sabato 28 maggio 2011
Tutto da perdere... e da riprendere
Cos’è che l’anoressia ci fa perdere?
Ci fa perdere la possibilità di raggiungere quello che avremo potuto raggiungere.
Ci fa perdere la salute fisica (e mentale).
Ci fa perdere il nostro amore per le cose che ci piaceva fare.
Ci fa perdere il corpo “perfetto” che avevamo prima d’introdurci nella spirale discendente dell’anoressia.
Ci fa perdere energia.
Ci fa perdere speranza.
Ci fa perdere integrità e identità.
Ci fa perdere l’amicizia.
Ci fa perdere molte esperienze.
Ci fa perdere anni di studio/lavoro.
Ci fa perdere opportunità.
Ci fa perdere rispetto per noi stesse.
Ci fa perdere autostima.
Ci fa perdere il controllo.
Ci fa perdere la fiducia nel futuro.
Ci fa perdere il desiderio di cambiare le cose.
Ci fa perdere tempo.
Ci fa perdere l’innocenza.
Ci fa perdere la serenità.
Ci fa perdere la capacità di accettarci ed apprezzarci per quello che siamo.
Ci fa perdere la volontà di vivere.
Ci fa perdere una corretta percezione della bellezza.
Ci fa perdere sogni ed obiettivi.
Ci fa perdere la concentrazione.
Ci fa perdere ogni direzione.
Ci fa perdere il desiderio di vivere spensieratamente e in modo divertente.
Ci fa perdere di vista quello che conta veramente nella vita.
Ci fa perdere noi stesse.
Io ci sono passata. Sto ancora combattendo. Ho perso talmente tanto me stessa, nel tentativo di essere quella che non ero, che quando ho ottenuto quello che desideravo mi sono accorta che non era ciò di cui avrei avuto veramente bisogno. E che quindi, in definitiva, avevo perso tutto senza ottenere niente.
Se abbracciate ancora la vostra anoressia e non volete lottare, preparatevi a perdere molto, MOLTO più che qualche semplice chilo. Preparatevi a perdere TUTTO. Preparatevi a perdere. Poiché è questo che è in realtà l’anoressia: una scelta a perdere.
Se invece state combattendo insieme a me, ragazze, bè, allora considerate che tutto quello che l’anoressia si è presa non ce lo renderà indietro… ma che, se lottiamo, giorno dopo giorno, noi possiamo provare a ricostruire qualcosa di nuovo. Qualcosa di veramente nostro. La libertà.
Ci fa perdere la possibilità di raggiungere quello che avremo potuto raggiungere.
Ci fa perdere la salute fisica (e mentale).
Ci fa perdere il nostro amore per le cose che ci piaceva fare.
Ci fa perdere il corpo “perfetto” che avevamo prima d’introdurci nella spirale discendente dell’anoressia.
Ci fa perdere energia.
Ci fa perdere speranza.
Ci fa perdere integrità e identità.
Ci fa perdere l’amicizia.
Ci fa perdere molte esperienze.
Ci fa perdere anni di studio/lavoro.
Ci fa perdere opportunità.
Ci fa perdere rispetto per noi stesse.
Ci fa perdere autostima.
Ci fa perdere il controllo.
Ci fa perdere la fiducia nel futuro.
Ci fa perdere il desiderio di cambiare le cose.
Ci fa perdere tempo.
Ci fa perdere l’innocenza.
Ci fa perdere la serenità.
Ci fa perdere la capacità di accettarci ed apprezzarci per quello che siamo.
Ci fa perdere la volontà di vivere.
Ci fa perdere una corretta percezione della bellezza.
Ci fa perdere sogni ed obiettivi.
Ci fa perdere la concentrazione.
Ci fa perdere ogni direzione.
Ci fa perdere il desiderio di vivere spensieratamente e in modo divertente.
Ci fa perdere di vista quello che conta veramente nella vita.
Ci fa perdere noi stesse.
Io ci sono passata. Sto ancora combattendo. Ho perso talmente tanto me stessa, nel tentativo di essere quella che non ero, che quando ho ottenuto quello che desideravo mi sono accorta che non era ciò di cui avrei avuto veramente bisogno. E che quindi, in definitiva, avevo perso tutto senza ottenere niente.
Se abbracciate ancora la vostra anoressia e non volete lottare, preparatevi a perdere molto, MOLTO più che qualche semplice chilo. Preparatevi a perdere TUTTO. Preparatevi a perdere. Poiché è questo che è in realtà l’anoressia: una scelta a perdere.
Se invece state combattendo insieme a me, ragazze, bè, allora considerate che tutto quello che l’anoressia si è presa non ce lo renderà indietro… ma che, se lottiamo, giorno dopo giorno, noi possiamo provare a ricostruire qualcosa di nuovo. Qualcosa di veramente nostro. La libertà.
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sabato 21 maggio 2011
Vivere con/senza l'anoressia
L’anoressia e la bulimia finiscono, a poco a poco, per invadere ogni singolo aspetto della nostra vita, devastando tutto. Così finiscono per farci dimenticare che cosa significhi vivere davvero, intrappolandoci nella nostra stessa mente.
Nel momento in cui s’inizia a percorrere la strada del ricovero, perciò, penso venga spontaneo chiedersi che cosa significhi vivere veramente.
Di certo non significa lottare costantemente contro il cibo, inquadrandolo come un nemico. Non significa fare attività fisica compulsiva mentre si è sopraffatte dall’angoscia per cercare di bruciare presunte calorie assunte in eccesso. Non significa pesarsi tutti i giorni e lasciare che sia il numero che si legge sulla bilancia a dirci quanto valiamo e ad influenzare l’umore quotidiano. Non significa basare la nostra autovalutazione e la nostra autostima sulla taglia di jeans che indossiamo. Non significa evitare ogni qualsiasi rapporto sociale perché non riusciamo a frenare l’ansia conseguente al dover mangiare mente gli altri ci guardano. Non significa piangersi addosso, autocommiserarsi, perpetrare comportamenti distruttivi raccontando a noi stesse la scusa che non abbiamo altra scelta e speranza. Non significa trascorrere più tempo a pensare al corpo che alle amiche. Non significa avere pensieri ossessivi. Non significa essere preoccupate di essere abbastanza magre (ovvero abbastanza malate) per essere notate. Non significa avere segreti e bugie nei confronti di tutte le persone che ci circondano. Non significa pianificare e seguire rigidamente la restrizione alimentare. Non significa perdere così tanto peso da non essere nemmeno più in grado di pensare con chiarezza. Non significa mutilare i nostri sogni e le nostre aspirazioni.
Alla domanda “Che cosa significa vivere?”, di certo ognuna di noi avrà una risposta peculiare e personale da dare; ma sicuramente vivere non significa fare una qualsiasi delle cose indotte dal DCA.
Ragazze, cercate la vostra ragione per vivere. Cercate quello che volete veramente dalla vita. E poi metteteci tutte voi stesse per realizzare il vostro progetto. Continuate sempre ad andare avanti. Rialzatevi dopo ogni ricaduta, e non permettete alla sconfitta di oggi di offuscare la vittoria di domani. Cercate di ascoltare le Vere Voi Stesse, la vostra vera voce, non quella dell’anoressia. Abbiate cura di voi. Prendetevi con ironia. Ridete. Fate scelte e non abbiate rimpianti. Continuate ad imparare. Tenete stretti per mano i vostri amici. Fate quello che amate fare.
Lottate sempre contro l’anoressia, come se ne andasse della vostra stessa vita… perché, in effetti, è proprio così.
P.S.= Per chi fosse interessata, sul sito www.mtvnews.it , sotto l'etichetta "Storie", c'è il topic "Anoressia" in cui, oltre al mio video che ho linkato nel post precedente, potete trovare altri 4 video di persone che raccontano la loro storia e la loro esperienza...
Nel momento in cui s’inizia a percorrere la strada del ricovero, perciò, penso venga spontaneo chiedersi che cosa significhi vivere veramente.
Di certo non significa lottare costantemente contro il cibo, inquadrandolo come un nemico. Non significa fare attività fisica compulsiva mentre si è sopraffatte dall’angoscia per cercare di bruciare presunte calorie assunte in eccesso. Non significa pesarsi tutti i giorni e lasciare che sia il numero che si legge sulla bilancia a dirci quanto valiamo e ad influenzare l’umore quotidiano. Non significa basare la nostra autovalutazione e la nostra autostima sulla taglia di jeans che indossiamo. Non significa evitare ogni qualsiasi rapporto sociale perché non riusciamo a frenare l’ansia conseguente al dover mangiare mente gli altri ci guardano. Non significa piangersi addosso, autocommiserarsi, perpetrare comportamenti distruttivi raccontando a noi stesse la scusa che non abbiamo altra scelta e speranza. Non significa trascorrere più tempo a pensare al corpo che alle amiche. Non significa avere pensieri ossessivi. Non significa essere preoccupate di essere abbastanza magre (ovvero abbastanza malate) per essere notate. Non significa avere segreti e bugie nei confronti di tutte le persone che ci circondano. Non significa pianificare e seguire rigidamente la restrizione alimentare. Non significa perdere così tanto peso da non essere nemmeno più in grado di pensare con chiarezza. Non significa mutilare i nostri sogni e le nostre aspirazioni.
Alla domanda “Che cosa significa vivere?”, di certo ognuna di noi avrà una risposta peculiare e personale da dare; ma sicuramente vivere non significa fare una qualsiasi delle cose indotte dal DCA.
Ragazze, cercate la vostra ragione per vivere. Cercate quello che volete veramente dalla vita. E poi metteteci tutte voi stesse per realizzare il vostro progetto. Continuate sempre ad andare avanti. Rialzatevi dopo ogni ricaduta, e non permettete alla sconfitta di oggi di offuscare la vittoria di domani. Cercate di ascoltare le Vere Voi Stesse, la vostra vera voce, non quella dell’anoressia. Abbiate cura di voi. Prendetevi con ironia. Ridete. Fate scelte e non abbiate rimpianti. Continuate ad imparare. Tenete stretti per mano i vostri amici. Fate quello che amate fare.
Lottate sempre contro l’anoressia, come se ne andasse della vostra stessa vita… perché, in effetti, è proprio così.
P.S.= Per chi fosse interessata, sul sito www.mtvnews.it , sotto l'etichetta "Storie", c'è il topic "Anoressia" in cui, oltre al mio video che ho linkato nel post precedente, potete trovare altri 4 video di persone che raccontano la loro storia e la loro esperienza...
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sabato 14 maggio 2011
On stage...
MTV news, 13 Maggio 2011
Per me, per voi... per tutte noi.
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sabato 7 maggio 2011
Smetterla di contare le calorie: alcuni trucchi
Fortunatamente, nonostante la mia anoressia, quello di contare le calorie non è mai stato un mio problema perché non l’ho mai fatto. Tuttavia, parlando durante i miei vari ricoveri con altre ragazze nella mia stessa condizione, mi sono accorta che il conteggio ossessivo delle calorie è un problema che riguarda molte ragazze anoressiche.
Trovo perciò che un primo fondamentale passo per straccarsi da quelle che sono le compulsioni che in alcuni casi possono essere proprie dell’anoressia, un primo step per rompere il circolo vizioso in cui l’anoressia ingabbia, possa essere, per chi soffre di questo problema, quello di smetterla di contare le calorie. Questa può diventare infatti un’abitudine ossessiva di cui è difficile liberarsi, ma che non fa altro che reiterare il loop distorto del DCA.
Penso che il percorso di ricovero preveda il provare a riavvicinarsi al cibo sforzandosi di non vederlo come un “mucchietto di calorie”, ma come un qualcosa che ci cerve per nutrirci – e quindi per prenderci cura di noi stesse.
Voglio perciò provare a darvi qualche consiglio su come riuscire a smettere di contare le calorie. Ovvio, nessuna pretesa di soluzioni a prova di bomba. Solo un tentativo che spero possa esservi utile.
1 – Bevete latte/succhi di frutta/etc… da bicchieri di differente forma e volume. Usate un bicchiere di cui non conoscete il volume, e riempitelo secondo quanto avete sete, senza pensare a quante calorie possa contenere quel TOT di bevanda.
2 – Togliete le etichette informative non appena comprate il cibo, scegliendolo secondo i vostri gusti e non secondo l’ammontare delle calorie scritto sull’etichetta. Non conoscere le calorie di quello che si assume non ne cambia l’apporto, e aiuta un sacco da un punto di vista psicologico. Provare per credere!
3 – Cucinate cibo in abbondanza in modo che vi sia sufficiente per alcuni giorni, senza stare a misurare gli ingredienti. Quando il tutto è pronto, fate delle porzioni a occhio e mettetele nel frigorifero. Così saprete più o meno quello che mangiate, senza però conoscerne l’esatto ammontare calorico.
4 – Chiedete a una vostra amica di cucinarvi qualcosa che lei mangia abitualmente. Questo può far paura, lo riconosco, ma se poi mangiate insieme questo può darvi un idea di cosa significhi tornare a mangiare “normalmente”, e la presenza di un’altra persona può distrarvi dall’ansia.
5 – Il cibo non è un nemico. Pensate al cibo come se fosse la vostra medicina: calorie, nutrienti, vitamine e sali minerali vi aiuteranno a riparare il danno che l’anoressia ha inflitto al vostro corpo.
Per esempio: il calcio rinforza le ossa; i carboidrati sono la primaria fonte di energia; i lipidi sono necessari per la protezione termica, per la riserva di energia, per sostenere gli organi, per avere il ciclo, e per migliorare il tono della pelle; etc…
6 – Ricordate che comunque il calcolo delle calorie nelle etichette informative è sempre inaccurato, e che questo può portarvi a fare scelte alimentari scorrette e illogiche. Inoltre 100 calorie di carne non equivalgono a 100 calorie di burro.
7 – Se anche avete imparato a mente le tabelle nutrizionali e conoscete le calorie associate ad ogni singolo alimento che ingerite, la cosa più importante da fare è non sommarle per calcolare il totale. Se vi rendete conto che lo state facendo, cercate di distogliere immediatamente l’attenzione concentrandovi su una qualsiasi altra cosa. Per esempio, un segnale di STOP.
8 – Quando vi vengono dei pensieri relativi alle calorie del cibo e provate ansia, dite a voi stesse: “Ho il diritto di nutrirmi (senza pensare all’apporto calorico!) e di non farmi del male”.
Ragazze, avete sempre una scelta. Fate la scelta giusta, che purtroppo non è mai quella più facile, ma è inevitabilmente quella necessaria. Per smettere di contare le calorie. E per smettere di contare sull’anoressia.
Trovo perciò che un primo fondamentale passo per straccarsi da quelle che sono le compulsioni che in alcuni casi possono essere proprie dell’anoressia, un primo step per rompere il circolo vizioso in cui l’anoressia ingabbia, possa essere, per chi soffre di questo problema, quello di smetterla di contare le calorie. Questa può diventare infatti un’abitudine ossessiva di cui è difficile liberarsi, ma che non fa altro che reiterare il loop distorto del DCA.
Penso che il percorso di ricovero preveda il provare a riavvicinarsi al cibo sforzandosi di non vederlo come un “mucchietto di calorie”, ma come un qualcosa che ci cerve per nutrirci – e quindi per prenderci cura di noi stesse.
Voglio perciò provare a darvi qualche consiglio su come riuscire a smettere di contare le calorie. Ovvio, nessuna pretesa di soluzioni a prova di bomba. Solo un tentativo che spero possa esservi utile.
1 – Bevete latte/succhi di frutta/etc… da bicchieri di differente forma e volume. Usate un bicchiere di cui non conoscete il volume, e riempitelo secondo quanto avete sete, senza pensare a quante calorie possa contenere quel TOT di bevanda.
2 – Togliete le etichette informative non appena comprate il cibo, scegliendolo secondo i vostri gusti e non secondo l’ammontare delle calorie scritto sull’etichetta. Non conoscere le calorie di quello che si assume non ne cambia l’apporto, e aiuta un sacco da un punto di vista psicologico. Provare per credere!
3 – Cucinate cibo in abbondanza in modo che vi sia sufficiente per alcuni giorni, senza stare a misurare gli ingredienti. Quando il tutto è pronto, fate delle porzioni a occhio e mettetele nel frigorifero. Così saprete più o meno quello che mangiate, senza però conoscerne l’esatto ammontare calorico.
4 – Chiedete a una vostra amica di cucinarvi qualcosa che lei mangia abitualmente. Questo può far paura, lo riconosco, ma se poi mangiate insieme questo può darvi un idea di cosa significhi tornare a mangiare “normalmente”, e la presenza di un’altra persona può distrarvi dall’ansia.
5 – Il cibo non è un nemico. Pensate al cibo come se fosse la vostra medicina: calorie, nutrienti, vitamine e sali minerali vi aiuteranno a riparare il danno che l’anoressia ha inflitto al vostro corpo.
Per esempio: il calcio rinforza le ossa; i carboidrati sono la primaria fonte di energia; i lipidi sono necessari per la protezione termica, per la riserva di energia, per sostenere gli organi, per avere il ciclo, e per migliorare il tono della pelle; etc…
6 – Ricordate che comunque il calcolo delle calorie nelle etichette informative è sempre inaccurato, e che questo può portarvi a fare scelte alimentari scorrette e illogiche. Inoltre 100 calorie di carne non equivalgono a 100 calorie di burro.
7 – Se anche avete imparato a mente le tabelle nutrizionali e conoscete le calorie associate ad ogni singolo alimento che ingerite, la cosa più importante da fare è non sommarle per calcolare il totale. Se vi rendete conto che lo state facendo, cercate di distogliere immediatamente l’attenzione concentrandovi su una qualsiasi altra cosa. Per esempio, un segnale di STOP.
8 – Quando vi vengono dei pensieri relativi alle calorie del cibo e provate ansia, dite a voi stesse: “Ho il diritto di nutrirmi (senza pensare all’apporto calorico!) e di non farmi del male”.
Ragazze, avete sempre una scelta. Fate la scelta giusta, che purtroppo non è mai quella più facile, ma è inevitabilmente quella necessaria. Per smettere di contare le calorie. E per smettere di contare sull’anoressia.
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domenica 1 maggio 2011
Educazione e prevenzione (?)
In quanto protomedico, sono una decisa fautrice della prevenzione, che ritengo sia uno strumento d’importanza fondamentale onde limitare l’insorgenza di determinate malattie. Eppure, non ritengo quest’arma particolarmente efficace nel ridurre i casi di anoressia.
E’ bello cullarsi nell’idea di poter prevenire i DCA. Non sto dicendo che non lo dovremmo fare o che non potremmo provare, mi chiedo soltanto come, insegnando alle bambine ad “amare il proprio corpo” e illustrando loro la pericolosità, i danni fisici e mentali che l’anoressia può apportare, si possa effettivamente evitare la comparsa di un DCA.
Recentemente ho letto un articolo scritto dalla terapeuta Judith Brisman, in cui scrive:
* E’ importante parlare a proposito dei DCA e della loro pericolosità. Parlarne nello stesso modo in cui si parla della pericolosità del fumo in quanto adiuvante di neoplasie polmonari – o della possibilità di fare incidenti se ci si mette alla giuda ubriachi. Un DCA è altrettanto pericoloso, non può essere ignorato.
* Aiutate i vostri figli a fare attenzione alla loro vita interiore. Quali sentimenti provano quando mangiano un gelato, o quando saltano la colazione o il pranzo? Siate genuinamente curiosi in merito alle loro paure, sentimenti e timore in merito al loro corpo. Ed educateli al riguardo: insegnategli che saltare pasti alla lunga distrugge il loro metabolismo.
* Insegnate ai vostri figli ad avere un alimentazione responsabile. Questo non significa non permettergli di mangiare snack. Per esempio, può andar bene mangiare della torta – ma quante volte al giorno? E quanta? Parlatene, mostrate curiosità, e fate attenzione. I bambini devono sapere che se entreranno in un DCA non avranno più la possibilità di concentrarsi sullo studio o di fare sport con buoni risultati. I bambini devono temere un DCA come una tossicodipendenza, un alcoolismo cronico. Devono inoltre sapere che ci sono molti supporti che possono fin da subito ricevere, se dicono di avere dei problemi col proprio corpo e con l’alimentazione.
Okay, non penso che ciò che dice questa terapeuta sia sbagliato al 100%. Anzi, la comunicazione tra genitori e figli è molto importante per ogni qualsiasi cosa, ed è ovvio che un genitore debba insegnare ai propri figli come alimentarsi correttamente, così come deve fargli notare quanto possa essere sbagliato fumare o abusare di alcool e stupefacenti.
Ma la mia domanda è: tutto questo potrebbe veramente servire a prevenire l’insorgenza di un DCA?
Credo che la stragrande maggioranza delle ragazze che sviluppa l’anoressia abbia una conoscenza, ovviamente teorica, al riguardo. Io sapevo benissimo che la restrizione alimentare era pericolosa per il mio organismo nel momento in cui ho deciso di adottare questo comportamento, ma questa consapevolezza non mi ha certo fermata: primo, perché l’idea era che comunque tutte quelle complicanze e quei danni fisici non sarebbero toccati proprio a me, secondo, perché le sensazioni positive (in termini di senso di controllo, forza, soddisfazione, sicurezza, etc…) che la restrizione alimentare mi dava, sul momento mi sembravano più importanti e necessarie della consapevolezza che il mio comportamento alimentare, alla lunga, avrebbe potuto essere molto dannoso.
