del cervello.
Tuttavia, è facile comprendere come la maggior parte della gente pensi che i mass-media, la società odierna e le modelle possano causare un disturbo alimentare. Il timore di ingrassare penso sia comune anche alle persone che non hanno un DCA. E tutte le persone sono bombardate dai messaggi mediatici. Ecco che, se in una persona che non sviluppa comunque un disturbo alimentare, certi input fanno venire comunque il timore di prendere peso, è facile pensare che su altri soggetti più vulnerabili questi stessi stimoli possano provocare un DCA.
Ma non è così. E lo dimostrano anche degli studi scientifici che hanno proprio valutato l’assenza di connessione tra mass-media e anoressia. Uno studio pubblicato nell’ “American Journal Of Psychiatry” ha rivelato che circa l’85% delle ragioni per cui, giusto per dire, io mi sono ammalata di anoressia e la mia migliore amica no, è attribuibile al proprio background di vita individuale. Uno studio di follow-up pubblicato in “Archives Of Psychiatry” mostra che solo il 2% di questa differenza di rischio tra me e la mia migliore amica è attribuibile all’influenza dei mass-media e ai modelli proposti dalla società odierna. Questi studi confermano l’idea che i DCA siano malattie assolutamente multifattoriali e composite, che dipendono da fattori completamente individuali e variabili da persona a persona. Studi scientifici alla mano, dunque, nel causare l’anoressia il background individuale schiaccia alla stragrande l’influenza dei mass-media.
Dunque, qual è il problema? Perché è così importante individuare cosa realmente possa causare un DCA, lasciando perdere i luoghi comuni sull’influenza dei mass-media? Innanzitutto, perché l’erronea idea che i DCA possano essere provocati dalle immagini di donne trasmesse dai mass-media, fa sì che l’attenzione venga focalizzata solo sui soggetti che si ritengono a rischio sulla base di questo criterio, ovvero le ragazze adolescenti e basta. Gli uomini, le bambine, le donne adulte… bè, anche loro possono soffrire di DCA. Ma poiché non sono ragazze adolescenti, i loro sintomi sono frequentemente presi sotto gamba, ignorati, tanto dai familiari e dagli amici, quanto addirittura talora dai medici. Inoltre, il luogo comune che i DCA siano provocati dall’influenza dei mass-media, è deleterio anche perché svaluta la serietà di queste malattie. Se la gente pensa che i DCA siano solo capricci di bambine vanitose che si lasciano influenzare troppo dalle foto delle modelle, questi difficilmente saranno considerati per quello che sono veramente, ovvero serie malattie, e ci sarà una minore tendenza a pensare che chi ha un DCA abbia bisogno d’aiuto professionale, e una maggiore tendenza a incolpare chi ha un DCA della sua stessa malattia.
No, dobbiamo svincolarci da questi preconcetti. E far capire alla gente che anche le il riacquisire un regime alimentare regolare è di fondamentale importanza per percorrere la strada del ricovero, riuscire a mangiare un pasto normale non ci guarirà.
Da quando ho cominciato a scrivere su questo blog, raccontando la mia storia di anoressia, molte ragazze e donne mi hanno contattata – vuoi tramite blog, vuoi tramite e-mail – alcune dicendomi che vivevano anche loro un DCA e quindi sapevano di cosa stavo parlando, altre invece dicendomi che mi capivano perché anche loro avevano chiesto di tanto in tanto ai loro fidanzati/mariti se non avessero qualche chilo di troppo. Ora, comparare un’insoddisfazione nei confronti della propria fisicità ad un vero e proprio disturbo alimentare è come comparare un graffio ad un’amputazione. Fino a che l’idea che la fa da padrona è quella che i mass-media possono provocare un DCA, per chi non ha vissuto queste malattie sulla propria pelle è facile confondere l’insoddisfazione per il proprio peso con un disturbo alimentare. Ma sono decisamente due cose completamente diverse.
Certo, i mass-media giocano un ruolo importante rispetto ai DCA… ma non quello che si potrebbe comunemente pensare. I mass-media, infatti, hanno un profondo impatto su quello che la gente che non ha mai vissuto un DCA pensa a proposito dei DCA stessi. Nella maggior parte dei casi, sono proprio i mass-media ad auto-attribuirsi il ruolo di causa scatenante dei DCA (quanti servizi televisivi vi siete sorbite, in cui si diceva appunto che i disturbi alimentari son dovuti ai modelli irraggiungibili di donna proposti da TV e riviste??!), e questo perpetua nelle persone che sono “esterne” alla problematica l’idea che i DCA siano una moda, un capriccio, che non siano malattie serie, e che se le ragazze che ne sono affette non fossero così infantili, superficiali ed influenzabili, non ne soffrirebbero.
Vorrei solo aggiungere che anoressia e bulimia sono delle vere e proprie malattie serie, come riportato sul DSM–IV, che hanno un tasso di mortalità stimato pari al 20%. Pertanto, prima riusciremo a rimuovere l’erroneo luogo comunque relativo al fatto che i mass-media sono la principale causa di DCA, potremo focalizzare tutte le energie nello sviluppare trattamenti effettivamente efficaci nei confronti degli stessi.
Io non sono d’accordo, e ne ho già parlato. Ma, visto che ci siamo, ne approfitto per ribadire il concetto, per come la penso io. Mi farebbe piacere se, nei commenti, mi diceste come la vedete voi.
Tutto è cominciato con gli adesivi.
Un pomeriggio del mio terzo ricovero in una clinica specializzata nel trattamento per DCA, durante il gruppo di “Immagine Corporea”, ad ogni ragazza erano stati dati due fogli con degli adesivi, delle riviste per adolescenti e delle fotografie di persone comuni. Su uno dei fogli c’erano adesivi con su scritto: “Questa promuove un’immagine corporea sana!” e con associato uno smile. Gli adesivi sull’altro foglio invece recitavano: “Questa promuove un disturbo alimentare” accompagnati da una faccina triste. Noi ragazze dovevamo associare questi adesivi alle donne delle immagini che avevamo a disposizione. L’idea di base credo fosse quella di far associare il primo foglio di adesivi alle immagini delle donne comuni, e il secondo alle immagini delle modelle pubblicate sulle riviste, al fine di dimostrare come le immagini proposte dalla stampa potessero essere causa del DCA.
Ora, l’idea che le immagini proposte dai mass-media possano spingere le ragazze verso lo sviluppo di un DCA, è un’idea che va decisamente di moda, un’idea che da anni viene propagandata come verità, ma che secondo me non lo è. L’ho sempre pensato, anche ovviamente sulla base della mia esperienza personale. Nel pomeriggio di cui vi parlavo, mi rifiutai di eseguire il compito proposto dalla psicoterapeuta. Le dissi che non era realistico, perché io credo che tutte sappiano che la stragrande maggioranza delle fotografie di modelle è fotoritoccata, e che i loro corpi – i loro corpi reali, voglio dire – non sono così “perfetti” come vengono ritratti sulle pagine patinate delle riviste.
Nei miei lunghi anni in cui sono stata nel pieno dell’anoressia, fortunatamente non ho comunque sofferto di dismorfofobia, quindi vedevo benissimo che ero così magra da essere arrivata ben oltre la definizione sociale e mediatica di “magrezza”. Ma non l’ho mai fatto per imitare le modelle, che non mi hanno benché minimamente influenzata – sono sempre stata una sportiva piuttosto che una fashionist – anzi, ero perfettamente cosciente del fatto che, quando pesavo XX chili, ero tutt’altro che attraente… ma non m’importava. Pur riconoscendo che così magra ero pure più brutta del solito, avevo comunque bisogno di continuare a restringere l’alimentazione perché questo mi faceva sentire in controllo. E quel controllo per me era tutto, era l’unica cosa che mi appagava, l’unica cosa che mi faceva sentire forte e completamente soddisfatta di me stessa, quindi per me era necessario portarlo avanti a tutti i costi, per le sensazioni positive che lì per lì mi faceva provare. L’idea di voler somigliare alle modelle non mi è mai passata neanche per l’anticamera del cervello.
Tuttavia, è facile comprendere come la maggior parte della gente pensi che i mass-media, la società odierna e le modelle possano causare un disturbo alimentare. Il timore di ingrassare penso sia comune anche alle persone che non hanno un DCA. E tutte le persone sono bombardate dai messaggi mediatici. Ecco che, se in una persona che non sviluppa comunque un disturbo alimentare, certi input fanno venire comunque il timore di prendere peso, è facile pensare che su altri soggetti più vulnerabili questi stessi stimoli possano provocare un DCA.
Ma non è così. E lo dimostrano anche degli studi scientifici che hanno proprio valutato l’assenza di connessione tra mass-media e anoressia. Uno studio pubblicato nell’ “American Journal Of Psychiatry” ha rivelato che circa l’85% delle ragioni per cui, giusto per dire, io mi sono ammalata di anoressia e la mia migliore amica no, è attribuibile al proprio background di vita individuale. Uno studio di follow-up pubblicato in “Archives Of Psychiatry” mostra che solo il 2% di questa differenza di rischio tra me e la mia migliore amica è attribuibile all’influenza dei mass-media e ai modelli proposti dalla società odierna. Questi studi confermano l’idea che i DCA siano malattie assolutamente multifattoriali e composite, che dipendono da fattori completamente individuali e variabili da persona a persona. Studi scientifici alla mano, dunque, nel causare l’anoressia il background individuale schiaccia alla stragrande l’influenza dei mass-media.
Dunque, qual è il problema? Perché è così importante individuare cosa realmente possa causare un DCA, lasciando perdere i luoghi comuni sull’influenza dei mass-media? Innanzitutto, perché l’erronea idea che i DCA possano essere provocati dalle immagini di donne trasmesse dai mass-media, fa sì che l’attenzione venga focalizzata solo sui soggetti che si ritengono a rischio sulla base di questo criterio, ovvero le ragazze adolescenti e basta. Gli uomini, le bambine, le donne adulte… bè, anche loro possono soffrire di DCA. Ma poiché non sono ragazze adolescenti, i loro sintomi sono frequentemente presi sotto gamba, ignorati, tanto dai familiari e dagli amici, quanto addirittura talora dai medici. Inoltre, il luogo comune che i DCA siano provocati dall’influenza dei mass-media, è deleterio anche perché svaluta la serietà di queste malattie. Se la gente pensa che i DCA siano solo capricci di bambine vanitose che si lasciano influenzare troppo dalle foto delle modelle, questi difficilmente saranno considerati per quello che sono veramente, ovvero serie malattie, e ci sarà una minore tendenza a pensare che chi ha un DCA abbia bisogno d’aiuto professionale, e una maggiore tendenza a incolpare chi ha un DCA della sua stessa malattia.
No, dobbiamo svincolarci da questi preconcetti. E far capire alla gente che anche le il riacquisire un regime alimentare regolare è di fondamentale importanza per percorrere la strada del ricovero, riuscire a mangiare un pasto normale non ci guarirà.
Da quando ho cominciato a scrivere su questo blog, raccontando la mia storia di anoressia, molte ragazze e donne mi hanno contattata – vuoi tramite blog, vuoi tramite e-mail – alcune dicendomi che vivevano anche loro un DCA e quindi sapevano di cosa stavo parlando, altre invece dicendomi che mi capivano perché anche loro avevano chiesto di tanto in tanto ai loro fidanzati/mariti se non avessero qualche chilo di troppo. Ora, comparare un’insoddisfazione nei confronti della propria fisicità ad un vero e proprio disturbo alimentare è come comparare un graffio ad un’amputazione. Fino a che l’idea che la fa da padrona è quella che i mass-media possono provocare un DCA, per chi non ha vissuto queste malattie sulla propria pelle è facile confondere l’insoddisfazione per il proprio peso con un disturbo alimentare. Ma sono decisamente due cose completamente diverse.
Certo, i mass-media giocano un ruolo importante rispetto ai DCA… ma non quello che si potrebbe comunemente pensare. I mass-media, infatti, hanno un profondo impatto su quello che la gente che non ha mai vissuto un DCA pensa a proposito dei DCA stessi. Nella maggior parte dei casi, sono proprio i mass-media ad auto-attribuirsi il ruolo di causa scatenante dei DCA (quanti servizi televisivi vi siete sorbite, in cui si diceva appunto che i disturbi alimentari son dovuti ai modelli irraggiungibili di donna proposti da TV e riviste??!), e questo perpetua nelle persone che sono “esterne” alla problematica l’idea che i DCA siano una moda, un capriccio, che non siano malattie serie, e che se le ragazze che ne sono affette non fossero così infantili, superficiali ed influenzabili, non ne soffrirebbero.
Vorrei solo aggiungere che anoressia e bulimia sono delle vere e proprie malattie serie, come riportato sul DSM–IV, che hanno un tasso di mortalità stimato pari al 20%. Pertanto, prima riusciremo a rimuovere l’erroneo luogo comunque relativo al fatto che i mass-media sono la principale causa di DCA, potremo focalizzare tutte le energie nello sviluppare trattamenti effettivamente efficaci nei confronti degli stessi.
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venerdì 15 marzo 2013
Esattamente, se siete sovrappeso, a quale peso siete sopra?
Non mi sono mai piaciuti i termini “sovrappeso” e “sottopeso”, o per lo meno non mi è mai piaciuto il modo in cui questi termini vengono utilizzati da un punto di vista medico per parlare di persone che hanno un disturbo alimentare, ma per molto tempo non avrei saputo indicare a dito il motivo per cui queste due parole mi facessero tanta antipatia. Certo, in parte questi due termini non mi sono mai andati a genio perché sono fortemente giudicanti – se il tuo peso non è “normale”, allora sta facendo qualcosa di sbagliato, e il Dottor Camicebianco ti dirà come risolvere il problema. In un certo senso è per questo, ma non è tutto.
Ultimamente, però, ho capito a pieno perchè queste due parole non mi piacciono affatto.
Sottopeso e Sovrappeso sono termini in effetti relativi, eppure molti professionisti del settore medico li utilizzano come se fossero degli assoluti.