Penso certamente che molte bambine (e donne!) dovrebbero essere messe al corrente dei danni fisici che una restrizione alimentare “fai-da-te” può provocare, e di come invece affidarsi ad una dietista/nutrizionista qualificata possa permettere di perdere ugualmente peso ma in maniera sana, graduale ed equilibrata. Penso che dovrebbero essere date dritte su quale dovrebbe essere un’alimentazione corretta. E vorrei certamente che molte più persone avessero idee più precise sull’attivista fisica – troppa/troppo poca che sia. Penso che tutto questo, in un certo qual modo, potrebbe aiutare.
Ma spiegare a qualcuno quanto l’anoressia possa essere dannosa, non credo ne prevenga l’insorgenza in quei soggetti che, comunque, per quello che è il loro background, vi sono predisposti. Semplicemente perché la prevenzione di cui io sono tanto fautrice è quella inerente le malattie fisiche... ma l’anoressia è una malattia mentale. Sarebbe come dire che se si informa la gente che la depressione può essere pericolosa perchè compromette la qualità della vita, le relazioni sociali, il lavoro, e può portare anche al suicidio, allora il numero di casi di depressione nel mondo si riduce drasticamente. Sarebbe una bella cosa, ma non è così che la depressione funziona. E lo stesso vale per l’anoressia.
I DCA sono sconcertanti e, in un certo senso, terrorizzanti, e probabilmente è bello pensare che se facciamo un po’ di informazione e se diciamo alle piccole Pinca e Pallina che l’anoressia può uccidere, allora sicuramente loro non saranno così stupide da iniziare una restrizione alimentare. Ma non è così. Dopotutto, una volta mi è stato detto (ed in tutta serietà) che nessuno avrebbe mai pensato che sarei diventata anoressica perché ero troppo intelligente per fare una cosa del genere. Perciò, se sapevo che era una cosa sbagliata e pericolosa, e se ero così intelligente, perché ho comunque percorso la strada dell’anoressia?
Perché non sapevo di stare percorrendo la strada dell’anoressia. Quello che si sceglie è il sintomo, la restrizione alimentare, non la malattia, l’anoressia. Non si vuole diventare anoressiche quando si decide di restringere l’alimentazione, ci si vuole sentire forti, in controllo, soddisfatte, sicure di noi stesse. Ci può essere tutta l’educazione alimentare e la consapevolezza razionale del mondo – ed è giusto che ci sia, se fatta adeguatamente – ma questo non previene comunque l’insorgenza dell’anoressia. Perché la scelta dell’anoressia non è una scelta logica. E’ una scelta malata.
E’ bello cullarsi nell’idea di poter prevenire i DCA. Non sto dicendo che non lo dovremmo fare o che non potremmo provare, mi chiedo soltanto come, insegnando alle bambine ad “amare il proprio corpo” e illustrando loro la pericolosità, i danni fisici e mentali che l’anoressia può apportare, si possa effettivamente evitare la comparsa di un DCA.
Recentemente ho letto un articolo scritto dalla terapeuta Judith Brisman, in cui scrive:
* E’ importante parlare a proposito dei DCA e della loro pericolosità. Parlarne nello stesso modo in cui si parla della pericolosità del fumo in quanto adiuvante di neoplasie polmonari – o della possibilità di fare incidenti se ci si mette alla giuda ubriachi. Un DCA è altrettanto pericoloso, non può essere ignorato.
* Aiutate i vostri figli a fare attenzione alla loro vita interiore. Quali sentimenti provano quando mangiano un gelato, o quando saltano la colazione o il pranzo? Siate genuinamente curiosi in merito alle loro paure, sentimenti e timore in merito al loro corpo. Ed educateli al riguardo: insegnategli che saltare pasti alla lunga distrugge il loro metabolismo.
* Insegnate ai vostri figli ad avere un alimentazione responsabile. Questo non significa non permettergli di mangiare snack. Per esempio, può andar bene mangiare della torta – ma quante volte al giorno? E quanta? Parlatene, mostrate curiosità, e fate attenzione. I bambini devono sapere che se entreranno in un DCA non avranno più la possibilità di concentrarsi sullo studio o di fare sport con buoni risultati. I bambini devono temere un DCA come una tossicodipendenza, un alcoolismo cronico. Devono inoltre sapere che ci sono molti supporti che possono fin da subito ricevere, se dicono di avere dei problemi col proprio corpo e con l’alimentazione.
Okay, non penso che ciò che dice questa terapeuta sia sbagliato al 100%. Anzi, la comunicazione tra genitori e figli è molto importante per ogni qualsiasi cosa, ed è ovvio che un genitore debba insegnare ai propri figli come alimentarsi correttamente, così come deve fargli notare quanto possa essere sbagliato fumare o abusare di alcool e stupefacenti.
Ma la mia domanda è: tutto questo potrebbe veramente servire a prevenire l’insorgenza di un DCA?
Credo che la stragrande maggioranza delle ragazze che sviluppa l’anoressia abbia una conoscenza, ovviamente teorica, al riguardo. Io sapevo benissimo che la restrizione alimentare era pericolosa per il mio organismo nel momento in cui ho deciso di adottare questo comportamento, ma questa consapevolezza non mi ha certo fermata: primo, perché l’idea era che comunque tutte quelle complicanze e quei danni fisici non sarebbero toccati proprio a me, secondo, perché le sensazioni positive (in termini di senso di controllo, forza, soddisfazione, sicurezza, etc…) che la restrizione alimentare mi dava, sul momento mi sembravano più importanti e necessarie della consapevolezza che il mio comportamento alimentare, alla lunga, avrebbe potuto essere molto dannoso.
Penso certamente che molte bambine (e donne!) dovrebbero essere messe al corrente dei danni fisici che una restrizione alimentare “fai-da-te” può provocare, e di come invece affidarsi ad una dietista/nutrizionista qualificata possa permettere di perdere ugualmente peso ma in maniera sana, graduale ed equilibrata. Penso che dovrebbero essere date dritte su quale dovrebbe essere un’alimentazione corretta. E vorrei certamente che molte più persone avessero idee più precise sull’attivista fisica – troppa/troppo poca che sia. Penso che tutto questo, in un certo qual modo, potrebbe aiutare.
Ma spiegare a qualcuno quanto l’anoressia possa essere dannosa, non credo ne prevenga l’insorgenza in quei soggetti che, comunque, per quello che è il loro background, vi sono predisposti. Semplicemente perché la prevenzione di cui io sono tanto fautrice è quella inerente le malattie fisiche... ma l’anoressia è una malattia mentale. Sarebbe come dire che se si informa la gente che la depressione può essere pericolosa perchè compromette la qualità della vita, le relazioni sociali, il lavoro, e può portare anche al suicidio, allora il numero di casi di depressione nel mondo si riduce drasticamente. Sarebbe una bella cosa, ma non è così che la depressione funziona. E lo stesso vale per l’anoressia.
I DCA sono sconcertanti e, in un certo senso, terrorizzanti, e probabilmente è bello pensare che se facciamo un po’ di informazione e se diciamo alle piccole Pinca e Pallina che l’anoressia può uccidere, allora sicuramente loro non saranno così stupide da iniziare una restrizione alimentare. Ma non è così. Dopotutto, una volta mi è stato detto (ed in tutta serietà) che nessuno avrebbe mai pensato che sarei diventata anoressica perché ero troppo intelligente per fare una cosa del genere. Perciò, se sapevo che era una cosa sbagliata e pericolosa, e se ero così intelligente, perché ho comunque percorso la strada dell’anoressia?
Perché non sapevo di stare percorrendo la strada dell’anoressia. Quello che si sceglie è il sintomo, la restrizione alimentare, non la malattia, l’anoressia. Non si vuole diventare anoressiche quando si decide di restringere l’alimentazione, ci si vuole sentire forti, in controllo, soddisfatte, sicure di noi stesse. Ci può essere tutta l’educazione alimentare e la consapevolezza razionale del mondo – ed è giusto che ci sia, se fatta adeguatamente – ma questo non previene comunque l’insorgenza dell’anoressia. Perché la scelta dell’anoressia non è una scelta logica. E’ una scelta malata.
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lunedì 25 aprile 2011
Il talento malato dell'anoressia
Qualche giorno fa ho visto in TV un programma in cui due psicoterapeute discutevano a proposito dei DCA, e una sorta di litigio è venuto fuori nel momento in cui la Psicoterapeuta A ha detto che le ragazze anoressiche hanno un’ “inusuale abilità” nel restringere l’alimentazione. La Psicoterapeuta B ha ribattuto che la loro è più una disabilità che un talento; le ragazze anoressiche provano, da un punto di vista emotivo, grossi rinforzi positivi nel momento in cui restringono l’alimentazione, per questo continuano a farlo anche se, razionalmente, si rendono conto che è sbagliato, non è che siano particolarmente capaci di restringere.
La Psicoterapeuta B è arrivata dritta al punto. Un sacco di gente che non ha mai vissuto l’anoressia sulla propria pelle si rifà ai preconcetti che vogliono l’anoressica come una persona particolarmente brava a digiunare. Il che spiega peraltro come mai diverse ragazze mi hanno contattata – sia tramite e-mail, sia tramite YouTube – dicendomi che vorrebbero essere “un po’” anoressiche, o chiedendomi trucchi per dimagrire. In effetti, è vero che possiamo apprendere certe abilità dagli altri. Se osserviamo a lungo qualcuno che fa qualcosa particolarmente bene, possiamo cercare di imitarlo. Possiamo farci insegnare, e fare pratica, e così via…
La restrizione alimentare è un comportamento. Questo è semplicemente un dato di fatto. Ma è un talento o una disabilità?
Indubbiamente c’è una componente biologica in questo “talento” – il che spiega come mai alcune ragazze che entrano nel DCA come anoressiche poi diventano bulimiche, mentre altre rimangono anoressiche e, se non trattate in tempo, possono arrivare all’exitus per inanizione – come numerose ricerche hanno dimostrato esserci una cosa del genere anche per quanto riguarda le capacità atletiche o musicali… ciò ovviamente non significa però che Mozart fosse talentuoso solo ed unicamente grazie al suo DNA.
Le cose tuttavia s’incasinano nel momento in cui: molte donne scelgono deliberatamente di fare periodi di dieta per perdere qualche chilo, magari in vista dell’arrivo dell’Estate. Vista dall’esterno, una persona che segue una dieta particolarmente stretta ha molta affinità con l’anoressia, tant’è che spesso le donne con un DCA e le donne che seguono momentaneamente una dieta usano termini simili per descrivere i loro pensieri e le loro sensazioni a proposito del cibo, del peso e del corpo.
Alcune persone sono molto brave nel seguire una dieta. Altre non lo sono. Secondo me chi è anoressica sarebbe molto brava a seguire una dieta, che e dite?
Ironia a parte, l’anoressia non è una dieta. Può sembrare una dieta per chi la guarda dall’esterno e non l’hai mai vissuta, ma è tutt’altro, in realtà. Dire che chi è anoressica molto brava a seguire una dieta, è come dire che qualcuna che soffre di mania è molto brava ad avere sempre energia, o che qualcuna con un OCD è molto brava a pulire la casa. Certamente, lo saranno, ma non perché hanno una particolare talento: semplicemente perché questo è parte della loro malattia.
Spesso, durante il primo periodo dell’anoressia, noi stesse possiamo aver avuto l’impressione di essere particolarmente brave nel restringere l’alimentazione, di riuscire così a fare qualcosa che nessun’altra intorno a noi riusciva a fare, sentendoci perciò, in un certo qual modo, speciali… in fin dei conti, ci sentivamo così forti: eravamo capaci di resistere alla fame senza toccare cibo, una cosa mica da tutti! Ma col tempo che passa… con la malattia che procede… questo “talento” non se ne va, ma cessa di essere la principale motivazione che ci spinge a mantenere un comportamento alimentare restrittivo. Quel “talento naturale” si trasforma in un “talento malato”… nella vera e propria anoressia.
La Psicoterapeuta B è arrivata dritta al punto. Un sacco di gente che non ha mai vissuto l’anoressia sulla propria pelle si rifà ai preconcetti che vogliono l’anoressica come una persona particolarmente brava a digiunare. Il che spiega peraltro come mai diverse ragazze mi hanno contattata – sia tramite e-mail, sia tramite YouTube – dicendomi che vorrebbero essere “un po’” anoressiche, o chiedendomi trucchi per dimagrire. In effetti, è vero che possiamo apprendere certe abilità dagli altri. Se osserviamo a lungo qualcuno che fa qualcosa particolarmente bene, possiamo cercare di imitarlo. Possiamo farci insegnare, e fare pratica, e così via…
La restrizione alimentare è un comportamento. Questo è semplicemente un dato di fatto. Ma è un talento o una disabilità?
Indubbiamente c’è una componente biologica in questo “talento” – il che spiega come mai alcune ragazze che entrano nel DCA come anoressiche poi diventano bulimiche, mentre altre rimangono anoressiche e, se non trattate in tempo, possono arrivare all’exitus per inanizione – come numerose ricerche hanno dimostrato esserci una cosa del genere anche per quanto riguarda le capacità atletiche o musicali… ciò ovviamente non significa però che Mozart fosse talentuoso solo ed unicamente grazie al suo DNA.
Le cose tuttavia s’incasinano nel momento in cui: molte donne scelgono deliberatamente di fare periodi di dieta per perdere qualche chilo, magari in vista dell’arrivo dell’Estate. Vista dall’esterno, una persona che segue una dieta particolarmente stretta ha molta affinità con l’anoressia, tant’è che spesso le donne con un DCA e le donne che seguono momentaneamente una dieta usano termini simili per descrivere i loro pensieri e le loro sensazioni a proposito del cibo, del peso e del corpo.
Alcune persone sono molto brave nel seguire una dieta. Altre non lo sono. Secondo me chi è anoressica sarebbe molto brava a seguire una dieta, che e dite?
Ironia a parte, l’anoressia non è una dieta. Può sembrare una dieta per chi la guarda dall’esterno e non l’hai mai vissuta, ma è tutt’altro, in realtà. Dire che chi è anoressica molto brava a seguire una dieta, è come dire che qualcuna che soffre di mania è molto brava ad avere sempre energia, o che qualcuna con un OCD è molto brava a pulire la casa. Certamente, lo saranno, ma non perché hanno una particolare talento: semplicemente perché questo è parte della loro malattia.
Spesso, durante il primo periodo dell’anoressia, noi stesse possiamo aver avuto l’impressione di essere particolarmente brave nel restringere l’alimentazione, di riuscire così a fare qualcosa che nessun’altra intorno a noi riusciva a fare, sentendoci perciò, in un certo qual modo, speciali… in fin dei conti, ci sentivamo così forti: eravamo capaci di resistere alla fame senza toccare cibo, una cosa mica da tutti! Ma col tempo che passa… con la malattia che procede… questo “talento” non se ne va, ma cessa di essere la principale motivazione che ci spinge a mantenere un comportamento alimentare restrittivo. Quel “talento naturale” si trasforma in un “talento malato”… nella vera e propria anoressia.
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martedì 19 aprile 2011
Vorrei farvi capire...
Se ancora non riuscite ad abbandonare l’anoressia perché pensate che sia comunque una scelta vantaggiosa, vorrei farvi capire…
Vorrei mostrarvi tutto ciò che adesso non riuscire a vedere. Che la maschera che indossate è in realtà piena di fratture. Che quella che voi chiamate “perfezione” ha più pecche di quelli che definite “fallimenti”.
Vorrei farvi capire che non riuscite a prendere in giro nessuno, a malapena voi stesse. Che il freddo che sentite dentro è quello che viene non dalla malnutrizione ma dalla disperazione.
Vorrei farvi capire che le cose migliori della vita sono quelle che non possono essere misurate o quantificate. Vorrei farvi capire che l’anoressia cui sentite di appartenere non ha nessuno posto al mondo, a differenza della voglia di combattere.
Vorrei farvi capire che per vedere e raggiungere le stelle dovete alzare la testa verso il cielo.
Vorrei farvi capire che meritate molto di più dalla vita. Meritate tutto, ma non certo l’anoressia.
Vorrei farvi capire quel che davvero è VERO.
Disgusto. Vergogna. Tristezza. Disistima. Solitudine. Senso di colpa. Ansia. Fallimento. Perdita. Nessuna speranza. Risentimento. Paura. Dolore. Debolezza. Futilità. Odio verso se stesse. Senso d’inutilità e d’impotenza. Svalutazione. Rimpianti. Soffocamento. Rabbia. Angoscia. Ferite. Oblio. Bugie. Segreti. Morte.
Questo è il vero volto dell’anoressia.
Vorrei farvi capire che non sto scrivendo questo per togliervi qualcosa. Non sto scrivendo questo per togliervi quell’anoressia che ancora sentite come la coperta di Linus. Vorrei farvi capire che sto scrivendo questo perché nessuna di voi merita di vivere con l’anoressia. Anche se in un certo momento della nostra vita abbiamo sentito che era l’anoressia ciò di cui ci sembrava di aver bisogno, in realtà è solo un modo per riuscire a scoprire chi siamo veramente. E la nostra vera personalità non comprende un DCA. Vorrei farvi capire che dovete imparare ad avere rispetto per voi stesse, senza farvi abbindolare dall’idea che siano le vostre misure a stabilire quanto valete da un punto di vista umano.
Per favore, leggete oltre le singole parole e lasciate che io possa allontanare da voi tutte le cose che in questo momento odiate di voi stesse. Lasciate andare l’anoressia. Combattete. È quello che io sto facendo. Vorrei farvi capire che è l’unica cosa che veramente vale la pena di fare. Combattere contro l’anoressia ci conferisce una forza che è molto maggiore di quella che sembrava darci l’anoressia stessa.
Tutto quello che vi chiedo è che nell’attimo in cui avrete la vostra possibilità di brillare, non lasciate che l’anoressia offuschi questo momento. Essere invisibili non è un modo per esistere, è un modo per scomparire. Voi MERITATE di vivere senza l’anoressia.
Vorrei farvi capire che non sarete mai “perfette”, neanche quando toccherete un peso infimo. Ma potete decidere di combattere contro l’anoressia. E, sì, questo, a suo modo, vi renderà “perfette”.
Vorrei mostrarvi tutto ciò che adesso non riuscire a vedere. Che la maschera che indossate è in realtà piena di fratture. Che quella che voi chiamate “perfezione” ha più pecche di quelli che definite “fallimenti”.
Vorrei farvi capire che non riuscite a prendere in giro nessuno, a malapena voi stesse. Che il freddo che sentite dentro è quello che viene non dalla malnutrizione ma dalla disperazione.
Vorrei farvi capire che le cose migliori della vita sono quelle che non possono essere misurate o quantificate. Vorrei farvi capire che l’anoressia cui sentite di appartenere non ha nessuno posto al mondo, a differenza della voglia di combattere.
Vorrei farvi capire che per vedere e raggiungere le stelle dovete alzare la testa verso il cielo.
Vorrei farvi capire che meritate molto di più dalla vita. Meritate tutto, ma non certo l’anoressia.
Vorrei farvi capire quel che davvero è VERO.
Disgusto. Vergogna. Tristezza. Disistima. Solitudine. Senso di colpa. Ansia. Fallimento. Perdita. Nessuna speranza. Risentimento. Paura. Dolore. Debolezza. Futilità. Odio verso se stesse. Senso d’inutilità e d’impotenza. Svalutazione. Rimpianti. Soffocamento. Rabbia. Angoscia. Ferite. Oblio. Bugie. Segreti. Morte.
Questo è il vero volto dell’anoressia.
Vorrei farvi capire che non sto scrivendo questo per togliervi qualcosa. Non sto scrivendo questo per togliervi quell’anoressia che ancora sentite come la coperta di Linus. Vorrei farvi capire che sto scrivendo questo perché nessuna di voi merita di vivere con l’anoressia. Anche se in un certo momento della nostra vita abbiamo sentito che era l’anoressia ciò di cui ci sembrava di aver bisogno, in realtà è solo un modo per riuscire a scoprire chi siamo veramente. E la nostra vera personalità non comprende un DCA. Vorrei farvi capire che dovete imparare ad avere rispetto per voi stesse, senza farvi abbindolare dall’idea che siano le vostre misure a stabilire quanto valete da un punto di vista umano.
Per favore, leggete oltre le singole parole e lasciate che io possa allontanare da voi tutte le cose che in questo momento odiate di voi stesse. Lasciate andare l’anoressia. Combattete. È quello che io sto facendo. Vorrei farvi capire che è l’unica cosa che veramente vale la pena di fare. Combattere contro l’anoressia ci conferisce una forza che è molto maggiore di quella che sembrava darci l’anoressia stessa.
Tutto quello che vi chiedo è che nell’attimo in cui avrete la vostra possibilità di brillare, non lasciate che l’anoressia offuschi questo momento. Essere invisibili non è un modo per esistere, è un modo per scomparire. Voi MERITATE di vivere senza l’anoressia.