Cosa diamine sto cercando di dire? In questo momento, mentre scrivo al computer, sono seduta sopra una sedia, e sotto il tetto della mia casa. Se prendessi la sedia e salissi sul tetto, sarei seduta sopra la sedia e sopra il tetto. Se la sedia avesse delle gambe molto lunghe e io fossi una sorta di contorsionista, potrei mettermi a scrivere sotto la sedia che sarebbe a sua volta sotto il tetto. Basilarmente, “sopra” e “sotto” descrivono semplicemente una posizione relativa a qualcos’altro.
Ma certo, cose come “il range di peso normale” potrebbero essere un qualcosa cui fare un raffronto. E questo sarebbe un utilizzo adeguato dei termini… se effettivamente venissero utilizzati in questo modo (e se “il range di peso normale” riuscire a includere in maniera un po’ migliore tutti gli aspetti della salute di un individuo). Il vostro attuale B.M.I. è inferiore/superiore a quello della media della popolazione. Il problema della “media della popolazione” è che non si tratta di misure individuali. La “media della popolazione” ci dice meramente che, su millemila persone valutate, la maggior parte di esse sono in salute quando il loro B.M.I. è compreso tra X e Y. Quello che X e Y dovrebbero essere esattamente e a tutt’oggi oggetto di dibattito nella comunità medica, ma i valori precisi non sono importanti ai fini di quel che voglio dire.
Non ho alcun problema riguardo la creazione e l’utilizzo di una misura che stima la “media della popolazione”. Ho invece ENORMI problemi riguardo a come questi range che rispecchiano la media della popolazione vengono utilizzati per determinare lo stato di salute del singolo individuo.
Immaginate di andare da un medico (o da un dietista), che vi dice che siete “sovrappeso”. Questo significa, ipso facto, che non siete in salute, che mangiate troppo e male, e che dovete assolutamente perdere peso o morirete di una di quelle terribili malattie legate all’obesità.
Avete mai pensato che, in realtà, quando un medico o un dietista vi dice che siete “sovrappeso”, lo siete semplicemente rispetto alla “media della popolazione”??!
Ergo, la domanda cui rispondere è: esattamente, se siete sovrappeso, a quale peso siete sopra?
Certo, se avete un binge eating disorder e non v'importa niente di averlo, se siete completamente sedentarie, se avete del velcro sui vostri pantaloni che vi tiene incollate al sofà su cui vi sedate, e non fate assolutamente niente per tutto il giorno salvo guardare la TV, allora effettivamente avreste bisogno di cambiare un po’ il vostro stile di vita per migliorare la vostra salute. Ma se state combattendo attivamente contro il vostro DCA, quale che sia, se state seguendo correttamente l’ “equilibrio alimentare” che vi ha prescritto la vostra dietista senza restringere l’alimentazione o provocarvi il vomito, se cercate di fare attività fisica ma non più in maniera eccessiva, se avete il ciclo e, tutto sommato, le vostre condizioni di salute sono buone, allora lasciate che ve lo chieda di nuovo: se siete sovrappeso, a quale peso siete sopra? Potreste essere sovrappeso rispetto alla media della popolazione, ma questo peso potrebbe comunque essere PER VOI un peso assolutamente salutare.
E anche se non siete ancora arrivate fin qui. Anche se la vostra salute non si è ancora del tutto ripristinata, anche se il DCA minaccia ancora di avere la meglio su di voi, non per questo meritate di essere giudicate ed etichettate da nessuno, né dai medici, né dai dietisti, né dagli infermieri, né dalla gente, né da nessun altro. Perché solo voi sapete meglio di chiunque altro cosa significhi vivere la vostra vita, e che momento state attraversando.
La correlazione che più precisamente c’è tra quanto ho appena scritto e i DCA – l’anoressia in particolare – è che un B.M.I. pari a 18 viene normalmente considerato come una sorta di numero magico. Solo se superate questo magico B.M.I. non siete più considerate sottopeso e, dunque, come pensa la maggior parte della gente che non ha mai avuto l’anoressia, se avete risolto il vostro problema di peso, allora vuol dire che siete guarite e non avete più bisogno d’aiuto. Naturalmente, chi vive l’anoressia sulla propria pelle sa che riprendere peso non equivale a guarire, anzi, che la malattia si gioca fondamentalmente sul piano mentale, e che quindi si può essere ancora legate all’anoressia quale che sia il proprio peso… ma vallo a dire a chi non l’ha mai vissuta! La maggior parte della gente continuerà a pensare che è solo un problema di alimentazione, e che quindi basta riprendere il peso perso per guarire.
(Tra parentesi, lo sapevate che negli Stati Uniti d’America, dove la sanità non è pubblica come qua in Italia, bensì privata, le assicurazioni sanitarie pagano le cure delle pazienti con un DCA soltanto fino a che il loro B.M.I. è inferiore a 18 o superiore a 25?!!... Come se, rientrando in questo range di B.M.I., la persona fosse guarita… Se non è assurdo questo…)
Alcune ragazze, che ho conosciuto tramite questo blog e con le quali mi tengo in contatto anche via e-mail, mi hanno riferito che gli è stato detto che non avrebbero avuto bisogno di prendere ulteriore peso nel momento in cui il loro B.M.I. fosse arrivato a 18. Perché? Perché non sarebbero più state sottopeso. Da qui l’assunto: se il vostro peso è normale, il vostro DCA è risolto.
Il problema è che soltanto una ristretta fascia della popolazione ha un B.M.I. che, fisiologicamente, sta intorno al 18. Anche se chiunque è tecnicamente nella media della popolazione quando raggiunge un B.M.I. pari a 18, ci sono persone che con un B.M.I. di 18 sono comunque sottopeso rispetto a quello che è il LORO PROPRIO standard fisiologico, il loro set-point di peso ottimale.
Il problema è, di nuovo, che la parola “sottopeso” viene considerata come una misura assoluta. Una persona può essere ad un peso normale rispetto alla media della popolazione, ma questo peso può comunque essere non salutare per quella stessa persona, perché non coincide con il suo set-point.
Il proprio set-point corrisponde a quel peso che, una volta raggiuntolo, quel che si mangia non ha alcun effetto su quanto si pesa. Questa frase manda un po’ in confusione, non è vero? Mi spiego meglio. Chiaramente se una persona restringe continuativamente l’alimentazione, perde peso. E chiaramente se poi ha una ri-alimentazione, riprende peso. La chiave per capire la frase che prima ho scritto, si ha aggiungendo una chiarificazione fondamentale: una volta che si è al proprio set-point di peso ottimale, quanto si mangia non ha assolutamente nessun effetto su quanto si pesa. Se ci si trova sotto o sopra il proprio set-point di peso ottimale allora il corpo lavorerà davvero duramente per far tornare a quel set-point. Ergo, se una persona è sottopeso causa anoressia, è possibile stabilire che è ritornata al proprio set-point di peso quando, a prescindere da quello che mangia, il suo peso continua ad oscillare intorno ad un certo numero, ma non sale più come invece ha fatto sino a quel momento. Vale anche il viceversa, ovviamente: se una persona con problemi di binge che l’hanno portata a prendere peso, comincia a togliere le abbuffate e a rialimentarsi regolarmente, comincerà a perdere progressivamente peso fino a che non avrà raggiunto il suo set-point, dopodichè tenderà a rimanere su quei valori.