Vorrei farvi capire che non sarete mai “perfette”, neanche quando toccherete un peso infimo. Ma potete decidere di combattere contro l’anoressia. E, sì, questo, a suo modo, vi renderà “perfette”.
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mercoledì 13 aprile 2011
"Dea"
In Settembre 2010 partecipai – più per gioco che per altro – ad un concorso letterario che avevo trovato per caso su Internet. Non avendo risaputo niente al riguardo in questi mesi, mi ero completamente scordata di avervi partecipato, ed invece ecco che proprio qualche giorno fa mi è arrivata un’e-mail che mi annunciava di esserne la vincitrice! ^__^
Il racconto con cui ho partecipato a questo concorso, che s’intitola “Dea”, in realtà, è un racconto che avevo scritto nel 2006, proprio durante uno dei miei ricoveri in clinica causa anoressia, e voglio adesso proporvelo: è un racconto un po’ “forte”, credo, ma spero che sappiate prenderlo alla giusta maniera, tenendo conto del fatto che, quando l’ho scritto, ero molto più dentro al sintomo di adesso, sebbene già fossi aperta alla possibilità di qualcosa di diverso, come credo traspaia anche dal paragrafo finale del racconto stesso.
Peraltro, alla luce della mia posizione attuale, rileggendo questo racconto mi è venuto da pensare ad un post che avevo scritto, in cui parlavo delle differenze tra “anoressia” e “pro-ana” (probabilmente molte di voi l’avranno già letto, in ogni caso, per quelle che non l’avessero fatto, potete trovarlo QUI)
Ecco, considerato il contenuto del mio racconto, mi è venuto da aggiungere un altro aspetto: per le ragazze “pro-ana/mia” “Ana” è la personificazione dell’anoressia, un sintomo che viene visto come una dea potente, cui rivolgere invocazioni d’amicizia e preghiere, ci sono blog con i Ten-Thin Commandments. Per le ragazze anoressiche questo dualismo non esiste. Non hanno bisogno di divinità cui relazionarsi: tramite il sintomo, cercano di diventare esse stesse dee. Un qualcosa che viene dall’esterno, e un qualcosa che viene dall’interno. Ci ho scritto un post sopra, ma forse la differenza è tutta qui.
A parte questa riflessione, comunque…
Dedico questa vittoria a: my best BEST friends, Duccia ed Alex.
A Duccia, con tutto l’affetto che c’è stato, c’è, e sempre ci sarà. Perché tu, nonostante tutte le difficoltà di questi anni, non hai mai lasciato la mia mano.
Ad Alex, e tu sai il perché. Anzi, The Reason.
(Forse semplicemente perché sei tu. Sei sempre tu. Grazie. Sarei persa senza di te.)
E dedico questo racconto a: tutte voi, ragazze.
"DEA" --> Download <--
Il racconto con cui ho partecipato a questo concorso, che s’intitola “Dea”, in realtà, è un racconto che avevo scritto nel 2006, proprio durante uno dei miei ricoveri in clinica causa anoressia, e voglio adesso proporvelo: è un racconto un po’ “forte”, credo, ma spero che sappiate prenderlo alla giusta maniera, tenendo conto del fatto che, quando l’ho scritto, ero molto più dentro al sintomo di adesso, sebbene già fossi aperta alla possibilità di qualcosa di diverso, come credo traspaia anche dal paragrafo finale del racconto stesso.
Peraltro, alla luce della mia posizione attuale, rileggendo questo racconto mi è venuto da pensare ad un post che avevo scritto, in cui parlavo delle differenze tra “anoressia” e “pro-ana” (probabilmente molte di voi l’avranno già letto, in ogni caso, per quelle che non l’avessero fatto, potete trovarlo QUI)
Ecco, considerato il contenuto del mio racconto, mi è venuto da aggiungere un altro aspetto: per le ragazze “pro-ana/mia” “Ana” è la personificazione dell’anoressia, un sintomo che viene visto come una dea potente, cui rivolgere invocazioni d’amicizia e preghiere, ci sono blog con i Ten-Thin Commandments. Per le ragazze anoressiche questo dualismo non esiste. Non hanno bisogno di divinità cui relazionarsi: tramite il sintomo, cercano di diventare esse stesse dee. Un qualcosa che viene dall’esterno, e un qualcosa che viene dall’interno. Ci ho scritto un post sopra, ma forse la differenza è tutta qui.
A parte questa riflessione, comunque…
Dedico questa vittoria a: my best BEST friends, Duccia ed Alex.
A Duccia, con tutto l’affetto che c’è stato, c’è, e sempre ci sarà. Perché tu, nonostante tutte le difficoltà di questi anni, non hai mai lasciato la mia mano.
Ad Alex, e tu sai il perché. Anzi, The Reason.
(Forse semplicemente perché sei tu. Sei sempre tu. Grazie. Sarei persa senza di te.)
E dedico questo racconto a: tutte voi, ragazze.
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giovedì 7 aprile 2011
Tsunami
Credo che tutte voi sappiate del terribile terremoto, tsunami e danni della centrale nucleare che in questo periodo hanno colpito il Giappone. Le tragedie di questo tipo, di solito, spingono tutti a riflettere su quanto i propri problemi quotidiani siano, in confronto, tutto sommato abbastanza insignificanti.
Per noi che abbiamo un DCA, può magari farci sentire abbastanza stupide e superficiali l’idea che il nostro problema sia l’anoressia/la bulimia, a fronte di persone che non hanno neanche più un tetto sopra la testa, o a cui sono morti familiari e amici.
Eppure, nonostante riconosciamo che il problema dei giapponesi è di tutt’altra portata rispetto ad un DCA, non è forse vero che per lo più continuiamo a preoccuparci di noi stesse e delle nostre difficoltà con il cibo e il corpo??!...
Ora, non sto assolutamente cercando di fare un paragone – perché si tratta di due cose tra le quali non si può assolutamente fare un paragone, data la loro completa diversità – e non sto cercando di dire che un DCA sia più grave e più importante di una catastrofe naturale. Però, qualche anno fa, sul mio diario cartaceo, ho definito l’anoressia proprio come il mio tsunami personale.
Entrambi – anoressia e tsunami – sono distruttivi. Entrambi richiedono l’aiuto di un sacco di persone per fare piazza pulita del caos, per dare supporto, e le cose non ritornano normali solo perché c’è stata una pulizia massiva e si può tornare a casa. Entrambi arrecano dolore a chi li subisce.
Penso che questo sia un modo per vedere le cose in prospettiva. Non che una catastrofe naturale non sia terribile, ma lo è anche l’anoressia. È un diverso tipo di orrore, valutabile su una scala molto differente. Ma misurare la sofferenza credo sia impossibile e soprattutto inutile. So che tagliarsi con la carta mentre si sfoglia un libro causa una sofferenza diversa rispetto al perdere un braccio per l’esplosione di una bomba. E’ ovvio. È ovvio che perdere la propria casa e i propri cari sia un inferno ben atroce e completamente differente rispetto al non sentirsi a proprio agio col proprio corpo.
Ma se c’è un apice massimo della sofferenza che l’anoressia può provocare, penso che non si possano fare paragoni o dare giudizi di valore. L’anoressia, per chi non ha mai vissuto sulla propria pelle un DCA, può sembrare un problema da poco, una cosa superficiale, il capriccio di ragazzine che vogliono somigliare alle modelle. Ma c’è molta differenza tra l’occasionale “Pensi che questi jeans mi facciano il culo grosso?” e la vera e propria dismorfofobia che, in certi casi, è associata ai DCA.
È relativamente facile sentirsi in colpa per avere un DCA quando ci sono enormi catastrofi nel mondo. Capita di sentirsi così. Ma non serve a niente. Certamente la nostra sofferenza provocata dall’anoressia non può essere comparata a ciò che adesso stanno provando molti giapponesi. Semplicemente, non si può fare paragone. Ma ciò non significa che noi non si stia comunque soffrendo, o che un DCA sia sinonimo di superficialità o vanità. L’anoressia è una malattia. E fa soffrire. Fa soffrire come una qualsiasi altra cosa. E non si possono porre termini di paragone nella sofferenza.
Per noi che abbiamo un DCA, può magari farci sentire abbastanza stupide e superficiali l’idea che il nostro problema sia l’anoressia/la bulimia, a fronte di persone che non hanno neanche più un tetto sopra la testa, o a cui sono morti familiari e amici.
Eppure, nonostante riconosciamo che il problema dei giapponesi è di tutt’altra portata rispetto ad un DCA, non è forse vero che per lo più continuiamo a preoccuparci di noi stesse e delle nostre difficoltà con il cibo e il corpo??!...
Ora, non sto assolutamente cercando di fare un paragone – perché si tratta di due cose tra le quali non si può assolutamente fare un paragone, data la loro completa diversità – e non sto cercando di dire che un DCA sia più grave e più importante di una catastrofe naturale. Però, qualche anno fa, sul mio diario cartaceo, ho definito l’anoressia proprio come il mio tsunami personale.
Entrambi – anoressia e tsunami – sono distruttivi. Entrambi richiedono l’aiuto di un sacco di persone per fare piazza pulita del caos, per dare supporto, e le cose non ritornano normali solo perché c’è stata una pulizia massiva e si può tornare a casa. Entrambi arrecano dolore a chi li subisce.
Penso che questo sia un modo per vedere le cose in prospettiva. Non che una catastrofe naturale non sia terribile, ma lo è anche l’anoressia. È un diverso tipo di orrore, valutabile su una scala molto differente. Ma misurare la sofferenza credo sia impossibile e soprattutto inutile. So che tagliarsi con la carta mentre si sfoglia un libro causa una sofferenza diversa rispetto al perdere un braccio per l’esplosione di una bomba. E’ ovvio. È ovvio che perdere la propria casa e i propri cari sia un inferno ben atroce e completamente differente rispetto al non sentirsi a proprio agio col proprio corpo.
Ma se c’è un apice massimo della sofferenza che l’anoressia può provocare, penso che non si possano fare paragoni o dare giudizi di valore. L’anoressia, per chi non ha mai vissuto sulla propria pelle un DCA, può sembrare un problema da poco, una cosa superficiale, il capriccio di ragazzine che vogliono somigliare alle modelle. Ma c’è molta differenza tra l’occasionale “Pensi che questi jeans mi facciano il culo grosso?” e la vera e propria dismorfofobia che, in certi casi, è associata ai DCA.
È relativamente facile sentirsi in colpa per avere un DCA quando ci sono enormi catastrofi nel mondo. Capita di sentirsi così. Ma non serve a niente. Certamente la nostra sofferenza provocata dall’anoressia non può essere comparata a ciò che adesso stanno provando molti giapponesi. Semplicemente, non si può fare paragone. Ma ciò non significa che noi non si stia comunque soffrendo, o che un DCA sia sinonimo di superficialità o vanità. L’anoressia è una malattia. E fa soffrire. Fa soffrire come una qualsiasi altra cosa. E non si possono porre termini di paragone nella sofferenza.
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venerdì 1 aprile 2011
Pro-Ricovero VS Anti Pro-Ana
Leggendo l’ultimo post di Mari, pubblicato sul suo blog “Amore contro Ana”, ho avuto modo di pensare ancora una volta in merito all’essere “pro-ana/mia”, e al tenere blog in tema.
Nessuna pretesa di verità universale, semplicemente l’opinione che ho elaborato in questi ultimi giorni riflettendo un po’ più approfonditamente sull’argomento.
Indubbiamente molteplici sono le opinioni sui DCA. C’è chi non li ha mai vissuti e si affida ai luoghi comuni, chi li ha vissuti e li combatte, chi ne ha un’idea per sentito dire e decide di dichiararsi “pro-ana/mia” aprendo siti e blog al riguardo, e cercando di coinvolgere quante più persone possibile.
Personalmente, ritengo abbastanza privo di significato professarsi “pro-ana/mia” fingendo di sapere cos’è veramente l’anoressia e pronunciandosi a favore di essa; del resto ultimamente mi sono resa conto che ha pure poco senso provare a combattere il fuoco col fuoco.
La mia conclusione è che: IO SONO PRO-RICOVERO.
Ovviamente non apprezzo, né condivido, né giustifico nella maniera più assoluta quello che le ragazze che si definiscono “pro-ana/mia” dicono e fanno. Non penso che abbiano mai vissuto realmente un DCA per il semplice fatto che chiunque ci sia passata preferirebbe morire tra atroci torture piuttosto che consigliare a qualcun’altra o condividere con qualcun'altra la propria esperienza in meri fatti materiali per indurre qualcuna a sapere come dannarsi con l’anoressia per il resto della sua vita. Penso tuttavia che tra le “pro-ana/mia” ci siano anche delle ragazze che hanno problemi di vario tipo nella loro vita, magari associati a deficit d’autostima, svalutazione, e forse pure di dismorfofobia; ragazze che avrebbero bisogno di essere aiutate professionalmente perchè hanno problemi in qualche modo correlati col cibo e con l’immagine corporea, ma differenti rispetto al problema del DCA.
L’anoressia molto spesso nasce come strategia di coping, la scelta di una male minore rispetto ad un altro male che in un certo momento viene visto come maggiore, la ricerca di un controllo per sentire quella forza e quella soddisfazione che ci fa credere di poter direzionare ogni aspetto della nostra vita.
L’aspetto del controllo, colonna portante dell’anoressia, è solo marginalmente toccato dalle “pro-ana/mia”, che lo intendono meramente come capacità di resistere alle lusinghe del cibo, come se restringere l’alimentazione fosse qualcosa di difficile, mentre in realtà chiunque abbia vissuto/stia vivendo l’anoressia può testimoniare che questa è la cosa più facile da fare. Indubbiamente, però, anche le ragazze che si definiscono “pro-ana/mia” sanno che un vero DCA le provocherebbe un’enorme sofferenza, sebbene si rifiutino di ammetterlo.
Quel che c’è di sbagliato, secondo me, è la possibilità di rendere accessibili a tutti blog, video ed immagini (“thinspo”) che incitano a condotte alimentari scorrette. Ciò non tange chi non è minimamente interessato da un DCA, ma può avere enormi conseguenze negative su chi si trova “sull’orlo del baratro”, su chi è nel pieno dell’anoressia, o su chi sta cercando di percorrere la strada del ricovero. Non mi piace la speculazione su una sofferenza che solo chi ha provato sulla propria pelle l’anoressia è veramente in grado di capire. Ognuna è libera di scegliere come vivere e anche come morire… ma senza coinvolgere gli altri nelle proprie scelte.
Ad ogni modo, riflettendoci ultimamente, mi sono accorta che io mi sono sempre definita sia “anti pro-ana” che “pro-ricovero”. Ecco, in effetti, mi sono resa conto che è abbastanza inutile essere anti-qualcosa: nel momento in cui si cerca di percorrere la strada del ricovero, bisogna cercare di essere quanto più positive possibile, perché questa strada è incredibilmente dura. Quel che sto cercando di dire è che trovo il movimento “pro-ana/mia” completamente sbagliato, cattivo e pericoloso, ma non penso questo delle singole ragazze che si definiscono “pro-ana/mia”. Di loro, penso semplicemente che siano malate, che abbiano bisogno d’aiuto, e che abbiano scelto una strada sbagliata perché non vedevano alternative. Ecco tutto.
Il dolore è dolore, è reale per chi lo vive, a prescindere da cosa esso è provocato. Ciò che per qualcuno può essere una cosa da nulla, per qualcun altro può essere il più grande problema del mondo. Ognuno ha le proprie emozioni e i propri sentimenti, ed è ovvio che gli altri possano non capirli, ma questo non cambia il fatto che la realtà oggettiva non esiste, ma solo un insieme di realtà soggettive, tutti parimenti importanti e… reali.
Perciò, se qualche ragazza che si definisce “pro-ana/mia” stesse leggendo questo post, vorrei semplicemente dirle che io non conosco il suo dolore, però lo so cosa significa stare male. Stare male con se stesse. E so anche che è possibile non sprofondare in questo dolore, non farne il proprio vessillo, non autocommiserarsi, ma combattere per avere la vita che meritiamo. Non raccontatevi la bugia dell’anoressia. Non ne vale la pena. E questo ve lo dico per esperienza.
E per le ragazze che stanno leggendo e che, come me, stanno combattendo contro l’anoressia, voglio solo dire che, come si suol dire, “anger is one letter short of danger”. Capisco e condivido quella che può essere la vostra rabbia nei confronti del movimento “pro-ana/mia”, ma con la rabbia si ottiene veramente qualcosa? Essere pro-ricovero significa semplicemente mettersi a disposizione per dare una mano a chiunque voglia percorrere la strada della luce. Perché la più grande barriera alla scelta del ricovero è proprio la mancata comprensione.
Perciò, con l’affetto e la pazienza verso chiunque abbia mai provato solitudine, dolore, tristezza, inadeguatezza, inaccettazione, rabbia, fallimento, perdita della speranza, desolazione, lacerazione… voglio solo dire che io sono qui, e vi capisco.
Quel che c’è nel nostro passato e quel che sarà il nostro futuro è ben poca cosa in confronto al nostro presente. Ragazze, a modo vostro, siete tutte delle stelle. Non rinchiudetevi nella prigione dell’anoressia. Seguite i vostri sogni, quelli veri, non quelli rotti ed effimeri indotti dall’anoressia. Datevi la possibilità di brillare ed illuminare il vostro angolo di cielo.
Nessuna pretesa di verità universale, semplicemente l’opinione che ho elaborato in questi ultimi giorni riflettendo un po’ più approfonditamente sull’argomento.
Indubbiamente molteplici sono le opinioni sui DCA. C’è chi non li ha mai vissuti e si affida ai luoghi comuni, chi li ha vissuti e li combatte, chi ne ha un’idea per sentito dire e decide di dichiararsi “pro-ana/mia” aprendo siti e blog al riguardo, e cercando di coinvolgere quante più persone possibile.
Personalmente, ritengo abbastanza privo di significato professarsi “pro-ana/mia” fingendo di sapere cos’è veramente l’anoressia e pronunciandosi a favore di essa; del resto ultimamente mi sono resa conto che ha pure poco senso provare a combattere il fuoco col fuoco.
La mia conclusione è che: IO SONO PRO-RICOVERO.
Ovviamente non apprezzo, né condivido, né giustifico nella maniera più assoluta quello che le ragazze che si definiscono “pro-ana/mia” dicono e fanno. Non penso che abbiano mai vissuto realmente un DCA per il semplice fatto che chiunque ci sia passata preferirebbe morire tra atroci torture piuttosto che consigliare a qualcun’altra o condividere con qualcun'altra la propria esperienza in meri fatti materiali per indurre qualcuna a sapere come dannarsi con l’anoressia per il resto della sua vita. Penso tuttavia che tra le “pro-ana/mia” ci siano anche delle ragazze che hanno problemi di vario tipo nella loro vita, magari associati a deficit d’autostima, svalutazione, e forse pure di dismorfofobia; ragazze che avrebbero bisogno di essere aiutate professionalmente perchè hanno problemi in qualche modo correlati col cibo e con l’immagine corporea, ma differenti rispetto al problema del DCA.
L’anoressia molto spesso nasce come strategia di coping, la scelta di una male minore rispetto ad un altro male che in un certo momento viene visto come maggiore, la ricerca di un controllo per sentire quella forza e quella soddisfazione che ci fa credere di poter direzionare ogni aspetto della nostra vita.
L’aspetto del controllo, colonna portante dell’anoressia, è solo marginalmente toccato dalle “pro-ana/mia”, che lo intendono meramente come capacità di resistere alle lusinghe del cibo, come se restringere l’alimentazione fosse qualcosa di difficile, mentre in realtà chiunque abbia vissuto/stia vivendo l’anoressia può testimoniare che questa è la cosa più facile da fare. Indubbiamente, però, anche le ragazze che si definiscono “pro-ana/mia” sanno che un vero DCA le provocherebbe un’enorme sofferenza, sebbene si rifiutino di ammetterlo.
Quel che c’è di sbagliato, secondo me, è la possibilità di rendere accessibili a tutti blog, video ed immagini (“thinspo”) che incitano a condotte alimentari scorrette. Ciò non tange chi non è minimamente interessato da un DCA, ma può avere enormi conseguenze negative su chi si trova “sull’orlo del baratro”, su chi è nel pieno dell’anoressia, o su chi sta cercando di percorrere la strada del ricovero. Non mi piace la speculazione su una sofferenza che solo chi ha provato sulla propria pelle l’anoressia è veramente in grado di capire. Ognuna è libera di scegliere come vivere e anche come morire… ma senza coinvolgere gli altri nelle proprie scelte.
Ad ogni modo, riflettendoci ultimamente, mi sono accorta che io mi sono sempre definita sia “anti pro-ana” che “pro-ricovero”. Ecco, in effetti, mi sono resa conto che è abbastanza inutile essere anti-qualcosa: nel momento in cui si cerca di percorrere la strada del ricovero, bisogna cercare di essere quanto più positive possibile, perché questa strada è incredibilmente dura. Quel che sto cercando di dire è che trovo il movimento “pro-ana/mia” completamente sbagliato, cattivo e pericoloso, ma non penso questo delle singole ragazze che si definiscono “pro-ana/mia”. Di loro, penso semplicemente che siano malate, che abbiano bisogno d’aiuto, e che abbiano scelto una strada sbagliata perché non vedevano alternative. Ecco tutto.
Il dolore è dolore, è reale per chi lo vive, a prescindere da cosa esso è provocato. Ciò che per qualcuno può essere una cosa da nulla, per qualcun altro può essere il più grande problema del mondo. Ognuno ha le proprie emozioni e i propri sentimenti, ed è ovvio che gli altri possano non capirli, ma questo non cambia il fatto che la realtà oggettiva non esiste, ma solo un insieme di realtà soggettive, tutti parimenti importanti e… reali.
Perciò, se qualche ragazza che si definisce “pro-ana/mia” stesse leggendo questo post, vorrei semplicemente dirle che io non conosco il suo dolore, però lo so cosa significa stare male. Stare male con se stesse. E so anche che è possibile non sprofondare in questo dolore, non farne il proprio vessillo, non autocommiserarsi, ma combattere per avere la vita che meritiamo. Non raccontatevi la bugia dell’anoressia. Non ne vale la pena. E questo ve lo dico per esperienza.
E per le ragazze che stanno leggendo e che, come me, stanno combattendo contro l’anoressia, voglio solo dire che, come si suol dire, “anger is one letter short of danger”. Capisco e condivido quella che può essere la vostra rabbia nei confronti del movimento “pro-ana/mia”, ma con la rabbia si ottiene veramente qualcosa? Essere pro-ricovero significa semplicemente mettersi a disposizione per dare una mano a chiunque voglia percorrere la strada della luce. Perché la più grande barriera alla scelta del ricovero è proprio la mancata comprensione.
Perciò, con l’affetto e la pazienza verso chiunque abbia mai provato solitudine, dolore, tristezza, inadeguatezza, inaccettazione, rabbia, fallimento, perdita della speranza, desolazione, lacerazione… voglio solo dire che io sono qui, e vi capisco.
Quel che c’è nel nostro passato e quel che sarà il nostro futuro è ben poca cosa in confronto al nostro presente. Ragazze, a modo vostro, siete tutte delle stelle. Non rinchiudetevi nella prigione dell’anoressia. Seguite i vostri sogni, quelli veri, non quelli rotti ed effimeri indotti dall’anoressia. Datevi la possibilità di brillare ed illuminare il vostro angolo di cielo.
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sabato 26 marzo 2011
"Sentirsi grassa"
Premetto che, pur anoressica, non ho mai sofferto di dismorfofobia, quindi quello che sto per scrivere non scaturisce direttamente dalla mia esperienza personale, ma dalle conclusioni che ho elaborato parlando di quest’argomento con ragazze che ho conosciuto durante i miei vari ricoveri e che invece avevano anche questo problema. Questo semplicemente per dirvi che se scrivo qualcosa di erroneo o che comunque non vi torna, penso di avere qualche attenuante… In ogni caso, se avete vissuto/state vivendo la dismorfofobia e quello che scrivo non vi sembra congruente, mi farebbe davvero piacere se me lo faceste notare.
“Grassa” non è un sentimento. Eppure, anche se sottopeso, ad alcune persone con DCA capita di sentirsi grasse. Improvvisamente, si sentono come se i vestiti che indossano fossero troppo stretti, la loro faccia troppo paffuta, il loro stomaco in via di espansione fino a raggiungere nuove, allarmanti dimensioni. Allora si comincia a pensare di aver ripreso peso, sale l’ansia, e si sente il bisogno ossessivo di fare qualcosa per dimagrire.
Bene, penso che quando ci si trova ad affrontare una situazione del genere, ci siano 2 cose fondamentali da tenere a mente:
1 – Si tratta di una sensazione temporanea.
2 – Si dice: “Mi sento grassa”, ma “grassa” non è un sentimento.
Si può essere arrabbiate, ansiose, frustrate, eccitate, contente, etc… - questi sono sentimenti. “Sentirsi grassa” non è un’emozione. E allora, perché questo sembra un’emozione così reale, angosciosa e stressante?
Secondo me, quando una persona dice che si “sente grassa”, in realtà vuol dire che sta effettivamente sentendo QUALCOSA. Solo che la vera emozione che si prova è così difficile e dolorosa da ammettere che rimane a livello incosciente: la testa allora catalizza la vera emozione e la rielabora trasformandola in negatività che viene focalizzata e riversata sul corpo. Riuscire a proiettare un emozione sul corpo fornisce un nemico concreto.
Se il problema effettivo fosse la “grassezza”, ci sarebbe un’univoca e valida soluzione: andare da un dietista e farsi aiutare a perdere peso in maniera graduale, fisiologica e sana. O, comunque, nell’ottica della persona anoressica, la soluzione a questo problema viene vista come la restrizione alimentare auto-imposta. Questo è molto più semplice che provare a relazionarsi con un problema esterno che potrebbe rischiare di andare completamente fuori controllo. Inoltre, il corpo fornisce una distrazione: se tutta l’attenzione è concentrata sulla fisicità, non c’è più spazio mentale per confrontarsi col vero problema.
Voglio perciò provare a dare qualche consiglio alle ragazze che stanno combattendo contro il loro DCA e che in certi giorni si “sentono grasse”, nella speranza che possano essere d’aiuto…
1 – Non concentratevi sul corpo. Uscite di casa per fare una passeggiata, telefonate ad un’amica… fate di tutto per distrarvi.
2 – State lontane dagli specchi. In quel momento non riflettono la vostra immagine reale ma l’immagine che vi proietta la vostra mente, quindi rischierebbero solo di peggiorare le cose.
3 – Non vi pesate. So che alcune di voi, dopo aver letto questa frase, staranno pensando: “Bè, tanto facile a parole, ma poi coi fatti è tutto un altro paio di maniche!”. Ma lasciate che vi dica una cosa: se vi pesate in uno di questi momenti in cui vi “sentite grasse”, in realtà non state cercando di rassicurarvi sul vostro peso reale. State solo cercando da parte della bilancia una conferma al fatto che vi sentite troppo grasse. Qualsiasi numero leggerete, per quanto basso. lo interpreterete in maniera negativa.
4 – Non adottate comportamenti alimentari restrittivi. Restringere in un momento del genere significa assecondare la distorsione indotta dal DCA. Questo contribuisce solo ad incrementare il problema. Ridurre l’introito calorico infatti porta solo a debolezza, irritabilità, instabilità che fomentano l’anoressia. Probabilmente, più restringerete e più vi “sentirete grasse”, questo perché vi focalizzate di più sul vostro corpo e quindi rinforzate il DCA.
E non dimenticate che, se non vi ci focalizzate troppo, questo “sentirsi grasse” tende ad andarsene spontaneamente. Non vi concentrate sulle bugie che la voce dell’anoressia vi racconta. Prestate fede solo alle vostre verità.
“Grassa” non è un sentimento. Eppure, anche se sottopeso, ad alcune persone con DCA capita di sentirsi grasse. Improvvisamente, si sentono come se i vestiti che indossano fossero troppo stretti, la loro faccia troppo paffuta, il loro stomaco in via di espansione fino a raggiungere nuove, allarmanti dimensioni. Allora si comincia a pensare di aver ripreso peso, sale l’ansia, e si sente il bisogno ossessivo di fare qualcosa per dimagrire.
Bene, penso che quando ci si trova ad affrontare una situazione del genere, ci siano 2 cose fondamentali da tenere a mente:
1 – Si tratta di una sensazione temporanea.
2 – Si dice: “Mi sento grassa”, ma “grassa” non è un sentimento.
Si può essere arrabbiate, ansiose, frustrate, eccitate, contente, etc… - questi sono sentimenti. “Sentirsi grassa” non è un’emozione. E allora, perché questo sembra un’emozione così reale, angosciosa e stressante?
Secondo me, quando una persona dice che si “sente grassa”, in realtà vuol dire che sta effettivamente sentendo QUALCOSA. Solo che la vera emozione che si prova è così difficile e dolorosa da ammettere che rimane a livello incosciente: la testa allora catalizza la vera emozione e la rielabora trasformandola in negatività che viene focalizzata e riversata sul corpo. Riuscire a proiettare un emozione sul corpo fornisce un nemico concreto.
Se il problema effettivo fosse la “grassezza”, ci sarebbe un’univoca e valida soluzione: andare da un dietista e farsi aiutare a perdere peso in maniera graduale, fisiologica e sana. O, comunque, nell’ottica della persona anoressica, la soluzione a questo problema viene vista come la restrizione alimentare auto-imposta. Questo è molto più semplice che provare a relazionarsi con un problema esterno che potrebbe rischiare di andare completamente fuori controllo. Inoltre, il corpo fornisce una distrazione: se tutta l’attenzione è concentrata sulla fisicità, non c’è più spazio mentale per confrontarsi col vero problema.
Voglio perciò provare a dare qualche consiglio alle ragazze che stanno combattendo contro il loro DCA e che in certi giorni si “sentono grasse”, nella speranza che possano essere d’aiuto…
1 – Non concentratevi sul corpo. Uscite di casa per fare una passeggiata, telefonate ad un’amica… fate di tutto per distrarvi.
2 – State lontane dagli specchi. In quel momento non riflettono la vostra immagine reale ma l’immagine che vi proietta la vostra mente, quindi rischierebbero solo di peggiorare le cose.
3 – Non vi pesate. So che alcune di voi, dopo aver letto questa frase, staranno pensando: “Bè, tanto facile a parole, ma poi coi fatti è tutto un altro paio di maniche!”. Ma lasciate che vi dica una cosa: se vi pesate in uno di questi momenti in cui vi “sentite grasse”, in realtà non state cercando di rassicurarvi sul vostro peso reale. State solo cercando da parte della bilancia una conferma al fatto che vi sentite troppo grasse. Qualsiasi numero leggerete, per quanto basso. lo interpreterete in maniera negativa.
4 – Non adottate comportamenti alimentari restrittivi. Restringere in un momento del genere significa assecondare la distorsione indotta dal DCA. Questo contribuisce solo ad incrementare il problema. Ridurre l’introito calorico infatti porta solo a debolezza, irritabilità, instabilità che fomentano l’anoressia. Probabilmente, più restringerete e più vi “sentirete grasse”, questo perché vi focalizzate di più sul vostro corpo e quindi rinforzate il DCA.
E non dimenticate che, se non vi ci focalizzate troppo, questo “sentirsi grasse” tende ad andarsene spontaneamente. Non vi concentrate sulle bugie che la voce dell’anoressia vi racconta. Prestate fede solo alle vostre verità.
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domenica 20 marzo 2011
Chiedere aiuto
Riconoscere di avere un DCA non è un qualcosa d’immediato. Al contrario, molto spesso, sebbene consapevoli che il nostro comportamento alimentare è erroneo, neghiamo persino a noi stesse di poter avere un DCA, di poter essere, in un certo qual modo, “malate”.
In alcuni casi non ci sembra che ci sia niente di sbagliato nel nostro rapporto col cibo o nel nostro pattern di pensieri, ma quel che più spesso accade è che, anche se consapevoli di quello che stiamo facendo, pur di portare avanti le sensazioni positive che l’anoressia ci trasmette, ci illudiamo auto-convincendoci che quello che facciamo non avrà poi chissà quali conseguenze sul nostro corpo, che comunque possiamo smettere quando vogliamo e ricominciare ad alimentarci “normalmente”, ignorando quelli che sono i veri bisogni del nostro corpo.
Le persone che ci circondano, ovviamente, molto spesso sono le prime a rendersi conto che c’è qualcosa che non va e cercando di farcelo notare. Molto spesso nella maniera sbagliata, essendo esterni al problema, ma in buona fede, con l’unico intento di darci una mano. Noi stesse, a volte, sentiamo che forse c’è qualcosa che non va e che magari dovremo parlarne con qualcuno.
Il problema, come saprà bene la maggior parte di noi che si sono trovate in questa situazione, è che in fin dei conti pensiamo di “non essere malate abbastanza”. E così temiamo che, parlandone con qualcuno, non saremmo prese sul serio. Pensiamo che se tutti non si precipitano ad aiutarci, significa che ancora non siamo magre abbastanza. Significa che ancora non siamo diventate invisibili abbastanza da poter essere viste.
NO.
Cosa significa esattamente “essere malate abbastanza”? Come si può definire una “malata abbastanza”? Lo si definisce tramite il peso? Tramite il BMI (IMC)? Tramite la taglia dei jeans?
Non ha nessuna importanza se siamo dentro il tunnel dell’anoressia da 3 giorni, da 3 mesi, da 3 anni o da 30 anni. Il punto è che stiamo MALE. Che ci siamo cadute e che tutto quello che in un primo momento ci sembrava di poter controllare è quello che, successivamente, ci si rivolta contro e ci controlla.
Se abbiamo un DCA, noi meritiamo di ricevere aiuto. E dobbiamo chiederlo. Non dobbiamo vergognarci. Non dobbiamo temere di essere considerate “deboli” per questo. Chiedere aiuto quando si è in difficoltà non è segno di debolezza, anzi, è segno di grande forza, responsabilità, maturità e intelligenza.
Perciò, se vi sentite completamente sole, se la vostra vita è un coacervo di scuse, bugie e segreti, se vi sentite stanche di cercare di nascondere il vostro DCA, se piangete chiuse in camera quando nessuno può sentirvi, se desiderate – nell’angolo più remoto della vostra testa e del vostro cuore – che qualcuno si renda conto che c’è qualcosa che non va, che qualcuno si renda conto che state male… non pensate al vostro peso. Non pensate al tempo da cui ci siete dentro. Pensate soltanto che avete bisogno e che meritate di ricevere aiuto. E dovete darvi perciò il diritto di chiederlo. Ci sono tantissime mani tese verso di voi, anche se magari in questo momento non ve ne rendete conto, pronte ad afferrarvi se solo gliene date la possibilità. Pronte a sostenervi durante il duro e difficile percorso sulla strada del ricovero.
Una diagnosi di DCA non è un qualcosa che si “guadagna” quando siamo magre abbastanza o quando si è vomitato un numero sufficientemente elevato di volte. Non è un qualcosa che si “guadagna” quando teniamo un comportamento alimentare errato da un TOT di anni. Semplicemente perchè non è un qualcosa che si “guadagna”.
Il principale problema dell’anoressia è che questa, col tempo, finisce per diventare la nostra identità. Nel momento in cui ci siamo in mezzo, infatti, l’anoressia prova a convincerci e ci promette che solo quando saremo visibilmente sciupate, quando saremo “malate abbastanza”, soltanto a quel punto valiamo qualcosa e necessitiamo di un riconoscimento.
Lasciate che ve lo dica, ragazze: non c’è promessa più deviata, vana e vuota.
Non cadete in questa trappola. Prima chiederete aiuto, più facile sarà iniziare a combattere. Nessuno merita di vivere con l’anoressia. Neanche voi. Voi meritate, viceversa, di sentirvi di nuovo vive. Dovete ricominciare a vivere. Anche se, lo so, la paura più grande sta proprio nel prendersi il rischio di darsi il permesso di vivere davvero. Ma è l’unica cosa che potete fare per voi stesse. L’unica che vale veramente la pena.
In alcuni casi non ci sembra che ci sia niente di sbagliato nel nostro rapporto col cibo o nel nostro pattern di pensieri, ma quel che più spesso accade è che, anche se consapevoli di quello che stiamo facendo, pur di portare avanti le sensazioni positive che l’anoressia ci trasmette, ci illudiamo auto-convincendoci che quello che facciamo non avrà poi chissà quali conseguenze sul nostro corpo, che comunque possiamo smettere quando vogliamo e ricominciare ad alimentarci “normalmente”, ignorando quelli che sono i veri bisogni del nostro corpo.
Le persone che ci circondano, ovviamente, molto spesso sono le prime a rendersi conto che c’è qualcosa che non va e cercando di farcelo notare. Molto spesso nella maniera sbagliata, essendo esterni al problema, ma in buona fede, con l’unico intento di darci una mano. Noi stesse, a volte, sentiamo che forse c’è qualcosa che non va e che magari dovremo parlarne con qualcuno.
Il problema, come saprà bene la maggior parte di noi che si sono trovate in questa situazione, è che in fin dei conti pensiamo di “non essere malate abbastanza”. E così temiamo che, parlandone con qualcuno, non saremmo prese sul serio. Pensiamo che se tutti non si precipitano ad aiutarci, significa che ancora non siamo magre abbastanza. Significa che ancora non siamo diventate invisibili abbastanza da poter essere viste.
NO.
Cosa significa esattamente “essere malate abbastanza”? Come si può definire una “malata abbastanza”? Lo si definisce tramite il peso? Tramite il BMI (IMC)? Tramite la taglia dei jeans?
Non ha nessuna importanza se siamo dentro il tunnel dell’anoressia da 3 giorni, da 3 mesi, da 3 anni o da 30 anni. Il punto è che stiamo MALE. Che ci siamo cadute e che tutto quello che in un primo momento ci sembrava di poter controllare è quello che, successivamente, ci si rivolta contro e ci controlla.
Se abbiamo un DCA, noi meritiamo di ricevere aiuto. E dobbiamo chiederlo. Non dobbiamo vergognarci. Non dobbiamo temere di essere considerate “deboli” per questo. Chiedere aiuto quando si è in difficoltà non è segno di debolezza, anzi, è segno di grande forza, responsabilità, maturità e intelligenza.
Perciò, se vi sentite completamente sole, se la vostra vita è un coacervo di scuse, bugie e segreti, se vi sentite stanche di cercare di nascondere il vostro DCA, se piangete chiuse in camera quando nessuno può sentirvi, se desiderate – nell’angolo più remoto della vostra testa e del vostro cuore – che qualcuno si renda conto che c’è qualcosa che non va, che qualcuno si renda conto che state male… non pensate al vostro peso. Non pensate al tempo da cui ci siete dentro. Pensate soltanto che avete bisogno e che meritate di ricevere aiuto. E dovete darvi perciò il diritto di chiederlo. Ci sono tantissime mani tese verso di voi, anche se magari in questo momento non ve ne rendete conto, pronte ad afferrarvi se solo gliene date la possibilità. Pronte a sostenervi durante il duro e difficile percorso sulla strada del ricovero.
Una diagnosi di DCA non è un qualcosa che si “guadagna” quando siamo magre abbastanza o quando si è vomitato un numero sufficientemente elevato di volte. Non è un qualcosa che si “guadagna” quando teniamo un comportamento alimentare errato da un TOT di anni. Semplicemente perchè non è un qualcosa che si “guadagna”.
Il principale problema dell’anoressia è che questa, col tempo, finisce per diventare la nostra identità. Nel momento in cui ci siamo in mezzo, infatti, l’anoressia prova a convincerci e ci promette che solo quando saremo visibilmente sciupate, quando saremo “malate abbastanza”, soltanto a quel punto valiamo qualcosa e necessitiamo di un riconoscimento.
Lasciate che ve lo dica, ragazze: non c’è promessa più deviata, vana e vuota.
Non cadete in questa trappola. Prima chiederete aiuto, più facile sarà iniziare a combattere. Nessuno merita di vivere con l’anoressia. Neanche voi. Voi meritate, viceversa, di sentirvi di nuovo vive. Dovete ricominciare a vivere. Anche se, lo so, la paura più grande sta proprio nel prendersi il rischio di darsi il permesso di vivere davvero. Ma è l’unica cosa che potete fare per voi stesse. L’unica che vale veramente la pena.
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lunedì 14 marzo 2011
Iniziare il processo di ricovero
Molto spesso la cosa più difficile da fare è anche la cosa più giusta da fare.
Il ricovero dall’anoressia è una scelta. Una scelta costante. Ogni giorno dobbiamo rinnovare la nostra scelta di continuare a percorrere la strada del ricovero. Perché il ricovero è la nostra unica possibilità di non morire o comunque di non rimanere sedute in un angolo a guardare la nostra vita che scorre senza che noi riusciamo a prenderne le redini e a parteciparvi.
Ovviamente, bisogna fare un passo per volta, e va benissimo se i primi passi sono quelli più difficili, più duri, più piccoli e più lenti. Ma sono comunque passi avanti, passi che vale la pena di compiere.
Parte del processo di ricovero consiste nell’imparare a discernere quali sono i nostri veri pensieri, sogni, desideri, dai pensieri che invece ci ha messo in testa l’anoressia. Ricercare le Vere Noi Stesse. Capire quello che c’è dietro la maschera che il DCA ci costringe ad indossare… e con la quale, alla lunga, finisce per soffocarci. Perché l’anoressia può mentirci per un po’, ma non può farlo per sempre.
È importante chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, senza aver timore di poter essere giudicate “deboli” per questo: viceversa, riuscire a chiedere aiuto è segno di grande forza e maturità. È una responsabilità e un dovere che abbiamo verso noi stesse.
Solo decidendo di iniziare il processo di ricovero potremo trovare in noi stesse la forza per combattere giorno dopo giorno l’anoressia, poiché in realtà siamo molto più forti di quel che crediamo.
Nel momento in cui dovesse esserci una ricaduta, dobbiamo immediatamente ricordare a noi stesse perché avevamo intrapreso la strada del ricovero e perché è necessario rialzarsi e ricominciare a combattere.