Ultima precisazione: il set-point di peso ottimale è determinato geneticamente… per questo trovo assurdo valutare la “normalità” o meno del peso del singolo sulla base del B.M.I.
Penso che ci sia bisogno di smetterla di utilizzare parole come “sottopeso” e “sovrappeso” come se si parlasse di magiche misure assolute, e viceversa valutare il sovrappeso/sottopeso come relativo ad ogni singolo individuo. Ci sono persone biologicamente molto magre, che non hanno nessun disturbo alimentare, e che sono in salute anche ad un B.M.I. inferiore a 18. Ci sono persone che sono a posto quando il loro B.M.I. è intorno a 18 – 20. Ci sono persone che stanno bene quando il loro B.M.I. sta tra 22 e 24 E ci sono persone che per essere in salute hanno bisogno di stare ad un B.M.I. intorno a 25 – 27. Dipende tutto dal DNA.
Penso che, in linea generale, si migliorerebbe la salute di un sacco di persone (e, nella fattispecie, quella di chi ha un DCA) smettendola di dire che esiste un range di peso superato il quale si è necessariamente sovrappeso o sottopeso, ed iniziare a prendere queste due misure come relative non alla massa, bensì al singolo individuo.
Ultimamente, però, ho capito a pieno perchè queste due parole non mi piacciono affatto.
Sottopeso e Sovrappeso sono termini in effetti relativi, eppure molti professionisti del settore medico li utilizzano come se fossero degli assoluti.
Cosa diamine sto cercando di dire? In questo momento, mentre scrivo al computer, sono seduta sopra una sedia, e sotto il tetto della mia casa. Se prendessi la sedia e salissi sul tetto, sarei seduta sopra la sedia e sopra il tetto. Se la sedia avesse delle gambe molto lunghe e io fossi una sorta di contorsionista, potrei mettermi a scrivere sotto la sedia che sarebbe a sua volta sotto il tetto. Basilarmente, “sopra” e “sotto” descrivono semplicemente una posizione relativa a qualcos’altro.
Ma certo, cose come “il range di peso normale” potrebbero essere un qualcosa cui fare un raffronto. E questo sarebbe un utilizzo adeguato dei termini… se effettivamente venissero utilizzati in questo modo (e se “il range di peso normale” riuscire a includere in maniera un po’ migliore tutti gli aspetti della salute di un individuo). Il vostro attuale B.M.I. è inferiore/superiore a quello della media della popolazione. Il problema della “media della popolazione” è che non si tratta di misure individuali. La “media della popolazione” ci dice meramente che, su millemila persone valutate, la maggior parte di esse sono in salute quando il loro B.M.I. è compreso tra X e Y. Quello che X e Y dovrebbero essere esattamente e a tutt’oggi oggetto di dibattito nella comunità medica, ma i valori precisi non sono importanti ai fini di quel che voglio dire.
Non ho alcun problema riguardo la creazione e l’utilizzo di una misura che stima la “media della popolazione”. Ho invece ENORMI problemi riguardo a come questi range che rispecchiano la media della popolazione vengono utilizzati per determinare lo stato di salute del singolo individuo.
Immaginate di andare da un medico (o da un dietista), che vi dice che siete “sovrappeso”. Questo significa, ipso facto, che non siete in salute, che mangiate troppo e male, e che dovete assolutamente perdere peso o morirete di una di quelle terribili malattie legate all’obesità.
Avete mai pensato che, in realtà, quando un medico o un dietista vi dice che siete “sovrappeso”, lo siete semplicemente rispetto alla “media della popolazione”??!
Ergo, la domanda cui rispondere è: esattamente, se siete sovrappeso, a quale peso siete sopra?
Certo, se avete un binge eating disorder e non v'importa niente di averlo, se siete completamente sedentarie, se avete del velcro sui vostri pantaloni che vi tiene incollate al sofà su cui vi sedate, e non fate assolutamente niente per tutto il giorno salvo guardare la TV, allora effettivamente avreste bisogno di cambiare un po’ il vostro stile di vita per migliorare la vostra salute. Ma se state combattendo attivamente contro il vostro DCA, quale che sia, se state seguendo correttamente l’ “equilibrio alimentare” che vi ha prescritto la vostra dietista senza restringere l’alimentazione o provocarvi il vomito, se cercate di fare attività fisica ma non più in maniera eccessiva, se avete il ciclo e, tutto sommato, le vostre condizioni di salute sono buone, allora lasciate che ve lo chieda di nuovo: se siete sovrappeso, a quale peso siete sopra? Potreste essere sovrappeso rispetto alla media della popolazione, ma questo peso potrebbe comunque essere PER VOI un peso assolutamente salutare.
E anche se non siete ancora arrivate fin qui. Anche se la vostra salute non si è ancora del tutto ripristinata, anche se il DCA minaccia ancora di avere la meglio su di voi, non per questo meritate di essere giudicate ed etichettate da nessuno, né dai medici, né dai dietisti, né dagli infermieri, né dalla gente, né da nessun altro. Perché solo voi sapete meglio di chiunque altro cosa significhi vivere la vostra vita, e che momento state attraversando.
La correlazione che più precisamente c’è tra quanto ho appena scritto e i DCA – l’anoressia in particolare – è che un B.M.I. pari a 18 viene normalmente considerato come una sorta di numero magico. Solo se superate questo magico B.M.I. non siete più considerate sottopeso e, dunque, come pensa la maggior parte della gente che non ha mai avuto l’anoressia, se avete risolto il vostro problema di peso, allora vuol dire che siete guarite e non avete più bisogno d’aiuto. Naturalmente, chi vive l’anoressia sulla propria pelle sa che riprendere peso non equivale a guarire, anzi, che la malattia si gioca fondamentalmente sul piano mentale, e che quindi si può essere ancora legate all’anoressia quale che sia il proprio peso… ma vallo a dire a chi non l’ha mai vissuta! La maggior parte della gente continuerà a pensare che è solo un problema di alimentazione, e che quindi basta riprendere il peso perso per guarire.
(Tra parentesi, lo sapevate che negli Stati Uniti d’America, dove la sanità non è pubblica come qua in Italia, bensì privata, le assicurazioni sanitarie pagano le cure delle pazienti con un DCA soltanto fino a che il loro B.M.I. è inferiore a 18 o superiore a 25?!!... Come se, rientrando in questo range di B.M.I., la persona fosse guarita… Se non è assurdo questo…)
Alcune ragazze, che ho conosciuto tramite questo blog e con le quali mi tengo in contatto anche via e-mail, mi hanno riferito che gli è stato detto che non avrebbero avuto bisogno di prendere ulteriore peso nel momento in cui il loro B.M.I. fosse arrivato a 18. Perché? Perché non sarebbero più state sottopeso. Da qui l’assunto: se il vostro peso è normale, il vostro DCA è risolto.