Altra parte del processo di ricovero consiste, se non nell’amarci, per lo meno nell’accettarci per quello che siamo. E questa è una delle cose più difficile che ci troveremo mai a fare. Ma la bellezza è in tutto, ed è anche dentro di noi. Dobbiamo solo imparare a tirarla fuori, perché è proprio quello che ci rende differenti dagli altri, tutte le nostre piccole imperfezioni, che ci rendono bellissime. Bellezza interiore, ragazze. Certo, la bellezza esteriore cattura l’attenzione degli altri, ma solo la bellezza interiore ne conquista il cuore.
Non abbandonate mai la speranza, non vi scoraggiate: percorrere la strada del ricovero è possibile. Molte ragazze al mondo lo stanno facendo in questo momento. Tutte noi possiamo percorrere questa strada giorno dopo giorno senza arrenderci.
Ricordatevi sempre di sognare. Cercate ogni giorno d’immaginare come diventerà la vostra vita nel momento in cui l’anoressia non ne sarà più la parte preponderante. Perché è solo senza l’anoressia che voi potrete essere qualcuno. Esprimete voi stesse in ogni modo possibile. E nel momento in cui arriverete alla fine della giornata senza aver ceduto alle viscide lusinghe e alle false promesse dell’anoressia, avrete davvero un motivo per festeggiare. Festeggiate ogni vostro progresso. E continuate a farne, continuate ad andare avanti, perché ne vale la pena. Fosse l’unica cosa, questa vale veramente la pena. Vivete la vostra vita. Non fatevi più vivere dall’anoressia. Io ci sto provando, e voi?
Il ricovero dall’anoressia è una scelta. Una scelta costante. Ogni giorno dobbiamo rinnovare la nostra scelta di continuare a percorrere la strada del ricovero. Perché il ricovero è la nostra unica possibilità di non morire o comunque di non rimanere sedute in un angolo a guardare la nostra vita che scorre senza che noi riusciamo a prenderne le redini e a parteciparvi.
Ovviamente, bisogna fare un passo per volta, e va benissimo se i primi passi sono quelli più difficili, più duri, più piccoli e più lenti. Ma sono comunque passi avanti, passi che vale la pena di compiere.
Parte del processo di ricovero consiste nell’imparare a discernere quali sono i nostri veri pensieri, sogni, desideri, dai pensieri che invece ci ha messo in testa l’anoressia. Ricercare le Vere Noi Stesse. Capire quello che c’è dietro la maschera che il DCA ci costringe ad indossare… e con la quale, alla lunga, finisce per soffocarci. Perché l’anoressia può mentirci per un po’, ma non può farlo per sempre.
È importante chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, senza aver timore di poter essere giudicate “deboli” per questo: viceversa, riuscire a chiedere aiuto è segno di grande forza e maturità. È una responsabilità e un dovere che abbiamo verso noi stesse.
Solo decidendo di iniziare il processo di ricovero potremo trovare in noi stesse la forza per combattere giorno dopo giorno l’anoressia, poiché in realtà siamo molto più forti di quel che crediamo.
Nel momento in cui dovesse esserci una ricaduta, dobbiamo immediatamente ricordare a noi stesse perché avevamo intrapreso la strada del ricovero e perché è necessario rialzarsi e ricominciare a combattere.
Altra parte del processo di ricovero consiste, se non nell’amarci, per lo meno nell’accettarci per quello che siamo. E questa è una delle cose più difficile che ci troveremo mai a fare. Ma la bellezza è in tutto, ed è anche dentro di noi. Dobbiamo solo imparare a tirarla fuori, perché è proprio quello che ci rende differenti dagli altri, tutte le nostre piccole imperfezioni, che ci rendono bellissime. Bellezza interiore, ragazze. Certo, la bellezza esteriore cattura l’attenzione degli altri, ma solo la bellezza interiore ne conquista il cuore.
Non abbandonate mai la speranza, non vi scoraggiate: percorrere la strada del ricovero è possibile. Molte ragazze al mondo lo stanno facendo in questo momento. Tutte noi possiamo percorrere questa strada giorno dopo giorno senza arrenderci.
Ricordatevi sempre di sognare. Cercate ogni giorno d’immaginare come diventerà la vostra vita nel momento in cui l’anoressia non ne sarà più la parte preponderante. Perché è solo senza l’anoressia che voi potrete essere qualcuno. Esprimete voi stesse in ogni modo possibile. E nel momento in cui arriverete alla fine della giornata senza aver ceduto alle viscide lusinghe e alle false promesse dell’anoressia, avrete davvero un motivo per festeggiare. Festeggiate ogni vostro progresso. E continuate a farne, continuate ad andare avanti, perché ne vale la pena. Fosse l’unica cosa, questa vale veramente la pena. Vivete la vostra vita. Non fatevi più vivere dall’anoressia. Io ci sto provando, e voi?
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martedì 8 marzo 2011
Carissime ragazze, non siete sole
Questa è una lettera che vorrei condividere con voi. È una lettera di ringraziamento che ho scritto per tutte voi.
Carissime ragazze,
Anche se vi sentite perse, anche se la strada del ricovero vi sembra di una faticosità insostenibile, anche se siete in difficoltà nel combattere contro l’anoressia, anche se siete reduce dall’ennesima ricaduta, anche se vi definite “pro-ana”/”pro-mia”, anche se siete genitori preoccupati, o fratelli, sorelle o amici, amiche, GRAZIE MILLE di leggere questo blog. Grazie mille per i commenti che mi lasciate. Grazie mille per la vostra consapevolezza che avere un DCA non è un qualcosa di cui doversi vergognare, ma un qualcosa che richiede aiuto e supporto, una cosa contro cui bisogna combattere, come molte altre avversità della vita. Grazie mille per il vostro provare a combattere, giorno dopo giorno.
Non siete sole.
Io sono dall’altra parte dello schermo, e mando energia e pensieri positive a chiunque ne abbia bisogno. E fuori di qui, ci sono tantissime altre ragazze, ragazzi, adolescenti, donne e uomini che stanno combattendo la vostra stessa battaglia. L’anoressia fa sentire sole. Vi isola. Allontana tutto il resto del mondo, tutti gli altri. Vi fa sentire come se non ci fosse nient’altro che voi e la malattia. Ma, semplicemente, questo non è vero. Per ogni paia di occhi che leggono queste parole, ce ne sono molti altri che stanno cercando di vincere la stessa battaglia.
Andate Avanti a testa alta, anche se vi sentite l’acqua alla gola.
E affrontate un giorno alla volta – è l’unico modo per poter percorrere la strada del ricovero.
L’anoressia può essere, ad oggi, la vostra realtà – ma vuoi potete cambiare la vostra realtà.
VOI POTETE CAMBIARE LA VOSTRA REALTA’.
C’è gente che non lo sa. C’è gente che se ne rende conto troppo tardi. C’è gente che non afferra il concetto. C'è gente che non ci crede.
Ma è vero, ed è tutto qui. Voi potete cambiare la vostra realtà. Le cose non devono andare così per sempre, non dev’essere anoressia per sempre.
E potete cominciare il cambiamento oggi.
Con amore, comprensione ed incoraggiamento,
Veggie
Carissime ragazze,
Anche se vi sentite perse, anche se la strada del ricovero vi sembra di una faticosità insostenibile, anche se siete in difficoltà nel combattere contro l’anoressia, anche se siete reduce dall’ennesima ricaduta, anche se vi definite “pro-ana”/”pro-mia”, anche se siete genitori preoccupati, o fratelli, sorelle o amici, amiche, GRAZIE MILLE di leggere questo blog. Grazie mille per i commenti che mi lasciate. Grazie mille per la vostra consapevolezza che avere un DCA non è un qualcosa di cui doversi vergognare, ma un qualcosa che richiede aiuto e supporto, una cosa contro cui bisogna combattere, come molte altre avversità della vita. Grazie mille per il vostro provare a combattere, giorno dopo giorno.
Non siete sole.
Io sono dall’altra parte dello schermo, e mando energia e pensieri positive a chiunque ne abbia bisogno. E fuori di qui, ci sono tantissime altre ragazze, ragazzi, adolescenti, donne e uomini che stanno combattendo la vostra stessa battaglia. L’anoressia fa sentire sole. Vi isola. Allontana tutto il resto del mondo, tutti gli altri. Vi fa sentire come se non ci fosse nient’altro che voi e la malattia. Ma, semplicemente, questo non è vero. Per ogni paia di occhi che leggono queste parole, ce ne sono molti altri che stanno cercando di vincere la stessa battaglia.
Andate Avanti a testa alta, anche se vi sentite l’acqua alla gola.
E affrontate un giorno alla volta – è l’unico modo per poter percorrere la strada del ricovero.
L’anoressia può essere, ad oggi, la vostra realtà – ma vuoi potete cambiare la vostra realtà.
VOI POTETE CAMBIARE LA VOSTRA REALTA’.
C’è gente che non lo sa. C’è gente che se ne rende conto troppo tardi. C’è gente che non afferra il concetto. C'è gente che non ci crede.
Ma è vero, ed è tutto qui. Voi potete cambiare la vostra realtà. Le cose non devono andare così per sempre, non dev’essere anoressia per sempre.
E potete cominciare il cambiamento oggi.
Con amore, comprensione ed incoraggiamento,
Veggie
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mercoledì 2 marzo 2011
Cosa si guadagna nel ricovero
Molto spesso ho parlato di quello che l’anoressia ci ruba, ci fa perdere. Ci fa tante promesse, ma alla fine ci delude perché non ci dà quello che pensavamo/speravamo di ottenere, facendoci credere di essere l’unica nostra chance.
Bene, al contrario, oggi voglio parlare di tutto quello che si guadagna scegliendo la strada del ricovero, perché questa è una strada difficile, quindi capita spesso di scoraggiarsi pensando che non riusciremo mai a rimanere in carreggiata. So quanto mantenere la motivazione sia difficile.
Io stessa sto tuttora percorrendo la strada del ricovero, e naturalmente ci sono momenti in cui la trovo particolarmente dura, e in cui sento che potrei ricadere. Ma sono consapevole che questa strada è l’unica che può veramente farmi guadagnare qualcosa.
Cosa si guadagna nel ricovero?
Si guadagna energia.
Si guadagna rispetto per noi stesse.
Si guadagna forza sia da un punto di vista fisico che da un punto di vista psicologico, che da un punto di vista emotivo/emozionale.
Si guadagna speranza.
Si guadagna la capacità di riuscire a vedere i colori laddove prima vedevamo tutto grigio.
Si guadagna decisione e determinazione a vivere. (A vivere VERAMENTE, non il simulacro di vita che ci concede l’anoressia!)
Si guadagna gratitudine. Sia quando la vita è dolce, sia quando è amara. Perché è comunque bellissima.
Si guadagna creatività. Senza bisogno di modellare il nostro corpo alla ricerca di quello che non riusciremo mai a costruire.
Si guadagnano nuove esperienze e ricordi felici.
Si guadagna il futuro e la capacità di fare sogni e rogetti.
Si guadagnano relazioni migliori con la gente che ci sta intorno.
Si guadagna la possibilità d’imparare ad usare la nostra voce per dire esplicitamente se c’è qualcosa che non va, senza timore di utilizzarla anche per gridate che, cazzo, stiamo male.
Si guadagna completezza.
Si guadagna la libertà da certe ossessioni e comportamenti compulsivi.
Si guadagna la capacità di sorridere e ridere di noi stesse.
Si guadagna flessibilità.
Si guadagna tempo da dedicare a quello che ci piace veramente fare.
Si guadagna una migliore condizione di salute.
Si guadagna sollievo dal circolo vizioso della restrizione e dell’esercizio fisico eccessivo.
Si guadagna capacità di concentrazione e memoria.
Si guadagna la possibilità di esprimere le Vere Noi Stesse.
Si guadagnano possibilità… e capacità di metterci in gioco accettando queste possibilità.
Si guadagna la consapevolezza che siamo speciali esattamente per quello che siamo, e non solo perché abbiamo un DCA.
Si guadagna profondità.
Si guadagna vita.
La strada del ricovero è una dura strada in salita. Combattere questa battaglia è sicuramente una delle cose più difficili che dovremmo mai affrontare.
Ma voglio ancora credere che ne vale la pena.
Bene, al contrario, oggi voglio parlare di tutto quello che si guadagna scegliendo la strada del ricovero, perché questa è una strada difficile, quindi capita spesso di scoraggiarsi pensando che non riusciremo mai a rimanere in carreggiata. So quanto mantenere la motivazione sia difficile.
Io stessa sto tuttora percorrendo la strada del ricovero, e naturalmente ci sono momenti in cui la trovo particolarmente dura, e in cui sento che potrei ricadere. Ma sono consapevole che questa strada è l’unica che può veramente farmi guadagnare qualcosa.
Cosa si guadagna nel ricovero?
Si guadagna energia.
Si guadagna rispetto per noi stesse.
Si guadagna forza sia da un punto di vista fisico che da un punto di vista psicologico, che da un punto di vista emotivo/emozionale.
Si guadagna speranza.
Si guadagna la capacità di riuscire a vedere i colori laddove prima vedevamo tutto grigio.
Si guadagna decisione e determinazione a vivere. (A vivere VERAMENTE, non il simulacro di vita che ci concede l’anoressia!)
Si guadagna gratitudine. Sia quando la vita è dolce, sia quando è amara. Perché è comunque bellissima.
Si guadagna creatività. Senza bisogno di modellare il nostro corpo alla ricerca di quello che non riusciremo mai a costruire.
Si guadagnano nuove esperienze e ricordi felici.
Si guadagna il futuro e la capacità di fare sogni e rogetti.
Si guadagnano relazioni migliori con la gente che ci sta intorno.
Si guadagna la possibilità d’imparare ad usare la nostra voce per dire esplicitamente se c’è qualcosa che non va, senza timore di utilizzarla anche per gridate che, cazzo, stiamo male.
Si guadagna completezza.
Si guadagna la libertà da certe ossessioni e comportamenti compulsivi.
Si guadagna la capacità di sorridere e ridere di noi stesse.
Si guadagna flessibilità.
Si guadagna tempo da dedicare a quello che ci piace veramente fare.
Si guadagna una migliore condizione di salute.
Si guadagna sollievo dal circolo vizioso della restrizione e dell’esercizio fisico eccessivo.
Si guadagna capacità di concentrazione e memoria.
Si guadagna la possibilità di esprimere le Vere Noi Stesse.
Si guadagnano possibilità… e capacità di metterci in gioco accettando queste possibilità.
Si guadagna la consapevolezza che siamo speciali esattamente per quello che siamo, e non solo perché abbiamo un DCA.
Si guadagna profondità.
Si guadagna vita.
La strada del ricovero è una dura strada in salita. Combattere questa battaglia è sicuramente una delle cose più difficili che dovremmo mai affrontare.
Ma voglio ancora credere che ne vale la pena.
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giovedì 24 febbraio 2011
Passi avanti e indietro
Penso che chiunque intraprenda la strada del ricovero dall’anoressia vada necessariamente incontro ad alti e bassi. Quel che dobbiamo cercare di fare, perciò, è di non sentirci frustrate se a volte avremo delle ricadute. Poiché nessun abisso in cui si precipita è tanto profondo da non potersi rialzare.
La strada del ricovero è una strada molto lunga, poiché il ricovero non è un evento ma un processo. Anche nel momento in cui si sceglie d’intraprendere la strada del ricovero, inevitabilmente ci rimangono dei dubbi, si può aver paura, ci si chiede: davvero questo è un viaggio che sarò in grado di affrontare? Cosa succederà se sarà più dura di quel che posso immaginare? Cosa succederà se non sarò forte abbastanza?
L’insicurezza nei confronti delle nostre capacità di farcela è una temibile nemica. Un qualcosa che coadiuva le ricadute e ci riporta così di nuovo nel nostro solito vecchio inferno. E allora, si prova vergogna di noi stesse perché ci sembra di aver fallito. E ci si chiede se potremo mai sorridere davvero di nuovo, sorridere come quando non avremmo mai immagino di cadere nella spirale discendente dell’anoressia.
Ma, ragazze, lasciate che ve lo dica: una ricaduta NON è assolutamente un fallimento. Significa solo che abbiamo commesso un errore e dobbiamo aggiustare il tiro, tutto qui. Anche le migliori sbagliano, talvolta.
Ma tutte, tutte voi avete ogni capacità di rialzarvi dopo qualsiasi ricaduta. E di sorridere di nuovo. Al di fuori di ogni dubbio che in questo momento può riempire la vostra mente. Perciò, continuiamo comunque a percorrere la strada del ricovero, perché solo così prima o poi troveremo…
SPERANZA.

Non abbiate paura e non siate arrabbiate con voi stesse se talvolta farete dei passi indietro. Fare errori è permesso e naturale: siamo umane, in fin dei conti. Potremo aver paura, anche questo è normale… succede a tutti, anche alle migliori. Ma avete tutta la forza per rialzarvi e per continuare a camminare. Di questo ne sono assolutamente certa. Il coraggio che avete tirato fuori per intraprendere la strada del ricovero è quello stesso coraggio che dovete utilizzare per andare avanti. Sì, dobbiamo solo andare avanti nella strada del ricovero, perché solo così prima o poi troveremo…
FORZA.

Dovete credere in voi stesse e nelle vostre potenzialità. Se state percorrendo la strada del ricovero, siete nella giusta direzione. L’unica cosa veramente importante è continuare a camminare, senza lasciare che i momenti neri fiacchino la nostra voglia di combattere. Ricordate sempre che un’eventuale ricaduta non significa che non state percorrendo la strada del ricovero. Arriverete a raggiungere tutte le tappe, ma c’è bisogno di tanto tempo. E per raggiungerle, c’è solo una cosa da fare: continuiamo a camminare. Perchè solo così prima o poi troveremo…
LIBERTA’.

FELICITA’.

VITA.
Non smettete mai di credere che questa è una battaglia che si può combattere.
La strada del ricovero è una strada molto lunga, poiché il ricovero non è un evento ma un processo. Anche nel momento in cui si sceglie d’intraprendere la strada del ricovero, inevitabilmente ci rimangono dei dubbi, si può aver paura, ci si chiede: davvero questo è un viaggio che sarò in grado di affrontare? Cosa succederà se sarà più dura di quel che posso immaginare? Cosa succederà se non sarò forte abbastanza?
L’insicurezza nei confronti delle nostre capacità di farcela è una temibile nemica. Un qualcosa che coadiuva le ricadute e ci riporta così di nuovo nel nostro solito vecchio inferno. E allora, si prova vergogna di noi stesse perché ci sembra di aver fallito. E ci si chiede se potremo mai sorridere davvero di nuovo, sorridere come quando non avremmo mai immagino di cadere nella spirale discendente dell’anoressia.
Ma, ragazze, lasciate che ve lo dica: una ricaduta NON è assolutamente un fallimento. Significa solo che abbiamo commesso un errore e dobbiamo aggiustare il tiro, tutto qui. Anche le migliori sbagliano, talvolta.
Ma tutte, tutte voi avete ogni capacità di rialzarvi dopo qualsiasi ricaduta. E di sorridere di nuovo. Al di fuori di ogni dubbio che in questo momento può riempire la vostra mente. Perciò, continuiamo comunque a percorrere la strada del ricovero, perché solo così prima o poi troveremo…
SPERANZA.

Non abbiate paura e non siate arrabbiate con voi stesse se talvolta farete dei passi indietro. Fare errori è permesso e naturale: siamo umane, in fin dei conti. Potremo aver paura, anche questo è normale… succede a tutti, anche alle migliori. Ma avete tutta la forza per rialzarvi e per continuare a camminare. Di questo ne sono assolutamente certa. Il coraggio che avete tirato fuori per intraprendere la strada del ricovero è quello stesso coraggio che dovete utilizzare per andare avanti. Sì, dobbiamo solo andare avanti nella strada del ricovero, perché solo così prima o poi troveremo…
FORZA.

Dovete credere in voi stesse e nelle vostre potenzialità. Se state percorrendo la strada del ricovero, siete nella giusta direzione. L’unica cosa veramente importante è continuare a camminare, senza lasciare che i momenti neri fiacchino la nostra voglia di combattere. Ricordate sempre che un’eventuale ricaduta non significa che non state percorrendo la strada del ricovero. Arriverete a raggiungere tutte le tappe, ma c’è bisogno di tanto tempo. E per raggiungerle, c’è solo una cosa da fare: continuiamo a camminare. Perchè solo così prima o poi troveremo…
LIBERTA’.

FELICITA’.

VITA.
Non smettete mai di credere che questa è una battaglia che si può combattere.

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venerdì 18 febbraio 2011
Una lezione in dati di fatto
Dato di fatto numero 1: L’anoressia combatterà per sconfiggervi.
Dato di fatto numero 2: L’anoressia avrà la meglio, se le lascerete avere la meglio.
Dato di fatto numero 3: L’anoressia renderà la vostra vita miserabile…
Dato di fatto numero 4: ... e renderà miserabile anche la vita delle persone cui volete bene.
Dato di fatto numero 5: L’anoressia non vi renderà felici…
Dato di fatto numero 6: …ma vi distruggerà, un pezzo dopo l’altro, fisicamente e mentalmente.
Dato di fatto numero 7: L’anoressia fingerà di essere vostra amica…
Dato di fatto numero 8: … e non esiterà a togliervi terreno da sotto i piedi facendovi cadere.
Dato di fatto numero 9: L’anoressia vi mentirà.
Dato di fatto numero 10: L’anoressia cercherà di farvi credere che è più forte di voi.
Questi sono dati di fatto. Non esattamente un meraviglioso quadretto, eh?!...
Ma...
Dato di fatto numero 1: Potete combattere contro l’anoressia, e vincere.
Dato di fatto numero 2: L’anoressia avrà la meglio, se le lascerete avere la meglio. Ma voi non dovete lasciarle avere la meglio.
Dato di fatto numero 3: Voi avete tutte le capacità di cambiare la vostra vita…
Dato di fatto numero 4: … e di combattere insieme a tutte le persone che vi vogliono bene e credono in voi.
Dato di fatto numero 5: L’anoressia non vi renderà felici. Ma avrete un sacco di altre cose che potranno rendervi felici...
Dato di fatto numero 6: … e potrete ricostruire voi stesse, un pezzo dopo l’altro, fisicamente e mentalmente.
Dato di fatto numero 7: L’anoressia fingerà di essere vostra amica, ma voi potete essere le migliori amiche di voi stesse. Prendendovi cura di voi stesse.
Dato di fatto numero 8: … e non esiterà a togliervi terreno da sotto i piedi facendovi cadere. Ma voi potete sempre rialzarvi.
Dato di fatto numero 9: L’anoressia vi mentirà. Ma voi sapete qual è la verità.
Dato di fatto numero 10: L’anoressia cercherà di farvi credere che è più forte di voi. Ma VOI siete LE PIU’ FORTI. E sempre lo sarete, se continuerete a combattere.
E anche questi sono dati di fatto.
Dato di fatto numero 2: L’anoressia avrà la meglio, se le lascerete avere la meglio.
Dato di fatto numero 3: L’anoressia renderà la vostra vita miserabile…
Dato di fatto numero 4: ... e renderà miserabile anche la vita delle persone cui volete bene.
Dato di fatto numero 5: L’anoressia non vi renderà felici…
Dato di fatto numero 6: …ma vi distruggerà, un pezzo dopo l’altro, fisicamente e mentalmente.
Dato di fatto numero 7: L’anoressia fingerà di essere vostra amica…
Dato di fatto numero 8: … e non esiterà a togliervi terreno da sotto i piedi facendovi cadere.
Dato di fatto numero 9: L’anoressia vi mentirà.
Dato di fatto numero 10: L’anoressia cercherà di farvi credere che è più forte di voi.
Questi sono dati di fatto. Non esattamente un meraviglioso quadretto, eh?!...
Ma...
Dato di fatto numero 1: Potete combattere contro l’anoressia, e vincere.
Dato di fatto numero 2: L’anoressia avrà la meglio, se le lascerete avere la meglio. Ma voi non dovete lasciarle avere la meglio.
Dato di fatto numero 3: Voi avete tutte le capacità di cambiare la vostra vita…
Dato di fatto numero 4: … e di combattere insieme a tutte le persone che vi vogliono bene e credono in voi.
Dato di fatto numero 5: L’anoressia non vi renderà felici. Ma avrete un sacco di altre cose che potranno rendervi felici...
Dato di fatto numero 6: … e potrete ricostruire voi stesse, un pezzo dopo l’altro, fisicamente e mentalmente.
Dato di fatto numero 7: L’anoressia fingerà di essere vostra amica, ma voi potete essere le migliori amiche di voi stesse. Prendendovi cura di voi stesse.
Dato di fatto numero 8: … e non esiterà a togliervi terreno da sotto i piedi facendovi cadere. Ma voi potete sempre rialzarvi.
Dato di fatto numero 9: L’anoressia vi mentirà. Ma voi sapete qual è la verità.
Dato di fatto numero 10: L’anoressia cercherà di farvi credere che è più forte di voi. Ma VOI siete LE PIU’ FORTI. E sempre lo sarete, se continuerete a combattere.
E anche questi sono dati di fatto.
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domenica 13 febbraio 2011
Aprite bene le orecchie
Ieri sera stavo leggendo le dispense inerenti un esame che dovrò dare nella sessione estiva. Il professore ci ha fornito parte del materiale in Italiano e parte in Inglese, con il che attualmente sono impegnata in una certosina opera di traduzione delle pagine in lingua straniera.
Durante la lettura preliminare che ho dato ieri sera, tuttavia, ho letto una frase che vorrei chiunque avesse sentito almeno una volta nella sua vita. Sulle dispense, infatti, ad un certo punto c’era scritto:
Mental illness is the same as physical illenss, except a mental illness causes psychological symptoms.
Ecco, questo è ciò che vorrei un maggior numero di persone riuscisse a comprendere: che l’anoressia è una malattia psichica che si riverbera solo in un secondo momento sul corpo, e che comunque, pur essendo una malattia mentale, è estremamente reale, come reale è la sofferenza che ne scaturisce.
Non è un capriccio infantile, non è una mancanza di forza di volontà, non è un modo per attirare l’attenzione, non è perché si vuole fare le modelle o le ballerine, non è perché si pensa di raggiungere un ideale di bellezza o di “perfezione”.
E’ una risposta forte ad una condizione che ci troviamo a dover subire e che non riusciamo passivamente ad accettare, è una sfida con noi stesse fino al limite estremo, una ricerca del modo per stare a nostro agio con noi stesse, una pletora di sensazioni tanto illusorie quanto meravigliose che ci troviamo in un certo momento a provare. Credetemi. Ci sono passata. Ci sto passando.
L’esistenza di un maggior numero di persone che capiscono questo certo non cambierà la sofferenza, le difficoltà e la durezza di quello che dobbiamo affrontare quotidianamente nella nostra lotta contro l’anoressia, ma renderebbe secondo me più facile l’andare avanti e il sentirsi un po’ meglio.
Durante la lettura preliminare che ho dato ieri sera, tuttavia, ho letto una frase che vorrei chiunque avesse sentito almeno una volta nella sua vita. Sulle dispense, infatti, ad un certo punto c’era scritto:
Mental illness is the same as physical illenss, except a mental illness causes psychological symptoms.
Ecco, questo è ciò che vorrei un maggior numero di persone riuscisse a comprendere: che l’anoressia è una malattia psichica che si riverbera solo in un secondo momento sul corpo, e che comunque, pur essendo una malattia mentale, è estremamente reale, come reale è la sofferenza che ne scaturisce.
Non è un capriccio infantile, non è una mancanza di forza di volontà, non è un modo per attirare l’attenzione, non è perché si vuole fare le modelle o le ballerine, non è perché si pensa di raggiungere un ideale di bellezza o di “perfezione”.
E’ una risposta forte ad una condizione che ci troviamo a dover subire e che non riusciamo passivamente ad accettare, è una sfida con noi stesse fino al limite estremo, una ricerca del modo per stare a nostro agio con noi stesse, una pletora di sensazioni tanto illusorie quanto meravigliose che ci troviamo in un certo momento a provare. Credetemi. Ci sono passata. Ci sto passando.
L’esistenza di un maggior numero di persone che capiscono questo certo non cambierà la sofferenza, le difficoltà e la durezza di quello che dobbiamo affrontare quotidianamente nella nostra lotta contro l’anoressia, ma renderebbe secondo me più facile l’andare avanti e il sentirsi un po’ meglio.
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lunedì 7 febbraio 2011
Vivere nella soluzione
Ieri sera guardavo in TV un programma in cui una ragazza in terapia per alcoolismo raccontava la sua storia e l’importanza dell’auto-aiuto e del supporto reciproco trovato negli Alcoolisti Anonimi. Sebbene possa quotare in pieno l’importanza del mutuo aiuto e del sostegno tra persone che si trovano a dover affrontare uno stesso problema – se non la pensassi così, questo blog non sarebbe mai nato! – è stata un’altra la frase pronunciata da questa ragazza che ha attirato la mia attenzione:
“Non c’è cura per l’alcoolismo” ha detto “ma c’è una soluzione. Ed è quella di rimanere sobri”.
E’ veramente raro trovare una combinazione di realismo e speranza in una vasta esposizione riguardo le dipendenze, ma questa frase ha rispecchiato perfettamente il mio punto di vista in merito alla strada del ricovero dall’anoressia: non c’è una cura, ma c’è una soluzione. E la soluzione è continuare a nutrirmi seguendo il “regime alimentare” che mi ha assegnato la mia dietista, mantenendo così un peso adeguato (e per “peso adeguato” intendo dire “peso fisiologico”, lasciando un attimo da parte tutti i discorsi inerenti il BMI), evitando di restringere l’alimentazione, e cercando aiuto nel momento in cui sento che sto per avere una ricaduta.
L’altra verità è che la soluzione all’alcolismo, a un DCA, o ad una qualsiasi altra forma di dipendenza, non è come la soluzione di un problema di matematica. Quando risolvi un problema di matematica, identifichi i dati utili, applichi la formula predefinita, e quello che esce è il risultato. La Risposta. Puoi aver risolto il problema correttamente o puoi aver fatto un errore di calcolo che porta il risultato a sballare, ma in ogni caso puoi procedere all’esercizio successivo. Viceversa, la soluzione all’anoressia e ai vissuti ad essa connessi, non è un qualcosa che si può trovare applicando una qualche procedura o prendendo un qualche farmaco specifico. Siamo noi stesse che ogni giorno dobbiamo elaborare una procedura che ci permetta di andare avanti, un giorno dopo l’altro, per il resto della nostra vita. Ed è una sfida difficile da affrontare. Veramente difficile. Così difficile che la scelta di una singola soluzione sembra semplicemente ridicola. Ma quando si affronta un percorso di ricovero dall’anoressia, ci sono milioni e milioni di soluzione, soluzioni che bisogna scovare e scegliere giorno dopo giorno.
Sinceramente? Quando andavo alle scuole superiori, la mia materia preferita è sempre stata la matematica. ^__^”
Per la maggior parte della gente che non ha vissuto sulla propria pelle una dipendenza, la “soluzione” appare ovvia: Non vuoi più essere tossicodipendente? Smettila di farti le pere! Non vuoi più essere depressa? Smettila di essere triste! Non vuoi più essere anoressica? Smettila di restringere l’alimentazione! Non vuoi più essere bulimica? Smettila di vomitare! Non vuoi più avere binge? Smettila di abbuffarti! Esteriorità e superfici. Quante di voi si sono sentite dire frasi del genere? Per anni ed anni ho sentito gente che mi diceva che se volevo guarire dall’anoressia dovevo semplicemente mangiare e riprendere peso. In un certo senso, poteva pure avere la sua parte di ragione, perché è ovvio che quando pesavo XX chili ero sul filo di un rasoio per quanto inerente la salute. Ma, alle persone che dicono cose del genere, io vorrei fare una domanda: Mangiare di più e recuperare il normopeso fa davvero stare meglio sotto ogni punto di vista e guarisce dall’anoressia? Secondo me, la “soluzione” non sta nel mangiare adeguatamente raggiungendo un peso decente, la “soluzione” sta nel capire cosa ci ha portato all’anoressia e di cosa abbiamo bisogno veramente per stare meglio con noi stesse e continuare a nutrirci anche quando è l’ultima cosa che vorremo fare. Trovare la “soluzione” non significa non avere più il desiderio di perdere peso di nuovo, o approcciarsi con gusto ad un pasto. Significa piuttosto riuscire ad approcciarsi al pasto.
Mi piacerebbe da pazzi che ci fosse una medicina in grado di guarire dall’anoressia, ma purtroppo non esiste. Perciò dobbiamo essere noi stesse la nostra medicina. Ci sono tante cose che ancora non sappiamo del nostro percorso di ricovero. Ma fintanto che giorno dopo giorno riusciamo a trovare una soluzione, possiamo continuare ad andare avanti lavorando su noi stesse.
“Non c’è cura per l’alcoolismo” ha detto “ma c’è una soluzione. Ed è quella di rimanere sobri”.
E’ veramente raro trovare una combinazione di realismo e speranza in una vasta esposizione riguardo le dipendenze, ma questa frase ha rispecchiato perfettamente il mio punto di vista in merito alla strada del ricovero dall’anoressia: non c’è una cura, ma c’è una soluzione. E la soluzione è continuare a nutrirmi seguendo il “regime alimentare” che mi ha assegnato la mia dietista, mantenendo così un peso adeguato (e per “peso adeguato” intendo dire “peso fisiologico”, lasciando un attimo da parte tutti i discorsi inerenti il BMI), evitando di restringere l’alimentazione, e cercando aiuto nel momento in cui sento che sto per avere una ricaduta.
L’altra verità è che la soluzione all’alcolismo, a un DCA, o ad una qualsiasi altra forma di dipendenza, non è come la soluzione di un problema di matematica. Quando risolvi un problema di matematica, identifichi i dati utili, applichi la formula predefinita, e quello che esce è il risultato. La Risposta. Puoi aver risolto il problema correttamente o puoi aver fatto un errore di calcolo che porta il risultato a sballare, ma in ogni caso puoi procedere all’esercizio successivo. Viceversa, la soluzione all’anoressia e ai vissuti ad essa connessi, non è un qualcosa che si può trovare applicando una qualche procedura o prendendo un qualche farmaco specifico. Siamo noi stesse che ogni giorno dobbiamo elaborare una procedura che ci permetta di andare avanti, un giorno dopo l’altro, per il resto della nostra vita. Ed è una sfida difficile da affrontare. Veramente difficile. Così difficile che la scelta di una singola soluzione sembra semplicemente ridicola. Ma quando si affronta un percorso di ricovero dall’anoressia, ci sono milioni e milioni di soluzione, soluzioni che bisogna scovare e scegliere giorno dopo giorno.
Sinceramente? Quando andavo alle scuole superiori, la mia materia preferita è sempre stata la matematica. ^__^”
Per la maggior parte della gente che non ha vissuto sulla propria pelle una dipendenza, la “soluzione” appare ovvia: Non vuoi più essere tossicodipendente? Smettila di farti le pere! Non vuoi più essere depressa? Smettila di essere triste! Non vuoi più essere anoressica? Smettila di restringere l’alimentazione! Non vuoi più essere bulimica? Smettila di vomitare! Non vuoi più avere binge? Smettila di abbuffarti! Esteriorità e superfici. Quante di voi si sono sentite dire frasi del genere? Per anni ed anni ho sentito gente che mi diceva che se volevo guarire dall’anoressia dovevo semplicemente mangiare e riprendere peso. In un certo senso, poteva pure avere la sua parte di ragione, perché è ovvio che quando pesavo XX chili ero sul filo di un rasoio per quanto inerente la salute. Ma, alle persone che dicono cose del genere, io vorrei fare una domanda: Mangiare di più e recuperare il normopeso fa davvero stare meglio sotto ogni punto di vista e guarisce dall’anoressia? Secondo me, la “soluzione” non sta nel mangiare adeguatamente raggiungendo un peso decente, la “soluzione” sta nel capire cosa ci ha portato all’anoressia e di cosa abbiamo bisogno veramente per stare meglio con noi stesse e continuare a nutrirci anche quando è l’ultima cosa che vorremo fare. Trovare la “soluzione” non significa non avere più il desiderio di perdere peso di nuovo, o approcciarsi con gusto ad un pasto. Significa piuttosto riuscire ad approcciarsi al pasto.
Mi piacerebbe da pazzi che ci fosse una medicina in grado di guarire dall’anoressia, ma purtroppo non esiste. Perciò dobbiamo essere noi stesse la nostra medicina. Ci sono tante cose che ancora non sappiamo del nostro percorso di ricovero. Ma fintanto che giorno dopo giorno riusciamo a trovare una soluzione, possiamo continuare ad andare avanti lavorando su noi stesse.
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mercoledì 2 febbraio 2011
Scegliere uno psicoterapeuta
Noi tutte siamo persone diverse perciò, necessariamente, nel momento in cui ci si trova ad affrontare un percorso di ricovero, si ha bisogno di strategie differenti: ciò che può essere funzionale per qualcuna, infatti, può non esserlo per altre.
Tuttavia, ritengo che una buona psicoterapia sia un passo d’importanza fondamentale per combattere contro l’anoressia. Il fatto è che la bontà di una psicoterapia dipende inevitabilmente dallo psicoterapeuta che ci si trova di fronte: ognuna di noi ha bisogno di uno psicoterapeuta diverso che sia quello “giusto per se stessa”.
Perciò, come fare a trovare uno psicoterapeuta che possa essere effettivamente in grado di sostenerci nel nostro percorso di ricovero? Come capire se la persona di cui abbiamo il recapito e alla quale vogliamo telefonare, o la persona con cui si è appena iniziato un trattamento, potrebbe essere davvero quella giusta per noi, anziché una perdita di tempo e di soldi?
Voglio provare a dare qualche suggerimento…
1 – Chiedete informazioni sullo psicoterapeuta a persone che vi hanno avuto a che fare, persone che conoscete e di cui vi fidate. Potete chiedere informazioni al vostro medico di base. A qualche vostra amica che vi ha già fatto psicoterapia. A una persona che è stata in trattamento per DCA da quello psicoterapeuta. A un qualche collega di quello psicoterapeuta. Cercate di saperne di più: così già avrete un idea del tipo di persona con cui avrete a che fare, dei metodi che usa, dell’approccio che ha al DCA, e così via.
2 – Non badate alle “chiacchiere di corridoio”. Le opinioni sono opinioni, e non tutti vedono le stesse cose in uno stesso psicoterapeuta. Ciò che qualcuna può trovare rassicurante, qualcun’altra può ritenerlo terrorizzante. È importante, quando ricevete info sul terapeuta, separare i dati di fatto dalle opinioni personali. L’utilizzo da parte del terapeuta di un modello cognitivo-comportamentale è un dato di fatto. Il fatto che una persona dica che quel terapeuta è un emerito incompetente è un’opinione.
3 – La gentilezza non è la cosa più importante. Certo, credo che chiunque preferirebbe uno psicoterapeuta gentile piuttosto che uno che sbraita e fa la predica ogni volta che si ha una piccola ricaduta. E, certo, ci sono momenti in cui è proprio la gentilezza quella che aiuta ad intraprendere un determinato percorso di ricovero. Ma ci sono anche altri momenti, soprattutto quando siamo in una ricaduta di quelle pesanti, in cui la fermezza e la decisione devono avere la precedenza sulla dolcezza. Percorrere la strada del ricovero è un lavoro sporco e duro, e per andare avanti a volte aiuta più una spinta di una carezza.
4 – Scoprite quale modalità di trattamento lo psicoterapeuta utilizza. Io non sono granché esperta al riguardo, però so che esistono molti modelli su cui si può impostare una psicoterapia: il modello cognitivo-comportamentale, quello costruttivista, quello transazionale, e così via. Tutti i modelli sono molto diversi tra loro, e ognuna di noi, spesso, risponde particolarmente bene ad uno di essi. Perciò, ecco il vostro compito per casa: ricercate info sui vari modelli di psicoterapia, cercate di capire quale vi potrebbe essere più utile per come siete fatte caratterialmente, e cercate uno psicoterapeuta che possa impostare quel modello di terapia.
5 – Chiedetegli la sua opinione a proposito dell’origine di un DCA. Ogni volta che mi sono trovata di fronte a una psicoterapeuta, questa è sempre stata la primissima domanda che le ho rivolto. È la mia “domanda di screening”. Se di fronte alla domanda “Da cosa sorge l’anoressia?” sento che mi rispondono: “il rapporto con i genitori soprattutto durante l’infanzia” o “la società moderna, che propone modelli sbagliati” scappo via di corsa. Una risposta così, secondo me, è sinonimo del fatto che quello psicoterapeuta non ha affatto esperienza in campo di DCA, e non credo sia una buona idea lavorare un qualcuno che di anoressia ne sa meno di me, seppur da esterno. Ora, questo è solo un esempio, ovviamente, ma secondo me ci sono delle domande-chiave da porre a un terapeuta per capire di che pasta è fatto, e se può essere la persona giusta per noi. Trovo sia importante rivolgergli queste domande durante la prima seduta, di modo che non abbia imparato a conoscerci e, quindi, non dia la risposta che vogliamo sentirci dare anziché ciò che pensa lui veramente. (Una cosa del genere sarebbe peraltro ampiamente disonesta – ma anche uno psicoterapeuta è un essere umano...)
6 – Farsi direzionare da persone competenti. Se non avete la benché minima idea di dove trovare uno psicoterapeuta, rivolgetevi al personale di centri specializzati in disturbi alimentari. Altrimenti correrete il rischio di essere indirizzate su psicoterapeuti che, per quanto in gamba, non sono specializzati nel trattamento dell’anoressia/bulimia, e quindi possono non essere in grado di darvi l’aiuto specifico di cui avete bisogno.