Il problema è che soltanto una ristretta fascia della popolazione ha un B.M.I. che, fisiologicamente, sta intorno al 18. Anche se chiunque è tecnicamente nella media della popolazione quando raggiunge un B.M.I. pari a 18, ci sono persone che con un B.M.I. di 18 sono comunque sottopeso rispetto a quello che è il LORO PROPRIO standard fisiologico, il loro set-point di peso ottimale.
Il problema è, di nuovo, che la parola “sottopeso” viene considerata come una misura assoluta. Una persona può essere ad un peso normale rispetto alla media della popolazione, ma questo peso può comunque essere non salutare per quella stessa persona, perché non coincide con il suo set-point.
Il proprio set-point corrisponde a quel peso che, una volta raggiuntolo, quel che si mangia non ha alcun effetto su quanto si pesa. Questa frase manda un po’ in confusione, non è vero? Mi spiego meglio. Chiaramente se una persona restringe continuativamente l’alimentazione, perde peso. E chiaramente se poi ha una ri-alimentazione, riprende peso. La chiave per capire la frase che prima ho scritto, si ha aggiungendo una chiarificazione fondamentale: una volta che si è al proprio set-point di peso ottimale, quanto si mangia non ha assolutamente nessun effetto su quanto si pesa. Se ci si trova sotto o sopra il proprio set-point di peso ottimale allora il corpo lavorerà davvero duramente per far tornare a quel set-point. Ergo, se una persona è sottopeso causa anoressia, è possibile stabilire che è ritornata al proprio set-point di peso quando, a prescindere da quello che mangia, il suo peso continua ad oscillare intorno ad un certo numero, ma non sale più come invece ha fatto sino a quel momento. Vale anche il viceversa, ovviamente: se una persona con problemi di binge che l’hanno portata a prendere peso, comincia a togliere le abbuffate e a rialimentarsi regolarmente, comincerà a perdere progressivamente peso fino a che non avrà raggiunto il suo set-point, dopodichè tenderà a rimanere su quei valori.
Ultima precisazione: il set-point di peso ottimale è determinato geneticamente… per questo trovo assurdo valutare la “normalità” o meno del peso del singolo sulla base del B.M.I.
Penso che ci sia bisogno di smetterla di utilizzare parole come “sottopeso” e “sovrappeso” come se si parlasse di magiche misure assolute, e viceversa valutare il sovrappeso/sottopeso come relativo ad ogni singolo individuo. Ci sono persone biologicamente molto magre, che non hanno nessun disturbo alimentare, e che sono in salute anche ad un B.M.I. inferiore a 18. Ci sono persone che sono a posto quando il loro B.M.I. è intorno a 18 – 20. Ci sono persone che stanno bene quando il loro B.M.I. sta tra 22 e 24 E ci sono persone che per essere in salute hanno bisogno di stare ad un B.M.I. intorno a 25 – 27. Dipende tutto dal DNA.
Penso che, in linea generale, si migliorerebbe la salute di un sacco di persone (e, nella fattispecie, quella di chi ha un DCA) smettendola di dire che esiste un range di peso superato il quale si è necessariamente sovrappeso o sottopeso, ed iniziare a prendere queste due misure come relative non alla massa, bensì al singolo individuo.
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venerdì 8 marzo 2013
La verità sulla strada del ricovero
Okay, riconosco che il titolo di questo post è un po’ presuntuoso. Avrei dovuto scrivere “La MIA verità sulla strada del ricovero”, perché è ovvio che quello che penso, che deriva dalla mia esperienza personale, non può avere valenza universale.
Ma, del resto, ogni qualsiasi post presente su ogni qualsiasi blog, essendo stato scritto dalla propria autrice, riflette la soggettività della stessa, e quindi ecco che, necessariamente, queste sono le mie verità.
1) Non si possono fare molti passi avanti sulla strada del ricovero dall’anoressia, se non si recupera un peso decente (non mi riferisco meramente al B.M.I., mi riferisco ad uno standard soggettivo basato sulla corporatura di ognuna), lo si mantiene, e se non si arriva a raggiungere un buono stato di salute fisica. Questo significa seguire un “equilibrio alimentare” prescritto da una dietista/nutrizionista, o comunque un’alimentazione bilanciata, corretta, ricca di tutti i nutrienti, quantitativamente adeguata alle necessità. E questo, a prescindere dal proprio peso. In alcuni casi, il recupero di un po’ del peso può essere ottenuto anche con una dieta da 1200 – 1500 calorie al giorno, e continuando a fare sport. Molte ragazze pensano che questo sia sufficiente, e pensano di poter andare avanti così perché questo sembra andar bene e non è troppo ansiogeno, ritenendo così di aver già raggiunto un buon punto nel percorso di ricovero. Ma lasciate che vi spieghi un attimo il processo metabolico sotteso. Seguire una dieta da 1200 – 1500 calorie al giorno significa seguire una dieta che ha, in realtà, un contenuto calorico decisamente basso rispetto a quello che sarebbe necessario per soddisfare il fabbisogno giornaliero delle ragazze o delle donne adulte. Ergo, per compensare, l’organismo abbassa il proprio metabolismo, il che comporta: A) l’accumulo di ogni singola caloria possibile sotto forma di lipidi, con aumento della sola massa grassa, e B) l’autocannibalismo: il corpo supplisce alla carenza di nutrienti apportati con l’alimentazione “mangiando” i propri muscoli ed organi per permettere al cuore di continuare a pompare sangue. Quindi, la situazione è: un peso vagamente accettabile sebbene sempre piuttosto basso, ottenuto a spese dei vostri muscoli, delle vostre ossa, dei vostri organi interni, con il mantenimento di un elevato rischio di morte per infarto (perché, bè, anche il cuore è un muscolo, quindi prima o poi anche lui viene “auto-mangiato”…). Vorrei sottolineare che 2 persone su 3 affette da anoressia muoiono in conseguenza della stessa anche se sono riuscite a recuperare qualche chilo rispetto al loro peso minimo raggiunto, e anche se questo recupero ha portato ad un peso vagamente accettabile.
2) Non si può percorrere efficacemente la strada del ricovero se si continua a fare attività fisica in maniera eccessiva, anche se si incrementa il quantitativo di cibo mangiato per far fronte alle calorie in più bruciate con detta attività fisica. (E questa non è una mia opinione, è un dato di fatto e, se la cosa potesse interessarvi, sono pronta a linkarvi diversi studi scientifici in cui si dimostra ciò.) Questo perché l’attività fisica avverte l’organismo che si sta utilizzando un quantitativo più elevato di calorie, e il corpo risponde, come ho già detto al punto 1, abbassando il metabolismo. E si ritorna a quello che ho scritto sopra: viene incrementato l’introito calorico, si riprende qualche chilo, viene fatta attività fisica (anche se magari non più in maniera compulsiva) e sembra che le cose vadano meglio, quando in realtà l’organismo si sta compromettendo dall’interno. Okay, mi direte voi, faccio attività fisica, ma mangio anche di più, quindi faccio pari. Eh no, non funziona così. Il nostro corpo è molto attivo quando si ha l’anoressia: cerca di concentrare le poche calorie fornitegli nelle sedi più critiche ad un solo scopo: far continuare le pulsazioni cardiache. Quando si fa attività fisica, si causa un danno minore alla muscolatura, che viene successivamente riparata dall’organismo (questo è il modo in cui gli atleti, allenandosi, incrementano la loro massa muscolare), organismo che allo stesso tempo sta cercando di tenersi in vita. Tra l’altro, spiegatemi come fate a capire esattamente quante calorie vi ci vogliono per compensare quella precisa quantità di attività fisica che fate. Il nostro corpo funziona in maniera molto più complessa di una semplice equivalenza tra calorie (che, tra l’altro, hanno “valore” differente in funzione del tipo di cibo che le fornisce), soprattutto quando, con l’anoressia, è impegnato a cercare di fare diverse cose contemporaneamente per mantenersi in vita.