7 – Fate domande ipotetiche. No, non del tipo: “Se una farfalla sbattesse le ali a Pechino, ci sarebbe un tornado a New York?”, ma qualcosa come: “Se i miei familiari ti contattassero per chiederti di questa psicoterapia, cosa diresti loro?”, o anche: “Se avessi bisogno di un diverso tipo di supporto, cosa faresti?”, oppure: “Se dovessi peggiorare od avere una ricaduta grave, come ti comporteresti?”. Penso sia positivo conoscere la risposta a certe domande prima di andare incontro al fatto concreto, in modo da avere un’idea di come lo psicoterapeuta possa aiutare ad affrontare certe situazioni difficili.
8 – Non lasciate che una mela marcia rovini la raccolta. Inutile negarlo: i "cattivi" psicoterapeuti esistono. O, quanto meno, esistono gli psicoterapeuti che adottano strategie incompatibili al nostro modo di essere e che, quindi, non ci sono utili nel percorso di ricovero. Bene, se vi trovate di fronte ad una psicoterapia che non fa per voi, mollatela. Ma mettetevi poi subito alla ricerca di un nuovo psicoterapeuta! Quel terapeuta che vi ha fatto più male che bene, era solo UNO. Ce ne sono TANTI al mondo. Il fatto che abbiate trovato una mela marcia non significa assolutamente che tutto il raccolto è da buttare: significa solo che una delle mele era marcita. Dovete solo buttare quella mela – o quelle mele, se sono più di una – e non scoraggiarvi mai nel continuare la vostra raccolta.
C’è qualcosa che avete trovato utile da fare, nella ricerca di uno psicoterapeuta? Se vi va, scrivetelo nei commenti qua sotto!
Tuttavia, ritengo che una buona psicoterapia sia un passo d’importanza fondamentale per combattere contro l’anoressia. Il fatto è che la bontà di una psicoterapia dipende inevitabilmente dallo psicoterapeuta che ci si trova di fronte: ognuna di noi ha bisogno di uno psicoterapeuta diverso che sia quello “giusto per se stessa”.
Perciò, come fare a trovare uno psicoterapeuta che possa essere effettivamente in grado di sostenerci nel nostro percorso di ricovero? Come capire se la persona di cui abbiamo il recapito e alla quale vogliamo telefonare, o la persona con cui si è appena iniziato un trattamento, potrebbe essere davvero quella giusta per noi, anziché una perdita di tempo e di soldi?
Voglio provare a dare qualche suggerimento…
1 – Chiedete informazioni sullo psicoterapeuta a persone che vi hanno avuto a che fare, persone che conoscete e di cui vi fidate. Potete chiedere informazioni al vostro medico di base. A qualche vostra amica che vi ha già fatto psicoterapia. A una persona che è stata in trattamento per DCA da quello psicoterapeuta. A un qualche collega di quello psicoterapeuta. Cercate di saperne di più: così già avrete un idea del tipo di persona con cui avrete a che fare, dei metodi che usa, dell’approccio che ha al DCA, e così via.
2 – Non badate alle “chiacchiere di corridoio”. Le opinioni sono opinioni, e non tutti vedono le stesse cose in uno stesso psicoterapeuta. Ciò che qualcuna può trovare rassicurante, qualcun’altra può ritenerlo terrorizzante. È importante, quando ricevete info sul terapeuta, separare i dati di fatto dalle opinioni personali. L’utilizzo da parte del terapeuta di un modello cognitivo-comportamentale è un dato di fatto. Il fatto che una persona dica che quel terapeuta è un emerito incompetente è un’opinione.
3 – La gentilezza non è la cosa più importante. Certo, credo che chiunque preferirebbe uno psicoterapeuta gentile piuttosto che uno che sbraita e fa la predica ogni volta che si ha una piccola ricaduta. E, certo, ci sono momenti in cui è proprio la gentilezza quella che aiuta ad intraprendere un determinato percorso di ricovero. Ma ci sono anche altri momenti, soprattutto quando siamo in una ricaduta di quelle pesanti, in cui la fermezza e la decisione devono avere la precedenza sulla dolcezza. Percorrere la strada del ricovero è un lavoro sporco e duro, e per andare avanti a volte aiuta più una spinta di una carezza.
4 – Scoprite quale modalità di trattamento lo psicoterapeuta utilizza. Io non sono granché esperta al riguardo, però so che esistono molti modelli su cui si può impostare una psicoterapia: il modello cognitivo-comportamentale, quello costruttivista, quello transazionale, e così via. Tutti i modelli sono molto diversi tra loro, e ognuna di noi, spesso, risponde particolarmente bene ad uno di essi. Perciò, ecco il vostro compito per casa: ricercate info sui vari modelli di psicoterapia, cercate di capire quale vi potrebbe essere più utile per come siete fatte caratterialmente, e cercate uno psicoterapeuta che possa impostare quel modello di terapia.
5 – Chiedetegli la sua opinione a proposito dell’origine di un DCA. Ogni volta che mi sono trovata di fronte a una psicoterapeuta, questa è sempre stata la primissima domanda che le ho rivolto. È la mia “domanda di screening”. Se di fronte alla domanda “Da cosa sorge l’anoressia?” sento che mi rispondono: “il rapporto con i genitori soprattutto durante l’infanzia” o “la società moderna, che propone modelli sbagliati” scappo via di corsa. Una risposta così, secondo me, è sinonimo del fatto che quello psicoterapeuta non ha affatto esperienza in campo di DCA, e non credo sia una buona idea lavorare un qualcuno che di anoressia ne sa meno di me, seppur da esterno. Ora, questo è solo un esempio, ovviamente, ma secondo me ci sono delle domande-chiave da porre a un terapeuta per capire di che pasta è fatto, e se può essere la persona giusta per noi. Trovo sia importante rivolgergli queste domande durante la prima seduta, di modo che non abbia imparato a conoscerci e, quindi, non dia la risposta che vogliamo sentirci dare anziché ciò che pensa lui veramente. (Una cosa del genere sarebbe peraltro ampiamente disonesta – ma anche uno psicoterapeuta è un essere umano...)
6 – Farsi direzionare da persone competenti. Se non avete la benché minima idea di dove trovare uno psicoterapeuta, rivolgetevi al personale di centri specializzati in disturbi alimentari. Altrimenti correrete il rischio di essere indirizzate su psicoterapeuti che, per quanto in gamba, non sono specializzati nel trattamento dell’anoressia/bulimia, e quindi possono non essere in grado di darvi l’aiuto specifico di cui avete bisogno.
7 – Fate domande ipotetiche. No, non del tipo: “Se una farfalla sbattesse le ali a Pechino, ci sarebbe un tornado a New York?”, ma qualcosa come: “Se i miei familiari ti contattassero per chiederti di questa psicoterapia, cosa diresti loro?”, o anche: “Se avessi bisogno di un diverso tipo di supporto, cosa faresti?”, oppure: “Se dovessi peggiorare od avere una ricaduta grave, come ti comporteresti?”. Penso sia positivo conoscere la risposta a certe domande prima di andare incontro al fatto concreto, in modo da avere un’idea di come lo psicoterapeuta possa aiutare ad affrontare certe situazioni difficili.
8 – Non lasciate che una mela marcia rovini la raccolta. Inutile negarlo: i "cattivi" psicoterapeuti esistono. O, quanto meno, esistono gli psicoterapeuti che adottano strategie incompatibili al nostro modo di essere e che, quindi, non ci sono utili nel percorso di ricovero. Bene, se vi trovate di fronte ad una psicoterapia che non fa per voi, mollatela. Ma mettetevi poi subito alla ricerca di un nuovo psicoterapeuta! Quel terapeuta che vi ha fatto più male che bene, era solo UNO. Ce ne sono TANTI al mondo. Il fatto che abbiate trovato una mela marcia non significa assolutamente che tutto il raccolto è da buttare: significa solo che una delle mele era marcita. Dovete solo buttare quella mela – o quelle mele, se sono più di una – e non scoraggiarvi mai nel continuare la vostra raccolta.
C’è qualcosa che avete trovato utile da fare, nella ricerca di uno psicoterapeuta? Se vi va, scrivetelo nei commenti qua sotto!
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venerdì 28 gennaio 2011
Domande #21; 22: Pasti, appetito, qualche suggerimento
Racchiudo le risposte a 2 domande in un solo post, visto che sono di base molto simili…
M. mi ha scritto:
“Recentemente ho avuto una ricaduta e ce la sto mettendo tutta per spezzare il circolo vizioso. Ho ricominciato a mangiare un po’ di più, ma non riesco a cancellare il sentimento di fallimento che provo ogni volta che mi siedo a tavola. So che il fallimento sta dentro me stessa, non nel cibo, ma i pensieri deviati dal DCA non riescono a farmi essere logica. Come posso non sentirmi una fallita anche se non restringo l’alimentazione?”
Sulla pin-board della mia camera sta appeso un Post-It con su scritto: “Fake it until you make it”. Se sei consapevole del fatto che la cosa giusta da fare è mangiare in maniera corretta ed essere orgogliosa di te stessa per questo, fallo senza assecondare i pensieri distorti dell’anoressia che ti suggerirebbero di restringere. Se ti senti giù di morale quando hai mangiato, ricorda a te stessa che, invece, ti stai dando una mano a stare meglio, e che recuperando il sottopeso anche la tua testa riuscirà a pensare più nitidamente. Certo, inizialmente la voce dell’anoressia nella tua testa continuerà a farti sentire sbagliata, ma tanto più a lungo mangerai in maniera regolare, tanto meglio riuscirai ad eludere la voce del DCA.
Prova ad adottare un sistema di “ricompense” per aiutarti ad associare sentimenti positive alle azioni giuste. Per esempio, prometti a te stessa che, se riuscirai a mangiare la tua colazione, dopo potrai concederti 15 minuti di relax per fare qualcosa di piacevole, divertente, che ti faccia stare bene. O, ancora di più: se riesci a seguire l’ “equilibrio alimentare” che ti ha assegnato la tua dietista per tutto il giorno, ricompensati comprandoti qualcosa che ti piace. Se ci riesci per una settimana, concediti un week-end all’insegna di tutto quello che ti piace fare. La ricompensa può essere tutto ciò che vuoi – una sera trascorsa a guardare il tuo DVD preferito anziché a lavorare, un nuovo paio di scarpe, etc… Se ce la metti tutta per ottenere il tuo obiettivo, e ti regali un gesto di gentilezza nel momento in cui ce l’hai fatta, allenerai la tua mente a capire cosa vale veramente la pena.
Ti suggerisco anche di usare dei Post-It: appendili laddove li puoi leggere spesso, e scrivici sopra frasi positive come “You can do anything you want: believe it” o qualcosa del genere. A volte è necessario che arrivino dall’esterno incoraggiamenti che non siamo capaci di dare a noi stesse.
---------------------------------------------------------------------
Titty, invece, mi scrive:
“Sto seguendo un percorso terapeutico da circa un anno. Sto andando abbastanza bene, visto che sono riuscita a smettere di restringere/abbuffarmi. Tuttavia, quando sono sotto stress, tendo a perdere l’appetito. Mi hanno insegnato che devo mangiare quando ho fame, ma che cosa devo fare se lo stimolo della fame non lo sento proprio? Attualmente non restringo volontariamente, ma talvolta mi rendo conto che il mangiare poco e niente mi porta a pensare “Potrei mangiare un po’ di meno anche domani…” e questo mi fa sbandare. Come posso mangiare in maniera equilibrata quando sono sotto stress e non ho fame?”
Prima cosa – complimenti per essere da una anno sulla strada del ricovero. Ad ogni modo… penso che tantissime persone, con un DCA o meno, tendano a perdere l’appetito quando sono stressate. Perché non provi a ritirare fuori gli schemi alimentari, quando ti succede di restringere? So che questo potrebbe sembrarti un passo indietro, visto che gli schemi alimentari si seguono di orma all’inizio di un percorso di ricovero, ma può essere d’aiuto, soprattutto nei momenti di stress. Gli schemi alimentari possono aiutarti a mangiare nei momenti in cui sai che devi, a prescindere dal tuo appetito, cercando di sforzarti a mangiare quello che devi. Talora è necessario fare determinate cose, anche se controvoglia, perché altrimenti si rischia di riscivolare nel DCA ancor prima di rendercene conto.
Focalizzati su quello che sai che è giusto mangiare, e tieni duro: anche i momenti più pesanti poi se ne vanno ed arrivano tempi migliori.
E per quanto riguarda i pensieri che ti vengono quando salti qualche pasto, ti rimando alla risposta che ho dato proprio qui sopra a M. Qualsiasi cosa tu possa fare per rinforzare i pensieri positivi nella battaglia contro l’anoressia è sempre un passo nella giusta direzione.
M. mi ha scritto:
“Recentemente ho avuto una ricaduta e ce la sto mettendo tutta per spezzare il circolo vizioso. Ho ricominciato a mangiare un po’ di più, ma non riesco a cancellare il sentimento di fallimento che provo ogni volta che mi siedo a tavola. So che il fallimento sta dentro me stessa, non nel cibo, ma i pensieri deviati dal DCA non riescono a farmi essere logica. Come posso non sentirmi una fallita anche se non restringo l’alimentazione?”
Sulla pin-board della mia camera sta appeso un Post-It con su scritto: “Fake it until you make it”. Se sei consapevole del fatto che la cosa giusta da fare è mangiare in maniera corretta ed essere orgogliosa di te stessa per questo, fallo senza assecondare i pensieri distorti dell’anoressia che ti suggerirebbero di restringere. Se ti senti giù di morale quando hai mangiato, ricorda a te stessa che, invece, ti stai dando una mano a stare meglio, e che recuperando il sottopeso anche la tua testa riuscirà a pensare più nitidamente. Certo, inizialmente la voce dell’anoressia nella tua testa continuerà a farti sentire sbagliata, ma tanto più a lungo mangerai in maniera regolare, tanto meglio riuscirai ad eludere la voce del DCA.
Prova ad adottare un sistema di “ricompense” per aiutarti ad associare sentimenti positive alle azioni giuste. Per esempio, prometti a te stessa che, se riuscirai a mangiare la tua colazione, dopo potrai concederti 15 minuti di relax per fare qualcosa di piacevole, divertente, che ti faccia stare bene. O, ancora di più: se riesci a seguire l’ “equilibrio alimentare” che ti ha assegnato la tua dietista per tutto il giorno, ricompensati comprandoti qualcosa che ti piace. Se ci riesci per una settimana, concediti un week-end all’insegna di tutto quello che ti piace fare. La ricompensa può essere tutto ciò che vuoi – una sera trascorsa a guardare il tuo DVD preferito anziché a lavorare, un nuovo paio di scarpe, etc… Se ce la metti tutta per ottenere il tuo obiettivo, e ti regali un gesto di gentilezza nel momento in cui ce l’hai fatta, allenerai la tua mente a capire cosa vale veramente la pena.
Ti suggerisco anche di usare dei Post-It: appendili laddove li puoi leggere spesso, e scrivici sopra frasi positive come “You can do anything you want: believe it” o qualcosa del genere. A volte è necessario che arrivino dall’esterno incoraggiamenti che non siamo capaci di dare a noi stesse.
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Titty, invece, mi scrive:
“Sto seguendo un percorso terapeutico da circa un anno. Sto andando abbastanza bene, visto che sono riuscita a smettere di restringere/abbuffarmi. Tuttavia, quando sono sotto stress, tendo a perdere l’appetito. Mi hanno insegnato che devo mangiare quando ho fame, ma che cosa devo fare se lo stimolo della fame non lo sento proprio? Attualmente non restringo volontariamente, ma talvolta mi rendo conto che il mangiare poco e niente mi porta a pensare “Potrei mangiare un po’ di meno anche domani…” e questo mi fa sbandare. Come posso mangiare in maniera equilibrata quando sono sotto stress e non ho fame?”
Prima cosa – complimenti per essere da una anno sulla strada del ricovero. Ad ogni modo… penso che tantissime persone, con un DCA o meno, tendano a perdere l’appetito quando sono stressate. Perché non provi a ritirare fuori gli schemi alimentari, quando ti succede di restringere? So che questo potrebbe sembrarti un passo indietro, visto che gli schemi alimentari si seguono di orma all’inizio di un percorso di ricovero, ma può essere d’aiuto, soprattutto nei momenti di stress. Gli schemi alimentari possono aiutarti a mangiare nei momenti in cui sai che devi, a prescindere dal tuo appetito, cercando di sforzarti a mangiare quello che devi. Talora è necessario fare determinate cose, anche se controvoglia, perché altrimenti si rischia di riscivolare nel DCA ancor prima di rendercene conto.
Focalizzati su quello che sai che è giusto mangiare, e tieni duro: anche i momenti più pesanti poi se ne vanno ed arrivano tempi migliori.
E per quanto riguarda i pensieri che ti vengono quando salti qualche pasto, ti rimando alla risposta che ho dato proprio qui sopra a M. Qualsiasi cosa tu possa fare per rinforzare i pensieri positivi nella battaglia contro l’anoressia è sempre un passo nella giusta direzione.
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domenica 23 gennaio 2011
Mantenere la motivazione
Una delle cose più difficili da fare in un percorso di ricovero è mantenere la motivazione. Voglio perciò suggerirvi una serie di cose da poter fare in modo da continuare sempre a camminare nella giusta direzione.
1 – Fate un CD che racchiude canzoni che lancino un messaggio positivo, un messaggio che dice che l’anoressia non vale la pena. Poi ascoltatelo ogni volta che potete: in treno mentre andate a scuola o al lavoro, in macchina mentre state guidando, la sera prima di andare a letto… o semplicemente in un momento tutto per voi che riuscite a ritagliarvi.
2 – Se avete un paio di jeans (o una maglietta, o un qualsiasi capo d’abbigliamento) che vi ricorda in particolar modo di quando eravate nel pieno dell’anoressia e pesavate XX Kg, prendete un pennarello indelebile e scriveteci sopra tutti i motivi per cui odiate il vostro DCA.
3 – Buttate via la bilancia e promettete a voi stesse che non sarete più schiave di un pezzo di metallo.
4 – Cominciate a tenere un “Diario di Ricovero”. Riempitelo di frasi positive e di pensieri che vi possano aiutare a mantenere la giusta direzione, e leggetelo ogni qualvolta ne avrete bisogno.
5 – Scrivete frasi positive su Post-It colorati e attaccateli ovunque possiate leggerli ogni giorno. Ve ne suggerisco un paio…
“Fall in love or fall in hate. Get inspired or be depressed. Ace a test or flunk a class. Make babies or make art. Speak the truth or lie and cheat. Dance on the table or sit in the corner. Life is divine chaos: embrace it. Forgive yourself. Breathe. And enjoy the ride…”
“What lies behind us and what lies before us are small matters compared to what lies within us”
6 – Ponetevi un obiettivo a breve termine, un obiettivo piccolo, per voi stesse, che vi renda felici, e cercate di realizzarlo. Ma non drammatizzate se non ce la farete. Si tratterà solo di scegliere un altro obiettivo e di darvi un’altra possibilità.
7 – Arrabbiatevi. Chiunque abbia un DCA ha milioni di ragioni per essere arrabbiata. L’anoressia ci convince che non valiamo abbastanza e che non andiamo abbastanza bene… sono tutte bugie! Non dovremmo forse essere arrabbiate nei confronti di quest’abile manipolatrice? Noi meritiamo MOLTO di più del nulla che alla fine ci dà l’anoressia.
8 – Fate qualcosa di piacevole per il vostro corpo. Mettetevi lo smalto alle unghie, cambiate il vostro taglio di capelli, comprate un paio di scarpe che vi piacciono, etc…
9 – Fate un disegno, un collage, scrivete una poesia che vi permetta di esprimere liberamente voi stesse.
10 – Evitate in ogni modo di piangervi addosso. Indubbio che un DCA faccia stare male, ma autocommiserarsi non aiuta affatto, anzi, al contrario…
11 – Fate una lista delle cose positive e costruttive che vi piacerebbe fare nella vostra vita.
12 – Pensate che se ci sono mille ragioni per scegliere l’anoressia, allora ce ne sono anche mille e una per non sceglierla.
1 – Fate un CD che racchiude canzoni che lancino un messaggio positivo, un messaggio che dice che l’anoressia non vale la pena. Poi ascoltatelo ogni volta che potete: in treno mentre andate a scuola o al lavoro, in macchina mentre state guidando, la sera prima di andare a letto… o semplicemente in un momento tutto per voi che riuscite a ritagliarvi.
2 – Se avete un paio di jeans (o una maglietta, o un qualsiasi capo d’abbigliamento) che vi ricorda in particolar modo di quando eravate nel pieno dell’anoressia e pesavate XX Kg, prendete un pennarello indelebile e scriveteci sopra tutti i motivi per cui odiate il vostro DCA.
3 – Buttate via la bilancia e promettete a voi stesse che non sarete più schiave di un pezzo di metallo.
4 – Cominciate a tenere un “Diario di Ricovero”. Riempitelo di frasi positive e di pensieri che vi possano aiutare a mantenere la giusta direzione, e leggetelo ogni qualvolta ne avrete bisogno.