3) Non è possibile decidere personalmente e a priori quale è il proprio “peso ideale”. Non lo può decidere neanche un calcolo matematico, un grafico di relazione peso/altezza, né un B.M.I., nè un medico. Questo è territorio esclusivo del proprio corpo: esso sa da solo qual è il proprio set point genetico di peso, e continuerà a usare le calorie che s’ingerisce e a “auto-fagocitarsi” fino a che non avrà raggiunto il set point riparando tutti i danni interni. Fino a che una persona decide arbitrariamente quale debba essere il proprio set point, e cerca di mangiare e di fare attività fisica per mantenere il suo peso attorno a quel valore, la sua testa in realtà continua ad essere dominata dall’anoressia, e il suo corpo continua a subire danni che possono accorciare l’aspettativa di vita anche di 20 anni. Una cosa importante per percorrere la strada del ricovero, infatti, ritengo sia lo smettere di applicare processi intellettuali a funzioni biologiche.
4) Non esiste nel DNA un “gene-anoressia”, ma penso possa esistere una predisposizione, una propensione a sviluppare l’anoressia, che si concretizza quando l’individuo viene in contatto con eventi che ne provocano l’innesco. Una volta che il grilletto viene premuto, non si può fermare la pallottola. Quale che sia l’evento che funge da detonatore determinando la comparsa dell’anoressia, l’amigdala identifica erroneamente il cibo come una fonte di ansia, e il cervello riceve un segnale che dice: “Devi restringere l’alimentazione!!”. Il corpo ovviamente non è d’accordo, quindi invia al cervello segnali che dicono: “Ho necessità di mangiare ADESSO”. Sfortunatamente, tanto l’amigdala quanto il corpo parlano un linguaggio non-verbale, perciò è impossibile parlare con essi giungendo ad un compromesso accettabile. Per cui, quando i lobi frontali si trovano a dover far fronte ad una divergenza tra i segnali che giungono dall’amigdala e quelli che giungono dal corpo, forse arrivano ad un’ovvia conclusione: c’è bisogno di perdere (ancora) peso. Quando restringo l’alimentazione mi sembra di poter controllare tutto, così non ho più ansie, mi sento forte, mi sento soddisfatta, sono fiera di me. Devo continuare così perché il controllo è la chiave di tutto. È così che si sviluppa la distorsione più caratteristica dell’anoressia, che poi si può accompagnare alla concomitante presenza di altre patologie psichiatriche: DOC, disturbo di personalità borderline, disturbo di ansia generalizzata, giusto per elencare le più frequenti comorbidità. Alcuni di essi sono conseguenti al DCA, e possono essere opportunamente trattati, ma i farmaci che agiscono su queste condizioni sono scarsamente efficaci su un organismo denutrito. Per cui, l’organismo non risponde al trattamento per le suddette malattie psichiatriche fino a che non viene recuperato un peso decente, e talvolta sono queste stesse malattie psichiatriche ad incrementare le difficoltà connesse al riprendere peso… insomma, un serpente che si morde la coda.
5) La psicoterapia non è poi molto produttiva né efficace finché il peso è ai minimi storici e non ci alimentiamo adeguatamente. Il cervello costituisce circa il 4% del peso corporeo, e utilizza circa il 20% di tutta l’energia fornita al corpo stesso. Affamare il proprio corpo significa affamare il proprio cervello. Per rendere una psicoterapia produttiva e funzionale è necessario che tutti i processi cognitivi si svolgano in maniera adeguata. Sfortunatamente, il riprendere peso comporta il vedere accrescere i propri livelli di ansia conseguenti alla sensazione di perdita di controllo, ma quello che si può fare è lavorarci su grazie alla psicoterapia stessa e cercare d’imparare altre strategie di coping diverse dalla restrizione alimentare, e questo è tanto più efficace quanto più l’alimentazione è adeguata alle necessità. So benissimo che sembra più facile continuare a restringere l’alimentazione perchè i livelli di ansia si abbassano immediatamente, essendo la sensazione di controllo preponderante, ma in realtà quell’ansia c’è sempre, la si sta solo nascondendo dietro un comportamento malato. Per questo è importante imparare, tramite la psicoterapia, a gestirla in altro modo… ed ecco perché penso che la psicoterapia (oltre che l’essere seguire da una dietista, ovviamente) sia molto importante nel percorrere la strada del ricovero.
6) Nella stragrande maggioranza dei casi, l’anoressia ha un decorso “ciclico”: ci sono momenti di remissione, in cui il peso torna ad essere accettabile e spariscono i soliti pensieri ossessivi, e momenti di ricaduta. Anche nel migliore dei casi, si rimane comunque sempre vulnerabili alle insidie dell’anoressia. Una ricaduta può iniziare in maniera subdola, una colazione saltata, un pranzo ridotto, un po’ più di attività fisica, o cose del genere. Ma nel momento in cui l’evento si verifica, si ri-stimola l’amigdala che ricomincia a mandare messaggi erronei al cervello. Il momento giusto per imparare e mettere in pratica le strategie che ci consentano di combattere la ricaduta è il momento in cui si sta fisicamente e mentalmente meglio, in cui si ha perciò maggiore lucidità, NON quando si è già ricominciata la lenta (o rapida) discesa nell’anoressia, discesa che, una volta o l’altra, potrebbe anche essere l’ultima.
Ma, del resto, ogni qualsiasi post presente su ogni qualsiasi blog, essendo stato scritto dalla propria autrice, riflette la soggettività della stessa, e quindi ecco che, necessariamente, queste sono le mie verità.
1) Non si possono fare molti passi avanti sulla strada del ricovero dall’anoressia, se non si recupera un peso decente (non mi riferisco meramente al B.M.I., mi riferisco ad uno standard soggettivo basato sulla corporatura di ognuna), lo si mantiene, e se non si arriva a raggiungere un buono stato di salute fisica. Questo significa seguire un “equilibrio alimentare” prescritto da una dietista/nutrizionista, o comunque un’alimentazione bilanciata, corretta, ricca di tutti i nutrienti, quantitativamente adeguata alle necessità. E questo, a prescindere dal proprio peso. In alcuni casi, il recupero di un po’ del peso può essere ottenuto anche con una dieta da 1200 – 1500 calorie al giorno, e continuando a fare sport. Molte ragazze pensano che questo sia sufficiente, e pensano di poter andare avanti così perché questo sembra andar bene e non è troppo ansiogeno, ritenendo così di aver già raggiunto un buon punto nel percorso di ricovero. Ma lasciate che vi spieghi un attimo il processo metabolico sotteso. Seguire una dieta da 1200 – 1500 calorie al giorno significa seguire una dieta che ha, in realtà, un contenuto calorico decisamente basso rispetto a quello che sarebbe necessario per soddisfare il fabbisogno giornaliero delle ragazze o delle donne adulte. Ergo, per compensare, l’organismo abbassa il proprio metabolismo, il che comporta: A) l’accumulo di ogni singola caloria possibile sotto forma di lipidi, con aumento della sola massa grassa, e B) l’autocannibalismo: il corpo supplisce alla carenza di nutrienti apportati con l’alimentazione “mangiando” i propri muscoli ed organi per permettere al cuore di continuare a pompare sangue. Quindi, la situazione è: un peso vagamente accettabile sebbene sempre piuttosto basso, ottenuto a spese dei vostri muscoli, delle vostre ossa, dei vostri organi interni, con il mantenimento di un elevato rischio di morte per infarto (perché, bè, anche il cuore è un muscolo, quindi prima o poi anche lui viene “auto-mangiato”…). Vorrei sottolineare che 2 persone su 3 affette da anoressia muoiono in conseguenza della stessa anche se sono riuscite a recuperare qualche chilo rispetto al loro peso minimo raggiunto, e anche se questo recupero ha portato ad un peso vagamente accettabile.
2) Non si può percorrere efficacemente la strada del ricovero se si continua a fare attività fisica in maniera eccessiva, anche se si incrementa il quantitativo di cibo mangiato per far fronte alle calorie in più bruciate con detta attività fisica. (E questa non è una mia opinione, è un dato di fatto e, se la cosa potesse interessarvi, sono pronta a linkarvi diversi studi scientifici in cui si dimostra ciò.) Questo perché l’attività fisica avverte l’organismo che si sta utilizzando un quantitativo più elevato di calorie, e il corpo risponde, come ho già detto al punto 1, abbassando il metabolismo. E si ritorna a quello che ho scritto sopra: viene incrementato l’introito calorico, si riprende qualche chilo, viene fatta attività fisica (anche se magari non più in maniera compulsiva) e sembra che le cose vadano meglio, quando in realtà l’organismo si sta compromettendo dall’interno. Okay, mi direte voi, faccio attività fisica, ma mangio anche di più, quindi faccio pari. Eh no, non funziona così. Il nostro corpo è molto attivo quando si ha l’anoressia: cerca di concentrare le poche calorie fornitegli nelle sedi più critiche ad un solo scopo: far continuare le pulsazioni cardiache. Quando si fa attività fisica, si causa un danno minore alla muscolatura, che viene successivamente riparata dall’organismo (questo è il modo in cui gli atleti, allenandosi, incrementano la loro massa muscolare), organismo che allo stesso tempo sta cercando di tenersi in vita. Tra l’altro, spiegatemi come fate a capire esattamente quante calorie vi ci vogliono per compensare quella precisa quantità di attività fisica che fate. Il nostro corpo funziona in maniera molto più complessa di una semplice equivalenza tra calorie (che, tra l’altro, hanno “valore” differente in funzione del tipo di cibo che le fornisce), soprattutto quando, con l’anoressia, è impegnato a cercare di fare diverse cose contemporaneamente per mantenersi in vita.
3) Non è possibile decidere personalmente e a priori quale è il proprio “peso ideale”. Non lo può decidere neanche un calcolo matematico, un grafico di relazione peso/altezza, né un B.M.I., nè un medico. Questo è territorio esclusivo del proprio corpo: esso sa da solo qual è il proprio set point genetico di peso, e continuerà a usare le calorie che s’ingerisce e a “auto-fagocitarsi” fino a che non avrà raggiunto il set point riparando tutti i danni interni. Fino a che una persona decide arbitrariamente quale debba essere il proprio set point, e cerca di mangiare e di fare attività fisica per mantenere il suo peso attorno a quel valore, la sua testa in realtà continua ad essere dominata dall’anoressia, e il suo corpo continua a subire danni che possono accorciare l’aspettativa di vita anche di 20 anni. Una cosa importante per percorrere la strada del ricovero, infatti, ritengo sia lo smettere di applicare processi intellettuali a funzioni biologiche.
4) Non esiste nel DNA un “gene-anoressia”, ma penso possa esistere una predisposizione, una propensione a sviluppare l’anoressia, che si concretizza quando l’individuo viene in contatto con eventi che ne provocano l’innesco. Una volta che il grilletto viene premuto, non si può fermare la pallottola. Quale che sia l’evento che funge da detonatore determinando la comparsa dell’anoressia, l’amigdala identifica erroneamente il cibo come una fonte di ansia, e il cervello riceve un segnale che dice: “Devi restringere l’alimentazione!!”. Il corpo ovviamente non è d’accordo, quindi invia al cervello segnali che dicono: “Ho necessità di mangiare ADESSO”. Sfortunatamente, tanto l’amigdala quanto il corpo parlano un linguaggio non-verbale, perciò è impossibile parlare con essi giungendo ad un compromesso accettabile. Per cui, quando i lobi frontali si trovano a dover far fronte ad una divergenza tra i segnali che giungono dall’amigdala e quelli che giungono dal corpo, forse arrivano ad un’ovvia conclusione: c’è bisogno di perdere (ancora) peso. Quando restringo l’alimentazione mi sembra di poter controllare tutto, così non ho più ansie, mi sento forte, mi sento soddisfatta, sono fiera di me. Devo continuare così perché il controllo è la chiave di tutto. È così che si sviluppa la distorsione più caratteristica dell’anoressia, che poi si può accompagnare alla concomitante presenza di altre patologie psichiatriche: DOC, disturbo di personalità borderline, disturbo di ansia generalizzata, giusto per elencare le più frequenti comorbidità. Alcuni di essi sono conseguenti al DCA, e possono essere opportunamente trattati, ma i farmaci che agiscono su queste condizioni sono scarsamente efficaci su un organismo denutrito. Per cui, l’organismo non risponde al trattamento per le suddette malattie psichiatriche fino a che non viene recuperato un peso decente, e talvolta sono queste stesse malattie psichiatriche ad incrementare le difficoltà connesse al riprendere peso… insomma, un serpente che si morde la coda.