5 – Scrivete frasi positive su Post-It colorati e attaccateli ovunque possiate leggerli ogni giorno. Ve ne suggerisco un paio…
“Fall in love or fall in hate. Get inspired or be depressed. Ace a test or flunk a class. Make babies or make art. Speak the truth or lie and cheat. Dance on the table or sit in the corner. Life is divine chaos: embrace it. Forgive yourself. Breathe. And enjoy the ride…”
“What lies behind us and what lies before us are small matters compared to what lies within us”
6 – Ponetevi un obiettivo a breve termine, un obiettivo piccolo, per voi stesse, che vi renda felici, e cercate di realizzarlo. Ma non drammatizzate se non ce la farete. Si tratterà solo di scegliere un altro obiettivo e di darvi un’altra possibilità.
7 – Arrabbiatevi. Chiunque abbia un DCA ha milioni di ragioni per essere arrabbiata. L’anoressia ci convince che non valiamo abbastanza e che non andiamo abbastanza bene… sono tutte bugie! Non dovremmo forse essere arrabbiate nei confronti di quest’abile manipolatrice? Noi meritiamo MOLTO di più del nulla che alla fine ci dà l’anoressia.
8 – Fate qualcosa di piacevole per il vostro corpo. Mettetevi lo smalto alle unghie, cambiate il vostro taglio di capelli, comprate un paio di scarpe che vi piacciono, etc…
9 – Fate un disegno, un collage, scrivete una poesia che vi permetta di esprimere liberamente voi stesse.
10 – Evitate in ogni modo di piangervi addosso. Indubbio che un DCA faccia stare male, ma autocommiserarsi non aiuta affatto, anzi, al contrario…
11 – Fate una lista delle cose positive e costruttive che vi piacerebbe fare nella vostra vita.
12 – Pensate che se ci sono mille ragioni per scegliere l’anoressia, allora ce ne sono anche mille e una per non sceglierla.
martedì 18 gennaio 2011
Sudoku e ricovero
Quello di cui voglio parlare oggi è il Sudoku. Un gioco che, in effetti, va di moda da molto tempo, ma che io ho scoperto solo di recente. Nonostante che io qui sul blog scriva molto, non sono una fan dei cruciverba – in effetti, me la cavo malissimo coi cruciverba – ma il Sudoku mi intriga molto. Così ho comparto una sorta di manuale che insegna le regole e le strategie mentali da adottare per risolvere i Sudoku. Proprio oggi pomeriggio, dunque, stavo cercando di risolvere un Sudoku, e all’improvviso mi è venuto in mente quanto risolvere un Sudoku e percorrere la strada del ricovero siano affini. E non solo perché percorrere la strada del ricovero sia complicato come risolvere un Sudoku.
Il Sudoku ha delle “regole” ben precise che aiutano a riempire di numeri i quadrati 9 x 9. Ognuno adotta una strategia differente per riempire le caselle attenendosi alle regole, e ogni griglia richiede di adottare strade mentali diverse per risolvere il gioco. Di solito, se cerco di mettere insieme tattiche differenti, riesco a trovare la soluzione molto più rapidamente di quando mi focalizzo su una tattica sola.
Lo stesso vale per il ricovero. Le regole che definiscono la strada del ricovero iniziano con la riabilitazione fisica e nutrizionale, il che migliora la qualità della vita, e già di per sé fa venir meno alcune delle ossessioni caratteristiche dell’anoressia, aumentando la flessibilità di pensiero nei confronti del cibo e del vissuto. Dopodichè, le regole coinvolgono la psicoterapia e i controlli con una dietista. Queste regole di base permettono ad ognuna di noi di definire poi la strategia che ritiene più adatta al proprio carattere e alle proprie possibilità, per cercare di compiere qualche passo avanti sulla strada del ricovero (anche se, come nel Sudoku, una stessa casellina inizialmente potrebbe essere ascrivibile a più numeri diversi, tutti coerenti), dopodichè, a poco a poco, è possibile creare una trama in cui strutturare il proprio percorso di ricovero.
Io ho combattuto con molti aspetti del percorso di ricovero, e tuttora quello che mi dà più difficoltà è identificare le strategie necessarie per mantenermi sulla strada del ricovero, trovando motivazioni per non ricadere nell’anoressia, e dunque trovare la flessibilità per skippare tra differenti approcci in funzione di quello che la situazione richiede. È esattamente come quando riempio un Sudoku: quando mi focalizzo su dove debba essere collocato un 3, o su come riempire una particolare riga o colonna o quadrato, perdo il senso di tutto il resto della griglia. Perciò mi nevrotizzo e smetto di giocare, o faccio un qualche errore stupidino perché perdo la lucidità necessaria ad utilizzare logica e ragionamento. Questo è molto simile a quello che succede quando ci s’incastra in una ricaduta: ci si focalizza troppo su una cosa, si diventa estremamente inflessibili (le cose devono andare così, proprio così, e non cosà!... quanto è difficile adattarsi…) e si finisce per compiere errori sciocchi (“E vabbè, per oggi mangio qualche biscotto in meno a colazione… ma solo per oggi, eh!” – ma non sarà mai “solo per oggi”…) perché si smarrisce il senso logico del ragionamento. Oppure si butta nel cestino l’idea di percorrere la strada del ricovero, e ci si abbandona a considerazioni inutili e distruttive come: “Basta. Adesso ricomincio a restringere perché mi faceva sentire così bene, mentre il ricovero è un percorso difficile e ci sto male”. E dunque?
La cosa che mi colpisce di più, comunque, è come io abbia appreso strategie di coping nei confronti delle mie frustrazioni da mancata riuscita del Sudoku. Negli schemi più difficili, la stragrande maggioranza delle volte arrivo ad un punto in cui la griglia mi sembra irrisolvibile. Tutto quello che ho davanti agli occhi mi pare senza né capo né coda, e per quanto possa continuare a fissare i quadratini, non mi balza in mente nessuna soluzione. In quei momenti mi sento decisamente arrabbiata, e la maggior parte delle volte sono lì lì per buttare via penna e Sudoku.
Più o meno quello che succede nelle ricadute: ci si guarda intorno, si tentano diverse strategie, e talvolta ci si trova a sbattere la testa contro un muro senza avere la più pallida idea di cosa poter fare. Ci si sente come se si stesse percorrendo un vicolo cieco, un cerchio che ci riporta al punto di partenza, intrappolate senza alcuna via d’uscita, come se la strada del ricovero fosse completamente al di fuori della portata delle nostre possibilità.
Credo che il punto – in entrambe le situazioni – sia quello di non farci troppo la testa. Di non cercare delle soluzioni a tutti i costi, focalizzandoci solo su un’unica cosa. Viceversa, bisogna allentare la presa per un attimo, e forse è solo in questi momenti che la soluzione che ci sembrava così incomprensibile appare più chiaramente. Ciò non significa che la griglia sia risolta, ovviamente, ma il modo in cui procedere appare a questo punto più nitido.
Un altro motivo per cui preferisco i Sudoku ai cruciverba è che nei primi è più facile vedere dov’è che si è sbagliato. C’è solo una risposta giusta. Suppongo che ci sia una sola risposta giusta anche nei cruciverba, ma una parola può avere più sinonimi, alcuni dei quali composti dallo stesso numero di lettere, che perciò possono sembrare il termine giusto – poiché rientra nelle caselline – ma magari non lo sono. Il Sudoku non è così: non ha incertezze.
Ecco, questo è l’unico punto in cui il Sudoku e la strada del ricovero divergono. Non c’è un solo ricovero giusto, una sola strada del ricovero da percorrere, una sola soluzione possibile. Ognuna ha la sua propria soluzione, la sua propria strategia. Analogamente, il ricovero non è un momento “Eureka!” in cui ci si accorge all’improvviso di tutto ciò che non va e di tutto quello che bisogna fare per rimettere le cose a posto. È piuttosto una lenta scoperta di varie possibili soluzioni, e un cauto percorso da svolgere giorno dopo giorno per muovere piccoli passi avanti verso i risultati che si spera di poter raggiungere.
Il Sudoku ha delle “regole” ben precise che aiutano a riempire di numeri i quadrati 9 x 9. Ognuno adotta una strategia differente per riempire le caselle attenendosi alle regole, e ogni griglia richiede di adottare strade mentali diverse per risolvere il gioco. Di solito, se cerco di mettere insieme tattiche differenti, riesco a trovare la soluzione molto più rapidamente di quando mi focalizzo su una tattica sola.
Lo stesso vale per il ricovero. Le regole che definiscono la strada del ricovero iniziano con la riabilitazione fisica e nutrizionale, il che migliora la qualità della vita, e già di per sé fa venir meno alcune delle ossessioni caratteristiche dell’anoressia, aumentando la flessibilità di pensiero nei confronti del cibo e del vissuto. Dopodichè, le regole coinvolgono la psicoterapia e i controlli con una dietista. Queste regole di base permettono ad ognuna di noi di definire poi la strategia che ritiene più adatta al proprio carattere e alle proprie possibilità, per cercare di compiere qualche passo avanti sulla strada del ricovero (anche se, come nel Sudoku, una stessa casellina inizialmente potrebbe essere ascrivibile a più numeri diversi, tutti coerenti), dopodichè, a poco a poco, è possibile creare una trama in cui strutturare il proprio percorso di ricovero.
Io ho combattuto con molti aspetti del percorso di ricovero, e tuttora quello che mi dà più difficoltà è identificare le strategie necessarie per mantenermi sulla strada del ricovero, trovando motivazioni per non ricadere nell’anoressia, e dunque trovare la flessibilità per skippare tra differenti approcci in funzione di quello che la situazione richiede. È esattamente come quando riempio un Sudoku: quando mi focalizzo su dove debba essere collocato un 3, o su come riempire una particolare riga o colonna o quadrato, perdo il senso di tutto il resto della griglia. Perciò mi nevrotizzo e smetto di giocare, o faccio un qualche errore stupidino perché perdo la lucidità necessaria ad utilizzare logica e ragionamento. Questo è molto simile a quello che succede quando ci s’incastra in una ricaduta: ci si focalizza troppo su una cosa, si diventa estremamente inflessibili (le cose devono andare così, proprio così, e non cosà!... quanto è difficile adattarsi…) e si finisce per compiere errori sciocchi (“E vabbè, per oggi mangio qualche biscotto in meno a colazione… ma solo per oggi, eh!” – ma non sarà mai “solo per oggi”…) perché si smarrisce il senso logico del ragionamento. Oppure si butta nel cestino l’idea di percorrere la strada del ricovero, e ci si abbandona a considerazioni inutili e distruttive come: “Basta. Adesso ricomincio a restringere perché mi faceva sentire così bene, mentre il ricovero è un percorso difficile e ci sto male”. E dunque?
La cosa che mi colpisce di più, comunque, è come io abbia appreso strategie di coping nei confronti delle mie frustrazioni da mancata riuscita del Sudoku. Negli schemi più difficili, la stragrande maggioranza delle volte arrivo ad un punto in cui la griglia mi sembra irrisolvibile. Tutto quello che ho davanti agli occhi mi pare senza né capo né coda, e per quanto possa continuare a fissare i quadratini, non mi balza in mente nessuna soluzione. In quei momenti mi sento decisamente arrabbiata, e la maggior parte delle volte sono lì lì per buttare via penna e Sudoku.
Più o meno quello che succede nelle ricadute: ci si guarda intorno, si tentano diverse strategie, e talvolta ci si trova a sbattere la testa contro un muro senza avere la più pallida idea di cosa poter fare. Ci si sente come se si stesse percorrendo un vicolo cieco, un cerchio che ci riporta al punto di partenza, intrappolate senza alcuna via d’uscita, come se la strada del ricovero fosse completamente al di fuori della portata delle nostre possibilità.
Credo che il punto – in entrambe le situazioni – sia quello di non farci troppo la testa. Di non cercare delle soluzioni a tutti i costi, focalizzandoci solo su un’unica cosa. Viceversa, bisogna allentare la presa per un attimo, e forse è solo in questi momenti che la soluzione che ci sembrava così incomprensibile appare più chiaramente. Ciò non significa che la griglia sia risolta, ovviamente, ma il modo in cui procedere appare a questo punto più nitido.
Un altro motivo per cui preferisco i Sudoku ai cruciverba è che nei primi è più facile vedere dov’è che si è sbagliato. C’è solo una risposta giusta. Suppongo che ci sia una sola risposta giusta anche nei cruciverba, ma una parola può avere più sinonimi, alcuni dei quali composti dallo stesso numero di lettere, che perciò possono sembrare il termine giusto – poiché rientra nelle caselline – ma magari non lo sono. Il Sudoku non è così: non ha incertezze.
Ecco, questo è l’unico punto in cui il Sudoku e la strada del ricovero divergono. Non c’è un solo ricovero giusto, una sola strada del ricovero da percorrere, una sola soluzione possibile. Ognuna ha la sua propria soluzione, la sua propria strategia. Analogamente, il ricovero non è un momento “Eureka!” in cui ci si accorge all’improvviso di tutto ciò che non va e di tutto quello che bisogna fare per rimettere le cose a posto. È piuttosto una lenta scoperta di varie possibili soluzioni, e un cauto percorso da svolgere giorno dopo giorno per muovere piccoli passi avanti verso i risultati che si spera di poter raggiungere.
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giovedì 13 gennaio 2011
Completamente diverse, profondamente uguali

(click sopra per ingrandire)
Bionda e bruna. Capelli corti e capelli lunghi. Occhi marroni chiari e occhi marroni scuri. Vestiti variopinti e total black. Bulimia e anoressia. Tu ed io. Completamente diverse. Profondamente uguali.
Ieri è stata una giornata speciale, una giornata magica. Ieri è stata la giornata in cui mi sono incontrata con Wolfie.
Per la prima volta dopo anni, ieri mi sono sentita serena. Mi sono sentita libera. Libera di essere me stessa senza timore di essere giudicata, libera di mostrare le mie cicatrici senza incontrare sguardi chiusi, libera di parlare senza dover pesare le parole o inventare bugie, libera di respirare senza soffocare.
Cara Wolfie, grazie tutto quello che mi hai detto, e tutto quello che non mi hai detto ma che ho letto comunque nei tuoi occhi. Ti stimo perché hai avuto il coraggio di ribellarti alla bulimia, di provare la vita, di affrontare la vita, accettando l’inevitabile rischio a ciò connesso, il rischio di essere ferita a fondo.
Il fondo dell’abisso lo abbiamo visto tutte e due. Lo abbiamo sentito sulla pelle. Non lasciarlo rinchiuso dentro al tuo cuore. Gridalo, buttalo fuori, non aver timore perché io posso sostenerlo. Perché il tuo demone è stato anche il mio. In fondo a quell’abisso ci sono precipitata anch’io. Possiamo ancora continuare a scavare. Oppure possiamo prenderci per mano e, se non iniziare un’arrampicata, per lo meno alzare la testa e guardare verso l’altro. Che, forse, a suo modo, è un po’ quello che abbiamo fatto ieri. Abbiamo alzato la testa e abbiamo visto che c’è sempre il cielo. E che è azzurro. E che è sereno. Anche se piove, oltre quelle nuvole c’è sempre un raggio di sole.
Io non me lo potrò mai dimenticare. Anche se dovessi vivere cent’anni, anche se dovessi morire domani, la giornata di ieri la porterò sempre in posto speciale dentro al mio cuore, dove nessuno sarà in grado di raggiungerla, dove nessuno sarà in grado di contaminarla. Sono contenta che tu non abbia fermato le tue lacrime nel momento in cui, alla stazione, ci siamo dovuto salutare. Perché non importa quanto bene si può fingere, quanto perfettamente si riesca a simulare la felicità, quanto si resista tendendo i muscoli per mostrare un simulacro di sorriso… ci sarà sempre bisogno di qualcuno che riesca a vedere oltre. E noi ci siamo viste oltre. Abbiamo visto quello che nessuno, nemmeno quelli con le lauree appese nei loro uffici, intenti a cavare parole di bocca e a guardare con aria comprensiva sono mai riusciti ad arrivare. Un DCA porta ad erigere un muro contro il mondo, un muro che nessuno riesce mai ad abbattere, pur provandoci in tutti i modi, nessuno riesce a scalfirlo. Le parole altrui si riflettono sugli specchi degli occhi e scivolano via. Ma ieri abbiamo appoggiato un dito sui nostri reciproci muri, ed è bastato quello per farli crollare. O forse non sono crollati… però noi stiamo dalla stessa parte di quel muro.
Quando ti ho guardata, mi è sembrato di vedermi allo specchio. Uno specchio che rimandava un’immagine totalmente differente, eppure uguale a me. Uno specchio più veritiero di quel pezzo di vetro che ho in casa. Il tuo riflesso è il mio riflesso. Nel momento in cui ho un riflesso, il mio riflesso è uguale a te. Mi guardo allo specchio e ti vedo. Sei accanto a me. Sei dentro di me. Le nostre anime si sono sfiorate.
Guardo le foto che ci siamo scattate, e poi quelle che non ci siamo scattate ma che si sono ugualmente impresse, indelebili, nella mia mente. Mi piacciono le foto, nonostante tutto, perché permettono di ricordare. E io, quando ripenserò alla giornata di ieri guardando queste foto, voglio ricordarmela così… con i nostri discorsi, le risate, le idee, le nostre parole, le cose non dette, gli alti e i bassi del nostro volare pericolosamente. I momenti divertenti, i sorrisi per una volta sinceri, e i silenzi, i mille volti del coraggio e della paura. Urlare contro i venti sbagliati, lasciarci andare e poi ritrarci, non dire. Voglio ricordarmi di questa giornata meravigliosa così, quando il cielo non avrà più colori, quando non ci sarà più tempo per parlare… sarà uno scrigno la nostra memoria… e questa meravigliosa pagina sarà sempre lì dentro.
Ti voglio bene.
Veggie
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Wolfie
sabato 8 gennaio 2011
Favolose
Il nostro più profondo timore non è l’essere inadeguate, sbagliate, incapaci di mantenere la motivazione a combattere contro l’anoressia. Il nostro più profondo timore è l’essere incredibilmente forti. È la nostra luce, non la nostra oscurità quel che ci spaventa di più. Ci chiediamo: “Ma chi sono io per essere così brillante, talentuosa, favolosa?”. E allora io vi chiedo: “Ma chi siete voi per non esserlo?”.
Ragazze mie: siete brillanti. Siete talentuose. E siete tutte favolose.
Lo so che la consapevolezza delle vostre capacità e di tutto di quello che potete portare a termine se vi lasciate essere voi stesse può far paura. Può essere così terrorizzante da farvi desiderare di rinchiudervi nella crisalide dell’anoressia per sempre.
Il vostro potenziale è in effetti sorprendente, stupefacente e terrificante. Ed è un vero crimine non lottare per tirarlo fuori. Perciò, perché non smetterla di restringere anche sulle vostre competenze e capacità? Perché non smetterla di bruciare la luce che irradiate? Perché non smetterla di rinunciare ai vostri sogni solo per paura di fallire (o forse per paura di realizzarli)?
Non imbrogliatevi su quello che desiderate dal vostro futuro solo perché non riuscite a vedere dove possa portarvi, solo perché al momento l’anoressia v’impedisce di vedere quanto lontano possiate arrivare nel momento in cui l’abbandonerete.
Non azzoppatevi prima di esservi date la possibilità di provare a camminare. Non desiderate la morte solo perché la vita vi fa paura. Perché morire è il coraggio di un attimo. Ma vivere è il coraggio di sempre.
Ricordatevi sempre che potete fallire a causa dell’anoressia, o riuscire nonostante l’anoressia.
Per favore, meravigliose creature, datevi la possibilità di vivere. Datevi la possibilità di avere successo. Datevi la possibilità di sognare. Datevi la possibilità di essere tutto ciò che potete essere. Libratevi in volo verso altezze inimmaginabili. Lasciatevi andare.
Siete tutte favolose.
Vi voglio bene,
Veggie
Ragazze mie: siete brillanti. Siete talentuose. E siete tutte favolose.
Lo so che la consapevolezza delle vostre capacità e di tutto di quello che potete portare a termine se vi lasciate essere voi stesse può far paura. Può essere così terrorizzante da farvi desiderare di rinchiudervi nella crisalide dell’anoressia per sempre.
Il vostro potenziale è in effetti sorprendente, stupefacente e terrificante. Ed è un vero crimine non lottare per tirarlo fuori. Perciò, perché non smetterla di restringere anche sulle vostre competenze e capacità? Perché non smetterla di bruciare la luce che irradiate? Perché non smetterla di rinunciare ai vostri sogni solo per paura di fallire (o forse per paura di realizzarli)?
Non imbrogliatevi su quello che desiderate dal vostro futuro solo perché non riuscite a vedere dove possa portarvi, solo perché al momento l’anoressia v’impedisce di vedere quanto lontano possiate arrivare nel momento in cui l’abbandonerete.
Non azzoppatevi prima di esservi date la possibilità di provare a camminare. Non desiderate la morte solo perché la vita vi fa paura. Perché morire è il coraggio di un attimo. Ma vivere è il coraggio di sempre.
Ricordatevi sempre che potete fallire a causa dell’anoressia, o riuscire nonostante l’anoressia.
Per favore, meravigliose creature, datevi la possibilità di vivere. Datevi la possibilità di avere successo. Datevi la possibilità di sognare. Datevi la possibilità di essere tutto ciò che potete essere. Libratevi in volo verso altezze inimmaginabili. Lasciatevi andare.
Siete tutte favolose.
Vi voglio bene,
Veggie
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