5) La psicoterapia non è poi molto produttiva né efficace finché il peso è ai minimi storici e non ci alimentiamo adeguatamente. Il cervello costituisce circa il 4% del peso corporeo, e utilizza circa il 20% di tutta l’energia fornita al corpo stesso. Affamare il proprio corpo significa affamare il proprio cervello. Per rendere una psicoterapia produttiva e funzionale è necessario che tutti i processi cognitivi si svolgano in maniera adeguata. Sfortunatamente, il riprendere peso comporta il vedere accrescere i propri livelli di ansia conseguenti alla sensazione di perdita di controllo, ma quello che si può fare è lavorarci su grazie alla psicoterapia stessa e cercare d’imparare altre strategie di coping diverse dalla restrizione alimentare, e questo è tanto più efficace quanto più l’alimentazione è adeguata alle necessità. So benissimo che sembra più facile continuare a restringere l’alimentazione perchè i livelli di ansia si abbassano immediatamente, essendo la sensazione di controllo preponderante, ma in realtà quell’ansia c’è sempre, la si sta solo nascondendo dietro un comportamento malato. Per questo è importante imparare, tramite la psicoterapia, a gestirla in altro modo… ed ecco perché penso che la psicoterapia (oltre che l’essere seguire da una dietista, ovviamente) sia molto importante nel percorrere la strada del ricovero.
6) Nella stragrande maggioranza dei casi, l’anoressia ha un decorso “ciclico”: ci sono momenti di remissione, in cui il peso torna ad essere accettabile e spariscono i soliti pensieri ossessivi, e momenti di ricaduta. Anche nel migliore dei casi, si rimane comunque sempre vulnerabili alle insidie dell’anoressia. Una ricaduta può iniziare in maniera subdola, una colazione saltata, un pranzo ridotto, un po’ più di attività fisica, o cose del genere. Ma nel momento in cui l’evento si verifica, si ri-stimola l’amigdala che ricomincia a mandare messaggi erronei al cervello. Il momento giusto per imparare e mettere in pratica le strategie che ci consentano di combattere la ricaduta è il momento in cui si sta fisicamente e mentalmente meglio, in cui si ha perciò maggiore lucidità, NON quando si è già ricominciata la lenta (o rapida) discesa nell’anoressia, discesa che, una volta o l’altra, potrebbe anche essere l’ultima.
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venerdì 1 marzo 2013
Azioni da ricovero, pensieri da ricovero
Ho letto su un blog un post che parla di come azioni da ricovero conducano a pensieri da ricovero. Ovvero, come anche il solo cominciare a combattere contro l’anoressia, possa favorire la comparsa di pensieri combattivi nei confronti dell’anoressia stessa.
Io sono molto d’accordo con ciò. Questo, secondo me, è infatti uno dei più grandi misconcetti inerenti i DCA: molte persone che hanno un DCA pensano che nel momento in cui saranno riuscite a capire il motivo/i motivi per cui si sono ammalate, il perché tengono un comportamento alimentare erroneo, allora saranno in grado di smetterla. C’è del vero in questo, certo. Ci piace pensare di essere persone logiche e razionali e, in virtù di ciò, nel momento in cui ci rendessimo conto di cosa sta veramente alla base del nostro DCA, ne usciremmo completamente.
Qualcuna di voi ha visto il film “I segreti di Brokeback Mountain”? Ricordate la scena del “Non posso fare a meno di te”?
Ecco, vale un po’ la stessa cosa per l’anoressia.
I DCA non sono logici e razionali. La porzione del cervello che veicola l’ansia e le compulsioni per sedarla viaggia più veloce della cognizione conscia. Ci sono alcuni millisecondi di scarto: per il Tempo del Cervello, è un sacco di tempo. Perciò, anche quando la parte conscia del nostro cervello è consapevole che il DCA non è esattamente quello che ci porterà dove avremmo voluto arrivare, rimaniamo comunque attaccati ad esso. La risposta dell’anoressia è una risposta istintiva, riflessa. Ciò non significa, ovviamente, che non abbiamo assolutamente nessun controllo su quali siano i nostri comportamenti alimentari, ciò non è certo vero, però certi pattern comportamentali diventano talmente radicati, connaturati, che il pensiero razionale non riesce mai a cancellarli del tutto.
La cosa più difficile non è tanto cambiare il nostro comportamento nei confronti dell’alimentazione, quanto cambiare i nostri pensieri nei confronti di noi stesse. Nel momento in cui ci forziamo a non avere più comportamenti malati nei confronti del cibo, e manteniamo questa linea, poco a poco le ossessioni si attenuano. Più ci comportiamo come persone che stanno combattendo l’anoressia, più iniziamo a pensare come persone che stanno combattendo l’anoressia.
Ciò non significa ovviamente che tutti i pensieri indotti dal DCA spariscano – perchè non spariscono in toto, in effetti – ma che, a forza di applicarli, anche i comportamenti che ci aiutano a combattere contro l’anoressia diventano più istintivi, riflessi.
Se c’è una frase che ritengo perciò sia utile ripetere come nostro mantra conscio, è senz’altro quella che riecheggia il titolo di questo post: azioni da ricovero conducono a pensieri da ricovero.
Io sono molto d’accordo con ciò. Questo, secondo me, è infatti uno dei più grandi misconcetti inerenti i DCA: molte persone che hanno un DCA pensano che nel momento in cui saranno riuscite a capire il motivo/i motivi per cui si sono ammalate, il perché tengono un comportamento alimentare erroneo, allora saranno in grado di smetterla. C’è del vero in questo, certo. Ci piace pensare di essere persone logiche e razionali e, in virtù di ciò, nel momento in cui ci rendessimo conto di cosa sta veramente alla base del nostro DCA, ne usciremmo completamente.
Qualcuna di voi ha visto il film “I segreti di Brokeback Mountain”? Ricordate la scena del “Non posso fare a meno di te”?
Ecco, vale un po’ la stessa cosa per l’anoressia.
I DCA non sono logici e razionali. La porzione del cervello che veicola l’ansia e le compulsioni per sedarla viaggia più veloce della cognizione conscia. Ci sono alcuni millisecondi di scarto: per il Tempo del Cervello, è un sacco di tempo. Perciò, anche quando la parte conscia del nostro cervello è consapevole che il DCA non è esattamente quello che ci porterà dove avremmo voluto arrivare, rimaniamo comunque attaccati ad esso. La risposta dell’anoressia è una risposta istintiva, riflessa. Ciò non significa, ovviamente, che non abbiamo assolutamente nessun controllo su quali siano i nostri comportamenti alimentari, ciò non è certo vero, però certi pattern comportamentali diventano talmente radicati, connaturati, che il pensiero razionale non riesce mai a cancellarli del tutto.
La cosa più difficile non è tanto cambiare il nostro comportamento nei confronti dell’alimentazione, quanto cambiare i nostri pensieri nei confronti di noi stesse. Nel momento in cui ci forziamo a non avere più comportamenti malati nei confronti del cibo, e manteniamo questa linea, poco a poco le ossessioni si attenuano. Più ci comportiamo come persone che stanno combattendo l’anoressia, più iniziamo a pensare come persone che stanno combattendo l’anoressia.
Ciò non significa ovviamente che tutti i pensieri indotti dal DCA spariscano – perchè non spariscono in toto, in effetti – ma che, a forza di applicarli, anche i comportamenti che ci aiutano a combattere contro l’anoressia diventano più istintivi, riflessi.
Se c’è una frase che ritengo perciò sia utile ripetere come nostro mantra conscio, è senz’altro quella che riecheggia il titolo di questo post: azioni da ricovero conducono a pensieri da ricovero.
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